In Pace Christi

Bresciani Renato

Bresciani Renato
Data urodzenia : 06/08/1914
Miejsce urodzenia : Mezzane di Sotto (VR)/I
Śluby tymczasowe : 07/10/1936
Śluby wieczyste : 11/02/1939
Data święceń : 08/04/1939
Data śmierci : 22/07/1996
Miejsce śmierci : Verona/I

L'infanzia di P. Renato Bresciani fu particolarmente tribolata anche se molto serena e circondata da grande affetto. Papà Gaetano, nativo di Vago (VR), dopo il matrimonio con Zaira Bernardi di Mezzane di Sotto, trovò un buon lavoro a Carbonara Po (Mantova), come magazziniere in un grande deposito di stoffe. Quando venne il momento di partorire il suo primogenito, mamma Zaira volle tornare vicino alla sua mamma, al paese di origine. E lì, il 6 agosto 1914 nacque Renato-Lorenzo, un bimbetto sano e vigoroso.

L'anno dopo, 1915, nacque Fanny, la futura suor Flaminia, Comboniana. Per il felice evento mamma Zaira, ormai esperta in maternità, rimase a Carbonara. Ma intanto era scoppiata la prima guerra mondiale. Papà Gaetano fu chiamato alle armi e dovette abbandonare il lavoro.

Alla scuola della povertà

Dopo tre lunghi anni, la guerra finì e papà Gaetano tornò a Mezzane, contento di essere nella sua famiglia e di aver portato a casa la pelle. Ma, come tanti ex combattenti, sperimentò l'amarezza della disoccupazione. Nel 1919, intanto, la famigliola fu allietata dalla nascita di Regolo, il terzogenito.

Tutte le mattine, prestissimo, la mamma con i figlioletti si recava alla messa, faceva la comunione e raccomandava alla Madonna i suoi cari. Ritornava da quegli incontri col Signore corroborata e pronta ad affrontare una nuova lunghissima giornata.

La presenza di Comboni

Il nonno aveva visto Mons. Comboni a Verona, aveva ascoltato la sua voce, aveva pianto la sua morte e poi aveva seguito con apprensione la vicenda dei missionari prigionieri del Mahdi per i quali si pregava spesso nella chiesa cittadina di San Tomio.

Come se questo non bastasse, Don Sancassani, parroco di Mezzane era innamorato delle missioni (aveva una sorella Suora Comboniana) quindi l'interesse per l'Africa e la missione era vivissimo in paese e nella famiglia Bresciani.

Nelle preghiere del nonno ce n'era una che terminava con queste parole: "E fa' che qualcuno dei miei nipoti diventi missionario". Il Signore lo ascoltò concedendogli doppia razione.

Intanto Renato era cresciuto. Alle elementari riusciva bene essendo di intelligenza vivace e superiore alla media, unita a una volontà di acciaio.

Ebbe poco tempo per giocare, tuttavia, specie alla domenica dopo la messa grande e dopo le funzioni del pomeriggio, s'intratteneva sul sagrato con i compagni. Era vivace, anche intraprendente, ma si teneva sempre un passo indietro quasi nel timore di mettere gli altri in secondo piano.

Ed era ragazzo di pace. Se gli sfuggiva qualche scatto, era pronto a chiedere scusa e a stringere la mano a chi poteva avere offeso.

Nell'istituto Mazza

Nel 1926 - Renato aveva terminato le elementari - il parroco sentenziò che un ragazzino così sveglio, buono e intelligente, non doveva passare la vita a portar legna sulla schiena o a lavorare nei campi. A Verona c'era l'istituto Mazza che accoglieva ragazzi dello stampo di Renato. Perché non domandare?

Mons. Albrigi, allora rettore del collegio, accolse il giovinetto tra gli alunni che dovevano cominciare la scuola media (allora si chiamava ginnasio).

La vocazione

L'Istituto Mazza e l'Istituto comboniano erano "fratelli gemelli". Senza don Mazza non ci sarebbe stato Comboni. Inoltre i Missionari Comboniani si recavano con una certa frequenza e volentieri nella sede dove il loro Fondatore aveva ricevuto la formazione sacerdotale e missionaria, per comunicare ai giovani il fuoco africano che avevano dentro. Le riviste e i libri che parlavano di missione erano a portata di mano al Mazza, per cui non fa meraviglia se un giorno Renato - frequentava il liceo - manifestò a mons. Albrigi (che ormai lo stimava e lo amava come un figlio carissimo) il desiderio di consacrarsi alle missioni nell'Istituto Comboniano. Il pio sacerdote lo abbracciò e lo benedisse.

A casa ci fu festa grande. Specialmente per il nonno e la sorella che non stavano più nella pelle dalla gioia.

Ricorda P. Bresciani in una sua memoria scritta recentemente dietro consiglio di P. Milani, provinciale dei Comboniani d'Italia: "Nel 1931 nel collegio Mazza ero stato presentato a P. Vianello che approvò la mia vocazione e assicurò l'accettazione nell'Istituto Comboniano alla fine del liceo. Diceva quel santo missionario: 'Il collegio Mazza è più che una nostra scuola apostolica'".

Al don Mazza Renato manifestò quella propensione per la stampa che lo contraddistinse per tutta la vita. Nel 1932 fondò e diresse per due anni il mensile "Helios", espressione della nuova generazione studentesca mazziana.

Terminato il liceo con voti brillanti, arrivò il momento di emigrare.

Novizio

Il 15 settembre 1934, dunque, munito di un attestato di buona condotta da parte di mons. Albrigi e del suo nuovo parroco don Alessandro Girardi, col consenso dei genitori, il benestare del medico che attestava la sua "sana e robusta costituzione" e con tutti i documenti richiesti, Renato entrò nel noviziato di Venegono Superiore, Varese.

