In Pace Christi

Guadagnini Giacomo

Guadagnini Giacomo
Data urodzenia : 01/07/1901
Miejsce urodzenia : Predazzo TN/I
Śluby tymczasowe : 20/05/1923
Śluby wieczyste : 25/12/1929
Data śmierci : 24/03/1986
Miejsce śmierci : Tadu/RDC

Tabi (il nonno), come lo chiamavano familiarmente gli zairesi, era il decano dei comboniani dello Zaire, dove lavorava da 16 anni. Alle prime ore del lunedì santo, esattamente l’1,45 del 24 marzo 1986, il Signore venne a chiamarlo. In quel supremo istante era assistito da p. Manolo e da due suore zairesi che erano di turno al suo letto. Alle ore 3 la salma era già esposta in chiesa e si suonava la campana per avvisare la gente. I cristiani, immediatamente, posero mano ai gugu per far rimbalzare il mesto annuncio ai villaggi vicini. Così il vecchio missionario poté entrare nella casa del Signore accompagnato da quel contorno africano che ormai era diventato parte della sua vita. Pochi istanti dopo, i primi cristiani erano già presenti per la preghiera che continuò ininterrotta fino alle ore 6, quando iniziò la celebrazione eucaristica di suffragio. Il funerale ha avuto luogo alle 15,30 del pomeriggio, con la partecipazione di molti confratelli che erano stati avvisati via radio fin dal mattino. Il fratello ora riposa nello spazio che c’è tra la casa e la chiesa, verso la strada. Così tutti coloro che passano, danno un’occhiata e fanno il segno della croce. Fr. Guadagnini, che può essere chiamato l’uomo della preghiera e del lavoro, aveva lavorato fino ad una settimana prima di mettersi a letto. Infatti non se la sentì proprio di alzarsi, martedì mattina 18 marzo. Già da tempo, però, tirava avanti a fatica. Alla prima notizia di malessere, p. Giorgio Aldegheri e p. Manolo lasciarono Mungbere per essere accanto al confratello. Arrivarono a Tadu il 19, giorno di San Giuseppe, giusto in tempo per far gli auguri al fratello in occasione della festa del Patrono. Egli rispose all’augurio e ringraziò. La situazione, però, si mostrava seria, per cui p. Aldegheri pensò di amministrargli il sacramento degli infermi. “Fratello, forse il momento di incontrarti con il Signore è vicino. Se vuoi ti diamo i sacramenti”. Egli rispose con un sorriso e fece cenno che era ben contento. La cerimonia, con Confessione, Eucarestia e Olio, ebbe luogo alle ore 15, in un momento in cui il fratello era riposato, alla presenza dei pp. Aparicio, Segasti, Manolo e due suore zairesi. L’infermo rispose a tutte le preghiere partecipando attivamente. Poi, insieme, recitarono cinque Ave Maria in latino, come egli era solito, e altre preghiere. Dopo un po’ entrò come in una quiete profonda. Tutti avevano notato che nella recita delle cinque Ave aveva sottolineato la frase “nell’ora della nostra morte”. Dopo quelle preghiere non disse più nessuna parola ed entrò in coma, da cui non si riprese più.

