In Pace Christi

Arosio Rodolfo

Arosio Rodolfo
Data urodzenia : 07/06/1896
Miejsce urodzenia : Lissone MI/I
Śluby tymczasowe : 09/09/1927
Śluby wieczyste : 09/09/1933
Data śmierci : 15/05/1988
Miejsce śmierci : Rebbio/I

            Quando i superiori di Verona ricevettero la domanda di ammissione al noviziato di Arosio Rodolfo, ebbero l'impressione di aver a che fare con un operaio dell'ultima ora. L'interessato, infatti, aveva 29 anni suonati. Il motivo di tanto ritardo nel chiedere l'ammissione all'Istituto era stata la guerra che Arosio aveva combattuto e che lo aveva trattenuto lontano dal paese per parecchi anni. La lettera diceva: "Sentendo da parecchio tempo il desiderio di consacrarmi all'apostolato della Missione e alla vita religiosa, e dopo aver avuto il permesso del mio confessore, faccio domanda di essere ammesso, quale catechista, alle Missioni dei Figli del Sacro Cuore. Dichiaro di non aver nessun impedimento da parte della famiglia, di aver superato la terza elementare, e di avere appreso il mestiere di falegname".

            Da questa lettera, che è datata: Lissone 18 gennaio 1925, vediamo che Arosio si faceva comboniano per il desiderio di essere catechista. Nella sua vita il catechismo l'ha anche insegnato, ma soprattutto l'ha vissuto e l'ha predicato con il lavoro della sue mani. Altra cosa: Arosio veniva da una famiglia di dodici fratelli, tutti falegnami per vocazione e per tradizione. Egli invece dovette accantonare questa sua arte quasi subito, per assumere quella di muratore che porterà avanti per tutta la sua lunghissima vita. Scherzi della Provvidenza!

            La risposta alla domanda di Rodolfo fu positiva. Egli, in data 15 febbraio, scriveva: "Oh! con quanta gioia vedo avvicinarsi il giorno della mia partenza da casa. Il mio primo desiderio è quello di avvicinarmi sempre di più a Gesù Cristo. E' vero, ho incontrato qualche difficoltà per questa mia scelta che non è condivisa da tutti. Ma tutto sommato si è trattato di poca cosa che subito fu superata".

            Il 25 febbraio 1925 era a Venegono Superiore a cominciare il noviziato. "Giovane pieno di buona volontà - scriveva padre Corbelli, maestro dei novizi - buono, pio, obbediente, amante del lavoro. Pratica bene tutte le virtù. Come carattere è un po' grossolano e disordinato". Arosio guardava la sostanza delle cose senza soffermarsi troppo su ciò che è secondario e accidentale. Farà così per tutta la vita.

            Fu proprio in noviziato a Venegono dove Rodolfo mise da parte il lavoro di falegname per dedicarsi a quello di muratore. Si era al tempo della ristrutturazione e dell'ingrandimento del vecchio castello, per renderlo atto a contenere la massa sempre più grande di novizi. Arosio, con un nutrito gruppo di fratelli, costruì ex novo, tra l'altro, il torrione sopra le cucine. E ci teneva, in vecchiaia, a sottolineare questa sua fatica che conferisce ancor oggi buon gusto, forza e severità alla casa di Venegono. Il restauro e il completamento della sede costituì una magnifica scuola per Arosio e per una schiera di fratelli che, in missione, diventeranno costruttori di chiese, di ospedali, di scuole, di abitazioni. E' davvero ammirabile la preveggenza dei superiori del tempo, che mettevano in condizione i fratelli di fare pratica di costruzioni. Alla pratica, però, era annessa anche una scuola di teoria, diretta da un ingegnere. Arosio, in noviziato, divenne istruttore quanto a falegnameria.

            Il 9 settembre 1927 emise i Voti che lo consacravano a Dio e alla missione. Secondo il Diritto Canonico del tempo, erano Voti triennali, ma nel suo cuore, Arosio, si considerava di Dio e dell'Africa per tutta la vita.

Muratore a Troia

            Appena terminato il noviziato, avrebbe voluto partire immediatamente per l'Africa.