Il maestro dei novizi, P. Giocondo Bombieri, accolse il nuovo arrivato con espressioni di simpatia. La provenienza dal collegio Mazza e la conoscenza personale con P. Vianello e altri padri di Casa Madre era un'ottima credenziale per il candidato.

Il 7 ottobre Renato fece la vestizione. Per la circostanza erano arrivati da Mezzane il papà e la mamma. Quello fu un giorno di commozione e di gioia che coronava infiniti sacrifici sopportati con coraggio e fede.

Il 7 ottobre 1936 pronunciò i voti che lo consacrarono Missionario Comboniano.

Studente a Roma

A Venegono Superiore Renato completò la seconda teologia, quindi, nel 1937, fu inviato a Roma per conseguire la licenza in Teologia presso l'Università Urbaniana.

Durante la sua preparazione al sacerdozio scrisse una tesi di 120 pagine su San Luciano e un'altra di 80 su Tertulliano. Inoltre contribuì con alcuni articoli alla preparazione dell'Enciclopedia Cattolica il cui direttore era mons. Bernareggi. L'opera fu interrotta nel 1939 a causa della guerra.

A Roma frequentò un corso di medicina tropicale e ne conseguì il diploma in vista di un servizio più completo alla missione.

L'11 febbraio 1938, usufruendo dell'indulto che gli permetteva di anticipare di otto mesi l'emissione dei voti perpetui, emise la professione perpetua nelle mani di mons. Girolamo Cardinale, vescovo di Verona, in quei giorni di passaggio da Roma.

L'8 aprile del 1939, sabato santo, Renato venne consacrato sacerdote nella cappella del Collegio Pio da mons. Ermenegildo Pasetto.

Don Sancassani, il parroco che lo aveva formato nei suoi anni giovanili e gli aveva indicato la strada del collegio Mazza, ormai assente da Mezzane, volle tornare al paese per il discorso di prima messa.

Sacerdote in Inghilterra

Dopo i festeggiamenti e le congratulazioni, arrivò per P. Renato la destinazione. Logicamente pensava all'Africa. Invece si vide dirottato in Inghilterra per studiare la lingua inglese e per ottenere il diploma al 'Colonial Course' che lo avrebbe abilitato all'insegnamento nelle scuole di missione nelle colonie britanniche.

Ma lo scoppio della seconda guerra mondiale e altre circostanze legate alla vita dell'Istituto Comboniano in quella nazione, lo trattennero per ben 17 anni così suddivisi: 1939-1940 a Sunningdale come studente; 1940-1944 nell'isola di Man, prima come prigioniero e poi come cappellano; 1944-1945 a Londra per ultimare gli studi universitari e, insieme, con l'incarico di promotore e coordinatore del progetto inteso ad aprire in Gran Bretagna varie case comboniane; 1945-1946, ospite insieme a P. De Negri dei Serviti a Londra, dove lavorò per "la ricomposizione della comunità comboniana dispersa o ancora in campi di prigionia nelle varie parti del mondo (c'erano Comboniani prigionieri in India, in Sudafrica...).

Intanto completò il corso universitario conseguendo il baccellierato in Arts all'Università di Londra.

Contemporaneamente fondò e diffuse la rivista "Cor Unum" per i numerosi cappellani militari italiani, che tanto gli stavano a cuore e che vivevano in situazioni precarie.

Pioniere dell'accoglienza

Fin dal 1946 si interessò degli immigrati di colore, specie africani e asiatici, che si trovavano a Londra, con un centro sociale, un club di attività integrative e due presidii della Legio Mariae. Preparò l'erezione della prima cappellania per gli studenti d'oltremare che verrà inaugurata nel 1950.

"Dal 1947 - scrive P. Renato - mi occupai anche della formazione degli studenti asiatici e africani che c'erano nelle Università e al Politecnico (circa 12 mila studenti d'oltremare) e organizzai un'attività di aiuto a sfondo ecumenico insieme ai pastori e laici anglicani e metodisti".

La sua opera a Londra con gli africani e gli asiatici, dunque, fu come un'anteprima della sua particolare vocazione di assistente degli immigrati, che gli prenderà gran parte della vita.

"Comboni Missions"

In Inghilterra P. Renato preparò, in lingua inglese, un'antologia di 130 pagine di testi ricavati dagli scrittori dei tempi apostolici, e fece un abbozzo di biografia di Comboni (60 pagine). Questi lavori, come altri che aveva preparato quando era studente a Roma, dovevano servire per un contributo alla formazione dei futuri missionari e per incentivare l'animazione missionaria tra la gente. Purtroppo andarono perduti durante l'internamento.

Mentre era vicesuperiore a Ganthorpe Hall, Terrington, Yorks editò il giornalino "Our African Mission" (che poi diventerà "Comboni Missions") i cui articoli furono pubblicati anche dal periodico inglese per il clero "Clergy Review" per far conoscere i problemi della missione agli inglesi.

Tornerà nuovamente in Inghilterra come provinciale dal 1966 al 1969, dopo l'espulsione dal Sudan meridionale.

Nell'isola di Man

Allo scoppio della seconda guerra mondiale, l'Italia venne a trovarsi "nemica" dell'Inghilterra per cui tutti gli italiani che erano sul suolo del Regno Unito furono deportati nei vari campi di concentramento. P. Bresciani, con altri, andò a finire nell'isola di Man, Palace Camp.

"Avrei potuto essere esentato in quanto sacerdote - scrisse - ma preferii rimanere per condividere la sorte degli italiani, e così fui cappellano del campo di concentramento".

Approfittò della prigionia per conoscere tanti connazionali prigionieri come lui e per aiutarli con la sua parola, il suo incoraggiamento, l'amministrazione dei sacramenti, specie della confessione e dell'Eucaristia. Insomma fu un vero padre e pastore. Non solo, ma divenne editore, stampatore e diffusore del giornale "Sursum Corda", un foglio di collegamento per i cappellani prigionieri che si trovavano nei vari campi.

