In Pace Christi

Basso Giuseppe

Basso Giuseppe
Data urodzenia : 03/03/1936
Miejsce urodzenia : Caldogno (VI)/I
Śluby tymczasowe : 09/09/1965
Śluby wieczyste : 09/09/1968
Data święceń : 22/03/1969
Data śmierci : 07/03/1998
Miejsce śmierci : Lomé/TGO

La morte di questo confratello, 61 anni, è stata una sorpresa per tutti, anche per quelli che gli erano vicini e che sapevano che soffriva di pressione alta e di diabete. Alla salute P. Peppino teneva molto, e si curava, anche se era convinto che, dopo i 60, gli anni erano tutti regalati. I suoi genitori, infatti, non erano andati oltre e lui, da buon figliolo, era disposto a seguirne l’esempio.

L’accenno ai genitori ci porta a parlare della sua famiglia. Una famiglia di lavoratori veneti negli anni in cui il Veneto era zona depressa e di povertà, quindi terra di emigranti verso la Lombardia, dove le industrie assicuravano una busta-paga sicura, o all’estero.

Peppino è nato a Caldogno, un paese non lontano da Thiene, il 3 marzo 1937, primo di quattro fratelli, due maschi e due femmine. P. Peppino, in una lettera scritta nel giorno del suo 60° anno, dice: “La mia nascita mise in pericolo la vita della mamma ed entrambi dovevamo morire. Io fui battezzato due giorni dopo ed alla mamma fu consigliato di non avere più figli. Dopo di me, invece, nacque una sorella, un altro fratello e ancora una sorella”.

Papà Mario e mamma Elisabetta Gollin lavoravano la terra dei nonni e altri appezzamenti presi a mezzadria. Ma il lavoro duro, “da sole a sole” come si diceva allora, non bastava a far crescere dignitosamente la famiglia per cui il papà decise di affrontare la sorte dell’emigrante.

Lasciato Peppino dalla nonna Rosa, andò a Cassano Magnago in provincia di Varese portandosi dietro la moglie. Trovò un buon lavoro come muratore presso la ditta Bidorini e, col lavoro, arrivò anche la casa. Così la famiglia poté riunirsi. Ma la gioia di quella ritrovata serenità durò poco. Con lo scoppio della seconda guerra mondiale nel 1939, papà Mario venne richiamato alle armi. Combatté in Albania riportando anche qualche danno alla salute.

Al ritorno dalla guerra, trovò lavoro presso la tessitura Bellora di Gallarate, un’occupazione meno pesante rispetto alla precedente, quindi più adeguata a un uomo che aveva sofferto molto.

Peppino frequentò la scuola materna e le elementari nel paese d’adozione inserendosi anche nella vita della parrocchia. Tra il 1948 e il 1949 frequentò la quinta elementare. La pagella registra tutti “otto” e “dieci”, segno che il ragazzino era particolarmente dotato. Intanto erano arrivati anche gli altri fratellini.

I genitori erano di sentimenti cristiani (un cugino del papà era vescovo francescano a Mogadiscio. Morì nel 1972, ucciso in un’imboscata) e, ogni domenica, i genitori con i figli prendevano parte alla messa e al catechismo. L’oratorio divenne la meta dei fratelli Basso.

Autodidatta e pasticcere

Terminate le elementari a Cassano, Peppino si iscrisse a una scuola frequentando le lezioni per corrispondenza. Un lavoro che lo impegnava perché, contemporaneamente, lavorava come garzone in una pasticceria. Siccome questo lavoro gli faceva fare le ore piccole, dopo un anno andò nella fabbrica Assaghi di Cassano dove si costruivano accessori per biciclette.

Durante gli anni dell’adolescenza il nostro giovane si allontanò un po’ dalla Chiesa e si diede al cinema del quale era un appassionato frequentatore. Su un quaderno annotava i film che aveva visto e le sue osservazioni che indicano in lui un atteggiamento critico.

