In Pace Christi

Zani Giovanni

Zani Giovanni
Data urodzenia : 20/05/1921
Miejsce urodzenia : Coccaglio BS/I
Śluby tymczasowe : 25/03/1954
Śluby wieczyste : 25/03/1957
Data święceń : 03/06/1944
Data śmierci : 08/06/1989
Miejsce śmierci : Maputo/MO

P. Zani aveva 29 anni ed era sacerdote da 6 (essendo stato ordinato a Brescia il 3 giugno 1944) quando si decise di chiedere ai suoi superiori il permesso di farsi missionario comboniano. "Ho sempre avuto il desiderio di essere missionario, ma nei miei anni di seminario non diedi a questa inclinazione quel peso che meritava. Anche da sacerdote la voce di Dio non cessò mai di farsi sentire, anzi, col passare del tempo non fa che crescere di intensità fino a inquietarmi..."(4 settembre 1950). P. Zani scriveva queste cose mentre era coadiutore ad Artogne (Brescia). Se aveva tardato tanto a seguire la chiamata di Dio, lo aveva fatto per due motivi: l'amore alla famiglia alla quale era molto attaccato e l'amore al parroco, ottantaquattrenne, e bisognoso di un valido coadiutore.

Appena la notizia si sparse, don Sante, parroco di Gianico, che conosceva "intus et in cute" Zani, scrisse: "Credo di non errare definendo don Zani un prete ideale e un soggetto degno sotto ogni rapporto. Di certo lascerà nella diocesi un vuoto difficilmente colmabile. Le Missioni Africane faranno un ottimo acquisto. Ciò è quanto posso assicurare". Analoghe referenze diedero i superiori del seminario di Brescia ai quali p. Polati si era rivolto per informazioni. Don Zani, prima di entrare nell'Istituto comboniano, dovrà attendere, penare e sperare ancora per due anni.

Lusinghe e tentazioni

Lusinghe e tentazioni sono le parole più comuni che don Zani usa nelle numerose lettere intercorse tra lui e i superiori dei Comboniani. Il vescovo si staccava a malincuore da quel suo prete zelante di cui il popolo e i sacerdoti dicevano mirabilia. Purché restasse in diocesi, sua eccellenza gli avrebbe fatto vivere i brividi della vita missionaria mandandolo come parroco in un paese del bresciano "che non ha niente da invidiare ai territori di missione". Il coadiutore di Artogne non cedette alla lusinga e insistette finché mons. Giacinto Tredici gli diede il sospirato permesso aggiungendo, però, nella lettera: "Pensaci ancora e prega" (5 febbraio 1952). Comunque non poteva partire prima dell'ordinazione dei novelli sacerdoti, in giugno.

Non era tutto. Nel frattempo, infatti, era morto papà Faustino. Mamma Giuseppina Bonardi e la sorella si trovavano senza casa e senza un appoggio. Immaginarsi le insistenze delle due poverette che nel figlio e fratello sacerdote vedevano il loro sicuro avvenire! E don Zani, che era sensibilissimo, soffriva enormemente, pur mostrandosi sempre gioviale e scherzoso. P. Leonzio Bano lo consolava dicendo di fare tutte le cose bene e con calma per sistemare i suoi cari, e di non impressionarsi delle lusinghe e delle tentazioni... "è così per tutti. E' una prova necessaria, sia per persuadere gli altri che facciamo sul serio, e anche per convincere noi stessi che ci abbiamo pensato su e abbiamo deciso liberamente...". Siccome don Zani aveva chiesto se accettavano anche ragazzi di quinta elementare "perché non voglio venire solo", p. Leonzio concludeva la sua lettera dicendo: "Me ne deve portare parecchi in penitenza della lunga attesa. E faccia svelto a liquidare il suo caso, perché spero di aver poi altro da fare con i postulanti che mi porterà".

