In Pace Christi

Rovelli Ferruccio

Rovelli Ferruccio
Data urodzenia : 25/12/1910
Miejsce urodzenia : Montefiore Conca (Rimini)/I
Śluby tymczasowe : 07/10/1938
Śluby wieczyste : 07/10/1943
Data święceń : 03/06/1944
Data śmierci : 03/12/1997
Miejsce śmierci : Milano/I

Padre Ferruccio, quinto di sei figli, quattro maschi e due femmine, è nato il giorno di Natale del 1920. Il papà, Giovanni, faceva il muratore, ma la famiglia gestiva anche un podere lungo il fiume Ventena a circa 5 chilometri dall'abitazione. Questo appezzamento era a mezzadria. Adiacente alla casa, c'era un altro campo di proprietà della famiglia, che veniva coltivato nei momenti liberi dalle altre occupazioni. Marianna Giovanelli, la mamma, faceva la casalinga.

I genitori erano assidui frequentatori della chiesa e, anche in casa, la religione era praticata con zelo. P. Castelletti, che ha conosciuto personalmente i genitori di p. Ferruccio, assicura che erano "buona gente, sana, contadini laboriosi e generosi, ferventi praticanti della chiesa. Dal loro figlio Ferruccio volevano una cosa sola: che diventasse un bravo prete missionario, capace di vivere fino in fondo gli impegni che la sua vocazione gli imponeva".

Il paese natale, Serbadone, era allora costituito da piccoli gruppi di case sparse nel verde della campagna, campi e colline coltivati a grano, vigneti ed uliveti. Come in tutti i piccoli centri, gli abitanti si conoscevano e la famiglia di Ferruccio aveva il soprannome di "Baztòn". La lingua usata nel parlare quotidiano era il dialetto locale romagnolo che p. Ferruccio non ha mai cessato di usare con sorprendente freschezza, quando tornava tra i suoi.

Il comune di Montefiore Conca è un antico borgo medievale con rocca malatestiana, ancor oggi esistente. La chiesa parrocchiale distava qualche centinaio di metri dalla casa di Ferruccio.

Il nostro giovinetto frequentò le elementari al paese, dimostrandosi un ragazzino intelligente e vivace, pronto a parlare e svelto ad agire. Come tutti i bambini della sua età, amava il gioco con i compagni e i fratelli, che comunemente si svolgeva sul sagrato della chiesa.

Il parroco, don Oreste Fantini, un prete all'antica, burbero e pronto a rimproverare chi non si comportava "da buon cristiano", seguiva dalla finestra i giochi dei bambini e, di tanto in tanto, lanciava loro qualche caramella o delle noccioline. E intanto studiava quei suoi "polli" per vedere chi avesse la stoffa per diventare sacerdote. Ferruccio, indubbiamente, aveva delle buone qualità anche se qualche marachella, di tanto in tanto, non se la faceva scappare.

Una sua amica d'infanzia ricorda che un giorno decisero, lei e Ferruccio, di andare a rubare le ciliegie ad un vicino. Sul più bello il proprietario li sorprese ed essi si diedero a fuga precipitosa, ma Ferruccio inciampò, cadde bocconi e ruzzolò schiacciando tutte le ciliegie che si era nascoste addosso e che gli rimasero appiccicate sotto i vestiti. Sicché‚ dovette fare i conti anche con la mamma.

La vocazione

La visita al paese di un missionario fu la causa immediata della scelta comboniana di Ferruccio, anche se il substrato esisteva già. Certamente, dopo la grazia di Dio, nella scelta vocazionale di Ferruccio ebbe una buona parte don Oreste che, di tanto in tanto, diceva al ragazzino: "Tè, t'sar‚s un bel prit‚n!"

Un suo cugino ricorda che, verso la fine delle elementari, allorché‚ si recava a trovare lo zio Giovanni ed i cuginetti, Ferruccio, all'invito di recarsi a casa sua per giocare, rispondeva che non poteva perché‚ doveva studiare per diventare prete, e qualche volta lasciava la compagnia per dedicarsi ai libri.

Il passo dal paese al seminario comboniano di Riccione fu breve. I genitori non osteggiarono la scelta del figlio, anzi si mostrarono contenti; specialmente la mamma ne ringraziava spesso il Signore.

Il carattere vivace di Ferruccio era arricchito da un sano umorismo. Eccone un esempio. Quando partì per il seminario di Riccione salì con altri due suoi compagni su di un calesse trainato da un asinello. Giunti a metà strada, in località Sant'Andrea in Casale, incrociarono una donna del paese ben conosciuta dai chierichetti perché‚ assidua frequentatrice della chiesa. Allora Ferruccio, sporgendosi dal calesse, le gridò:

"Sposa, andèm a Rcium ti prit. Cus ch'a gi, che a glia fèma?" (Signora, andiamo a Riccione per farci preti. Dice che ce la faremo?).

Durante il periodo passato a Riccione, Ferruccio si confermò nella vocazione missionaria trovandola proprio su misura per il suo carattere. Per le vacanze estive i seminaristi trascorrevano un periodo di villeggiatura a Mondaino. Di lì, qualche volta, Ferruccio raggiungeva a piedi Serbadone. I compaesani ricordano che lo sentivano cantare, con la sua bella voce intonata, il motivo che avrebbe ispirato tutta la sua vita sacerdotale e missionaria: "Pietà, Signor de' miseri che ignorano l'Evangelo, manda color che insegnino la retta via del ciel".

Fece piangere Benito Mussolini

Scrive p. Castelletti: "Conobbi Rovelli nel 1932 a Mondaino sui colli marchigiani sopra Cattolica, durante le vacanze scolastiche, essendo io suo assistente. Aveva 12 anni, era vivacissimo, piccolo, tutto cuore, marchigiano genuino. Aveva un grande amore per il canto ed era dotato di una bella voce. Da ragazzino era soprano, da grande diventò baritono. Gli feci eseguire pezzi scelti, cantati come solista, dal repertorio di Perosi.

Vi fu uno scoppio di pianto quando Ferruccio, a Riccione, nella chiesa Mater Admirabilis, cantò come solista il Requiem di Perosi alle esequie di un figlio di Mussolini, aviatore. Alla messa erano presenti i genitori, Benito e donna Rachele che si commossero profondamente e si congratularono col ragazzino.