Come questo giovane, ad un certo punto della sua vita, abbia deciso di lasciare tutto per una scelta diversa rispetto alla vita che conduceva (lavoro e divertimento come tanti giovani), è un dono della grazia di Dio. Un dono abbastanza comune nella vita di certi campioni che la storia della Chiesa annovera. Pensiamo a San Paolo, Sant’Agostino, San Francesco, Sant’Ignazio di Loyola... solo per fare quattro nomi.

Possediamo la testimonianza scritta di colui che fu l’intermediario tra Dio a Peppino a proposito del cambiamento repentino del nostro giovane. È don Enrico, a quel tempo coadiutore di Cassano: “Peppino era un ragazzo riservato ed anche un po’ chiuso. All’età di 16-17 anni viveva di molti film e aveva abbandonato gli antichi compagni dell’oratorio. Ma probabilmente il nuovo genere di vita non lo appagava come avrebbe voluto. Ed ecco che, un sera piovosa, incontra il suo coadiutore, don Enrico, ed inizia con lui un colloquio... Risultato: la sera dopo porta al sacerdote il suo quaderno sul quale annotava i film che aveva visto e, sempre davanti al sacerdote, lo straccia. È l’inizio della sua conversione. Entra con decisione nell’oratorio San Giulio e, a poco a poco, diventa responsabile dei ragazzi e animatore di tante iniziative giovanili.

Incontra anche Enrico Bertolasi con cui, poi, vivrà un’intensa amicizia orientata alle missioni. L’impegno per i vicini da aiutare si dilata fino ad abbracciare il mondo, i lontani. Peppino comincia a parlare di missione, di gente che non conosce Cristo... La sua preghiera è intensa e il suo desiderio missionario sempre più chiaro... Anche da missionario non dimenticherà più l’oratorio. Le sue lettere, le sue visite ne accrescevano l’entusiasmo e la gioia. L’Africa è stata davvero la sua vita, una vita generosa, fatta di un bel carattere e soprattutto di grande amore per gli africani e per la gente che ha incontrato in missione, a cui ha dato tutta la sua vita.

Cassano Magnago sarà orgogliosa di questo ardente missionario e tutti quelli che lo hanno conosciuto lo ricordano come un’anima grande”.

Le parole di don Enrico vogliono dire molto di più di quanto letteralmente esprimono. Come tutte le scelte che implicano un cambiamento di rotta, anche per Peppino ci saranno state notti insonni, dubbi e sofferenza. Questo non è detto, ma si capisce.

Dopo la morte del nostro missionario, il foglio parrocchiale di Magnago riportò: “P. Peppino rimarrà sempre accanto alla gente che ha tanto amato. Ma molto del suo insegnamento e del suo entusiasmo giovanile è rimasto a Cassano dove è ricordato come uomo della gioia”. Diciamo subito che Peppino, attraverso lettere, circolari e visite, mantenne sempre uno stretto rapporto tra la sua parrocchia e la missione.

Vocazione adulta

Alla scuola di don Enrico, Peppino verificò la sua vocazione e fece la scelta definitiva: l’Istituto Comboniano impegnato tra i più poveri nelle parti più difficili del mondo. Entrò in contatto con i Comboniani che gli indicarono il seminario di Crema, attrezzato proprio in quegli anni per le cosiddette “vocazioni adulte”, quei giovani che, non essendo più ragazzi e non avendo fatto scuole regolari, volevano diventare sacerdoti concentrando alcuni anni scolastici.

Il 15 ottobre 1957, Peppino entrò in quel seminario. “A quasi 21 anni - scrive P. Peppino - entrai in seminario per diventare sacerdote Comboniano. Trovai superiori che mi aiutarono a discernere la mia scelta e mi incoraggiarono a continuare. Così fu a Crema, a Carraia, a Firenze e a Venegono Superiore”.

Ci resta la pagella scolastica di quinta ginnasio, rilasciata nel 1960. Due “6” in latino e in francese, cinque “7” e tre “10”. E in più il giudizio del superiore del seminario, P. Giovanni Riva. “Intelligenza buona, applicazione lodevole, preparato bene in tutte le materie. È entrato già formato spiritualmente in seno all’Azione Cattolica. Dà buone speranze per un’ottima riuscita”. Quindi poteva accedere al liceo la cui sede, allora, era a Carraia in provincia di Lucca.