            "Sono vecchio - diceva - se non mi fate partire presto perdo anche l'ultimo treno".

            "Colui che tiene l'orologio in mano - gli risposero i superiori - è anche padrone del tempo. Intanto va' a Troia dove padre Sartori ha bisogno di alcuni fratelli che gli diano una mano per tirare su il seminario missionario".

            Insieme ai fratelli Laffranchi, Saggin e Taglioretti, Arosio partì per la Puglia. Il seminario missionario, nonostante tanti anni di lavoro e di tribolazioni era ancora un ammasso di rovine. Tanto più che, il 23 luglio 1930, un terribile terremoto aveva compromesso la stabilità di una parte dell'edificio appena ultimata.

            "Io facevo gli stampi in legno - raccontò fratel Arosio -. In quegli stampi venivano calate le gettate di cemento per le colonne, per le scale, per gli altari. Anche il campanile abbiamo fatto. Un campanile a prova di cannone. Padre Sartori aveva mandato una campana rotta alla ditta De Paoli di Vittorio Veneto per farla rifondere, ma invece di una, ne portò indietro cinque. Il campanile doveva essere forte e capace a contenerle tutte. Abbiamo lavorato come matti, ma con un entusiasmo da non dire. Con noi c'era una squadra di 20 operai del luogo, pieni di entusiasmo e di buona volontà. Eravamo decisi di finirla fuori con quella casa".

            Insieme al seminario restaurarono anche la chiesa che divenne il santuario alla Mediatrice di tutte le grazie. Arosio conserverà per tutta la vita una particolare devozione a questa Madonna.

Missionario in Uganda

            Appena sistemato il seminario comboniano di Troia, fratel Arosio partì per l'Uganda. Dal 1931 al 1936 fu addetto alla scuola di arti e mestieri di Gulu. Alla scadenza dei Voti temporanei fece domanda per i perpetui. Padre Foglio, in calce alla sua lettera, scrisse: "Appoggio la domanda di fratel Arosio con tutto il cuore poiché è uno dei migliori fratelli che abbiamo in missione. Pertanto prego che vengano esauditi i suoi santi desideri".

            Arosio era un tipo sempre allegro, sempre contento, un milanese schietto con il cuore sulle mani. Gli africani percepirono immediatamente queste sue doti e lo apprezzarono. Aveva l'arte di trasmettere le sue conoscenze e di renderne facile la concretizzazione. Dalle sue mani e dal suo cuore uscirono ottimi carpentieri e muratori.

            Ma in un'altra cosa, molto importante, fu maestro per gli ugandesi: l'arte di organizzare e utilizzare il tempo. Arosio programmava la sua giornata in modo che non restassero tempi vuoti. "Il lavoro è la mia vita", scrisse un giorno in una sua lettera. Il tempo per lui era prezioso e andava utilizzato fino in fondo. Quando per forza maggiore non si poteva lavorare, c'era sempre la preghiera o la lettura che supplivano. Gli piaceva intrattenersi in quattro chiacchiere con i confratelli e con la gente, perché anche il parlare fa parte della vita (Arosio non aveva certo la stoffa del camaldolese), ma quando la cosa andava troppo per le lunghe aveva anche il coraggio di dire:

            "Ciao, ciao; ora lasciami pregare".

Un santuario alla Madonna

            Nel 1934 padre Bernardo Sartori arrivava a Gulu. Il primo a buttargli le braccia al collo fu proprio fratel Arosio, il vecchio amico dei tempi eroici di Troia. In dialetto milanese  gli disse:

            "Ciao vecio, cosa fai qui?". E Sartori, in un misto di veneto e di troiano, rispose:

            "A costruire un'altra chiesa alla Madonna".

            "E io ti darò una mano, perché ce n'è di bisogno. I cattolici sono già più di 10.000 e i catecumeni 1.250. Gli altri sono ancora pagani. Il lavoro non ci mancherà di sicuro".

            Quando, infatti, si trattò di costruire il santuario alla Mediatrice di Lodonga, padre Sartori volle con sé Arosio perché ne conosceva le capacità e la volontà di arrivare al termine dei lavori... Questi due santi uomini avevano anche il loro caratterino: erano testardi come muli, tuttavia mettevano in pratica il detto biblico: "Non tramonti il sole sulla vostra ira", per cui, dopo una sfuriata (quando ci voleva ci voleva), diventavano più amici di prima.