Ferruccio coltivò sempre la musica sacra; gli piaceva pregare cantando. Molti anni dopo, in Africa, canterà inni in arabo, inglese, denka, scilluk... segnalandosi come il missionario della gioia".

A 15 anni era nel seminario comboniano di Brescia per il ginnasio. Scrive ancora p. Castelletti: "Da studente di teologia sono stato suo assistente anche a Brescia e, dopo la mia ordinazione sacerdotale, suo insegnante. L'intelligenza e le capacità di Ferruccio hanno entusiasmato tutti gli insegnanti. Non sfuggiva un'idea, non gli scappava una nozione. La sua applicazione era così generosa e profonda che, più tardi in Africa, io stesso insistei presso i superiori perché‚ gli affidassero incombenze difficili che richiedevano competenza e responsabilità.

Quando cantava la romanza di p. Salazer 'Magico suolo che sognai fanciullo' entusiasmava tutti, anche i forestieri che frequentavano la nostra casa in occasione delle annuali accademie. Il duetto, poi, tra Ferruccio e Giuseppe Ruggieri (basso) elettrizzava la gente che frequentava la chiesa del Sacro Cuore (oggi Buon Pastore) in Viale Venezia.

Vorrei citare un episodio - prosegue p. Castelletti - che mostra la generosità e la perspicacia di Ferruccio.

Nel 1938 l'anno scolastico stava terminando e tutti erano tesi per il ripasso delle lezioni prima degli esami. Un giorno uno scolaro, il primo della classe, si addormentò durante la lezione. Volendo combinargli uno scherzo, proposi ai ragazzi di levarsi le scarpe e di uscire dalla scuola lasciando il dormiente immerso nel suo sonno. Cosa che venne eseguita nel massimo silenzio. Quando il poveraccio si svegliò al suono della campana che indicava la fine della lezione, si vide solo e rimase così male che per alcuni giorni si rifiutava di parlare e di mostrarsi allegro come il solito.

A questo punto Ferruccio mi disse di ripetere la scena con un altro, il secondo della classe, così... 'male comune, poco pesa'... La cosa venne fatta. Solo che questa volta, il finto dormiente, mentre gli altri erano fuori, fece sparire le scarpe a tutti nascondendole sotto la cattedra del professore.

Al rientro degli scolari, ci fu una grande risata che dissipò le ombre e fece tornare il buon umore anche a chi aveva dormito sul serio".

Verso il sacerdozio

Nel 1936, a 16 anni, Rovelli era novizio a Venegono Superiore. Scrisse p. Todesco, maestro dei novizi: "Mostra sempre grande generosità e sodezza nel perfezionare se stesso. Va avanti con serietà insistendo nella vita interiore. Si distingue per la sua pietà ed esattezza nell'osservanza delle regole. E' piuttosto pessimista riguardo a se stesso. Intelligente e diligente, è di carattere sincero e aperto con i superiori. Di tanto in tanto ha qualche scatto con i confratelli. Penso che sarà un ottimo missionario". Emise la professione il 7 ottobre 1938. Un suo compagno ricorda ancora oggi come, dopo la messa della professione, abbracciandolo, Ferruccio abbia esclamato: "Con la Madonna, oggi e sempre".

Dopo i Voti fu dirottato a Verona per il liceo (1939-1941) e poi a Brescia come assistente dei ragazzi dell'Istituto Comboni (1941-1943). Un tipo esuberante e pieno di iniziative come lui si trovò a suo agio in quell'ufficio che disimpegnò con soddisfazione sua, dei superiori e dei piccoli seminaristi. Vi rimase fino al 1943, anno in cui passò a Rebbio per concludere la teologia con i suoi compagni.

Fu ordinato sacerdote a Como il 3 giugno 1944 da mons. Alessandro Macchi. L'anno dopo partì per Sunningdale (Inghilterra) per lo studio dell'inglese.

Durante la guerra, due dei suoi fratelli, Giovanni Battista e Antonio, partirono per la guerra e furono anche internati in Germania. Ferruccio pregò molto per loro e, alla fine del conflitto, ebbe la gioia di riabbracciarli.

L'ordinazione sacerdotale, attesa con tanta trepidazione, non pot‚ essere condivisa dai genitori perché‚ erano già tornati alla casa del Padre. La mamma nel 1941 ed il babbo nell'anno stesso della prima messa di Ferruccio. Anche i due fratelli soldati erano ancora in Germania.

Nella terra di Comboni

Nel 1946, dopo la permanenza in Inghilterra, p. Ferruccio partì per il Sudan, dove rimase per 52 anni. Il suo primo incarico fu quello di aiutante del procuratore e studente di arabo, ma poi passò subito alla scuola: prima al collegio Comboni di Khartoum (1947-1954), poi ad Atbara (1954-1964), un posto molto difficile per il clima e per la massiccia presenza di musulmani, poi a Port Sudan (1964-1968), sempre come superiore e direttore delle scuole.

La rivoluzione contro il dittatore Abbud mise in serio pericolo l'esistenza della missione di Atbara e della stessa vita del Padre. Un fanatico musulmano, studente, si votò al digiuno fino a che non avesse ucciso p. Rovelli. Finì invece per diventare uno dei suoi più cari amici.

Scrive p. Castelletti:

"In quel periodo burrascoso p. Rovelli seppe tenere le redini e governare così bene la scuola tanto che mons. Baroni, vescovo di Khartoum, e p. Galli accettarono ogni sua iniziativa e decisione. Anche il Ministro dell'Educazione di Khartoum volle incontrare p. Rovelli e ascoltare i suoi pareri. Alcuni professori musulmani furono licenziati e così tornò la calma tanto che alcuni dei più accaniti nemici dei missionari vollero iscrivere i loro figli alla nostra scuola.

Vi fu la rivoluzione anche nel cimitero. I profanatori ruppero tutte le croci. P. Rovelli non si sgomentò e fece cementare le croci di ferro sul coperchio delle tombe dei cristiani e così la profanazione ebbe fine".

Durante i suoi anni di missione, il Padre mantenne una diligente e fitta corrispondenza epistolare con i fratelli e i familiari prima, e con i numerosi nipoti dopo. Tutti gli erano molto affezionati ed aspettavano con impazienza le sue lettere, preoccupandosi quando queste tardavano.

