In Pace Christi

Oricchi Giuliano

Oricchi Giuliano
Data urodzenia : 13/06/1925
Miejsce urodzenia : Piazza al Serchio (LU)/I
Śluby tymczasowe : 09/09/1948
Śluby wieczyste : 19/09/1952
Data święceń : 30/05/1953
Data śmierci : 26/02/1994
Miejsce śmierci : Nairobi/KE

Se dovessimo definire con una sola parola il modo di essere missionario di padre Giuliano Oricchi, dovremmo dire che è stato un "pastore". Un pastore che conosceva una ad una le sue pecore; non solo, ma conosceva la genealogia di ciascuna, il grado di parentela tra loro, l'indirizzo di casa, le condizioni di salute, le debolezze e gli slanci di generosità.

Queste pecore, padre Giuliano, le ha difese mettendo a repentaglio anche la sua salute e la sua incolumità fisica; le ha sempre perdonate con generosità e misericordia e ha saputo chiedere loro perdono quando gli sembrava di aver sbagliato; le ha amate col cuore del pastore che non fugge mai di fronte al lupo che tenta di azzannarle. E tutto nel silenzio, nel nascondimento, nell'umiltà.

Il fascino dell'Africa

Ultimo di quattro fratelli, due maschi e due femmine, padre Oricchi proviene da una famiglia in cui onestà, vita cristiana e povertà si davano la mano.

Papà Enrico-Michele possedeva poco più di un orto e si prestava nei lavori saltuari che poteva trovare. Mamma Annunziata Sarti gestiva un modestissimo negozio di alimentari, ma era troppo caritatevole con i numerosi poveri del paese per "far fortuna". Alla povertà dei mezzi suppliva una immensa fiducia nella divina Provvidenza. E questa Provvidenza non fece mai mancare il necessario sulla tavola.

Nel giugno del 1937, "XV dell'Era Fascista", precisa la nota, Giuliano terminò le elementari con una discreta pagella e poi cercò di rendersi utile aiutando in famiglia e con piccoli lavoretti che eseguiva qua e là nell'intento di racimolare qualche mancia.

Nel 1931 era stato fondato il seminario comboniano a Carraia (Lucca) e subito i missionari avevano cominciato a battere la zona in cerca di ragazzi per riempirlo.

Nel 1938 arrivarono anche a Piazza al Serchio e parlarono ai ragazzi di missione, documentando il loro dire con bellissime filmine sull'Africa.

Giuliano, che era stato attento ascoltatore alla conferenza, rimase affascinato da quelle immagini e dalle parole del missionario. Generoso com'era, prima ancora di rientrare a casa disse al conferenziere che gli sarebbe piaciuto andare in Africa. Il parroco, prontamente interpellato, diede le migliori garanzie del giovinetto che, pur avendo 13 anni "l'età dello sbandamento", frequentava tutte le mattine la santa messa comunicandosi, e si confessava ogni sabato.

I genitori accolsero la notizia con gioia anche se l'Africa era tanto lontana e c'erano le bestie feroci. Restava, però, il problema della retta.

"Se può parlare alla madre di quel ragazzo che verrà da loro - scrisse il parroco al missionario reclutatore - non le dica che c'è qualche persona disposta a pagare le 30 lire mensili. Al più le può dire che, per la retta, se ne rende responsabile il parroco. Quanto al corredo, un po' lei l'ha condonato, un po' lo prepara la madre, un po' penserò io. 8 settembre 1938".

A Carraia e a Brescia-Crema

A Carraia Giuliano si applicò con tutta la sua buona volontà allo studio e alla pratica della virtù anche se, quanto a studi, i risultati lasciavano un po' a desiderare.

Per di più, con l'inizio della guerra (1940) c'era qualche difficoltà anche per il cibo, e ciò era un guaio per un giovane che aveva cominciato a crescere a gran velocità. Alla fame persistente, si accompagnava più la voglia di dormire che di studiare. Ciò nonostante Giuliano ce la metteva tutta anche perché, essendo uno dei più grandicelli, era obbligato a dare buon esempio.

Al termine dell'anno scolastico 1943-44, col quale concludeva la terza media, tolti i tre 10 in condotta, diligenza e religione, seguivano tutti 6, due 7 e un 8 in geografia.