            La basilica di Lodonga incontrò molte difficoltà da parte di monsignor Angelo Negri, vescovo di Arua, perché gli pareva troppo grande, perché pensava che i tempi non fossero ancora maturi...

            "Una chiesa di queste dimensioni? Siete matti? Non siamo a Roma o a Milano, qua! Accorcia, accorcia", diceva il vescovo.

            "Monsignore, non badi al disegno, perché non sono né ingegnere e neanche geometra", si giustificava padre Sartori.

            "Non sei né ingegnere, né geometra, ma i metri sono scritti qui sotto: 12 per 45, e 15 di altezza. So leggere, grazie a Dio."

            Per finire quella discussione che si protraeva da ore, il vescovo alla fine dovette dire:

            "Beh! intanto cominciate, e per ora lasciate fuori il presbiterio; il resto è anche troppo grande".

            Fratel Arosio cominciò col preparare 750.000 mattoni. Bisognava costruire la fornace, impastare la terra, modellare i mattoni e cuocerli. Un lavoro madornale. Quando i 750 mucchi di 1.000 mattoni ognuno furono allineati, si cominciò la costruzione al posto della vecchia chiesa bruciata dal fulmine.

            La fabbrica era presto al tetto con il grande arco che avrebbe dovuto immettere nel presbiterio... che non c'era.

            "Questa non è una chiesa, ma un enorme salone senza estetica", protestò padre Dal Maistro che, per portare sabbia e sassi, aveva affrontato e superato, oltre alle altre difficoltà, tre leoni che gli sbarravano la strada.

            Padre Sartori tornò alla carica dal vescovo. Niente da fare: il grande arco doveva essere chiuso con un muro. Padre Dal Maistro ebbe lo stesso risultato.

            "Eppure non dobbiamo mollare. Questo permesso deve pur venire. Prova tu Arosio. Forse il vescovo ti ascolta... Accidenti, sei tu il tecnico in questa faccenda... Digli che se non si completa l'abside che racchiude il presbiterio, ne va di mezzo la stabilità stessa dell'edificio... O è una bugia?".

            "E' la verità, la sacrosanta verità. Senza l'abside con le due sporgenze laterali che chiudono le pareti come in una morsa, la fabbrica non è sicura! Domani vado io ad Arua!".

            Questa volta monsignor Negri sorrise. Da uomo pratico sapeva che la chiesa era realmente troppo grande, ma da vescovo santo, che amava i suoi missionari e la Madonna, non volle disgustare i primi e perdere un'occasione per onorare la seconda.

            Padre Sartori alzò le mani al cielo e disse:

            "Vedete che la Madonna ha fatto il miracolo?". Al che Arosio, più concreto e prosaico, commentò:

            "Questa volta lasciamo in pace la Madonna. Il miracolo l'ho fatto io!". Infatti fu grazie alla perorazione di fratel Arosio se la basilica di Lodonga è quella che tutti conosciamo.

L'altare della contestazione

            Arosio era un uomo di grande intelligenza e di profondo buon senso. Conosceva gli uomini e sapeva prenderli dal loro verso. Quando si trattò di mettere insieme l'altare della basilica di Lodonga, che padre Sartori aveva fatto arrivare da Carrara, dovette venire a diverbio col Padre. Nonostante il disegno del costruttore parlasse chiaro, Sartori voleva l'altare in un determinato modo.

            "No, Padre, dopo si pentirà: l'altare va posto come è qui sulla carta", insisteva Arosio.

            "Fai come ti dico e vedrai che verrà meglio, più alto, più maestoso".

            "Lei vuole un pugno negli occhi di chi lo guarderà; questo vuole con il suo altare più maestoso".

            Dopo ore di baruffa, fratel Arosio dovette cedere e accettò di mettere l'altare come padre Bernardo desiderava.

            "Mi raccomando, pochi scherzi! - disse quest'ultimo -. Ora io vado in safari. Al mio ritorno, fra una quindicina di giorni, voglio celebrare sul nuovo altare".