Il "caso Zani" era finalmente chiuso. P. Leonzio Bano, nella sua ultima lettera all'interessato, scrisse una cosa che mi sembra istruttivo riportare, specie per chi si interessa di promozione vocazionale. "A dire il vero - prosegue - avrei voluto scriverLe ancora tempo fa, ma non volevo fare la figura di chi preme. Sono dell'idea che le vocazioni si devono decidere dagli interessati, senza pressioni e, direi quasi, senza insinuazioni da chi le deve accogliere. Mi dispiacerebbe che un giorno qualcuno, solo perché non si sente di andare avanti, potesse dire con una certa verità: ecco, io veramente non volevo, ero indeciso, ma ci fu chi mi spinse, ecc. Non sia mai!".

La Madonna ce l'ha fatta!

Il 17 agosto 1952 don Giovanni Zani fece il suo ingresso nel noviziato di Gozzano. Aveva penato per raggiungere quella meta, per cui la sua contentezza era davvero grande. Don Zani era uno sportivo nato. Con la sua bicicletta da corsa aveva visitato molti santuari d'Italia, spesso trascinandosi dietro un bel gruppo di giovani. Era andato anche a Lourdes (sempre in bicicletta) per intercedere dalla Madonna la grazia di poter realizzare la vocazione missionaria che gli bolliva dentro e che tanto lo faceva soffrire. Finalmente ce l'aveva fatta. Cioè: "La Madonna ce l'ha fatta", scrisse.

In noviziato si fece cresce la barba. Era una magnifica barba a tutta faccia, che batteva anche quella pur maestosa e solenne del vice maestro, p. Rossi.

Per il primo anno ebbe come maestro p. Giovanni Giordani il quale, scrivendo di p. Zani, sottolinea la sofferenza che questi provò nel lasciare la mamma e la sorella. Poi aggiunge: "A parte un po' di scherzetti inopportuni per il tempo, per le persone (magari superiori) e per il luogo, le sue cose le fa con convinzione. E' pronto sempre a qualsiasi ministero, è obbediente e caritatevole. Sarà un missionario che farà del bene".

Abituato a vivere con i giovani, p. Zani amava lo scherzo, la battuta umoristica, la piacevole facezia. Qualche volta il padre maestro dovette richiamarlo alla serietà del noviziato. In compenso era "generoso, indulgente, umile, obbediente, animato da sodo desiderio di perfezione religiosa, disponibile per il ministero, molto adatto alla vita di comunità". I novizi, a quel tempo, erano nella quasi totalità giovanetti che avevano appena terminato la quinta ginnasio. Chi è stato con p. Zani, ricorda quanto bene ha fatto questo sacerdote abituato a stare con i giovani, con la sua parola, con il suo incoraggiamento, col suo spirito allegramente mattacchione, ai più giovani.

Il 25 marzo 1954 emise i Voti temporanei e si dichiarò desideroso di partire al più presto per la missione. Fu esaudito.

In Mozambico

Quando p. Zani, nel luglio del 1954, arrivò a Mossuril, in Mozambico, i Comboniani erano presenti in quella "provincia portoghese d'oltremare" da appena 7 anni, essendoci arrivati nel 1947. Quindi erano ancora agli inizi della loro attività missionaria.

Essi avevano concentrato il loro lavoro nelle scuole di missione per africani, inoltre si adoperavano per creare catechisti, istruire catecumeni e fondare laboratori di arti e mestieri.

Il governo coloniale portoghese, infatti, aveva scuole solo per i figli degli europei e teneva in mano le grandi possibilità della tecnica e del denaro per la costituzione di grosse compagnie di tè, cotone, cocco, sisal... sfruttando la mano d'opera indigena con paghe irrisorie, accompagnate spesso dal disprezzo per la gente, per la sua lingua e per i suoi costumi ritenuti primitivi. Questo clima - inutile dirlo - era il più adatto a preparare la guerriglia antiportoghese che si andava organizzando nella clandestinità.

P. Zani entrò subito in sintonia con i confratelli, condividendo in tutto i loro programmi di evangelizzazione e di promozione umana, diventandone, anzi, uno zelantissimo sostenitore.