Il superiore scrisse: "Appena sufficiente perché aiutato dalla costante applicazione. Limitato nelle sue qualità di mente, ma in compenso ha molta buona volontà. E' esemplare nella sua condotta, di buon criterio e di buono spirito. Ama molto la vocazione per la quale ha fatto dei veri sacrifici.

Per il ginnasio, Giuliano dovette trasferirsi a Brescia. In realtà, essendo la casa occupata dai tedeschi e soggetta a continuo pericolo di bombardamenti, si recò a Crema dove la comunità dei seminaristi si era momentaneamente trasferita.

Anche lì non mancarono le avventure e le disavventure perché i bombardieri americani non scherzavano. Un accenno alla vita del seminario comboniano di Crema nel periodo della guerra si trova nel libro "Qualche volta Dio sorride", editrice EMI.

In questo periodo una grave sofferenza colpì Giacomo e la sua famiglia. Il fratello, giovane marinaio di leva, imbarcato sull'incrociatore "Roma", perì tragicamente in seguito ad un siluro che colpì e fece inabissare la nave presso l'isola della Maddalena.

Novizio...due anni dopo

Da Crema, in data 24 aprile 1944, Giuliano Oricchi scrisse al padre generale chiedendo l'ammissione al noviziato.

"Già due porte mi sono state aperte per entrare nel luogo della pace, della vera pace. Il padre spirituale, dopo l'esame di vocazione mi ha detto: 'Nel nome del Signore va' avanti'. Così pure mi ha detto il superiore. A queste approvazioni si unisce il consenso dei miei genitori. Che cosa servirebbero tutti questi consensi se mancasse il mio?. Ma questo, rendendo gloria a Dio, lo sento dentro di me e lo esprimo a lei con la presente. Spero che questo mio desiderio si abbia a cambiare in realtà aprendomi ella l'ultima porta, quella del noviziato...".

Padre Dell'Oro scrisse nella stessa lettera: "Intelligenza sufficiente, molta buona volontà, esemplare nella condotta, di buon criterio".

Fu accettato ma... sembrava che quella terza porta dovesse rimanere chiusa per lui. Infatti, lo sviluppo fisico, la fame accumulata e lo sforzo per riuscire negli studi gli causarono un forte esaurimento con complicanze polmonari. E dovette tornare al suo paese.

Dice padre Galimberti, suo compagno di noviziato: "Quasi una metà dei novizi dovettero interrompere il noviziato per causa della malattia e dell'esaurimento. Molti finirono ad Arco a curarsi i polmoni... Mah! Quando penso a quel santo padre Festa che ci mandava sotto la neve nel parco di Venegono per portare a casa in spalle i pini tagliati perché temeva che glieli rubassero, e noi con una fame da lupi e la testa che girava dalla debolezza, mi vengono ancora i brividi".

Il medico chirurgo dott. Leonardo Santini di Castelnuovo Garfagnana, e soprattutto la mamma con i suoi pranzetti succulenti, ridiedero vigore al giovanotto tanto lungo quanto scarno, simile ad un alberello cui manchi l'acqua.

E intanto seguiva con nostalgia i compagni che andavano avanti. "Che venga presto il beato giorno in cui sarò nel caro noviziato - scrisse da casa il 22 luglio 1946. - Che Iddio e la Vergine santissima siano ringraziati della guarigione concessami e mi diano la gioia di poter spendere tutti i miei giorni alla loro maggior gloria.

Vorrei essere a Venegono prima del 15 agosto per vedere i miei compagni quando emetteranno i loro Voti, mentre io... sono ancora in principio; ma non fa niente, basta che possa andare avanti...".

Ed ecco che nel 1946, dopo quasi due anni di forzate vacanze, poté finalmente entrare in noviziato a Firenze.

Tra il 1947 e il 1948 frequentò la seconda classe liceale nel seminario vescovile di Fiesole con scarso profitto. Non perché non ce la mettesse tutta, ma perché la salute era quel che era e gli impegni del noviziato avevano sempre il sopravvento sulla scuola.