Alla fine del corso liceale P. Danilo Castagnetti, preside della scuola, rilasciò la seguente nota: “È già formato come uomo. La vita religiosa gli deve dare la forma soprannaturale, la delicatezza, il senso degli altri”.

Novizio a Firenze

Ed ecco che il 9 settembre 1965 Peppino entrò in noviziato a Firenze dove era maestro P. Stefano Patroni. Ecco il giudizio di questo sant’uomo: “Carattere riflessivo e gioviale, impegno ottimo, generoso in qualsiasi lavoro senza osservazioni o critiche. Si è messo con generosità sia nel far bene le pratiche di pietà, sia nell’osservanza delle regole. È caritatevole con i compagni e sincero con i superiori”.

Purtroppo P. Patroni si ammalò e morirà nel 1966 in concetto di santità. Venne sostituito da P. Pietro Rossi, già maestro dei novizi a Gozzano (Novara). Egli, nel 1965, confermò il giudizio positivo del suo predecessore sottolineando la fortezza di carattere del novizio “poco cedevole, esigente con se stesso e con gli altri”. E poi aggiunge: “Il suo temperamento gioviale lo rende molto socievole con un grande ascendente sugli altri. È molto prudente e ha spirito di iniziativa. Vita spirituale impegnata, senza esagerazioni. I Padri della casa sono tutti favorevoli al suo proseguimento in Congregazione”.

Alla fine del noviziato, Peppino passò a Venegono Superiore per la teologia (1965-1969). Tre anni di impegno in vista dell’imminente ordinazione sacerdotale.

Durante gli anni di teologia rivestì la carica di capogruppo, cioè di colui che era il trait d’union tra i superiori e i compagni per trasmettere ordini spiccioli o modifiche di orario. “È uno che sente la responsabilità e si sacrifica per gli altri, di molto buon senso e capace organizzatore. Si è mostrato molto capace nello stare con i ragazzi delle parrocchie dove si recava alla domenica per il catechismo. Indubbiamente la sua esperienza di oratorio vissuta prima di entrare tra i Comboniani, lo ha aiutato molto”, scrisse P. Efrem Angelini, superiore.

Sacerdote

“Sono stato ordinato sacerdote in Sant’Ambrogio a Milano dal card. Giovanni Colombo il 22 marzo 1969, a 32 anni, un’età giusta per partire subito per l’Africa. Quel giorno c’erano i familiari, la parrocchia con i tre sacerdoti, gli amici e i benefattori. Fu una grande festa la prima Messa solenne la domenica delle Palme del 1969 a Cassano san Giulio”, scrisse P. Peppino.

Si aspettava di partire immediatamente per la missione come qualche altro dei suoi compagni, invece venne inviato nel seminario missionario di Pesaro come formatore e animatore vocazionale. Sostò in quella cittadina delle Marche per tre anni, dal 1969 al 1972. Teniamo presente che erano gli anni della contestazione post sessantotto, eppure P. Peppino seppe tenere il timone come avrebbe fatto un abile capitano.

Chi è stato con lui in quel periodo lo ricorda come un padre zelante che “sapeva tenere in riga i ragazzi”. Voleva che studiassero, che pregassero e che giocassero. “La ricreazione - diceva - è uno dei momenti formativi più importanti. È lì dove si misurano la personalità, la virtù e i difetti dei ragazzi”. Quindi egli era sempre presente in mezzo a loro come un buon amico comprensivo, ma anche esigente.

Se i superiori pensavano bene di lui, egli non faceva altrettanto con se stesso. Ecco cosa scrisse in una lettera al P. Provinciale il 28 maggio 1970: “A Pesaro non mi sento al mio posto; mi sembra di compiere un lavoro non mio, quindi mi sento distaccato, freddo, indifferente tanto da far paura a me stesso. E perché? Perché mi avevano promesso la missione ed io mi ero preparato a partire; secondo perché non sono preparato a fare il formatore e sento una grande ripugnanza ad andare a reclutare i ragazzini. Non mi sembra il modo giusto per accrescere il numero dei missionari”.