Le difficoltà che i Comboniani incontravano non erano poche. Le autorità governative portoghesi non vedevano di buon occhio i nuovi venuti perché, con la loro attività scolastica in favore degli africani, avrebbero minato la consistenza coloniale portoghese. Anche qualche vescovo non era troppo favorevole ai Comboniani. Basti pensare che nel 1959, quindi 5 anni dopo l'arrivo di p. Zani, p. Ferrero scrisse nella sua relazione al Capitolo generale della Congregazione: "Le missioni in Mozambico sono solo 6 perché il nuovo vescovo non ci permette di aprirne altre. Ciò nonostante le nostre scuole di missione sono 132 con 16.000 alunni".

P. Zani, qualche mese dopo il suo arrivo, fu eletto superiore e parroco di Mossuril. Vi rimase per 6 anni, fino a quando, cioè, ricoprì gli stessi incarichi nella missione di Lunga.

Nel 1965 scrisse: "Qui noi possiamo lavorare e, nonostante tutto, si potrebbe fare molto di più se ci fosse più comprensione e direttive chiare da parte del vescovo. A Lunga, poi, non abbiamo neppure l'aiuto dell'autorità amministrativa, anzi... Noi cerchiamo di essere prudenti. Da parte mia le posso assicurare che conservo ottimi rapporti umani con tutti". L'espressione indica molto bene il clima di tensione che c'era nell'aria e gli esircizi di equilibrismo ai quali erano sottoposti i missionari per non entrare in collisione con le autorità.

Come se ciò non bastasse, le missioni in Mozambico avevano altre due piaghe, se così si possono chiamare: l'estrema povertà e la propaganda musulmana.

Della prima scrive p. Zani: "Ci siamo fatti in cento per ottenere aiuti dal di fuori, trovare benefattori ma, ciò nonostante, ci troviamo attualmente con oltre due milioni di debito (eravamo nel 1965 n.d.r.). Dobbiamo pensare solo a vivere noi missionari e chiudere tutto il resto? Dobbiamo eliminare le scuole, il catecumenato e mandare a casa tutti i catechisti?".

Della seconda: "Specialmente qui, sul litorale, notiamo un intensificarsi sempre maggiore della propaganda musulmana con atteggiamenti verso i cristiani per nulla consoni allo spirito ecumenico. Vi sono musulmani che si sono fatti missionari ambulanti. Stanno seminando odio e avversione contro i cristiani".

Nuove preoccupazioni

Dopo un periodo di vacanze in Italia tra il 1963 e il 1964, p. Zani fu inviato nuovamente a Lunga e, dal 1970 al 1984 a Carapira con l'incarico di parroco e di economo provinciale.

Intanto, però, in Mozambico erano accaduti fatti nuovi. Nel 1974 il vescovo di Nampula e alcuni missionari comboniani che osarono fare una un'analisi critica sulla situazione politica "colonialista" e sul tipo di impegno missionario nella scuola, vennero espulsi. P. Zani fu uno di essi. La ritorsione contro le missioni rappresentava l'ultimo sussulto del Regime colonialista. Un anno dopo, infatti, (25 giugno 1975) il Mozambico ottenne l'indipendenza. I missionari espulsi tornarono come trionfatori. La cuccagna durò poco. Il nuovo governo del Frelimo, di ispirazione marxista, diede la stura alle nazionalizzazioni, alle vessazioni, alle persecuzioni. I missionari si interrogarono sul nuovo modo di essere presenti in un contesto così diverso, su come continuare ad impegnarsi per aiutare e favorire lo sviluppo del popolo e la crescita della vita cristiana in un regime di tal fatta. Cominciò il tempo dei salvacondotti rilasciati dal segretario del partito comunista per uscire dalla propria zona, le spie si infiltravano dappertutto; vennero costruiti i "villaggi comuni" nei quali la gente era costretta a trasferirsi per lavorare nelle fattorie statali (dopo essere stata strappata dalla sua terra, dalla sua casa, dal suo campo), erano all'ordine del giorno le "punizioni esemplari" che andavano dalle fustigazioni pubbliche alle fucilazioni, dalla carcerazione alla deportazione in massa.