Alla fine dell'anno venne rimandato in fisica e in italiano scritto e anche nelle altre materie non era una stella. L'unico 10 sulla sua pagella era in condotta.

Promosso in... umiltà

Il 5 luglio 1948 scrisse al padre generale, p. Antonio Todesco che lo aveva avuto novizio per qualche tempo: "Me l'ha sempre detto che sono un povero uomo. Riconosco che è vero e lo vedo ogni giorno dalle mie miserie. L'ho visto anche sulla pagella che mi hanno appena consegnata. Pure, nonostante questo, le invio la domanda per l'ammissione ai santi Voti. Voglio sperare che sia giunto finalmente quel giorno in cui la Congregazione mi accetta tra i suoi figli.

Da parte mia, da molto tempo ho scelto la Congregazione, ora attendo con timore che la Congregazione scelga me. Mi vengono infatti alla memoria le parole che lei diceva quand'era padre maestro: 'Non basta che il soggetto scelga la Congregazione, ma è necessario che la Congregazione scelga il soggetto'. Queste parole mi fanno tremare e soffrire, ma voglio gettare ogni timore per confidare solo nel Cuore divino di Gesù e di Maria.

Ogni volta che sono sceso alla SS. Annunziata, sempre ho mantenuto la promessa di pregare per lei".

Fu ammesso ai Voti per la sua bontà e umiltà. Il padre maestro, infatti, garantì che Giuliano sarebbe diventato un grande missionario nella sua semplicità e umiltà che lo portavano a mettere tutta la sua speranza nei Cuori di Gesù e di Maria, diffidando completamente di se stesso.

Verso il sacerdozio

Dopo i Voti andò a Rebbio come assistente dei ragazzi e per il liceo (sempre zoppicando da ambo i piedi) e poi a Venegono Superiore per la teologia (1948-1953).

Ci resta la testimonianza di padre Zanoner, datata Rebbio 24 giugno 1949, nella quale si dice: "Buono e laborioso: osservante e delicato di sentimenti; di non grandi doti ma pronto all'obbedienza. Ha sofferto spiritualmente per certe situazioni di famiglia".

I documenti che ci restano di questo periodo sono unicamente le domande per la rinnovazione dei Voti e per la richiesta di accedere agli ordini sacri. Stranamente, nella sua cartella personale non ci sono i giudizi dei superiori e l'esito dell'esame della vocazione prima dell'ordinazione sacerdotale.

Basandoci su quello che c'è, dobbiamo riconoscere che Giuliano camminava più velocemente nella via dell'umiltà e del sincero riconoscimento dei suoi limiti, che in quella della scienza e della elucubrazione teologica.

Qualche compagno di studi afferma che era buono, tanto buono che lo avresti detto "tonto" se la sua arguzia toscana non avesse manifestato di tanto in tanto un'intelligenza vivace e attenta alle cose concrete della vita.

Venne consacrato sacerdote dal cardinale di Milano, Idelfonso Schuster, il 30 maggio 1953. Due mesi prima, nel febbraio 1953, gli era morta la mamma. Padre Giuliano doveva presentarsi all'altare di Dio portando nelle sue mani questo grosso sacrificio.

Nel dicembre di quello stesso anno, mentre si trovava a Londra, fu la volta del papà. Prima di partire per la missione doveva proprio spogliarsi anche degli affetti più cari.

Africa via Londra

Dal mese di luglio del 1953 al novembre del 1954, padre Giuliano fu a Londra come studente di inglese. La sua destinazione, infatti, era l'Uganda. Vi giunse nel dicembre del 1954. Sua prima destinazione fu Pakele (54-55); Moyo (55-60); Pakuach (60-63) sempre come coadiutore.

Già in questo periodo si notò un padre Oricchi dedito completamente ed esclusivamente ai cristiani e ai pagani che sarebbero diventati suoi fedeli.

A piedi, in bici, in moto era instancabile nel percorrere strade e sentieri in cerca della gente. E quando arrivava in un villaggio, si fermava, si sedeva sotto l'ombra di un albero e cominciava a parlare, nei primi tempi a fatica perché le lingue non furono mai il suo forte, e poi sempre più speditamente.