Questa attività denota l'interesse che P. Renato aveva per i sacerdoti, spesso in balia di se stessi e senza quegli aiuti che li possono sostenere nel loro ministero, specie nei momenti di emergenza.

Nel 1941, sempre nell'internamento di Palace Camp, fondò e diresse il mensile del campo "Aurora" per i più di 4.000 prigionieri italiani, "spesso afflitti perché lontani dagli affetti familiari e bisognosi di speranza".

Fondò e animò anche il "Comitato di attività sociali ed educative" istituendo un'ottantina di corsi scolastici dalle elementari fino all'Università, tra cui un liceo con esami riconosciuti dallo stato, una biblioteca, un'accademia con cicli di conferenze quotidiane a vari livelli, mostre artistiche e artigianali, intrattenimenti musicali e drammatici.

"La prigionia fu un'esperienza forte - scrisse P. Bresciani, - un periodo di grandi sofferenze. Ho assistito alcuni che diventavano pazzi, ma quasi la totalità recepiva il valore della sofferenza cristiana. Insomma, oltre che sacerdote, ero amico e fratello, e ciò mi riempiva il cuore di coraggio e di forza".

Nel campo di internamento preparò un lavoro di 100 pagine "Sullo sfondo ebraico e aramaico dei Vangeli". Per più di due anni si dedicò allo studio dell'ebraico e dell'aramaico.

Ma era missionario d'Africa, perciò, in vista della futura missione, affrontò anche uno studio sugli alfabeti africani. Porterà questo scritto in Sudan per perfezionarlo, ma tutto andrà perduto con l'espulsione che concluderà la sua vita africana.

Formatore

Anche con i confratelli e con i giovani che si preparavano alla vita missionaria P. Bresciani ci sapeva fare.

Scrive P. Troy: "Quando sono entrato nella scuola apostolica di Stillington nel 1947, P. Renato copriva il ruolo di provinciale. Ricordo le sue visite a Stillington e le sue appassionate partite a calcio con noi ragazzi. Quando si preparava a tirare in porta, tutti quelli che erano sulla traiettoria del pallone si buttavano a terra - e qualche volta anche il portiere si riparava dietro un grande albero in prossimità della rete - tanto erano poderosi i suoi colpi".

Destinato a cominciare sempre da zero

P. Bresciani manifestò sempre grande stima per gli inglesi e per la loro cultura. Da essi si fece stimare e amare, come ricorda P. Centis: "Fui con lui dal mio primo arrivo in Inghilterra (maggio 1946-ottobre 1953). Erano gli anni duri degli inizi o della rifondazione delle nostre opere della futura London Province.

La riapertura di Sunningdale (juniorato e noviziato), l'apertura di Dawson Place per l'anno inglese di Padri e Fratelli destinati alle missioni del Sudan e dell'Uganda, l'inizio della parrocchia di Elm Park, il trasferimento dello juniorato alla poverissima Stillington, Yorks, l'assistenza agli italiani... lo occuparono in modo tale che dovette rinunciare agli studi universitari.

Eravamo poverissimi (erano proibite le giornate missionarie) ed egli doveva correre su e giù per tutte le isole britanniche usando i mezzi pubblici perché, a quel tempo, non si sognava neppure la macchina.

'Vado a batter cassa', diceva. Era questo il suo motto. E puntava agli amici italiani con i quali era stato internato durante la guerra nell'isola di Man. Il suo comportamento fu di sprone ad altrettanta generosa dedizione da parte dei suoi collaboratori.

Per riassumere dico: P. Bresciani fu iniziatore in Inghilterra, iniziatore al Tore, iniziatore a Roma (ACSE), insomma uno che sapeva sempre partire da zero".

Dieci anni di Africa

A metà del 1954 P. Bresciani poté finalmente imbarcarsi per l'Africa. Aveva 40 anni giusti e una notevole esperienza sulle spalle. Ma, quanto a missione vera e propria, si sentiva un novellino.

Come arrivò nel Sud Sudan, venne destinato al seminario diocesano San Paolo del Tore con l'incarico di rettore e di insegnante. Sarebbe meglio dire che fu il fondatore di quel seminario che raccoglieva i filosofi e i teologi che si preparavano a diventare i sacerdoti della nuova Africa, proprio come era stata delineata nel Piano per la rigenerazione dell'Africa da mons. Comboni.

Nel 1955 fondò diresse e diffuse il mensile a contenuto ecumenico "The Dawn" (500 copie), per gli studenti delle scuole superiori di Rumbek, Meridi, Juba... e diede un buon aiuto per fondare il seminario minore della nuova diocesi di Rumbek. In ambedue i seminari era incaricato dell'insegnamento di varie discipline.

Con i confratelli diede vita a un ambulatorio medico per venire incontro alle necessità più immediate della popolazione locale. Il corso di medicina che aveva frequentato a Roma gli tornò utile. Infatti egli stesso distribuiva le medicine e praticava le iniezioni.

Quel lavoro gli permetteva di conoscere tanta gente e di allacciare i primi contatti con la la parte più debole del popolo. Quando si recava nei villaggi, cosa che avveniva di rado per la sua attività legata alla scuola, era già conosciuto e tutti gli correvano incontro salutandolo con ampi gesti di simpatia.

Padre della Chiesa sudanese

Ma in Sudan si respirava aria di indipendenza dall'Inghilterra, che sarebbe arrivata un anno e mezzo dopo (1° gennaio 1956) anche se il Paese godeva già di un'ampia autonomia.

Gli spiriti più aperti prevedevano anni difficili. Nel 1955 scoppiarono le prime rivolte, proprio al Sud, tra arabi e neri.