Le scuole, gli ospedali, gli uffici, le fabbriche, le industrie, i campi, perfino le missioni e le chiese diventarono proprietà della Stato. Ad un certo momento le autorità governative volevano espellere tutti i missionari e le missionarie. Per questo, verso la fine del 1979 li radunarono a Nampula, impedendo loro di tornare alle rispettive missioni.

Salvati dalle suore

Ma ecco che proprio in quei giorni scoppiò un'epidemia di colera che fece scattare l'urgenza del rientro di tutte le suore infermiere ai loro ospedaletti, per arginare il male. Forti di questo, le infermiere posero come condizione al loro rientro che fosse concesso anche agli altri membri della comunità, e ai Padri in particolare, di ritornare alle loro sedi. Seguirono giorni di incertezze e di discussioni. Alla fine la fermezza delle suore ottenne via libera al ritorno di tutti i missionari ai loro posti. E di espulsione non si parlò più.

I missionari, intanto, vennero nominati professori nelle scuole governative. Fu una soluzione buona. Se non potevano incontrare la gente nelle varie cappelle di missione poiché era proibito allontanarsi dalla propria residenza, potevano intrattenersi con gli scolari nella scuola.

Amministratore fedele

P. Zani, intanto doveva amministrare quel poco che era rimasto ai missionari. E' interessante vedere come questo nostro confratello concepiva l'amministrazione del denaro in un Paese comunista, decisamente nemico della religione e ormai immerso nella confusione politica ed economica più totale. Logicamente, con un po' di scaltrezza, sarebbe stato facile giocare sui cambi, complice il mercato nero. Qualcuno poteva pensare e perfino suggerire che "farla in barba a chi ci ha rubato tutto, non solo è cosa giusta, ma anche meritoria". Ecco come la pensa p. Zani, economo provinciale: "Quanto all'economia credo che sarà un osso duro far accettare di non approfittare per speculare. Io sono su questa linea, decisamente. Ogni nostra azione, ogni nostro lavoro, deve essere in funzione dell'evangelizzazione". Questa frase scritta al padre generale la dice lunga sulla personalità di questo amministratore fedele.

In prigione

P. Zani ha assaportato anche la prigione. Dopo le giornate burrascose di Nampula nel 1979 venne arrestato con l'imputazione di aver costruito una cappella senza autorizzazione. Scrive suor Donata Pacini: "Forte della mia posizione di medico, lo seguii e feci presente al capo della polizia le sue condizioni di salute. Il Padre, infatti, qualche anno prima aveva subito un infarto, inoltre aveva bisogno di cure speciali perché affetto da diabete. Non riuscii a impedire che venisse imprigionato. Ottenni, tuttavia, l'autorizzazione di portargli il cibo e le medicine, ogni giorno. Nel pane nascondevo una particola e in una boccetta con l'etichetta di un medicinale mettevo un po' di vino. In questo modo il Padre poté celebrare la sua messa quotidiana.

Dopo dieci giorni di carcere venne rilasciato. Non l'ho mai sentito raccontare molto della sua prigionia, ma ancora oggi mi commuovo ricordando la gioia che gli brillava negli occhi quando, nascosto nel cibo per il corpo, trovava il pane e il vino per la sua messa. Per tutti coloro che andavano a trovarlo e per i compagni di prigionia era un esempio di calma e di serenità. E mentre io mi davo da fare per farlo uscire, egli mi ripeteva di pensare agli altri e di non preoccuparmi per lui. Ebbi veramente l'impressione di un autentico uomo di Dio".

Il primo amore non si scorda mai

Nel 1982 il padre generale propose a p. Zani di andare in Italia per una giusta rotazione del personale. Inoltre poteva mettere un po' di ordine nella sua salute dato che aveva subito un secondo infarto.

"Amo il Mozambico - rispose il Padre - e qui fortemente desidero continuare il mio lavoro. Lascio, tuttavia, ai Superiori prendere quella decisione che in Domino crederanno più opportuna. Sarà certamente la migliore anche per me, perché esprimerà concretamente la volontà del Signore che è l'unica cosa che merita di essere fatta".