La gente lo ascoltava perché notava nelle parole, nei gesti e nell'atteggiamento di quel nuovo venuto, tanto amore.

Padre Oricchi non fu un costruttore, non un organizzatore, non un innovatore, ma un uomo della Parola di Dio che porgeva con convinzione e spiegava con semplicità.

Nel 1963, dopo 9 anni di vita africana, tornò in Italia. Fu inviato a Gozzano come propagandista e vi rimase fino al settembre del 1964. Nell'ottobre dello stesso anno era nuovamente in Uganda come coadiutore (64-66) e poi parroco (66-70) ad Orussi, una missione che è stata testimone della testardaggine (in senso buono), degli eroismi e del fallimento di padre Antonio Vignato.

Il Gran Simpatico

Scrive padre Troy: "Al mio arrivo in Uganda, novembre 1966) mi dissero che sarei stato assegnato ad Orussi (diocesi di Arua). Alcuni confratelli hanno voluto 'consolarmi' un po' scherzosamente perché lassù tra i monti avrei trovato colui che chiamavano 'Il Gran Simpatico', cioè padre Oricchi come superiore e parroco.

Le solite male lingue dicevano che era burbero, cupo, taciturno. Forse volevano spaventarmi ma io, che attendevo da qualche anno la vita missionaria sul campo, ero pronto ad affrontare anche un orco... E qui devo smentire tutti i detrattori del mio nuovo superiore. Infatti trovai in lui un'accoglienza calorosa e un confratello che desiderava solo di inserirmi al più presto nell'attività della parrocchia.

Appena fui in grado di confessare in Alur, di celebrare la messa - anche se non riuscivo a farmi capire fuori dalla chiesa - mi diede la mia parte di safari e delle altre attività concernenti un missionario, dimostrando nei miei confronti una grande fiducia".

Amava la gente

Padre Troy spende alcune righe per sottolineare l'amore alla gente in padre Oricchi.

"Chi giudicava il Padre duro, anzi qualche volta rabbioso, non si era accorto che ciò dipendeva dalla sua scarsa conoscenza delle lingue. Anche quando parlava inglese dava l'impressione di essere secco, impaziente, ma era questione di difficoltà nell'esprimersi.

Essendo stato prima tra i Madi, faceva qualche confusione con l'Alur. In seguito andò tra i Logbara, complicando la babele delle lingue. Ma io vedevo che era totalmente al servizio della gente. Per esempio, rispondeva alle chiamate per i sacramenti instancabilmente. Io andavo solo se padre Giuliano era già fuori, o se avevo la fortuna di incontrare il messaggero (catechista) prima di lui. Aveva il dono di ricordare nomi, legami di parentela, ecc. Così, chiacchierando con i bambini, veniva a sapere molto sui genitori, la famiglia, il clan...".

Amava i confratelli

"Mi teneva d'occhio - prosegue p. Troy - come fa una gallina con un solo pulcino. Se facevo uno sbaglio mi difendeva di fronte alla gente, ma in privato era pronto con il consiglio e anche con una parola di rimprovero se era necessario.

Pregavamo insieme, ci confessavamo l'un l'altro, là sulla nostra montagna. Dopo cena si chiacchierava tranquillamente su tutto: il lavoro, i problemi, i piani, le nostre famiglie... Anche questa condivisione faceva parte della missione.

Ho visto dei confratelli che controllavano tutto: l'accentramento era il loro forte; il 'fasso tutto mi' era il loro vangelo e intanto facevano soffrire i collaboratori che si sentivano pedine di seconda e terza mano.

Con padre Giuliano mi sono sempre sentito collaboratore con la mia parte di responsabilità. Abbiamo litigato tre volte in tre anni, sempre con la stessa procedura: uno scambio focoso al mattino, una giornata di silenzio (anche a pranzo e durante la ricreazione) e poi la pace.

Devo confessare - prosegue padre Troy - che non sono mai riuscito ad essere il primo nel chiedere perdono; egli mi ha sempre preceduto.