            "Stia tranquillo, fra una settimana tutto sarà a posto", rispose il fratello.

            Conoscendo il gusto estetico di padre Bernardo, Arosio era sicuro che l'altare, così come lo voleva lui, non gli sarebbe piaciuto. Ed era altrettanto sicuro che, da persona umile ed onesta qual'era, avrebbe riconosciuto il suo errore. Allora montò l'altare ma, invece di cemento per connettere i pezzi, usò gesso.

Quando il Padre tornò dal suo safari, la prima cosa che fece fu di precipitarsi in chiesa a guardare l'altare. Arosio gli era alle spalle, a poca distanza. Ed ecco che il Padre cominciò a spostarsi a destra e a sinistra bofonchiando tra sé, poi alzò le mani e chiamò il fratello.

            "Hai ragione, fratello; sono il solito testardo. L'altare così non va... Devi rifare il lavoro come dicevi tu". Arosio, prendendosi una piccola soddisfazione, rispose:

            "Si prepari a ordinarne un altro. Smontandolo, andrà a pezzi".

            "Non scherzare! Tu devi fare il miracolo. Smontalo e rimontalo come dicevi tu!".

            "Farò del mio meglio! Speriamo bene!".

            Non si può immaginare la sorpresa del Padre quando vide che i pezzi di marmo si staccavano come fossero uniti... con il gesso.

            "Dunque sapevi che sarebbe andata a finire così!".

            "Si, perché so che lei è un crapun (testa dura), ma so anche che sa riconoscere i suoi errori".

Attento alla zappa!

            Dopo 17 anni di Africa tutti d'un fiato, durante i quali Arosio aveva lavorato al seminario di Lacor, a Niapea, a Moyo e in tante altre missioni sempre come costruttore, venne in Italia per un po' di vacanza. Era l'anno 1948. Il nostro fratello aveva imparato parecchie lingue africane, come l'aciòli, l'alur, il logbara, il madi, il karimojon, il kiswaili. Egli era del parere che, per trattare con la gente, era necessario conoscere, per prima cosa, la lingua del posto. Solo quando parlava con i confratelli usava il dialetto milanese che gli è sempre stato caro fino all'ultimo.

            Ma gli mancava l'inglese, lingua importante, dato che in Uganda comandavano gli inglesi. Per questo chiese ai superiori di frequentare un corso di lingua in Inghilterra. Alla non più verde età di 52 anni, si sedette sui banchi della scuola e divenne scolaro diligente.

            Alla fine del 1950 era di nuovo in Uganda, pronto a una nuova impresa con padre Sartori. La piccola tribù Kakua (15.000 abitanti) era per più della metà di religione musulmana. Inoltre c'era in mezzo ad essa una missione protestante con più di 2.000 adepti.

            "La messe è già stata raccolta - scrisse padre Sartori - a noi non resta che spigolare tra i pagani, ma molto c'è anche da... rubare. Sono certo che la missione si svilupperà contro il settimo comandamento, ed avrà il vantaggio di essere la sbarra di frontiera tra il vicino Sudan, da dove scendono i musulmani, e il Congo (Zaire), da dove provengono i protestanti. Ad abbattere i due rivali sarà ancora una volta la Madonna".

            A bordo della rombante moto a carrello, padre Sartori e fratel Arosio si misero in viaggio per Koboko, decisi a sfondare ad ogni costo. Eravamo ai primi di gennaio del 1951.

            "E' un'altra Lodonga anche qui - disse fratel Arosio appena scese dal carrello -, il posto che andrebbe bene a noi è già occupato dalla moschea e dalla scuola musulmana. Più avanti c'è la scuola protestante... Temo che ci sia poco da fare!".

            "E' un'altra Lodonga, hai detto? E va bene, sia allora un'altra Lodonga", tagliò corto padre Sartori. Tutti sapevano che a Lodonga c'erano state parecchie conversioni di musulmani. Perfino un grande capo della zona, pure musulmano, prima di morire aveva voluto ricevere il battesimo davanti a tremila seguaci della religione di Maometto. Era stato uno scandalo inaudito che aprì, tuttavia, gli occhi a molti.