La situazione del Sudan angustiò molto anche i familiari di p. Ferruccio, che ormai condividevano i suoi ideali missionari.

Durante il periodo di missione fu bersagliato da grosse croci come la tragica morte della sorella Angela nel 1950, del nipote Secondo, figlio di Anna, morto in mare a Cattolica nel 1964, del nipote Giovanni, figlio di Aurelio, vittima di un incidente sul lavoro nel 1973 proprio il giorno prima delle nozze, del nipote Guido, ultimogenito di Anna, morto anch'egli tragicamente a Firenze nel 1987.

Queste perdite premature e tragiche gli furono causa di grande dolore che egli, tuttavia, riuscì a sublimare nella fede. Le sue lettere ai familiari dopo queste disgrazie testimoniano da una parte l'affetto profondo che lo legava ai suoi cari, e dall'altra la grande sensibilità del suo animo. "Questa morte mi causò una totale depressione da togliermi ogni voglia di lavorare. Avevo la sensazione di fare tutto come un automa", scrisse.

Provinciale dei Comboniani

Mentre era parroco a Medani (1968-1970) p. Rovelli venne eletto superiore Provinciale. Coprì questa carica dal 1970 al 1976, per due mandati successivi. Allora il Sudan costituiva un'unica provincia.

Dopo il trattato di pace di Addis Abeba del 1972, sancito sotto l'autorità e il prestigio di Hail‚ Sellassi‚, in cui fu firmato l'accordo che pose fine alla guerra nel sud Sudan, che si protraeva da 17 anni, questa porzione di Sudan fu dotata di un governo regionale autonomo che garantiva, tra l'altro, libertà di religione.

Il nuovo Provinciale dei Comboniani impiegò tutte le sue energie per riorganizzare il lavoro interrotto con l'espulsione dei missionari del 1964. Vi assegnò tutti i confratelli sudanesi che non erano soggetti a restrizioni, come lo erano gli stranieri.

Vi giunsero anche i fratelli comboniani Ottorino Gelmini e Ambrogio Confalonieri e alcuni sacerdoti gesuiti indiani. In seguito arriveranno altri confratelli, sacerdoti e fratelli. La Santa Sede, nel 1974, giudicò pronto il clero del Sudan meridionale a diventare protagonista della propria Chiesa, e prese una decisione storica elevando tre vicariati e due prefetture apostoliche alla dignità di diocesi, fornendole di vescovi sudanesi. Ciò costituì una notevole vittoria anche per p. Rovelli che tanto aveva fatto e faceva per quella Chiesa nella sofferenza.

Attivo e paterno, anche se esigente, voleva che i missionari fossero sempre all'altezza della loro grande vocazione. Nelle difficoltà e nelle incomprensioni, specie da parte dell'autorità civile, si esponeva in prima persona difendendo i confratelli. Sapeva ascoltare e dialogare e, con l'interlocutore trovava la soluzione al problema. Ammirabile anche la sua delicatezza con i "lapsi". "Se il confratello ha sbagliato - scriveva al p. Generale - lo mandi qui e gli daremo la possibilità di riabilitarsi".

Parroco a Khartoum Nord

Dopo 6 anni, allo scadere del suo mandato, divenne superiore e parroco a Khartoum Nord (1977-1996), la città industriale dove si trovavano molti operai provenienti dal sud Sudan. Sotto l'impulso di p. Rovelli, la missione, da piccola, divenne tanto grande da essere divisa due volte. Vi rimase per circa 20 anni svolgendo un apostolato che ha del sorprendente.

Con l'aiuto dei confratelli e di valenti catechisti, è riuscito a raggiungere villaggi e popolazioni ancora pagane creando svariati centri di preghiera, asili, piccole scuole, cappelle, catecumenati e corsi serali per adulti. In questo modo è riuscito ad attirare alla Chiesa e preparare al battesimo migliaia di adulti e ragazzi che, dal sud del paese, erano scappati al nord a causa della guerra. Molti confratelli si domandavano come facesse p. Ravelli a mettere insieme per la notte di Natale fino a 700 adulti per il battesimo. Scrive p. Farina: "Ricordo che per la notte di Pasqua del 1992 i battesimi sono stati 920 e il cortile della missione non riusciva a contenere tutta la gente accorsa anche da lontano.

Fu eccellente anche nella carità. Ogni giorno doveva risolvere infiniti casi disperati. Per tutti era il papà, l'amico, il fratello, il difensore, il sacerdote. Un giorno venne fermato dalla polizia e finì in tribunale con l'accusa di essere andato in un campo di rifugiati (era proibito) per distribuire cibo e medicine. Quante volte ho sentito la gente dire: 'Abuna Rubella è nostro padre, è stato lui a darci la fede'.

Una preghiera prolungata al mattino e alla sera era il segreto del suo apostolato. Inoltre aveva una particolarissima devozione alla Madonna che invocava spesso e faceva invocare, specie con la pratica del rosario. Davvero p. Rovelli ha messo in pratica quanto san Paolo dice a Timoteo: 'Predica, insisti in ogni occasione opportuna e importuna, vigila, rimprovera, esorta...'. Non ha badato a sacrifici e rinunce purché‚ il Vangelo arrivasse al maggior numero di persone possibili".

Animatore missionario

P. Ferruccio, fu un grande animatore missionario dei suoi parenti e dei suoi compaesani. Anche se lontano, si faceva presente con le sue lettere che parlavano della missione e dei problemi ad essa connessi.

Quando rientrava in Italia per le vacanze, visitando le famiglie del paese, ricordava i nomi e i luoghi della sua infanzia e mostrava di provare un piacere grandissimo nel respirare l'aria della sua terra.

Non solo i parenti, ma anche gli amici e i conoscenti andavano a gara per invitarlo a pranzo o a cena. Egli accettava con piacere e cercava di accontentare tutti. Quegli incontri erano occasioni per parlare di missione.

Pur essendo un tipo esuberante, non amava parlare di s‚. Tuttavia, qualche volta raccontava degli aneddoti riguardanti la sua lunga vita missionaria, specialmente quando qualcuno dei nipoti ed altri bambini lo circondavano tempestandolo di domande.