P. Bresciani sentì subito la responsabilità della formazione del clero autoctono: numeroso ma, soprattutto, di buona qualità. Tra i suoi alunni ci furono sacerdoti e vescovi; anche mons. Gabriel Zubeir Wako, attuale arcivescovo di Khartum e successore di mons. Comboni fu suo alunno. Oggi il clero sudanese riconosce P. Bresciani come uno dei "padri della Chiesa sudanese".

Un uomo completo

Le testimonianze dei confratelli a proposito di P. Renato in questo periodo sono lusinghiere. Vengono messe in risalto l'equa ripartizione del suo tempo tra lavoro, studio e preghiera, le sue doti organizzative, la facilità di approccio con la gente, le autorità, i capi, i genitori degli alunni, il suo modo "paterno" di trattare con i confratelli, la grande fiducia nelle capacità altrui, lo zelo per le anime, il costante desiderio di dedicarsi all'apostolato, l'interesse per lo sviluppo delle opere e la sua esemplare osservanza delle regole.

Nei giudizi dei vari superiori provinciali che si sono susseguiti in quegli anni, non c'è neppure una nota negativa. Quindi anche come religioso, oltre che nella sua qualità di rettore di seminario e missionario, era esemplare.

Nella sua attività di professore preparò un testo sul Diritto Canonico, una grammatica con dizionarietto della lingua Avukaya-Fajulu-Baki, tre piccoli catechismi passati poi al clero indigeno, una piccola biografia in lingala di San Martino de Porres, una raccolta di storie, leggende e favole locali attinte dalle labbra dei seminaristi. Con P. Tiboni scrisse il vocabolario inglese-lingala-arabo...

Nel 1958, convinto dell'importanza di un'informazione esatta sugli eventi sudanesi, fondò e diresse una specie di agenzia intitolata "Sudan Information", che era diffusa a Londra.

L'uragano

I dieci anni di vita sudanese di P. Bresciani si svolsero quasi totalmente in un clima di persecuzione. Dopo la rivolta dei militari neri contro gli arabi del 1955, rivolta soffocata nel sangue con l'aiuto dell'Inghilterra a danno dei neri, si ebbe il martirio di P. Gabriele Dwatuka (ottobre 1955) e di tanti ottimi cristiani e ferventi catechisti.

Nel febbraio del 1957 il ministro dell'educazione, un musulmano convinto, ordinò l'occupazione di tutte le scuole del sud con lo scopo di eliminare l'insegnamento della religione cristiana per sostituirlo con il Corano.

Ai ragazzi venivano strappate dal collo le medagliette e la corona del rosario. Coloro che protestavano venivano picchiati, alcuni furono anche imprigionati e torturati.

Il 17 novembre 1958 un colpo di stato diede inizio alla dittatura militare di Abbud, che durò 6 anni.

Nel 1960 fu abolita la domenica come giorno festivo settimanale nel sud, e fu sostituita dal venerdì islamico.

Nel 1962 Abbud promulgò il "Missionary Societies Act", la legge che proibiva qualsiasi atto missionario (catechizzare, battezzare, celebrare messa, ecc.) senza permesso scritto del consiglio dei ministri. Insomma era persecuzione vera e propria.

La grande espulsione

Il 27 febbraio 1964 tutti i missionari e le missionarie del Sudan meridionale furono espulsi nel giro di 24 ore. Con loro furono espulsi anche i missionari europei protestanti, anglicani, evangelici con i quali P. Bresciani portava avanti un discorso ecumenico, soprattutto con gli anglicani.

Così la responsabilità della giovane Chiesa sud-sudanese ricadde tutta sulle spalle del clero locale: un vescovo (mons. Ireneo Dud) e 20 sacerdoti, alcuni diocesani e altri appartenenti all’Istituto Comboniano.

I seminaristi del Tore, come di altri seminari, dovettero tornare alle loro case o fuggire in Uganda o in Zaire. Ciò costituì uno dei dolori più grandi della vita di P. Renato Bresciani.

Padre spirituale

Arrivato a Roma con il cuore a pezzi, ma con tanta fede in Dio e nelle capacità del "pusillus grex" rimasto nella persecuzione in Sudan, P. Bresciani ricevette l'incarico di padre spirituale degli studenti Comboniani di teologia che si trovavano a Roma.

A 50 anni P. Renato era un uomo maturo, ricco di esperienza e temprato. Assunse il nuovo incarico con fede e impegno. Amava intrattenersi con gli scolastici che si rivolgevano a lui per consiglio e per essere diretti negli ultimi anni che li separavano dal sacerdozio ed egli, come scrive uno di loro: "Ci spronava mettendoci davanti la bellezza della nostra vocazione e le sofferenze del popolo sudanese".

Al Concilio Vaticano II

Sempre nel 1964 partecipò come Segretario della Conferenza Episcopale Sudanese alle due ultime sessioni del Concilio Vaticano II, come esperto di cose africane. Contemporaneamente dirigeva le attività di aiuto ai profughi sudanesi, sia in Africa che altrove.

Dopo due anni di quella vita, come abbiamo detto, fu inviato nuovamente in Inghilterra con l'incarico di superiore provinciale. Era il suo secondo turno di un compito così importante. Vi rimase tre anni, fino al 1969.

Animare la Chiesa italiana

Nel cuore di molti missionari espulsi dal Sudan meridionale, c'era un sogno: aiutare gli studenti africani, magari facendoli venire in Italia, in modo che, una volta preparati, tornassero nel loro paese come fermento per una società libera e fondata sui principi del Vangelo.

A questo scopo si cercavano borse di studio per studenti africani e, in particolare, sudanesi.

Verso la fine dell'anno 1969, durante il Capitolo Generale dell'Istituto Comboniano, che doveva mettere nella vita e nelle strutture della Congregazione i principi e le istanze del Concilio Vaticano II, si decise di dare inizio ad un'opera che si interessasse dell'assistenza diretta agli immigrati con sede e personale specificamente incaricato.