Alla domenica si prestava per la predicazione di giornate missionarie perché, diceva, quei ragazzi, avevano anche bisogno di mangiare “e mangiare bene, sano e abbondante se vogliamo tirar su uomini forti ed equilibrati”.

Un bell’uovo di Pasqua

Peccato che la crisi dei seminari era già iniziata e le vocazioni non affluivano più con la facilità di qualche anno prima. Per cui P. Peppino, in occasione di Natale del 1971, scrisse a P. Malugani, provinciale d’Italia: “Non si rompa la testa nel pensare al regalo di Natale per me. L’unico dono che desidero è la missione. È venuto il Salvatore! Verrà anche per me la salvezza? Sia lei il profeta nel deserto a far sentire la sua voce... Non mi spaventano le fatiche, solo temo di invecchiare e di non poter dar tutto me stesso alla missione”. La voce di P. Malugani rimase muta, allora, il 15 marzo 1972, si sentì spinto a prendere la penna in mano per scrivere al Vicario Generale dell’Istituto: “Reverendissimo P. Sina, prima di terminare la giornata in cui abbiamo commemorato la nascita del nostro fondatore, vorrei invitarla a ‘generare’, se pur con fatica, ciò che tanto attendo: la mia destinazione alla missione. Il provinciale mi ha fatto sapere che il mio semaforo è verde, e ne godo immensamente, dato che da tre anni sono in sosta davanti a quello rosso. Ora aspetto la direzione da prendere e sono certo che lei saprà dare alla luce cose meravigliose. Già ho fatto presente al padre provinciale la mia disponibilità a qualsiasi missione. Il ‘debole’ sarebbe per l’Africa che è stato il movente primo della mia decisione. Ho poi 35 anni; credo però di potercela fare con le lingue. Certo che se fosse il francese, mi sarebbe più facile, almeno così pare a me.

Ad ogni modo pregherò il Signore perché le conceda tanti lumi e a me di fare ciò che lui vuole. Me lo farà sapere per Pasqua? Sarebbe il più bell’uovo che mi potrebbe fare. Buona Pasqua e... grazie anticipate per l’uovo”.

Missionario in Togo

“Il 6 agosto 1973, dopo tre anni a Pesaro, partivo per la prima volta per la missione del Togo. Un mondo tutto nuovo da scoprire. Pur conoscendolo per averne sentito parlare, la realtà è tutta un’altra cosa. Solo in Togo si può conoscere il Togo e i togolesi”, scrisse.

Fu aiutante a Kodjoviakopè, la parrocchia nella capitale Lomè, dove i Comboniani si erano installati al loro arrivo in Togo nel 1964. Vi rimase due anni, dal 1973 al 1975. Imparò la lingua ewé, una lingua difficile che P. Peppino apprese con molta fatica e a prezzo di notevoli sforzi. In compenso si trovò subito a suo agio con la gente con la quale amava intrattenersi senza paura di “perdere tempo” o di fare brutte figure con la sua “parlata approssimativa”. Il punto forte di P. Peppino, però, furono i ragazzi, e di ragazzi, In Togo, ce n’erano a bizzeffe.

Dopo due anni fu trasferito a Togoville, dove c’è anche il santuario mariano nazionale, e vi rimase per altri due anni, fino al 1977, come economo provinciale. I confratelli lo avevano scelto perché era molto preciso in tutto e parsimonioso.

Dopo le sue prime vacanze in Italia venne chiamato a lavorare nel Benin, a Lobogo, nella diocesi di Lekossa dove c’era già una comunità comboniana. Peppino si installerà nella primavera del 1978 a Bopa, sulla riva del lago Axé. I confratelli del Togo erano lontani appena lo spazio di una frontiera.