Sapeva fare i discorsi sulla "teologia della missione", e sui problemi riguardanti il "Nord e il Sud del mondo, povero e sfruttato", specie quando parlava dal pulpito o quando si trovava con le persone in grado di capirlo. Se si trovava con i ragazzi volava più basso adattandosi alla loro mentalità. Gli stavano particolarmente a cuore i problemi della Chiesa in Sudan. Le sue lettere ai parenti e ai sacerdoti ne sono una importante testimonianza.

Scriveva nel giugno del 1988: "Qui in Sudan la situazione politica va di male in peggio: la guerra civile ha cominciato ad infierire di nuovo: il Sud contro il Nord. Al Sud i giovani vengono arruolati nell'esercito di liberazione mentre i vecchi, le donne e i bambini scappano al Nord senza nulla. Durante il viaggio molti muoiono di fame e sete, quando non vengono uccisi dai banditi armati. Quelli che arrivano a Khartoum sono sfiniti e bisognosi di tutto".

Nel maggio dell'89 aggiungeva: "Il 3 aprile un gruppo di fanatici musulmani ha assalito la casa delle suore di madre Teresa di Calcutta e ha trascinato in strada una suora percuotendola sulla testa con il chiaro intento di ucciderla. Benché‚ ferita, la suora è riuscita a fuggire. Un centro cristiano a Galaa è stato incendiato da ignoti. I cristiani accorsi per spegnere le fiamme sono stati arrestati dalla polizia. Nelle moschee, al venerdì, invece di pregare si eccita il popolo contro i cristiani. Ma la persecuzione fa crescere il numero di coloro che vogliono diventare cristiani per cui le nostre scuole, anche se povere, sono sovraffollate, mentre quelle musulmane sono quasi vuote".

Il Padre si soffermava anche sulla situazione sociale ed economica.

Nell'ottobre del 1988 scriveva: "Le inondazioni verificatesi a Khartoum, cose mai viste da generazioni, hanno distrutto 300.000 case. I senzatetto sono un milione e mezzo. Ho distribuito 1.800 sacchi di farina e 3.000 tende".

"L'anno scorso, al Sud, sono morti di fame circa mezzo milione di neri. Quest'anno la tragedia potrebbe ripetersi. Speriamo che le nazioni unite mandino viveri per quella povera gente dilaniata dalla guerra e priva di tutto".

"Quante tonnellate di viveri, latte in polvere, indumenti, lamiere, steccati portò nei villaggi che erano sorti nel deserto per i profughi che erano bisognosi di tutto e tenuti lontani dalle autorità come fossero dei lebbrosi! Per aiutare le donne e i bambini si portava dietro le suore che erano validissime collaboratrici in quell'emergenza".

Anche sul giornale diocesano "Il Ponte" troviamo delle interessanti interviste rilasciate dal Padre durante le sue vacanze. In esse veniva fotografata la vita di missione con realismo e immediatezza. Si parla dei profughi, dei catecumenati, dei rapporti tra cristiani e musulmani, del fanatismo fondamentalista islamico avanzante, dei problemi economici per tirare avanti, degli aiuti internazionali... Insomma, l'animazione missionaria ha sempre occupato un posto importante nella vita di p. Rovelli.

Ragazzo con i ragazzi

Con i ragazzi parlava anche delle "avventure del missionario". Una volta raccontò che, mentre si trovava nel sud del Paese, attraversando in macchina un tratto di savana, si trovò sulla pista un grosso pitone steso a prendersi il sole. Fermò la jeep e attese che il serpente si svegliasse dal suo pisolino e se ne andasse in mezzo all'erba. Un africano che lo accompagnava disse: "Padre, perché‚ non l'hai ucciso con un colpo secco! Sai, sono molto buone le bistecche di pitone".

Un'altra volta, per sfuggire a un leone affamato riuscì, con la forza della disperazione, ad arrampicarsi su di un albero. Fortunatamente la belva non riuscì a raggiungerlo, ma si accovacciò ai piedi della pianta in paziente attesa del suo "pranzo". Appollaiato in alto, p. Ferruccio si guardava bene dal muoversi e intanto invocava le anime del purgatorio. Dopo tre ore il leone si alzò e andò per la sua strada consentendo a p. Ferruccio di prendere la sua.

Ma l'avventura più bella capitò nel Bahr el Ghazal dove il Padre si era recato con un confratello per un po' di vacanza. Un africano, presso il quale si erano fermati, offrì loro del latte. Essi accettarono anche perché‚ erano stanchi e avevano sete. L'uomo si allontanò con una ciotola in mano ed essi attesero per più di un quarto d'ora ed ogni tanto si chiedevano dove fosse andato a prendere il latte.

Finalmente l'uomo ricomparve offrendo al padre il latte, ma era poco. Scusandosi con gli ospiti disse: "Mi spiace, ma mia moglie non ne ha fatto di più". Al che i due si guardarono in faccia ed estrassero due pacchetti di sigarette offrendole all'uomo. Egli le fumò tutte, di gusto, fino quasi a stordirsi. Il latte, ovviamente, rimase nella ciotola.

I compaesani di p. Ferruccio allibivano quando raccontava il modo di ottenere il tabacco presso qualche tribù africana: escrementi di animale, mescolati a erba. Poi aggiungeva sorridendo: "Gli scienziati non hanno ancora stabilito se sia cancerogeno come il nostro".

Ha lasciato il segno

A questo punto cediamo la penna a p. Pacifico, provinciale di Khartoum. Egli, molto diligentemente, ha tracciato un profilo di questo confratello che ha lasciato il segno del suo passaggio: "P. Rovelli aveva un carattere forte. Lo chiamavano 'il duce', credo perché‚ veniva da un paese vicino a quello di Mussolini. Ma anche perché‚ era un tipo chiaro, deciso, sincero. Manifestava senza peli sulla lingua ciò che pensava e ciò che voleva. Anche con i confratelli, i sacerdoti e lo stesso Vescovo, difendeva il suo punto di vista con determinazione.

Gli ex alunni lo ricordano come un preside che sapeva tenere la disciplina. Ma lo ricordano con gratitudine.