P. Zani amava anche la famiglia e la diocesi che aveva servito per alcuni anni e che aveva lasciato per la vita missionaria. In un'altra lettera dice: "Nel caso che i Superiori avessero a decidere per il mio ritorno in Italia, oserei esprimere un mio desiderio: poter passare almeno il primo anno nella mia diocesi di origine, Brescia. Mi sento ancora profondamente diocesano e mi farebbe tanto piacere poter contattare i sacerdoti che conosco. Sarebbe un riposo psichico. Sono stato per anni diocesano e il primo amore non si può scordare. Per la missione ho lasciato la diocesi, per la missione ho abbracciato la vita religiosa che amo e apprezzo".

Invece di tornare in patria per la rotazione, p. Zani fu inviato nella missione di Alua nella quale rimase dal 1982 al 1984. Dal novembre del 1984 fu incaricato della procura per i Comboniani del Mozambico, con l'ufficio di economo provinciale e addetto alla cura pastorale della parrocchia di San Francesco Saverio di Benfica.

Comboniano identificato

Sull'esempio del Comboni, p. Zani visse intensamente la missione. Tutta la sua intensissima attività pastorale e di promozione umana fu improntata ad un intenso amore al popolo mozambicano che cercò di capire attraverso una profonda conoscenza della lingua e della cultura locale. Amò la Chiesa che servì fedelmente e creativamente, sia come coadiutore ad Artogne, sia come missionario in Africa. Particolari cure riservò ai giovani con i quali amava vivere e condividere. Amò la Congregazione che servì con tutta la sua esperienza e competenza nei vari uffici e incarichi che gli furono affidati. Il tutto condito di serenità e allegria, zelo pastorale e apertura ai nuovi cammini e alle sfide della missione.

Personalmente aveva una vita semplicissima e poverissima. Ciò gli permetteva di essere più attento alle necessità dei confratelli e del popolo. Amava profondamente la natura che diventava per lui motivo di preghiera e di contemplazione. Suo hobby era la fotografia, che però veniva strumentalizzata come mezzo di animazione missionaria e di collaborazione con le riviste missionarie. Era attaccatissimo alla sua vocazione missionaria e per essa aveva una grande stima. Per questo cercò di trasmetterla attraverso le sue lettere e i suoi incontri durante le vacanze.

Ma ciò che lo distinse fu la stima e la fiducia nei laici africani. Le condizioni imposte dalla guerra costrinsero i missionari del Mozambico ad appoggiare la loro attività sui laici che si dimostrarono all'altezza della situazione. P. Zani, proprio con l'aiuto dei laici, promosse la formazione di varie comunità coscienti e impegnate, realizzando in pieno il motto del Comboni: Salvare l'Africa con l'Africa.

Ha condiviso col popolo

P. Francesco Antonini, che ha lavorato per molti anni accanto a p. Zani, dice di lui: "Aveva una personalità ben definita, forte, tutta d'un pezzo, alle volte anche dura. Ma era uomo di relazioni umane profonde. In Africa aveva molti amici, soprattutto tra i giovani che lui stesso aveva formato. I suoi rapporti con gli altri non erano paternalistici, ma diretti a una crescita umana e spirituale. Legatissimo ai familiari, non si è mai fatto sopraffare o condizionare dai sentimenti.

Come missionario era buon conoscitore della lingua macua, tribù nella quale lavorò per 30 anni. E quando fu trasferito a Maputo, già sessantunenne, si iscrisse ad un corso di lingua changana. Conosceva i costumi locali ed era molto rispettoso della cultura del popolo. L'ho sentito parlare sempre bene e con rispetto del popolo. Del resto non era uomo cui piacesse criticare, neanche i confratelli.