Da quelle spende il nostro missionario non si allontanava mai, sia per le strade impossibili, sia perché amava stare con il suo popolo. Tuttavia non mancava mai alle riunioni del clero e dei confratelli.

Bopa gli è rimasta nel cuore per il carattere affabile delle persone e perché si sentiva missionario come aveva desiderato. La gente lo ricorda ancora e lo immagina mentre passava a piedi per le strade del villaggio con il suo tipico berretto. Se andava più lontano usava l’auto o il motorino. Volentieri e scherzosamente si faceva chiamare “il vescovo del lago” e anche il vescovo di Lokossa accettava lo scherzo. Rimase a Bopa, prima come economo e poi come parroco, fino al 1982, anno in cui dovette ritornare in Italia per un po’ di cure e per il Corso a Roma.

E qui successe ciò che non avrebbe voluto. La Direzione Generale mise gli occhi su di lui per un servizio in Italia.

“Non è mio stile pestare i piedi o fare scenate - scrisse il 25 marzo 1983 - Solo che capisco d’aver fatto male a restare un anno in Italia e di aver partecipato al Corso. Se fossi partito subito dopo le vacanze nessuno avrebbe avuto il tempo di accorgersi di me... Sono felicissimo ora di partire per il Togo e credo di essermi ambientato bene sia per il clima, sia per la comunione fraterna, sia per il ministero.

La mia salute è buona anche se quando sono rientrato avevo apprensione per il cuore e per la pressione. Ora il cuore è a posto e la pressione è sotto cura. Ho 46 anni e, fermandomi qui alcuni anni, rischio di perdere il ritmo. P. Contran mi aspetta anche se lui - come mi ha detto Masserdotti - è buono e non dice di no alla Direzione Generale...

A Venegono! Ci sono stato sette mesi e ho lavorato con piacere in ottimi rapporti con la comunità, ma sempre come uno che era in vacanza anche se si sentiva in casa propria. Ora mi chiedono di andarvi come superiore. Temo che chi ha fatto la proposta si sbagli. È sopra le mie forze coordinare quattro comunità (Religiosi, Novizi, Gim e Suore)...”.

P. Basso partì per il Togo, ma l’anno dopo, 1984, P. Calvia, Superiore Generale, gli scrisse: “Caro P. Basso, comprendo benissimo, ma purtroppo il bisogno in Italia è estremo...”. P. Calvia parlò col cuore in mano, un cuore pieno di amarezza per quanto chiedeva, per cui P. Peppino tornò in Italia con spirito di figlio obbediente e sottomesso.

Stima per i Fratelli

Prima di parlare della sua attività come animatore in Italia, vale la pena spendere una parola su un aspetto della personalità e spiritualità di P. Peppino: il suo amore e la sua stima per i Fratelli. Li amava, s’intratteneva con loro, si consigliava con fiducia per quanto riguardava l’andamento materiale della missione.

Fu estremamente dispiaciuto quando, nel 1975, i superiori gli portarono via Fr. Adone Santi: “Fr. Santi ha ricevuto la sua nuova destinazione: verrà in Italia. Subito ho pensato che i lavori della chiesa in costruzione qui a Kodjoviakopé si arresteranno dato che io non ho né le doti, né il carisma, né l’intenzione di mettermi a fare l’impresario. Dopo tanti sacrifici da parte di molti padri che sono passati da qui, proprio adesso, che manca poco per finirla una volta per sempre, il Fratello rientra”.

Sentendo che Fr. Santi doveva tornare in Italia per motivi di salute, aggiunse in una seconda lettera: “Abbiamo visto annunciati i nomi dei nostri confratelli espulsi dall’Uganda. Assieme al dolore per la prova che sta subendo la Chiesa e la Congregazione, mi è venuta l’idea che qualcuno di quei Fratelli potrebbe venire qui. Anche P. Francesco Grotto è pienamente d’accordo e mi ha fatto il nome di Fr. Narciso Tarcisio Dal Santo. Io non lo conosco, ma non sarà difficile farne la conoscenza e diventare amici”.