Dai monti alla... caserma

Giacomo Guadagnini era uno dei buoni giovani di Predazzo come tanti, ma amava la lettura delle “avventure” che gli 89 missionari compivano nel centro dell’Africa e che, mensilmente, gli venivano fornite da “La Nigrizia”. Quando i suoi coetanei cominciavano a guardarsi intorno per formarsi una famiglia, egli, nel suo cuore, aveva già deciso di essere missionario d’Africa. Ne parlò al parroco e in famiglia. Essendo un bravo contadino e un assiduo lavoratore, i familiari lo invitarono a pensare seriamente al passo che stava per fare, perché la sua presenza era importante per mandare avanti la casa. “Sapeste quanto ci ho pensato! Credete che non sento lo strazio del distacco da voi, dal paese? Ma Dio mi chiama da quella parte”. “Se è proprio Lui che ti chiama, va’ e che ti benedica. Noi ti benediciamo con Lui”. Il Sindaco del paese firmò una dichiarazione “colla quale si attesta che Guadagnini Giacomo di Giovanni esercitò finora, ed è anche abile nei lavori di contadino. Predazzo addì 3 marzo 1921”. Alla stessa data c’è la dichiarazione del parroco che afferma “aver Guadagnini Giacomo sempre tenuto una condotta ottima ed edificante”. E il medico, sempre nella stessa data, “Guadagnini Giacomo di anni 19 è di costituzione fisica, sana e robusta”. Il 1 novembre 1921, stando alla dichiarazione di p. Bertenghi, maestro dei novizi, a Venegono, Giacomo indossò l’abito dei Comboniani per iniziare il noviziato e, il 30 maggio 1922: “Ha progredito nella virtù in modo lodevole. È puro, obbediente, laborioso e di pietà soda, ma un po’ tentennante nell’idea della vocazione, sembrandogli un po’ pesante e monotona la vita religiosa”. Facile da spiegarsi: su “La Nigrizia” Giacomo leggeva e meditava la vita dei missionari in Africa, non quella dei novizi, molto vicina come stile a quella dei monaci. Tuttavia accettò il passaggio obbligato e perseverò, imparando l’arte del fabbro, del falegname e anche del cuoco. Il 20 maggio 1923 fece la professione e poi fu destinato a Verona come sagrestano. Dal 1924 al 1925 dovette pagare il suo debito alla Patria andando sotto la naja, che trascorse a Bologna. Al termine, il sacerdote Ivo Bottacci può attestare che “il soldato Giacomo Guadagnini ha frequentato sempre il convegno cattolico, ha partecipato alle conferenze religiose, dando esempio di vera virtù e cattivandosi la stima dei superiori e l’amicizia dei suoi compagni d’arme. Bologna, l0 dicembre 1925”.

Tra gli Scilluk e i Nuer

Nel 1925 fr. Giacomo poté finalmente imbarcarsi per l’Africa. Yoynyang e Tonga lo videro addetto alle costruzioni e all’orto. Fino al 1939; una tirata di 14 anni tra le paludi degli Scilluk e dei Nuer, gente diffidente. Giacomo si armò di pazienza, non solo per resistere alle provocazioni dei non simpatizzanti, ma anche per far fronte al clima, alle zanzare, alla malaria, agli strapazzi. In fondo era proprio quella la vita missionaria che aveva sognato. In ogni missione, suo primo compito era di coltivare un pezzo di terra: voleva che i confratelli avessero da mangiare bene, con roba sempre fresca e acqua potabile. Per questo scavò parecchi pozzi. Era instancabile. A chi gli diceva che doveva riposarsi un po’, rispondeva che suo padre gli aveva insegnato che per riposare non è necessario smettere di lavorare, basta cambiare occupazione. Su “La Nigrizia” di maggio 1928 c’è un articolo a firma di fr. Guadagnini (era bravo scrittore e troviamo molti suoi articoli) in cui parla dei progressi della missione di Yoynyang. “I ragazzi di terza sono in grado di insegnare ai loro compagni di prima e seconda... Molti ci domandano il battesimo, anche se noi andiamo adagio perché vogliamo cristiani ben formati umanamente... La gente non ci considera più amici degli schiavisti, ma ha capito chi siamo realmente... un tempo ‘accettavano’ il vestito. Ora lo cercano e si industriano di comperarlo, magari vendendo un po’ del loro grano... La casa dei Padri è lunga 22 metri e larga 8,50. La chiesa, pur non essendo grande, è bellina... Ogni giorno distribuiamo medicine ai malati. Ora si sta pensando alla stalla per avere il latte così necessario alla salute dei missionari, ad altri locali per la scuola, a un paio di catecumenati, alla scuola di cucito, alla casa per le suore, se verranno... Come sono felici le ragazze quando possono vestirsi con un abito confezionato da loro. L’orto va abbellendosi e arricchendosi di giorno in giorno. Una cinquantina di papaie danno già ottimi frutti, altre sono ancora piccole. Abbiamo banani e altre piante da frutto. Sperimenterò presto la coltivazione del riso e del ricino, che dovrebbero venire bene”. Questa era la sua umile giornata, ricca di soddisfazioni. E non parla mai del clima, delle periodiche inondazioni, degli insetti, degli attacchi di malaria...