            Durante una seduta del tribunale, fu stabilito che, accanto alla moschea di Koboko, potesse sorgere anche la missione cattolica... Tra i due contendenti, vinca il migliore!

            "Qui cominciò il bello - raccontò fratel Arosio -. Mentre padre Sartori battezzava figli di musulmani, dieci, dodici per volta, io cominciai a mettere giù i picchetti per i nuovi fabbricati... a due passi dalla moschea e dalla residenza del capo di essa, Sakari. Ma ogni mattina, quando mi recavo sul luogo con gli operai per iniziare lo scavo delle fondamenta, trovavo i picchetti divelti e gettati lontano. Il commissario distrettuale venne più volte e minacciò Sakari di prigione se non avesse obbedito alla sentenza del tribunale. Questi, tuttavia, non si dava per vinto e i dispetti erano all'ordine del giorno.

            Una mattina, mentre andavo al posto di lavoro, incontrai Sakari sul sentiero. 'Senti, Sakari - gli dissi - se tu tocchi un'altra volta un solo picchetto... vedi questa zappa che tengo in mano? Ebbene, con essa ti apro la testa come fosse una zucca. Intesi?'. L'argomento fu decisivo e valse più di tutte le minacce del commissario. Il 7 gennaio 1953 Koboko divenne parrocchia dedicata alla Madonna di Fatima".

            Non fa meraviglia, pertanto se qualche superiore annotava nella cartella personale di fratel Arosio: "E' di carattere forte e un po' iroso. Quando s'incontra con un suo simile si vedono i fuochi d'artificio. Però è buono e tutti lo stimano e gli vogliono bene. Fedelissimo alle pratiche di pietà e alla pratica dei Voti. In lui e con lui la carità trionfa sempre".

            Arosio sarà ancora valido collaboratore di padre Sartori nella costruzione delle altre due chiese dedicate alla Madonna, in Uganda: quella di Otumbari e quella di Arivu.

Una gioia grandissima

Non è possibile, a meno che non si scriva un libro, seguire Arosio in tutte le missioni nelle quali ha prestato la sua opera. Molto probabilmente non ne resterebbe esclusa nessuna.

            Una delle gioie più grandi che gli toccò in sorte fu quando padre Trabucchi lo fece ministro dell'Eucaristia.

            "Oggi sono contento", fu il suo commento. Questo missionario che, al momento di lasciare il paese voleva diventare catechista, poté fare qualcosa di più.

            "Non solo ho costruito tabernacoli - disse - ma ora posso anche aprirli per portare il Signore alla gente". Era sempre pronto a ripetere questo gesto in qualsiasi ora del giorno e per qualsiasi circostanza. Questo incarico lo portò ad intensificare ancora di più la sua vita di pietà. Amava la pratica della Via Crucis, il Rosario e la lettura della Bibbia. L'ha letta tutta e più volte, cominciando dall'inizio fino alla fine. Egli non badava ai tempi liturgici: andava avanti a tappeto e, per ogni tempo, trovava l'alimento giusto.

            Padre Trabucchi assicura: "Ha imparato a vivere di Eucaristia e di Bibbia". E' una definizione bella, questa.

            "Altra caratteristica di fratel Arosio - afferma Trabucchi - fu l'amore grande all'Africa e agli africani. Quando la guerra cominciò a mettere a soqquadro il paese, egli soffrì immensamente per le sofferenze della gente. Era uno che si addossava le pene degli altri e le condivideva.

            Con i confratelli, tolti gli scatti che in ultima analisi muovevano all'ilarità, era di una cordialità meravigliosa. La sua compagnia era ricercata da tutti. Sapeva parlare e s'immedesimava nelle varie situazioni, dava confidenza a tutti e non aveva paura di nessuno. Si era certi che ciò che diceva era proprio quello che aveva nel cuore.

            Apprezzava ed esaltava il lavoro fatto da altri e non si lasciò mai sfuggire critiche di sorta. Era, insomma, un vero saggio che, con la sua barba fluente, dava l'impressione di patriarca di altri tempi".