Scrive Fr. Luciano Giacomelli: “Peppino era un amico vero anche per noi Fratelli. Ci ascoltava, apprezzava i nostri suggerimenti e ci incoraggiava. Ci era vicino anche per i nostri bisogni spirituali. Sì un vero amico, un vero padre e un sacerdote zelante anche per le nostre anime”.

Animatore vocazionale a Messina

A Messina c’era bisogno di un animatore vocazionale per i giovani e Peppino, ricco dell’esperienza dell’oratorio e della missione in prima linea, era l’uomo giusto.

Lavorò in Sicilia per 5 anni, dal 1984 al 1989 e fu anche superiore della casa. Furono anni di intensa attività, di rapporti con i giovani che trovavano in P. Peppino uno che li capiva. “Veramente - disse un giorno P. Nelson Naponelli, oggi in paradiso con lui, - P. Peppino con il bravo Fr. Elia Dalla Fontana hanno dato uno scossone alla casa portando nella zona un notevole risveglio missionario”.

I giovani frequentavano la casa, pregavano, perché la preghiera per P. Peppino era il primo elemento della vera animazione vocazionale, e studiavano sempre nuove iniziative anche di aiuto ai missionari che erano in Africa.

Il Togo, il Bénin, le rive del lago Axé erano sempre nel cuore di Peppino e, se lui non ci pensava, erano i suoi confratelli rimasti laggiù a ricordarglielo.

Nella lettera che il Superiore Generale (P. Pierli) gli scrisse nel 1989 per destinarlo al Togo, sottolinea questo fatto: “Come sai, il Togo sono secoli che sta insistendo per un tuo ritorno, e il Consiglio Generale sono millenni che promette che saresti immediatamente tornato. Ora è necessario passare dalle promesse ai fatti. Ti sono molto grato per il lavoro svolto in Italia, con slancio e dedizione nell’animazione missionaria. Spero che il capitale di fiducia seminato in questi anni in Sicilia possa produrre frutti e che possiamo continuare con lo stesso slancio e competenza”.

“Nei cinque anni trascorsi a Messina per l’animazione missionaria - scrisse P. Peppino - la schiera degli amici delle missioni si è allargata. Grazie alla nostra presenza, il Togo è conosciuto anche nell’Isola. Il bene fatto in questi anni lo conosce il Signore. I confratelli continueranno con lo stesso stile senza stancarsi. Ma intanto mi domando come potrò ringraziare il Signore per quanto mi ha fatto e per tutti gli amici che mi ha messo accanto?... La salute va bene per cui se ora dovrò morire, morirò sano. Un saluto e tutte le benedizioni dall’alto e dal... Basso ”.

P. Andrea Polati ha scritto: “P. Peppino ha lasciato il segno nel cuore dei giovani di Messina, ma anche nel cuore dei sacerdoti con i quali trattava con un carisma tutto particolare. A distanza di anni lo ricordano con riconoscenza e venerazione e, alla notizia della sua morte, molti hanno dimostrato autentici segni di dolore”.

In Togo... tra gli scogli

Nel 1989 era nuovamente in Togo, a Kouvé, dove venne nominato parroco e superiore locale. Kouvé era il villaggio di uno dei capi dell’opposizione democratica e P. Peppino doveva quindi destreggiarsi con molta attenzione nel periodo della democratizzazione del Paese. Vi riuscì: col suo tatto, col suo sorriso, con la sua attenzione per la gente e per la parola di Dio predicò e indicò le linee guida di un civile comportamento, senza tuttavia immischiarsi nella politica. Insomma, riuscì a schivare tutti gli scogli e le secche che si trovavano sul suo cammino.

“Il processo di democratizzazione del paese - scrisse nel 1991 - non è accettato dal Presidente in carica da 24 anni, e dai militari che sono il suo braccio forte. E con i militari non si scherza. In questi giorni abbiamo avuto più di 400 morti, quasi tutti innocenti”.