Agronomo diplomato

Rientrato in Italia nel 1939, fr. Giacomo aveva in testa un’idea ben chiara: specializzarsi in agronomia per aiutare più efficacemente gli africani a elevare il livello alimentare della loro vita. Aveva visto troppe malattie causate dalla nutrizione non adatta, non variata, non igienica, non sufficiente. Eppure c’era tanta terra a disposizione! E anche acqua, bastava saperla incanalare o scoprire sotto terra. E l’allevamento del bestiame, non poteva essere una risorsa? Occorrevano mucche che fossero di buona razza e ben nutrite per dare latte. Andò a Remedello, in provincia di Brescia, dove c’era la famosa scuola agricola nella quale, da ragazzo, aveva studiato fr. Guido Giudici, e poi altri comboniani. Si applicò con serietà e si diplomò. Al momento della sua partenza per l’Africa, pieno di progetti e di buona volontà, scoppiò la seconda guerra mondiale. Ne visse gli orrori e assicurava di aver sperimentato la speciale protezione di San Giuseppe, cui si raccomandava devotamente ogni giorno. A malincuore, si rassegnò a mettere in pratica le sue cognizioni agrarie a Pesaro (1940-1946) dove Villa Baratoff possedeva un vasto appezzamento di terreno ed ospitava un consistente numero di seminaristi missionari. Fr. Guadagnini trovò pane per i suoi denti: dal mattino presto alla sera tardi era nel campo o nell’orto. E che razza di giardino! La terra rispondeva generosa alle sue cure.

Primo novembre di sangue

Nel 1946 fr. Guadagnini era a Mboro, nel Sudan meridionale. Scrive p. Lorenzo Bono: “Fui con fr. Guadagnini per qualche tempo a Mboro. Prima egli era stato a Yoynyang, tra i Nuer, dove aveva passato lunghi anni in quella difficile missione. Sue caratteristiche: amore al lavoro e alla preghiera. Lavorava sempre e i Neri lo accusavano di lavorare anche alla domenica in quanto approfittava della giornata festiva per girare in bicicletta o con la vecchia Guzzi 500 analizzando il terreno per vedere se era adatto alla costruzione di mattoni o di tegole, oppure se poteva servire a questa o a quella verdura, oppure alle piante da frutto. La sua passione era l’orto. Sfruttava proprio bene il suo diploma! A Mboro, costruita sopra una collina sassosa, non si era mai riusciti ad avere un orto stabile. Durante le piogge si seminava un po’ di insalata vicino al cimitero o in qualche altra parte ma, sopraggiunta la secca, tutto moriva. Fr. Guadagnini, appena giunto in quella missione, si preoccupò di trovare un terreno dove ci fosse acqua per quasi tutto l’anno. E ci riuscì dopo lunghe ricerche e fatiche. L’unico inconveniente era la lontananza dalla missione. Egli, dopo aver pagato il terreno al Capo Gaki, cominciò a scavare pozzi, a fare canaletti con mattoni e cemento, a squadrare il terreno dividendolo in vari settori: per la verdura, per le piante da frutto, poi recintò il tutto con siepe e filo spinato in modo da tenere lontane le bestie. Nel posto dove l’acqua era più abbondante, scavò un pozzo molto più profondo rispetto agli altri, con catena e una grande ruota perché desse un bel getto. Per farla breve, in pochi anni Mboro fu tra le missioni più ricche di frutta e di verdura. C’erano perfino aranci e mandarini... una vera provvidenza grazie alle fatiche e all’ingegno di fr. Guadagnini. Non parlò poi delle costruzioni da lui eseguite - prosegue p. Bono -. Lavorava lentamente, da buon trentino, ma con precisione e perfezione. È nota nella storia della congregazione, la sera del 1 novembre 1946 per il martirio di p. Arpe. Fr. Guadagnini ingaggiò un tremendo corpo a corpo con l’assassino del Padre, impedendo così una strage tra il personale della missione. Egli rimase anche ferito alla testa con una lanciata passatagli di striscio. Ciò nonostante non mollò. Fu vicino a p. Arpe fino all’ultimo, e fu lui ad estrargli la lancia dopo aver spezzato l’asta, come è descritto nel libro “I martiri comboniani”. Fu una notte di tragedia, quella, eppure fr. Guadagnini non perse mai la calma e il controllo della situazione. Che grande fratello!”. “Se non mandassi la mia testimonianza su fr. Guadagnini - scrive p. Francesco Rinaldi Ceroni - proverei rimorso. I suoi 54 anni di Africa possono essere divisi in tre parti. Primo periodo: 1925-39: prefettura apostolica di Kodok (l’attuale diocesi di Malakal). Egli parlava spesso e con piacere, quando gli si presentava l’occasione, dei tempi eroici di Yoynyang e Tonga, missioni tra le paludi dove la vita era crudele. Eppure rimpiangeva di averle dovute lasciare quando, per motivi politici, passarono ai missionari inglesi. Ricordava anche i nomi gloriosi della ‘vecchia guardia’: monsignor Mlakic, p. Crazzolara, p. Pizzioli, p. Martini, p. Prina. Secondo periodo: 1946-64: vicariato apostolico del Bahr el Ghazal, fino all’espulsione in massa di tutti i comboniani. Ricordo che quando si trovava a Mboro, noi di Wau si aveva spesso l’occasione di andare là e di sostarvi anche a lungo, sia per lo studio della lingua Ndogo, sia perché la missione di Mboro, sotto la guida di p. Arpe, era considerata una missione pilota. Quasi tutti i novellini vi sostavano un po’ prima di lanciarsi nel lavoro missionario vero e proprio. Ricordo il fratello, sempre metodico nel suo lavoro che faceva con vero impegno come fosse l’unica cosa richiestagli da Dio in quel momento. Lo vidi sempre calmo, sereno, unito a Dio nella preghiera. Quindi sempre pronto a partecipare agli atti comuni di preghiera, anche se ciò gli costava un po’ in quanto il suo orto era a circa due chilometri dalla missione”. Dal 1951 al 1955 fr. Guadagnini fu a Kuajok, sempre addetto alle costruzioni e all’orto. Egli si era formato l’idea - e a ragione - che uno può lavorare bene se ha mangiato bene. Per lui, dunque, il lavoro di contadino era vera missione, era autentica cooperazione alla “plantatio Ecclesiae” tra gli africani. Padre Pasina, suo superiore in quel periodo, lo definisce ‘ottimo, di grande carità, il cui lavoro è altamente apprezzato’. Ancora una sosta in Italia nel 1955, poi in Sudan, a Raffili, con l’incarico di coltivare una piccola piantagione di caffè, non per scopi commerciali, ma per uso domestico delle missioni. Iniziò i lavori ma non ne raccolse i frutti: venne espulso con tutti gli altri.