Si faceva un punto di onore di mettersi sempre dalla parte degli 'oppressi'. Gli oppressi erano non soltanto tanta povera gente sballottata di qua e di là senza misericordia, ma anche i confratelli che, secondo lui, stavano subendo qualche ingiustizia. E su questo punto non faceva eccezione per nessuno. Una volta, addirittura, si rivolse a1 prefetto di Propaganda Fide, perché‚ aveva avuto 1'impressione che ad un sacerdote fosse stata fatta un'ingiustizia.

Non si dava per vinto facilmente. Nel 1995 era stato costretto a farsi ricoverare in ospedale. I dottori non lo volevano operare perché‚ si trattava di un cancro in stato avanzato. Ma il Padre tanto fece e tanto disse che, alla fine, trovò un dottore che lo operò.

Dopo notevole insistenza, tornò in Sudan e riprese le attività nella parrocchia. Non voleva sentir parlare di ritirarsi. E tuttavia si rendeva conto che non era più quello di prima. Quando il provinciale gli disse chiaramente di lasciare il posto a un altro, non fece resistenza. Capì che era per il futuro della comunità cristiana. Certo che gli dovette costare molto. Era stato all'origine della maggior parte delle attività in corso nella parrocchia e aveva battezzato la maggior parte dei suoi membri."

Dalla parte degli oppressi

"Non poteva accettare che la gente soffrisse e non la si aiutasse. Negli ultimi anni crescevano a Khartoum i ragazzi di strada e i drogati che vagavano di giorno e di notte attorno alla parrocchia. D'istinto voleva andare loro incontro. Non sempre in modo illuminato, ma sempre mosso da una grande compassione.

I discorsi di chi voleva mettere ordine nella carità, senza toccare la tasca, gli sembravano parole prive di senso. Significativa la testimonianza della cuoca di casa, una eritrea sfollata a Khartoum. Nell'apprendere la notizia della sua morte, disse: 'Voleva bene ai poveri'. Ovviamente c'erano quelli che ne approfittavano. Ma al cuore non sempre si può comandare.

Quando il governo buttò nel deserto gli abitanti dei quartieri poveri della sua parrocchia, non esitò, lo stesso giorno, a caricare un camion di cibo per portarlo loro, sfidando i dinieghi della polizia.

E si diede da fare perché‚ le comunità cristiane si potessero ricostituire nei nuovi posti. Fu testimone e attore della crescita della chiesa nel Nord Sudan. Durante il suo mandato di provinciale volle visitare tutte le missioni del Sud abbandonate con l'espulsione nel 1964. Lo accompagnò p. Max Macram, poi vescovo di El Obeid.

Mentre guardava tutte quelle missioni abbandonate e in rovina sognava il giorno in cui, cessata la guerra, potessero essere riaperte e rifiorire. Ma pensò anche che il miracolo si poteva ripetere al Nord. E infatti una volta parroco, non si risparmiò. I catecumenati diventarono la sua prima preoccupazione."

Santa emulazione

"A un certo punto venne a crearsi una specie di competizione tra p. Rovelli e i suoi colleghi missionari, primo fra tutti p. Mario Castagnetti: chi aveva più catecumeni e chi dava più battesimi?

Le masse dei sudisti che scappavano dalle zone di guerra guardavano alla Chiesa come all'unica ancora di salvezza. Questo movimento a p. Rovelli sembrava un sogno del cielo. Per lui che era venuto in un Sudan del Nord quando la maggior parte del tempo si passava dando lezione e correggendo compiti, fu come rinascere.

Per 25 anni aveva dato nella scuola il meglio di se stesso, con passione ed entusiasmo. Di quegli anni non rinnegò nulla, perché‚ credeva fortemente all'importanza dell'educazione anche come strada verso l'evangelizzazione. Lo stesso entusiasmo mise ora nel lavoro pastorale e il catecumenato diventò il suo campo di battaglia".

Nel 1989 p. Rovelli  fu nominato "probus vir". In quell'occasione il p. Generale (Pierli) gli scrisse. "Avanti con coraggio e dedizione. Tu ormai sei un leone dell'Africa, con 43 anni di Sudan e una grandissima esperienza in tutti i settori della nostra vita. Perciò puoi dare un aiuto ai confratelli, soprattutto quando sorgono delle tensioni. Il probus vir ha il compito di approfondire il discernimento, essendo il confratello più imparziale di tutti, preoccupato soltanto della volontà di Dio e della serenità dei confratelli stessi. Grazie di nuovo e che il Signore ti accompagni con la sua grazia, con la salute e con il buon umore. Che Comboni ti sia vicino con la sua intercessione".

Una vita per la missione

"Naturalmente anche P. Rovelli aveva i suoi difetti. Come le virtù apparivano chiare, così anche i difetti non erano nascosti. I difetti talora erano gli estremi di quelle stesse virtù. Il desiderio di giustizia e di ordine, poteva portarlo a essere talora duro e sbrigativo, anche troppo sicuro di s‚. L'aiuto ai poveri poteva talora diventare cedimento ai ricatti e poca preoccupazione di andare alla radice dei problemi. Poteva anche rischiare di ridurre i collaboratori a semplici esecutori.

Dato per spacciato nel 1995 e operato in extremis in Italia per un cancro al colon, come abbiamo detto, era tornato in Sudan e aveva lavorato ancora per quasi due anni.

Come tanti altri confratelli della vecchia guardia, la sua è stata una vita tutta per la missione, ne1 segno dell'obbedienza e della disponibilità ai compiti che man mano gli venivano richiesti, fidandosi di Dio e fidandosi anche dei doni che Dio gli aveva elargito, e di cui era cosciente.

Di p. Rovelli ricordo - aggiunge p. Pacifico: -

1. Il coraggio, la perseveranza e la pazienza con cui si era prodigato per trasformare in comunità la massa di sudisti che arrivavano nella parrocchia, profondamente divisi e talora antagonisti a seconda dell'appartenenza etnica.

P. Rovelli aveva saputo gestire la situazione con grande saggezza. Era riuscito a portare ordine anche nella liturgia, facendo accettare l'arabo come lingua comune e riservando un piccolo spazio alle lingue locali nei canti che i Denka, i Nuer e i Nuba facevano al termine delle celebrazioni vere e proprie.