In una nota alla sua parrocchia (Cassano Magnago) P. Peppino comunica le sue gioie: “Quest’anno abbiamo avuto 620 cresimati con una funzione di tre ore e mezza. Cose che solo in Africa si possono fare. Da metà settembre siamo tre Padri e abitiamo nella casa ristrutturata da Fr. Giacomelli. Un gruppo elettrogeno dissipa le nostre tenebre. Da Pasqua tutti i nostri catechisti hanno la bicicletta che è un mezzo insostituibile di evangelizzazione”.

Alla fine dell’anno ci sarà anche un sacerdote novello. Una parrocchia di Messina si è impegnata a sostenere i nostri seminaristi. Negli otto villaggi che serviamo, il Vangelo si fa strada e i catechisti sono il nostro braccio destro. Inoltre abbiamo trovato l’acqua scavando dei pozzi. Per Natale la chiesa avrà i banchi nuovi... E, grazie a voi, lunga mano della Provvidenza, non abbiamo debiti. Queste sono alcune delle meraviglie che il Signore compie in mezzo a noi”.

Nel 1992 il nuovo Superiore Generale dell’Istituto fece visita al Togo “provincia scelta tra tante, e tra le prime per una visita così importante”, scrisse Peppino. E poi aggiunse: “Ma quando l’illustre ospite aprì la bocca, mi accorsi che anche per noi ‘l’avec Comboni aujourd’hui’ aveva le sue esigenze... E subito ci furono i richiamati... Se una visita così illustre ha avuto questi risultati, era meglio che non fosse stata fatta e che noi non fossimo ‘provincia scelta’.

Se guardo con occhio sereno nel distretto della Curia noto che il Togo ha avuto la fortuna di formare parecchi dei suoi membri. Il Vicario generale viene dal Togo, il segretario generale dell’evangelizzazione, P. Contran, viene dal Togo, il prossimo segretario generale della formazione, P. Ivo Correira, verrà dal Togo... Per cui la Direzione Generale non tema di inviare nuovo personale in questa provincia perché qui si formeranno le nuove guide della Congregazione.

La situazione politica ci fa trepidare, ma ci sostiene la preghiera e la certezza che il Signore non ci abbandona”.

La casa bianca

Nel 1994 P. Peppino lasciò Kouvé, “la missione più bella del mondo”, come scrisse lui, e fu trasferito a Adidogomé, parrocchia alla periferia di Lomé, dove i Comboniani hanno la sede del postulato-padri. Provò molta nostalgia nel distacco, ma il nuovo popolo gli fece rifiorire il cuore. Con notevoli sacrifici riuscì a costruire la casa dei missionari, che egli chiamava “la casa bianca”.

Per questa casa aveva coinvolto anche i parenti di P. Piergiorgio Prandina. A lui scrisse il 17 novembre 1995: “Caro Piergiorgio, durante le ultime vacanze sono stato nel vicentino a salutare i parenti, così ne ho approfittato per salutare la tua mamma e i tuoi fratelli. Abbiamo parlato di Cornelio, tuo fratello e mio compagno che ci ha lasciati troppo presto. È stato inevitabile qualche magone... Poi è arrivata tua sorella Lucia e mi ha consegnato 5 milioni e così si è potuto dare il via al completamento dei lavori della casa parrocchiale di Adidogome.

Anche in Togo, dunque, è arrivato il GAM 12 (Gruppo Appoggio Missionario, ideato da P. Nobili, ma portato avanti anche dai fratelli Prandina i quali, al 12 di ogni mese, scrivevano una lettera agli amici n.d.r.). È stato ancora Cornelio che, tramite Lucia, ha messo le mani nella credenza e mi ha dato tanto dono. Mi ricordo quando Cornelio mi diceva: ‘Dalli i soldi, senza sindacare, Peppino!’. E so io quanta fatica si fa, quando è una processione continua di giovani che chiedono un aiuto per continuare la scuola, di mamme vedove, di orfani, a ‘non sindacare’. Grazie al GAM che non si è limitato al solo Mozambico e, senza sindacare, ha pensato anche al Togo”.