16 anni in Zaire

Dal 1964 al 1970 fr. Guadagnini fu a Verona come ortolano. Lavorò con l’impegno di sempre, ma il cuore era in Africa. Vedeva con apprensione gli anni passare, diventava vecchio e c’era il pericolo che qualcuno gli dicesse: “Rassegnatevi, ormai la vostra missione è qui”. Tanto più che ormai era completamente sordo. Scrivendo al Padre Generale il 13 novembre 1970, disse: “Ho una costante nostalgia per l’Africa”. “Spero di accontentarvi”, gli rispose p. Agostoni. Infatti, alla fine del 1970, ricevette il sospirato permesso: Zaire, la terra che pochi anni prima era stata bagnata dal sangue di alcuni confratelli e che ora si apriva ricca di promesse. “Il terzo periodo - scrive p. Francesco Rinaldi Ceroni - va dal 1971 all’86 nella diocesi di Isiro-Niangara, parrocchia di Tadu, fra la tribù dei Logo. Due cose mi hanno colpito: quando si passava dalla sua missione lo si vedeva con lo sguardo sempre sereno, come di uno che ha uno scopo ben preciso nel suo lavoro, uno scopo che va oltre i limiti dell’orizzonte terreno. Il lavoro era diventato per lui, preghiera, mezzo di santificazione personale e di attività missionaria. La seconda cosa che mi ha colpito è stata la partecipazione in massa della gente ai suoi funerali. Lo hanno pianto prima e dopo la sua sepoltura, come se si trattasse di uno della loro famiglia. E, volutamente, i confratelli hanno lasciato che tutto corresse secondo il costume africano. Era uno di loro. La sua tomba è proprio nel posto che lui aveva indicato e dove, ogni giorno, passava per andare dalla casa alla chiesa sgranando rosari”. A proposito dello spirito di preghiera di fr. Guadagnini abbiamo una bella testimonianza di p. Bono: “Oltre che uomo di gran lavoro, fu missionario di gran preghiera. Solo un ricordo. Ero stato improvvisamente chiamato a sostituire p. Sartori, malato ad una gamba, per predicare gli esercizi spirituali ai confratelli dello Zaire, precisamente a Ndedu. Nel ritorno mi trovai sulla Chevrolet di p. Rinaldi e vi era pure fr. Guadagnini il quale, trovandosi tra anziani, si lasciò andare a qualche confidenza. Ad un certo momento disse: ‘Io cerco di recitare cinque rosari al giorno. Li recito distrattamente, però, tuttavia spero che almeno valgano per uno’. Non potendo partecipare alla ricreazione, causa la sordità, leggeva. Leggeva libri sodi, come la Storia Ecclesiastica e cose del genere. Secondo me fu un vero santo, paziente, umile, mortificato e servizievole”. E p. Romeo Ballan: “Dove c’era lui non mancava mai la verdura e la frutta. Esatto e minuzioso in tutti i suoi lavori, grandi e piccoli, e sempre occupato, attivo ed attento ai dettagli che rendono preziosa la presenza del fratello in una casa. È uno che non ha mai dato noie ai superiori”.