La finalità ultima era quella di mettere una struttura comboniana a disposizione della Chiesa italiana per un nuovo genere di "missione che viene a noi". Nel nuovo organismo che doveva nascere avrebbero collaborato gli Istituti Comboniani maschile e femminile con un buon numero di volontari religiosi e laici.

Inoltre l'iniziativa doveva servire da centro propulsore e coordinatore per una dozzina di altri centri comboniani periferici impegnati in vari modi nella stessa finalità.

ACSE (Associazione Comboniana Studenti Esteri)

P. Bresciani, non potendo più tornare in Sudan meridionale, subito si offrì al nuovo P. Generale come promotore di questa iniziativa. P. Agostoni gliela affidò molto volentieri.

Significativo il fatto che, nei suoi primi anni di vita, tale Centro, che si chiamerà ACSE (Associazione Comboniana Studenti Esteri), rappresentò l'unico organismo del genere in Italia, sia a livello ecclesiale che civile.

Ricevuto l'incarico, P. Renato si buttò a capofitto nella nuova avventura nella quale credeva con tutto il cuore. P. Bresciani era un uomo irruente, instancabile, generoso. La nuova iniziativa prese subito piede. Ed è facile immaginare come gli africani venissero volentieri in Italia dove, con lo studio, era assicurato un tenore di vita certamente migliore di quello che avevano lasciato.

Dopo qualche anno, però, si cominciò a constatare che non sempre i progetti che appaiono bellissimi sulla carta lo sono anche nella realtà. Tra magri risultati, l'esperienza degli studenti africani in Italia riservò troppi fallimenti. Bisognava cambiare obiettivo.

ACSE nuova edizione

Nel 1972, agli impegni che già P. Renato portava avanti, si aggiunse quello di Segretario interconfessionale per la pace nel Burundi. A P. Bresciani toccò la responsabilità di organizzare il primo congresso internazionale per la pace in questo paese dilaniato da lotte interne. Il congresso ebbe luogo a Bruxelles nel 1973.

Nel 1976, l'opera di P. Bresciani fu notevolmente ridimensionata, anche perché all'orizzonte si affacciava un'altra iniziativa che appariva più missionaria nel senso comboniano dei "più necessitosi".

Infatti il crescente flusso immigratorio dai Paesi del Sud del mondo verso l'Italia lo costrinse a pensare ad un'altra fondazione, quella che lo avrebbe totalmente assorbito fino all'ultimo giorno della sua vita. E nacque l'ACSE nuova edizione: stessa sigla ma senso diverso. Se l'ACSE del 1969 voleva dire "Assistenza Comboniana Studenti Esteri", quella del 1975 indicherà "Associazione Comboniana Servizio Emigranti". Quindi comprendeva un ambito più vasto e rivolto ai più "necessitosi".

La nuova ACSE, che può essere considerata la 'creatura prediletta' di P. Bresciani, svolgerà un compito importantissimo per gli immigrati, per la Chiesa di Roma che, grazie ad essa, verrà arricchita del carisma dell'accoglienza, e per la società italiana che acquisterà una particolare sensibilizzazione nei confronti dei terzomondiali.

Il progetto di P. Bresciani

Nel 1974 padre Bresciani, che curava i rapporti internazionali di aiuto tra l'Europa e il Sudan, presentò al governo di Khartum un progetto educativo sanitario sussidiato dalla Chiesa tedesca per la zona di Bor (Sudan meridionale).

Detto progetto venne accettato dalle autorità governative e P. Renato ne avrebbe avuto la direzione.

Il nuovo vescovo di Malakal, il sudanese Pio Yukwan Deng, era incluso nella lista dei dignitari "sudisti" garanti del progetto, e vedeva volentieri che P. Bresciani tornasse in Sudan meridionale. Ma quando fu il momento di decidere la partenza, il governo fece sapere che P. Renato poteva entrare solo in veste di operatore sociale e non come sacerdote missionario. Cosa che a P. Renato non piacque.

Niente compromessi

Nel 1976 P. Bresciani ebbe l'invito ufficiale, sia dal governo centrale di Khartum che da quello regionale del sud, di tornare laggiù per consultazioni su piani e progetti di carattere umanitario, agricolo e sanitario. Rimase ospite dei due governi per un mese circa ed ebbe contatti ad alto livello su molte questioni.

Con i ministri del governo del sud (alcuni di essi avevano avuto appoggi dai missionari durante la guerriglia) trattò il problema della sua presenza in Sudan meridionale come missionario (e non come agente sociale, cioè tecnico), ma tutti dissero che non si sarebbe mai potuta avere l'abrogazione del "Missionary Societies Act" che proibiva la presenza dei missionari come tali.

Gli agenti del governo, però, dicevano ai missionari: "Ma cosa ve ne importa! Venite quanti volete con i progetti sociali e poi, sottomano, fate anche il lavoro pastorale che vi preme. Ufficialmente avrete il permesso di operatori sociali e non di missionari, ma la gente locale vi considererà missionari come prima".

P. Bresciani, per quel rispetto delle leggi che gli era connaturale, non volle sottostare a tale compromesso. Era missionario e se entrava definitivamente in Sudan meridionale, voleva farlo come missionario.

Bisogno di chiarezza

Le competenze di P. Renato si sovrapponevano ad alcune portate avanti da altri confratelli, creando qualche volta un po' di confusione e anche qualche incomprensione per cui, nel 1976, vennero divisi i compiti tra la Procura delle Missioni della Provincia italiana (che veniva ristrutturata proprio in quell'anno) e la Procura generale della Congregazione.