In occasione del suo 60° anno P. Peppino ha scritto una lettera che sembra il suo testamento spirituale. In essa dice, tra l’altro: “Sono trascorsi più di vent’anni ormai dal mio arrivo in Togo e non mi par vero. Bellissimi anni insieme a questa gente con tante belle qualità sempre da scoprire. I difetti ci sono come ovunque, ma la volontà di correggerli non manca. È sempre Lui che fa la parte migliore e che apre la pista. Non manca neppure tutto quello che si ha, e si è contenti. L’aiuto e la solidarietà che la missione offre alla gente è costante, grazie alla schiera di amici che ci sostiene e non ci abbandona mai...

Ho pensato, e la propongo a tutti voi, a una novena di messe in rendimento di grazie e secondo le intenzioni di tutti gli amici e benefattori. La inizierò il 7 aprile, festa liturgica dell’Annunciazione del Signore, ed alla preghiera inviterò tutta la comunità parrocchiale. Chiederò al Signore che vi sia sempre vicino e che sia lui a ricompensavi per il bene che fate a tutti noi. Chiedo scusa se vi ho stancati con questo scritto: sessant’anni arrivano una volta sola. Per i cento sarò certamente più breve...”.

La morte

Peppino era felice di aver costruito la casa dei Missionari. Ed è qui che sorella morte è venuta a prenderlo quattro giorni dopo aver celebrato, con i postulanti, i confratelli e alcuni ospiti veronesi di P. Fabio Gilli, il suo 61° compleanno. P. Sandro Cadei, provinciale del Togo, così scrive: “In questi giorni stava facendo le analisi perché si sentiva un po’ stanco, più stanco del solito. Non ebbe il tempo di vedere i risultati perché, già al pomeriggio, mentre recitava i vesperi, i confratelli notarono che aveva difficoltà di lettura. Verso le ore 18.00 cominciò a confondere le parole. P. Flavio chiamò d’urgenza il medico di casa il quale, constatata la gravità del male, consigliò l’immediato ricovero in ospedale. Cosa che si fece. Ma spirò appena giunto, nonostante gli venisse praticato il massaggio cardiaco.

I sanitari attribuirono il decesso così improvviso (erano le ore 20.00) ad una trombosi cerebrale iniziata nel pomeriggio dello stesso giorno. Al momento del ricovero in ospedale la pressione era sui 230”.

Il suo funerale, che ebbe luogo venerdì 13 marzo alle ore 9,30 locali, è stato un trionfo alla maniera togolese. Nella chiesa dove era parroco, la gente lo ha vegliato tutta la notte; molte religiose e religiosi hanno partecipato alla veglia. Le Suore della Provvidenza di Kouvé e le Comboniane di Adidogomé gli sono state particolarmente vicine.

Insieme a quello di Peppino, ci fu il funerale di un sacerdote togolese, mons. André Anate, di 99 anni. Era il più anziano sacerdote dell’Africa occidentale, uno dei primissimi ordinati in quella porzione d’Africa. Erano presenti tutti i Vescovi del Togo e del Bénin e anche il Presidente della Repubblica con tutti i dignitari e le autorità.

P. Peppino è stato sepolto accanto a questo sacerdote, in una parte del cimitero di Lomé riservata ai sacerdoti, ai missionari e ai religiosi. In quello stesso posto sono stati sepolti anche i primi missionari morti in quell’angolo di terra africana. “E che la terra ti sia leggera, Peppino”, come dicono i togolesi.

Questo nostro confratello lascia il ricordo di un uomo felice di essere stato missionario, in continua unione col Signore, soddisfatto della scelta che aveva fatto, tanto che molti lo chiamavano “il padre della gioia”. Proverbiali erano le sue battute. Molti confratelli ringraziano il Signore per aver dato alla loro comunità un individuo simile. A lui, che ha lavorato per le vocazioni missionarie con tanto entusiasmo e dedizione, chiediamo che dal cielo ne ottenga tante per la Chiesa, per l’Istituto e per il Togo.                         P. Lorenzo Gaiga mccj

Da Mccj Bulletin n. 201, ottobre 1998, pp. 49-56