            La sua lunga giornata africana sembrava senza tramonto. Ma nel 1973, all'età di 81 anni, venne in Italia definitivamente. E' curioso il motivo che padre Agostoni porta per trattenerlo in patria:

            "Dovete dare buon esempio ai giovani. La provincia italiana ha bisogno di fratelli come voi". Andò a Gordola, a Limone e, infine, a Rebbio. Finché le forze glielo consentirono, fratel Arosio si rese utile alla comunità facendo i piccoli lavori in casa o nell'orto. Poi intensificò la preghiera. Passeggiava in cortile o stava seduto sul muretto sempre con la corona in mano. Egli la chiamava "la mia ferramenta".

            Non mancava mai ai raduni dei fratelli. E non stava zitto. Interveniva portando la sua esperienza e il frutto della sua riflessione. Nonostante l'età, in questo si mostrava giovanissimo. Per i fratelli più giovani ebbe sempre una predilezione quasi materna. Era cosciente che la vocazione del fratello non è una vocazione facile per cui abbisogna di un clima di calore fraterno, di vera carità.

            Era altrettanto caritatevole e sincero anche con i superiori che amava davvero. E' interessante una lettera che ha scritto a padre Agostoni nella circostanza della nomina a Generale di costui per la seconda volta. "Apena al trovi ga darà un basin propi da gusto. Ma pias cal ga von ancamò ul curac da purtà un cruson in sci pesant, però al stia puor cert che mi al iuterà a portà sto pes, con la mia preghiera, tuti i dì".

Sia fatta la volontà di Dio

            "Primo in cappella al mattino - scrive padre Dell'Oro - non mancava di fare frequenti visite al Santissimo durante la giornata. Ci teneva a preparare l'altare per la celebrazione della messa e partecipava a tutte le messe che venivano celebrate dai padri di passaggio. Ammirevole la sua puntualità nel dare i segnali per gli incontri comunitari.

            Nella conversazione che di tanto in tanto facevo visitandolo in stanza mi parlava sempre del suo lavoro in Uganda, dei tanti mattoni fatti, delle chiese costruite e soprattutto della basilica di Lodonga.

            Dopo il collasso gli fui vicino con maggior premura. Mi raccomandò di inculcare nei confratelli la devozione al Sacro Cuore e alla Madonna 'che ci tira sempre fuori dal fosso'. Alcune volte pregammo insieme. Finché ha potuto ha recitato le lodi e i vesperi, anche se quando arrivava alla fine era sfinito. Sul letto del dolore si notava la sua natura maschia e la sua docilità religiosa.

            Quando sentì che il medico consigliava il suo trasferimento alla Casa Madre di Verona, subito reagì con un no secco, ma immediatamente si corresse dicendosi disposto ad obbedire e a lasciarsi fare tutto ciò che volevano.

            Quando si sentiva stufo diceva: 'Non ce la faccio più. Sono diventato un impiastro che dà solo da fare'. Poi aggiungeva: 'Prendiamo per l'Uganda anche questa'.

            Durante la malattia non si è mai separato dal suo rosario che recitava in continuazione. Anche quando era praticamente in coma le dita della mano continuavano a contare i grani".

            Una cosa è stata sommamente a cuore a fratel Arosio: la formazione dei fratelli. Per essi ha pregato e ha sofferto molto; ha sperato che aumentassero di numero e che fossero animati da spirito buono. Per questa intenzione offrì più volte la vita. Ora dal cielo - ne siamo sicuri - non mancherà di ripetere questi suoi desideri alle orecchie della Madonna e del Sacro Cuore. Glielo dirà e glielo ripeterà in tutte le lingue africane, ma soprattutto nel suo bel dialetto milanese di effetto così sicuro. Egli, che era partito in ritardo, poté lavorare fino ad ora tarda. Quando spirò, infatti, aveva quasi 92 anni. Proprio come un vecchio patriarca carico di anni e di meriti. Per suo esplicito desiderio è stato sepolto nel cimitero di Rebbio, accanto ad altri confratelli, considerando quella, e non altra, la sua vera famiglia anche dopo morte.        

Padre Lorenzo Gaiga

Da Mccj Bulletin n. 161, gennaio 1989, pp.69-76