2. La fermezza con cui si era battuto in favore di vescovi e preti sudanesi, nel momento in cui si stabilì la gerarchia e anche dopo, talora sostenendo accese discussioni con altri missionari che la pensavano diversamente;

3. L'mpegno con cui si era dedicato al catecumenato. Erano diventate famose le folle che riempivano il cortile di Khartoum Nord per ricevere il battesimo a Pasqua.

4. La testimonianza di vita religiosa e missionaria. Il fatto stesso che avesse speso tutta la sua vita in Sudan era una grande testimonianza per la Chiesa sudanese, traduzione concreta di cosa sia una vocazione religiosa e missionaria: una vita spesa tutta per il Signore e il suo Regno".

La malattia

Il 15 febbraio 1997, scrivendo ai suoi, p. Rovelli dice: "Sto soffrendo da tempo di un mal di schiena terribile che talora non mi permette di stare diritto. Per questo ho preso il coraggio a due mani e ho presentato al Vescovo le mie dimissioni. Sua Eccellenza mi ha esaudito, e l'ingresso del nuovo parroco a Khartoum Nord ha avuto luogo la seconda domenica di novembre del 1996.

Da tre mesi assisto il nuovo parroco. Sono contento, felice e riposato. Ora mi pare di star meglio". Poi si dilunga in notizie sulla missione:

"Incidenti nelle parrocchie ce ne sono sempre stati anche se noi di Khartoum Nord siamo stati preservati, almeno fino al dicembre 1996. Ma il 17 dicembre, nelle ore pomeridiane, un gruppo di poliziotti e di soldati, accompagnati da tre grossi bulldozer, si sono presentati alla porta del nostro centro di Doroscaab e dissero al direttore di far uscire tutti i 500 allievi perché‚ avevano l'ordine di abbattere la scuola.

Gli allievi uscirono tutti sulla strada e i bulldozer cominciarono il loro lavoro abbattendo il muro di cinta, l'ufficio dei maestri e le dimore di due catechisti.

Immediatamente il Vescovo si diede da fare per sapere da dove era arrivato l'ordine di demolire la scuola. Ma non si è saputo niente. E allora? Allora pazienza lasciando il resto nelle mani di Dio. Penso che mi fermerò a Khartoum Nord fino a marzo. Il mio successore, p. Norberto Stonfer, è molto bravo e se la cava bene".

Scrive p. Pacifico:

"Quando lasciò la parrocchia di Khartourn Nord, nel febbraio del 1997, ormai malato, andò a Kosti. Per i primi giorni fu contento: poteva respirare un po', senza tutta quella gente attorno che non gli dava pace. Ma l'incanto durò poco. Infatti riemerse la nostalgia del catecumenato. 'Datemi almeno un catecumenato' diceva. La sua salute, però, ormai non glielo permetteva. E di fatto, a giugno, iniziò il calvario che si concluderà i1 3 dicembre".

Aggravandosi la malattia, il 14 luglio 1997 accettò di andare in Italia, ma con il pensiero che si potesse ripetere quello che era successo nel 1995. Fu ricoverato al centro Ambrosoli di Milano.

A p. Farina, che lo visitò più volte negli ultimissimi giorni, nei momenti di lucidità manifestava la speranza di guarire per tornare in Sudan.

Il 4 agosto 1997 dovette essere operato nuovamente. Ma ormai il Padre era arrivato al capolinea. Il cancro proseguiva inesorabile il suo corso. Le cose peggiorarono improvvisamente e il 23 novembre p. Ferruccio andò in coma, anche se aveva ancora momenti di lucidità. Negli ultimi giorni aveva difficoltà a respirare.

La morte

Morì il mattino della festa di S. Francesco Saverio, alle ore 7.30 per insufficienza respiratoria, anche se il cancro ne fu la causa prima. Avrebbe compiuto 77 anni il 25 dicembre.

I funerali furono celebrati il giorno dopo ne1 santuario della Madonna di Fatima, presenti i parenti, numerosi confratelli e amici. P. Giuseppe Farina, per tanti anni missionario in Sudan e grande amico di P. Rovelli, fu il celebrante principale.

"P. Rovelli - ha detto il celebrante - è stato un grande missionario, uno di quelli che hanno segnato la storia della Chiesa di Khartoum in questi ultimi 50 anni".

Poi ha ricordato che il Padre, negli ultimi giorni della malattia, gli aveva detto: "Niente discorsi al mio funerale, ma tanta preghiera affinch‚ il Signore che ho sempre annunciato dimentichi le mie fragilità e mi accolga tra le sue braccia di padre e possa così incontrare lassù tanti amici che mi hanno preceduto. Possa io in quel grande giorno esclamare con Giobbe:'Signore, prima ti conoscevo nella fede, per sentito dire, ma ora ti vedo e ti contemplo con i miei occhi'".

Lutto in Africa

Il pomeriggio di venerdì 5 dicembre nella parrocchia di Khartoum Nord si celebrò una messa di suffragio, presieduta dall'Arcivescovo, con la partecipazione del vescovo ausiliare mons. Daniel e di una quarantina di sacerdoti e missionari. La messa fu celebrata all'aperto e il cortile si riempì di fedeli come nelle grandi occasioni.

Nell'omelia l'Arcivescovo ricordò anzitutto il fatto che p. Rovelli aveva passato tutta la sua vita in Sudan: "Noi siamo i suoi fratelli e le sue sorelle. Noi lo conosciamo e abbiamo un obbligo particolare di pregare per lui".

Quando P. Rovelli partì - insistette il Vescovo -, non aveva un palazzo per s‚, n‚ si portò via una borsa piena di soldi o di vestiti. Avrebbe voluto lavorare per noi fino alla fine senza fermarsi mai. Avrebbe voluto morire sulle strade di Door-ashaab o Alfaya-al-muluuk, come un soldato che muore sul campo di battaglia con il fucile nella mano".

Al termine della celebrazione il parroco, p. Norberto Stonfer, ricordò come nel giorno del proprio insediamento p. Rovelli gIi avesse consegnato, non senza una certa soddisfazione, i registri con i nomi di quelli che lui aveva battezzato durante il suo mandato. E gli aveva augurato che lui, nuovo parroco, potesse battezzarne anche di più.