Quando mi hanno trasferito di colpo ad Arua, dopo tre anni, due mesi e cinque giorni, è stato per tutti e due una tragedia. Abbiamo pianto, abbracciati dopo la messa, e poi sono scappato senza voltarmi indietro... E' vero che la vocazione missionaria viene da Dio, tramite l'intercessione del Fondatore, ma posso dire sinceramente che per il mio amore per l'Uganda e la vita missionaria, devo molto anche a padre Giuliano Oricchi.

Avendo scambiato , durante quegli anni, anche esperienze di vita interiore, posso dire che p. Giuliano era un uomo gentile e timido con il cuore traboccante di amore, un amore che lo portava a compiere sacrifici non comuni, a dare a piene mani con una tenerezza incredibile. L'esteriore un po' duro nascondeva un cuor d'oro e tanta gioia. Anche in seguito ha sempre lavorato dando tutto se stesso pur con la salute che lasciava molto a desiderare".

Un grande missionario

Dopo il Corso di aggiornamento a Roma tra il 1970 e il 1971, p. Giuliano tornò a Maracha (1971-1976) come parroco e superiore. Dal 1977 al 1988 fu parroco, superiore locale e poi vice parroco a Ombacì. Anche per padre Giuliano ci furono le paure della guerra. Alto com'era, aveva sempre paura che lo vedessero spuntare dall'erba dove si nascondeva quando arrivavano i guerriglieri o i ladri. Ma l'amore alla gente che soffriva angherie di ogni genere, lo tenne sempre legato alla sua missione, incurante di ogni pericolo.

"E' stato un grande missionario - scrive padre Torquato Paolucci - l'ho conosciuto a fondo soprattutto ad Ombacì. Con lui ho vissuto e lavorato dal 1979 al 1983 e poi dal 1990 alla morte.

Nel primo periodo Giuliano era parroco e io suo curato, nel secondo gli uffici si sono capovolti. Praticamente è rimasto in quella missione fino alla morte.

Al suo arrivo, nel 1977, la parrocchia era ancora agli inizi come organizzazione e i cristiani erano circa 15 mila, divisi in 18 cappelle. Quando Giuliano morì, i cattolici erano 45.000 divisi in 28 cappelle. Ma soprattutto dobbiamo dire che in questo periodo è nata una comunità viva dove i laici impegnati si sono moltiplicati, dove la stragrande maggioranza dei catechisti si è preparata nei centri diocesani e interdiocesani, costituendo una consolante realtà frutto dello Spirito Santo e dei sacrifici di Giuliano".

Predilezione per i catechisti

"Per i catechisti - prosegue p. Paolucci - padre Giuliano aveva una predilezione tutta particolare. Voleva che fossero uomini di preghiera, ma non ignorava i loro problemi materiali, e per loro organizzava delle giornate speciali in modo che la comunità locale imparasse a sostenerli finanziariamente. Voleva che la chiesa locale diventasse autosufficiente economicamente. Anche in questo campo raggiunse risultati notevoli.

Il suo zelo per l'apostolato era ammirabile. Con lui i programmi erano sempre molto impegnativi per cui rimaneva poco tempo per il riposo. Anche quando avevamo dei momenti liberi, lo vedevo prendere la sua piccola moto e partire per visitare famiglie, cappelle e catechisti. Arrivava inaspettato dove sapeva che c'erano corsi per catechisti o momenti di preghiera. In questo lavoro si è letteralmente consumato. Con la sua moto andava così adagio che la gente diceva: 'Non c'è pericolo che faccia un incidente". Egli procedeva in questo modo per essere sempre pronto a fermarsi qualora incontrasse qualcuno per un saluto, una parola.

Un altro gruppo particolarmente amato fu quello dell'Azione Cattolica. Sono più di 500 i membri di questa associazione. Si curano particolarmente degli infermi. Padre Giuliano era il loro animatore.

Sentiva il peso di essere rimasto, secondo lui, ad Ombacì per troppo tempo per cui, prima rinunciò al posto di parroco sembrandogli che uno nuovo avesse idee nuove, poi insisté presso i superiori perché lo trasferissero altrove. Diceva: E' meglio che me ne vada per il bene della parrocchia'. Ma noi sapevamo che il bene della parrocchia richiedeva la sua presenza e siamo stati contenti che sia rimasto tra noi fino alla fine".