Anche come abitazione, P. Renato dovette emigrare dalla sede della Curia generalizia a quella della Provincia italiana che, a quel tempo, aveva sede presso il Seraphicum in Via Laurentina.

"Le costerà senz'altro lasciare alcune attività, ma ciò fa parte della provvisorietà di tutti noi missionari", gli scrisse il Padre Generale. P. Bresciani chinò la testa e obbedì.

L'8 luglio 1978 il Consiglio Generale dell’Istituto nominò P. Bresciani Consigliere del Segretariato Generale per le Missioni.

Via del Buon Consiglio, 19

Nel 1983 la Caritas gli ottenne dal Vicariato l'uso di una vecchia chiesa sconsacrata in via del Buon Consiglio, 19 (vicino alla stazione Termini) per le attività dell'ACSE.

La sede divenne subito un approdo per gli immigrati e per le famiglie di profughi. Per molti di loro, tuttavia, via del Buon Consiglio è stato e rimarrà il "Centro P. Bresciani".

Il vecchio edificio divenne soprattutto un luogo di accoglienza e di incontro per gli immigrati e per coloro che erano senza dimora fissa, un angolo dove potersi rilassare, magari su un vecchio divano dopo una notte passata all'aperto.

Per tanti giovani, ragazzi e ragazze che hanno dedicato i fine settimana o i periodi estivi a dare una mano al Centro, si è trattato di una nuova frontiera della missione. Non è mancato tra loro chi ha deciso, in seguito a quest'esperienza, di diventare missionario o missionaria a vita.

Per far fronte a tanti bisogni, P. Renato "batteva cassa" come aveva fatto in Inghilterra e nel resto della sua vita. Si rivolgeva a enti ecclesiastici, a vescovi, a cardinali, ad associazioni... e otteneva.

Ottimismo sempre e comunque

Un'altra caratteristica della personalità di P. Bresciani è stata l'ottimismo, la capacità di sdrammatizzare anche le situazioni più disperate. In un'opera come la sua, chi non avesse sortito da madre natura uno spirito ottimista, corroborato però dalla grazia di Dio, non avrebbe retto ad un lavoro come quello portato avanti da P. Renato.

Qualcuno, invece, anche tra i suoi collaboratori, ad un certo punto mollò tutto e se ne andò sembrandogli, l'attività con gli immigrati, una guerra perduta in partenza. P. Bresciani, proprio come mons. Comboni, lottò senza cedere a scoraggiamenti o a depressioni.

Da lui, capo, i suoi collaboratori attingevano a piene mani coraggio e sempre rinnovato entusiasmo per un'opera non proprio facile da portare avanti.

SIS: Solidarietà Italo Sudanese

Consapevole dell'importanza dei mass media, trovava il tempo anche per scrivere articoli e relazioni che inviava ai vari giornali, molto spesso, anzi quasi sempre, senza mettere il suo nome.

Sfogandosi con un confratello, anche lui espulso dal Sudan nel 1964, aveva detto: "Il mio pensiero va sempre alla tragica situazione di tante nostre missioni, specie quelle del Sudan. Ma cosa fare oltre la preghiera?".

Tanto per dare un'idea degli impegni che in quel periodo portava avanti, pubblichiamo la statistica degli assistiti dall'ACSE nel secondo trimestre 1986.

"Profughi 902, studenti 137, persone in nuclei familiari 191, gente in estrema necessità 304, presenze globali 15.000. Tutti costoro hanno bisogno di mensa, bagagliaio, sussidi per alloggi, sussidi per viaggi, aiuto sanitario...

Poi ci sono anche i detenuti terzomondiali da andare a trovare nelle carceri romane. E bisogna aiutarli perché non hanno proprio nessuno che pensa a loro...".

Nel 1987 fondò "SIS" (Solidarietà Italo Sudanese) un mensile documentatissimo sulle vicende della guerra e sulle prospettive per la pace in Sudan, che ancor oggi è largamente diffuso.

La legge sull'immigrazione

Alla fine degli anni '80, dopo alterne vicende, il governo italiano emanò la legge sull'immigrazione. La cosiddetta 416 o "legge Martelli" alla quale P. Bresciani, insieme ad altri enti e organismi del settore, diede il suo contributo come esperto.

Alla capacità di interventi-tampone per far fronte ad emergenze e casi pietosi, P. Bresciani aveva sempre associato la convinzione della validità dell'azione politica per la soluzione dei nuovi problemi sollevati dal fenomeno migratorio.

Scrisse dopo la registrazione della legge sulla Gazzetta Ufficiale: "La nuova legge, in se stessa piena di premesse e di promesse valide ed umane, ha generato degli effetti imprevisti e sconvolgenti. Il terzomondiale che si avvale della sanatoria governativa, ottiene la regolarizzazione legale; in pratica, però, perde quel po' di possibilità di occupazione che aveva prima, lavorando fuori regola.

Una seconda conseguenza è il sovraffollamento nella Capitale di persone che prima erano come clandestine in provincia".

La Comunità di Viale Tirreno

Nel novembre 1988 venne preso in affitto una stabile in Viale Tirreno, 38 dove tre padri (Bresciani, Cremaschi e Tresoldi) si trasferirono stabilmente.

Il superiore era il milanese P. Efrem Tresoldi, incaricato della pastorale dei terzomondiali in carcere. Vicesuperiore era il bergamasco P. Massimo Cremaschi con funzioni d'economo. L'anima di tutto, naturalmente era P. Renato Bresciani. Ai tre si unì suor Augusta Radici, Comboniana per il lavoro di supporto a famiglie, donne e bambini. Aiuto supplementare venne fornito anche da due giovani postulanti Comboniane e da giovani volontari, soprattutto dalla parrocchia della Trasfigurazione retta dal parroco-medico don Lauro Viscardi che ogni sabato mattina offriva un'assistenza sanitaria agli immigrati in collaborazione con la dottoressa Nestorina Azzini dell'ospedale San Camillo.