Poi aveva invitato i cristiani battezzati da lui, presenti alla messa, ad alzare la mano. E si erano alzate centinaia di braccia. P. Norberto fece ripetere i1 gesto, come testimonianza vivente del lavoro pastorale di p. Rovelli e come una specie di giuramento di fedeltà alle cose che il Padre aveva loro trasmesso.

Viene in mente la parola di Paolo ai Corinzi: "Siete voi la nostra lettera...una lettera di Cristo composta da noi, scritta non con inchiostro, ma con lo Spirito di Dio vivente, non su tavole di pietra, ma sulle tavole di carne dei vostri cuori (2 Cor 3,2-3).

La sua eredità

Dopo il funerale a Milano, il Padre è stato provvisoriamente sepolto nel cimitero di Venegono Superiore. Alcuni mesi dopo, i familiari lo hanno portato al paese natale.

L'eredità che p. Rovelli lascia ai suoi confratelli è l'esempio di totale dedizione alla missione, al vangelo, ai poveri e ai perseguitati, rischiando anche la propria incolumità e la vita stessa. Anche p. Rovelli, come san Paolo, poteva dire al termine della sua vita: "Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede", anzi il Padre ha trasmesso questa fede a tante migliaia di persone che per vocazione gli erano state affidate.

Come il beato Comboni ha vissuto con entusiasmo, anche nella croce, il suo essere missionario, fino all'ultimo istante. Ed ora, come il Fondatore e come gli altri confratelli che l'hanno preceduto, gode la corona di giustizia che il Signore gli ha concesso, quale servo buono e fedele.       P. Lorenzo Gaiga, mccj

Da Mccj Bulletin n. 199, aprile 1998, pp. 89-94

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Fr. Ferruccio, fifth of six children, four boys and two girls, was born on Christmas day in 1920.

His home village, Serbadone, was then made up of small clumps of houses scattered in a green countryside, with fields and hills planted with wheat, vineyards and olive orchards. Everybody knew everyone else, and Ferruccio's family was nicknamed "Baztòn". Daily conversation was in the local dialect of Romagna, which Ferruccio could switch to effortlessly whenever he returned home on holiday.

The municipality of Montefiore Conca goes back to the Middle Ages, and has a Malatesta castle still in good condition. The parish church was a few hundred yards away from the family home.

Vocation

The visit of a missionary to the town was the proximate cause of Ferruccio's choice to be a Comboni Missionary, but the signs were already there. The step from home to the Comboni seminary in Riccione was short. His parents were perfectly happy at his choice, especially his mother, who would often thank the Lord for the gift of his vocation.

The boy's lively character was enriched by a healthy sense of humour. An example: when he left for the seminary, he went in a trap that was pulled by a donkey. Half-way, at a place called Sant'Andrea in Casale, they met a lady that all the altar-boys knew well, because she was often in church. Leaning out, Ferruccio shouted:

"Sposa, andèm a Rcium ti prit. Cus ch'a gi, che a glia fèma?" (Missus, we're off to Riccione to become priests. Do you think we'll make it?).

During his time at Riccione, he grew stronger in his missionary vocation, which seemed to suit him "down to the ground" as the saying goes.

He made Mussolini cry

Fr. Castelletti writes: "I met Rovelli in 1932 at Mondaino, in the hills of the Marches above Cattolica, during the school holidays. I was in charge of the boys and he was 12, full of life, small, all heart - a genuine "Marchigiano". He loved singing and had a fine voice. He was a fine soprano as a lad, and developed a good baritone voice when he grew up. He loved to sing solo pieces, from the repertory of Perosi.

People burst out crying when Ferruccio sang the solo parts of the Perosi Requiem in the church of Mater Admirabilis in Riccione. It was the funeral of Mussolini's son, a pilot. Benito and his wife Rachele were present, and they were deeply moved. Later they complimented the boy.

Ferruccio always practised sacred music; he liked to pray singing. In future years, in Africa, he would sing hymns in Arabic, English, Denka, Shilluk... marking him as a missionary of joyfulness".

At the age of 15 he was in the Comboni Institute in Brescia. Fr. Castelletti continues: "While in Theology I was his Prefect once more in Brescia and, after my ordination, his teacher. His intelligence and ability filled all the teachers with enthusiasm. He never missed an idea, always grasped concepts. His application to study was generous and profound. That is why later, in Africa, I myself insisted that he be entrusted with difficult tasks, that required competence and a sense of responsibility."

Towards the Priesthood

In 1936, still 16, Rovelli entered the Novitiate at Venegono. His Novice Master, Fr. Todesco, wrote: "Always shows great generosity and firmness in perfecting himself. He goes on seriously, dwelling on the interior life. He stands our for his piety and exactness in observing the rules. He is rather pessimistic about himself. Intelligent, diligent, frank and open with his superiors. Sometimes loses his temper with his companions. I think he will be an excellent missionary". He made his Vows on 7 October 1938. One of his companions still remembers that, as they embraced after the Profession Mass, Ferruccio exclaimed: "With Our Lady, now and forever!"

After his Vows he was sent to Verona for humanities (1939-1941) and then to Brescia as "Brother Assistant" of the younger seminarians in the Istituto Comboni (1941-1943). Someone as outgoing and full of ideas as he was, found himself quite at home in that task, and everyone was happy: himself, the superiors and the boys. In 1943 he rejoined his class at Rebbio to complete his Theology.

He was ordained at Como on 3 May 1944 by Bishop Alessandro Macchi. The following year he went to Sunningdale to study English.

In the land of Comboni

After a year, Fr. Ferruccio set off for the Sudan, and worked there for 52 years. His first job was to help the Procurator while he studied Arabic, but he was soon engaged in schools: first at Comboni College Khartoum (1947-1954), then Atbara (1954-1964), a very difficult place, both because of the climate and the massive presence of Moslems. After this he went to Port Sudan (1964-1968); in all these postings he was superior and school principal.

The uprising against the dictator Abboud put the existence of the mission of Atbara in serious danger, and threatened the life of the Father, too. A fanatical Moslem student vowed to fast until he had killed Fr. Rovelli. In the end, he became one of his closest friends.

Again Fr. Castelletti:

"In that stormy period, Fr. Rovelli was able to keep everything in hand, and ran the school so well that Bishop Baroni in Khartoum, and even Fr. Galli, went along with all his decisions. Even the Minister of Education asked to meet Fr. Rovelli and hear his views. Some Moslem teachers lost their jobs, and peace returned to the school - so that some of its bitterest enemies decided to enrol their children there!