Riassumeva in sé le doti del fondatore e dell'approfonditore. Lavorava sempre in profondità, non era un superficiale. Dotato di grande senso pratico, risolveva i problemi e dava sicurezza ai confratelli e alla gente. Nel servizio alla Provincia è stato per oltre 10 anni economo provinciale e varie volte membro del Consiglio. Incarichi che provano la fiducia che i confratelli riponevano in lui. Anche a livello di diocesi è stato membro del consiglio economico e del consiglio presbiterale. Negli anni passati a Maputo (cinque anni) ha fatto un ottimo servizio di procura accogliendo e servendo i confratelli di passaggio e soddisfacendo le richieste di tutti.

Era nel gruppo dei Comboniani espulsi dal Mozambico nel 1974 (sotto il regime portoghese) e fece il carcere sotto quello marxista. I motivi dell'espulsione e della prigionia sono fondamentalmente gli stessi: difesa degli oppressi. Non ha mai fatto politica; ha fatto Vangelo. Ha vissuto intensamente la via crucis del popolo mozambicano col quale ha condiviso sofferenze e privazioni. La sua morte ha lasciato un grande vuoto".

Caduto sulla breccia

La mattina dell'8 giugno 1989 p. Zani stava preparando, nel cortile della casa, una cassa di libri da mandare a Beira. Verso le ore 8,30 dovette sentirsi male. Poco prima, infatti, era stato visto e salutato dai confratelli p. Pietro Mazzola e fratel Silva. Al momento del malore, però, era solo. Poco prima delle 9 è arrivata l'impiegata e ha visto il Padre accasciato, bocconi per terra, con un braccio ripiegato a difendere la faccia.

La signora ha telefonato immediatamente alle Suore della Presentazione di Maria, che abitano vicino. Verso le 9,5 è rientrato il fratello e sono arrivate le suore con altra gente. P. Zani era in un bagno di sudore e in stato di incoscienza. Dopo aver tentato alcuni massaggi, fu portato di urgenza all'ospedale centrale di Maputo e ricoverato in sala di rianimazione. Qui il medico poté solo constatarne la morte per infarto.

Facendo i salti mortali si riuscì a ottenere il visto d'ingresso a quattro cugine del Padre che avevano manifestato telefonicamente il desiderio di vederlo prima della sepoltura. Incredibilmente, nonostante 4 ore di ritardo dell'aereo, arrivarono in tempo. Ciò grazie alla piena collaborazione delle autorità e del personale dell'aeroporto. Questo fatto è un chiaro segno della stima e dell'affetto che il Padre godeva presso la gente. I funerali costituirono un momento di intensa commozione con una straordinaria partecipazione di fedeli, di clero e di confratelli.

Il cardinale, che presiedette la concelebrazione affiancato dal vescovo di Quelimane e mons. Alain della Delegazione apostolica insieme a una trentina di altri sacerdoti, disse tra l'altro: "Non solo i Comboniani hanno perso un confratello, ma la Chiesa di Maputo è stata privata di un valido collaboratore e stimato sacerdote. La sua morte si inserisce nel quadro della lenta morte che attanaglia il popolo mozambicano nei 35 anni di attività del Padre in favore di questa Chiesa".

La salma di p. Zani riposa nel cimitero di Maputo nella terra riservata ai sacerdoti ed è sempre coperta di fiori freschi che la gente porta con devozione e affetto. Più volte il Padre aveva manifestato il desiderio di essere sepolto tra quella gente che considerava la sua gente e in quella terra che ormai era sua.

Alcuni giorni dopo la notizia della sua morte, arrivò nella casa di Gozzano una lettera scritta dal Padre nella quale chiedeva intenzioni di sante messe. Concludeva con queste parole: "Ciò che speriamo ardentemente e per il quale preghiamo è questo: che il Signore tocchi il cuore alle due parti in lotta e si arrivi ad un dialogo in modo che tanta povera gente esca da una situazione di incredibile sofferenza. Qui c'è bisogno di tutto, ma più di ogni altra cosa, della pace".

Ci auguriamo che dal Cielo p. Zani ottenga la pace e la concordia degli animi nel martoriato Mozambico.    P. Lorenzo Gaiga

Da Mccj Bulletin n. 165, gennaio 1990, pp.87-94