I coniugi Gianfranco e Adriana Caporossi e Bruno e Fernanda Viggiano si occupavano dei nuclei familiari specialmente dell'Etiopia e della Somalia.

Così il gruppo dei collaboratori aumentava e le speranze per quei diseredati aumentavano.

Il piano superiore della casa di viale Tirreno era riservato alla comunità: stanze piccole ma sufficienti. Il piano terreno era riservato alle emergenze per gli immigrati che capitavano alla sera senza sapere dove andare. La sede venne dedicata al Cuore Trafitto del Buon Pastore, un titolo assai significativo per quel genere di attività.

La sofferenza

Nel 1989 la forte fibra di P. Bresciani cominciò a incrinarsi. Diabete, mal di fegato e insufficienza renale. Ce n'era abbastanza e anche troppo. Ricoverato all'ospedale San Camillo di Roma, fu sottoposto a dialisi.

La sorella, suor Flaminia, lo assisté per un mese e mezzo. Ad un certo punto sembrò che il malato volesse andarsene da questo mondo. Allora la sorella iniziò una novena a mons. Comboni che, in quel tempo, non era stato beatificato.

Pregò con fede e, proprio all'ultimo giorno della novena, i sanitari dissero che P. Renato poteva sospendere la dialisi perché i reni avevano ripreso a funzionare regolarmente.

Il riconoscimento dei superiori

Dopo la sua malattia, il P. Generale gli scrisse: "A Roma i Comboniani sono stati protagonisti di un movimento di sensibilizzazione che ha portato ad un impegno ormai ampio delle forze vitali della Chiesa in Italia per il Terzo Mondo. Quando iniziasti a Roma eri il padre spirituale dello scolasticato e il responsabile dei terzomondiali. Allora eri una mosca bianca, ora la tua opera è diventata un fatto di Chiesa. Se siamo arrivati a questo punto, molto è dovuto a te. Ringraziamo Dio per quanto ha fatto in te, attraverso te.

La sofferenza spirituale, morale e fisica fa parte del bagaglio che Dio concede per raggiungere quella maturazione spirituale che egli ha progettato per noi. In questi ultimi tempi tu hai esperimentato la sofferenza fisica e quella morale dell'impotenza, dell'allontanamento dal lavoro, dell'incertezza del futuro.

Il Signore completa le nostre opere ed anche controbilancia i nostri limiti attraverso il contributo straordinario della croce che ci viene messa sulle spalle dalla sua provvidenza e dalla sua bontà.

Questi mesi in cui sei stato particolarmente sofferente non sono stati mesi perduti né per te né per l'opera; ma mesi durante i quali il Signore ha lavorato in profondità attraverso il mistero della sofferenza e attraverso l'invio dello Spirito che P. Renato concede quando c'è una sofferenza orante e accettata. Forse in te il Signore ha voluto anche santificare la sofferenza di tanti sudanesi travolti dalla guerra e dalla cattiveria umana. Nella tua sofferenza accettata il Signore ha accolto loro.

L'esperienza profonda di Dio e del mistero sacerdotale si può fare soltanto se si accetta di attraversare le varie notti oscure che segnano la nostra vita. Chi alla prima notte oscura, come alle volte purtroppo succede, si arrende e cambia strada, non potrà mai comprendere cosa voglia dire essere missionario di Gesù Cristo.

A te il Signore ha dato questa grazia vissuta in ambienti diversi, però missionariamente molto significativi come il Sudan, la provincia inglese e Roma. Il Comboni ti assista col suo spirito e la sua intercessione".

L'invenzione dell'amore di P. Renato per gli ultimi

Il 10 novembre 1994 la sede della comunità che si dedicava al servizio dei terzomondiali passò da viale Tirreno a via Nibby, 3. Un luogo più adatto per gli addetti all'attività dell'ACSE. I Comboniani che la occuparono furono: P. Alberto Marra, superiore, P. Zordan Roberto per l'apostolato tra i carcerati, e P. Renato Bresciani.

Nel settembre del 1995 furono iniziati i lavori per ristrutturare i locali del Centro ACSE di via del Buon Consiglio, con il beneplacito e la collaborazione finanziaria del Vicariato di Roma e della provincia italiana dei Missionari Comboniani.

Il 28 ottobre 1995 l'ACSE, con atto notarile, fu eretta in associazione di volontariato con tutti i diritti e i doveri civili.

Scrisse P. Alberto Marra, compagno di comunità di P. Renato: "Nella sua storia di 27 anni di peripezie, avventure e attività, l'ACSE fu veramente l'invenzione dell'amore di padre Renato verso Dio e verso i fratelli extracomunitari.

Qui ha saputo spendere la sua vita per Cristo vivente nei fratelli e nelle sorelle che ha incontrato quotidianamente, senza frapporre frontiera alcuna di religione, di cultura o di razza.

Egli ha saputo scomodarsi per gli altri e lasciarsi scomodare. Ciò gli derivava dalla sua profonda povertà di spirito che gli ha consentito di mettere a disposizione degli altri tutte le sue energie fino allo stremo.

Gli derivava anche dal suo cristiano spirito di umanità che gli ha fatto prendere su di sé il peso delle sofferenze altrui. Questa è la perfezione della legge, del comandamento dell'amore".

L'ACSE, legalmente riconosciuta come associazione di volontariato, è stata il coronamento di tutta l'opera di P. Bresciani. L'atto notarile le assicurava stabilità e continuità.

Ora, dunque, P. Renato poteva pensare anche alla propria morte: all'inaugurazione del nuovo Centro dopo i lavori di restauro, infatti, non c'era. Ma dal Cielo, dove era già andato, continua a vivere nel ricordo e nell'opera dei membri che hanno fatto propria la sua causa.