The revolution even hit the cemetery. The graves were profaned by having the crosses broken. Fr. Rovelli calmly had metal crosses cemented into the tombstones, and the profanation stopped."

During his years in the mission, Fr. Rovelli kept up regular, very frequent correspondence with his family, including the numerous nephews and nieces that came along. They all loved hearing from him, and would become anxious if there was a delay or a small break in the flow.

Provincial Superior

While he was PP at Medani (1968-1970) Fr. Rovelli was appointed Provincial Superior. He was re-elected, so remained in office until 1976. At that time the whole Sudan was a single Province.

After the peace treaty of Addis Abeba in 1972, guaranteed by the authority and prestige of Hailé Selassie, and including a clause that put an end to the hostilities that had been going on for 17 years in Southern Sudan, an autonomous Regional Government was set up in the South. Amongst other things, freedom of religion was guaranteed.

The Provincial of the Comboni Missionaries put all his energies into re-organizing the work that had been interrupted by the expulsion of the missionaries in 1964. He assigned all Sudanese confreres to the South, since they did not come under the restriction that still affected foreigners.

Other missionaries who obtained permits were Brothers Ottorino Gelmini and Ambrogio Confalonieri, and some Indian Jesuit priests. In 1974 the Holy See decided that the clergy in Southern Sudan could take responsibility for their own Church, and the historical decision was marked by the erection of the three Vicariates and two Prefectures Apostolic into Dioceses, providing a Sudanese bishop for each. This was a great victory for Fr. Rovelli, too: his efforts for that suffering Church were amply rewarded.

Parish Priest at Khartoum North

After six years, at the end of his mandate, he became superior and PP at Khartoum North (1977-1996), the industrial area where many of the workers were from Southern Sudan. Under Fr. Rovelli's guidance the little mission became so big that it was subdivided twice. He worked there for close on 20 years, and his apostolate was a source of wonderment.

With the help of confreres and dedicated catechists, he reached all the villages and the pagan population, setting up prayer centres, kindergartens, small primary schools, chapels, catechumenates, evening course for adults. In this way he brought thousands of adults and children into the Church. Most of them were refugees from the South who had fled the fighting. Confreres would wonder how he managed to put together a group of 700 adult candidates, baptising them during Midnight Mass at Christmas. Fr. Farina writes: "I remember that during the Easter Vigil in 1992 there were 920 baptisms, and the whole mission compound was too small to hold the thousands of Catholics that had flocked in from all sides. He was excellent in his charity work, too. Every day he had numberless desperate cases to resolve. He was father, friend, defender, priest, for everyone. He was arrested once, and taken to court because he had gone into a refugee camp (which was forbidden) to distribute food and medicines. I cannot count the number of times I have heard people declare: ."

A long period of prayer, morning and evening, was the secret of his apostolate.

He left his mark

At this point we hand the pen over to Fr. Pacifico, Provincial of Khartoum. He has drawn up a detailed profile of this confrere who really left his mark. We quote extensively:

"Fr. Rovelli has a strong character. They called him " il Duce", partly because he came from the same area as Mussolini. But also because he was clear, decisive and sincere. He said what he thought and what he wanted, straight out. With confreres, diocesan priests and even the Bishop, he defended his view with determination.

Past pupils remember him as a Principal who kept discipline. But they remember it with gratitude.

For him it was a point of honour to take the part of the "underdog": not only the poor people who were driven from one place to another without any compassion, but even confreres who, he considered, were being treated unjustly. And he made no exceptions. Once he even went up to the Prefect of Propaganda Fide, because he felt that an injustice was being done to a priest.

He did not give in easily. In 1995 he had been forced to go into hospital. The doctors did not want to operate, because it was a tumour that they thought was too advanced. But he insisted and searched so much that, in the end, he found someone who would operate. After a lot of similar insistence, he managed to return to Sudan and take up his parish work again. He would not hear of retirement. Nevertheless, he knew he was not really up to it, and when the Provincial asked him directly to move over for someone else, he did so without any resistance. He could see it was for the good of the Catholic community, even though he found it very painful. He had originated most of the activities that went on in the parish; he had baptised the majority of his parishioners!"

Final illness and death

On 15 February 1997, writing home, Fr. Rovelli says:

"I have a backache that sometimes is so bad I cannot stand straight. So I screwed up my courage, went to the Bishop, and offered my resignation. His Grace accepted, and the new Parish Priest of Khartoum North took possession on the second Sunday in November 1996. I have been assisting him for the last three months. I am content, and rested. I feel a lot better." He adds some news about the mission:

"There are always incidents in the parishes, even though here in Khartoum North we have been lucky, at least up to December 1996. But on 17 December, police and soldiers came along with three big bulldozers, went to our centre at Doroshaab and told the director an the 500 pupils to leave, because they had orders to knock down the school.

The children all came out into the street, and the bulldozers went to work, demolishing the boundary wall, the school office and the houses of two catechists.

The Bishop immediately went into action, to find our where the demolition order had come. But he could get no information. And so? And so, patience! We leave everything in God's hands. I think I will stay in Khartoum North until March. My successor, Fr. Norberto Stonfer, is very good, and is managing well."

Fr Pacifico again: "When he left the parish of Khartoum North in February 1997, he was quite ill. He went to Kosti, where he was happy for a few days: he could relax a bit, without having a crowd all round him, giving hem no rest. But it did not last: after a while he began to miss the catechumenate.  he pleaded. But his health was not up to it. In fact, in June the acute stage started, and went on until the 3rd of December."

As his illness worsened, he agreed to go to Italy, and left on 14 July 1997, thinking he might be able to repeat the operation of 1995 and return. He went into the Ambrosoli Centre in Milan.

On 4th August he underwent another operation. But this time it was the end of the road. The rapid progress of the cancer was now inexorable. There was a sudden crisis on 23 November, and Fr. Ferruccio went into a coma, thought there were some short periods of lucidity. During his final days he had problems with breathing.

He died on the morning of the feast of St. Francis Xavier, at 07:30. The reason given was respiratory failure, though the cancer was the main cause. He would have been 77 on 12 December."