Un caro amico

Anche padre Paolucci riconosce che padre Oricchi è stato per lui un maestro in quanto è riuscito a prepararlo all'apostolato missionario diretto. Con padre Giuliano i giovani imparavano a risolvere i problemi di tutti i giorni, a superare le difficoltà quotidiane.

Sapeva "perdere" tempo per parlare con i confratelli senza mostrare quella fretta che molto spesso rovina tante cose. Era un modo di fare che aveva imparato dalla gente del posto.

"Che dire della sua preghiera? - conclude p. Paolucci. - Era fedele alla confessione settimanale, e si teneva saldamente legato alle vecchie pratiche dell'Istituto. Sentiva profondamente la sua identità comboniana. Soffriva molto per l'abbandono da parte dell'Istituto di certi impegni in diocesi. Lo sentiva come un tradimento. 'I figli sono ancora piccoli e immaturi e noi li abbandoniamo troppo presto', diceva con sofferenza. Nonostante questo, sapeva tenere con i superiori un rapporto franco e amicale".

Padre Pegorari aggiunge che faceva anche la visitina al Santissimo dopo i pasti, e quella del pomeriggio con la formula lunga del vecchio manuale.

Partenza prematura

La sua salute, come sappiamo, non è mai stata robusta anche se si è comportato come il più sano della missione. Ai disturbi diabetici si accompagnavano quelli del cuore.

"Lo aspettavamo per le vacanze - scrive la sorella Adriana, l'unica rimasta della famiglia - anche perché sapevamo che la sua salute non era a posto e aveva bisogno di buone cure".

Vedendo che la situazione si complicava di giorno in giorno, padre Solcia lo accompagnò dall'Uganda in Kenya per ricoverarlo al Nairobi Hospital, un centro molto bene attrezzato. Lo operarono alla prostata (anche se in Italia, anni prima, gli avevano sconsigliata una simile operazione date le sue condizioni generali di salute). L'intervento parve avere buon successo, ma il Padre stentava a riprendersi.

Nel corso di una visita, padre Marengoni lo invitò a recitare una preghiera con lui. "Sì, credo che sia la cosa migliore", rispose il malato, e si immerse in una preghiera di contemplazione che edificò i presenti.

Le ultime settimane di malattia, anche se dolorose, furono trascorse in relativa serenità. Una notte il Padre è anche caduto dal letto battendo la testa così malamente da andare in coma. Poi si riprese.

La visita della mamma

A Padre Bruno Novelli che è andato più volte a trovarlo, disse che aveva visto la sua mamma tutta splendente che lo chiamava, invitandolo ad andare con lei. "Non posso venire adesso, mamma, perché ho ancora tanto da fare", rispose lui. Ma lei insisteva...

La mamma, che col sacrificio della vita lo aveva presentato all'altare del Signore proprio alla vigilia della sua ordinazione sacerdotale, e che lo aveva accompagnato dal Cielo durante 40 anni di vita missionaria, ora veniva nella gloria per introdurlo nella Casa del Padre.

Qualche giorno dopo, infatti, il Padre venne colpito da un ictus cerebrale che segnò la sua fine.

"Quanti amici avesse lo si è visto ai funerali che furono celebrati ad Ombacì - scrive padre Pegorari. - Migliaia di persone, dispiaciute che il Padre fosse stato sepolto a Nairobi e non nella sua parrocchia, chiesero di costruire una tomba finta sulla quale si sarebbero radunati per pregare per colui che consideravano il loro Padre nella fede.

Il ritorno a Dio di questo missionario, che per tanti anni ha portato avanti un generoso ed impegnativo lavoro missionario come animatore di centri giovanili e catechistici, come parroco e semplice cappellano, come fratello dei poveri nel periodo della fame e della paura per la guerra, costituisce certamente il premio per il suo zelo instancabile, la sua dedizione agli africani, il suo amore per il Vangelo che voleva conosciuto, amato e vissuto così come Gesù lo aveva predicato e praticato.

Dal Cielo intercederà certamente per l'Uganda affinché ritrovi la pace, e per la Congregazione perché cresca in merito e in numero.                          P. Lorenzo Gaiga, mccj

Da Mccj Bulletin n. 184, ottobre 1994, pp. 68-76