È ora di passare la mano

Notificando l'avvenuta registrazione notarile al superiore Generale, P. Bresciani diceva: "Vista la mia età, prospetto ai superiori la possibilità, a breve termine, che il mio mandato passi a qualche confratello più giovane. A parte l'innegabile vantaggio di avere nuove forze, occorre aiutare l'opera a inquadrarsi meglio nelle situazioni attuali della Chiesa e della società".

P. Bresciani sentiva che ormai la sua vicenda terrena volgeva al termine. Non era preoccupato della sua vita che continuava a "strapazzare" incurante dei suggerimenti dei confratelli e del medico, ma era molto preoccupato della vita dell'ACSE che doveva andare avanti, perché i poveri, gli immigrati, gli extracomunitari erano in continua espansione e ormai anche in Italia si andavano creando le due categorie dei ricchi sempre più ricchi e dei poveri sempre più poveri, a tutto svantaggio degli ultimi.

Soprattutto impegno cristiano

In data 24 marzo 1996, quando l'eco delle feste per la beatificazione di Comboni vibrava ancora nelle basiliche romane, P. Renato prese la penna in mano e scrisse al P. Generale di mandare al più presto uno che lo sostituisse, in modo da poter prendere responsabilità piena della sua opera.

Scrisse poco prima di morire: "Fino ad oggi il Signore ha benedetto l'ACSE. Così abbiamo portato avanti il nostro impegno cristiano di solidarietà umana per non pochi fratelli immigrati, in difficoltà nei loro progetti di sistemazione qui o nel loro non meno sofferto passaggio attraverso l'Italia verso altri paesi di ospitalità".

Una fine veloce

I confratelli erano seriamente preoccupati della salute di P. Bresciani, che colava a picco. Ciò nonostante egli continuava imperterrito nel suo lavoro come l'uomo più sano del mondo. Quando il fratello gli telefonava per sentire come stava, immancabilmente si sentiva rispondere con voce rassicurante: "Benissimo".

Il crollo fu improvviso e catastrofico per cui si pensò di portare immediatamente P. Renato nel Centro Assistenza Ammalati di Verona. Nonostante la situazione, il malato assicurava: "Una passatina svelta svelta e poi devo tornare a Roma dove c'è tanto da fare".

Certamente sperava in un altro miracolo, ma questa volta il Signore aveva deciso di chiamare a sé il suo servo fedele che lo aveva curato e assistito nella persona dei più poveri, degli emarginati, dei senza diritti.

La degenza di P. Bresciani a Verona è stata di soli 35 giorni. "Nonostante l'ottimismo di P. Renato - scrive Guido Zabeo, responsabile del Centro Ammalati - quando giunse da Roma il 18 giugno 1996 era ormai in fase terminale a causa della cirrosi epatica scompensata e aggravata dal diabete mellito. Due giorni dopo fu deciso il suo ricovero presso l'ospedale di Bussolengo nel reparto di Medicina Generale dove rimase per 22 giorni.

Venne sottoposto a parecchi esami e gli furono praticate molte trasfusioni. Ma tutto si rivelò inutile.

Quando i medici dissero che a P. Renato restavano pochi giorni di vita, i parenti e i confratelli, consigliati dai sanitari, lo portarono a casa per potergli offrire una migliore assistenza negli ultimi giorni.

La sua malattia e, in particolare i suoi ultimi giorni, furono resi meno pesanti dalla presenza della sorella, Sr. Flaminia, del fratello prof. Regolo, della cognata e dei parenti che non lo abbandonarono un istante".

I funerali si sono svolti il giorno 23 nella cappella della Casa Madre in un clima di festa. I suoi amici di Roma hanno noleggiato un pullman per poter partecipare alle esequie. Le testimonianze sono state tante e toccanti.

Davvero P. Renato era considerato il padre dei diseredati. Ed ora essi, in lacrime, si stringevano attorno alla sua bara. Ben 64 sacerdoti, tra confratelli e diocesani, vollero partecipare alla messa di suffragio.

Finalmente il riposo

La salma è stata tumulata nel cimitero monumentale di Verona, nella tomba dei Comboniani. Lì P. Renato ha finalmente trovato quel riposo che ha sempre rifiutato per non sottrarre neanche un minuto della sua esistenza ai poveri.

P. Renato Bresciani è stato un missionario che ha sempre saputo incarnarsi nel popolo dove si è trovato ad operare, sia in Inghilterra, sia in Africa, sia in Italia. Dalla tomba, come Comboni, di cui fu un figlio degnissimo, può dire ai suoi extracomunitari: "Tra voi ho lasciato il mio cuore e con voi continuo a fare causa comune".

Contemplativo nell'azione

Come sacerdote è stato un autentico contemplativo nell'azione. Era proprio la preghiera che gli dava la forza di lavorare indefessamente, senza un attimo di tregua, senza neppure accorgersi dei suoi acciacchi e del suo male che inesorabilmente lo distruggeva. Come San Paolo ha saputo farsi tutto a tutti.

P. Alberto Marra, nell'omelia funebre ha detto: "P. Bresciani è stato un uomo, un sacerdote, un missionario che ha saputo concretizzare il vangelo attraverso l'amore ed il servizio sincero ai fratelli.

È stato un cristiano che ha saputo scoprire nei fratelli più poveri il Cristo affamato, assetato, nudo, forestiero, rifugiato, senza casa, all'ospedale, in prigione, randagio, bisognoso, addolorato e... l'ha accolto, l'ha riconosciuto, l'ha amato e servito. A lui, dunque, spettano le parole 'Vieni benedetto dal Padre mio, ricevi in eredità il Regno preparato per te fino dalla fondazione del mondo'".               P. Lorenzo Gaiga, mccj

Da Mccj Bulletin n. 194, gennaio 1997, pp. 117-127