Sordo, non orbo

Fratel Guadagnini era un sottile osservatore della realtà e degli uomini. Inoltre era dotato di un umorismo, tanto discreto, quanto ‘azzeccante’. In occasione degli 80 anni del fratello, p. Pietro Gasparotto ha raccolto delle scintille che vale la pena di riportare perché servono a capire l’uomo: “Andamento ricurvo, passo un po’ strascicato, e moto perpetuo dalle 6 del mattino alle 9,30 della notte, senza mai una siesta o altro riposo. Dirige il cantiere di costruzione di due grandi dormitori per catechisti, con soffitto sopraelevato per essiccatoio del caffè; c’è in più il lavoro dell’orto che fornisce verdura fresca alla missione tutto il tempo dell’anno; ed infine una bella squadra di ragazzetti, ora liberi dalla scuola, ai quali il fratello trova sempre un lavoretto adatto, con una umiltà e una pazienza infinita. Gli alunni delle scuole, oltre duecento, divisi per classi, fecero canti, danze e scherzi comici in onore del fratello davanti alla casa parrocchiale: gli sono grati d’aver loro costruito quattro edifici in mattoni cotti, con tante aule ampie e luminose: l’orgoglio di Tadu! E in dieci anni di lavoro, così metodico e costante, fr. Guadagnini ha veramente lasciato il segno a Tadu: suo è il dispensario maternità, sempre così frequentato; a lui si deve il sostanziale ampliamento della chiesa e della casa parrocchiale; suoi sono i saloni parrocchiali e la casa degli orfani, la fontana d’acqua al centro del paese e il pozzo della missione. Da Tadu il fratello non esce mai. Ma dopo molte insistenze, una volta accettò di andare in aiuto fino a Libabi, sulla strada dell’Uganda, per spiegare ai ferventi cristiani di quella cappella come preparare e poi collocare le grandi capriate della loro cappella in pietra. Il fratello misurò, spiegò, fece dei disegni, cercò di incoraggiare... ma quella cappella gli restò sullo stomaco... a volte qualcuno lo vide piangere, perché prevedeva che da soli non ce l’avrebbero fatta, o tutto sarebbe crollato dopo tanti sforzi... La provvidenza rimediò in tempo: fr. Pariani venne da lontano, e diresse da pari la copertura e rifinitura di questa splendida chiesa”. Quante cose in 80 anni così densi e pienamente vissuti! “La maggior parte sono cose tristi”, commenta il fratello, che peraltro non è né pessimista né disfattista e non perde mai la sua inalterabile pace e la sua fedeltà all’orario, alla preghiera, al lavoro. Fratel Guadagnini è celebre per le sue battute, che lasciano trasparire un umorismo sottile e costante, che diverte e non ferisce. Stando con lui si potrebbe fare una collezione di queste trovate umoristiche sui dettagli della vita quotidiana. Ad un padre che si complimentava col fratello perché ritiene ancora a memoria, in latino, le litanie del S. Cuore, della Madonna e di S. Giuseppe, egli si limitò a commentare: “Dicendole ogni giorno le imparerebbe anche lei”. Ad un altro, di notevoli dimensioni, che dichiarava di non aver fatto il militare perché la patria non sapeva cosa farne di lui, il fratello osservò pronto: “Ma sarebbe stato un bel bersaglio!”. Per spiegare che pochi vogliono lavorare la terra, porta una ragione imprevista: la colpa è della terra, perché si abbassa sempre di più... A proposito dei Fratelli, egli commenta una classificazione già classica nelle sue prime missioni: ci sono fratelli “laici”, senza importanza, che fanno un po’ di tutto; poi ci sono i fratelli “coadiutori”, che sono già ad un livello più distinto; infine ci sono i “brilliant brothers”, i fuoriserie, gli elegantoni, quelli che non devono sporcarsi le mani, i conversatori interminabili... Il suo parere a proposito di certe tasse imposte ai confratelli per aiutare la nostra Provincia missionaria, appare subito chiaro quando l’ha designata “madre affamata”. Per indicare che un certo padre ha le mani bucate, osserva: “Mettete lui economo, e sarete presto ben puliti!” “Una buona insalata ha bisogno di quattro personaggi: un saggio per il sale, un avaro per l’aceto, un prodigo per l’olio, un fantasioso per mescolare bene il tutto”.

Ministro dell’Eucarestia

Una delle gioie di fr. Guadagnini fu l’incarico di ministro dell’Eucarestia. Prosegue p. Gasparotto: “Per la messa ci tiene a venire sempre in veste bianca e ben volentieri aiuta a distribuire la Comunione, se c’è bisogno. Per l’Angelus, la visita al Santissimo, il rosario e la compieta in comune, è sempre lui a dirigere con rigorosa puntualità e devozione. C’è chi assicura che durante il lavoro continua a dire brevi preghiere. Una preghiera che si fa lavoro, tenace ed efficace. Stupisce infatti l’agilità con cui ancora, più volte al giorno, si arrampica sul cantiere, al secondo piano, tra pali, mattoni, assi e lavoratori, senza smarrirsi e senza cadere, nonostante ci veda poco e ci senta ancor meno. E stupisce anche l’esatta puntualità con cui per cinque giorni consecutivi interrompe il lavoro per seguire le meditazioni degli esercizi spirituali, fatti con vero impegno, sopprimendo per un maggior silenzio l’unica ricreazione comunitaria della sera. In questi giorni, esattamente il giorno della festa, abbiamo potuto ammirare la sua energia durante una lotta di un’ora e mezza contro le formiche rosse (che qui sono peraltro di un colore marrone scuro) che avevano attaccato il pollaio da tutte le direzioni e da tutte le pareti. Riempito di formiche ‘guerrieri’ da capo a piedi, cambiatosi, almeno tre volte, continuò con brace, paglia, stracci infuocati e cenere, finché non riuscì a mettere al sicuro pulcini, galline, anitre... ‘Sembrava di essere in guerra’, commenta sorridendo, senza imprecare, sereno come sempre, quando finalmente si può andare a dormire. Dicono che alle medicine non crede molto, anche se le cerca attentamente per i suoi operai. Quando gliele prescrivono, le prende, ma poi, a volte, restano sul tavolo per mesi... Crede molto di più al potere curativo delle foglie di cavolo, dell’acqua di argilla... e, perché no, di un buon bicchierino prima di andare a dormire. Veramente c’è da ringraziare, da imparare e da augurare che ciò duri ancora a lungo, a gioia sua e dei missionari, a edificazione dei cristiani di Tadu ed a gloria del Signore”.

Restano di lui...

Prima di andare in vacanza nel 1977, dopo 6 anni di missione, volle l’assicurazione scritta dal padre provinciale che lo avrebbero lasciato ritornare. Le ossa, voleva ad ogni costo lasciarle in Africa. Trascorso qualche mese in Italia, ritornò perché “aveva ancora tante cose da fare”. Nel 1983 cadde dal tetto di un edificio in costruzione. Niente di rotto, ma... Inoltre la malaria si faceva sentire sempre più spesso e con rinnovata aggressività. “Avrebbe bisogno di una cura in Italia - scrisse p. Milani - perchè a volte perde l’equilibrio. Poi, però, lo vogliamo ancora qui perché è di esempio a tutti e in tutto”. Come il soldato valoroso, ma è meglio dire - più evangelicamente - come servo fedele, fr. Guadagnini è rimasto al suo posto fino all’ultimo, lasciando all’Africa anche il suo corpo. “Di lui restano, - scrive p. Aldegheri - la sua fede incrollabile, la sua preghiera continua (in particolare il rosario), la sua pazienza, la sua laboriosità, il suo attaccamento alla missione. ‘Parto in vacanza solo se il biglietto è di andata e ritorno’. Per tutti noi è un esempio di fedeltà e di perseveranza, degno di essere seguito ed indicato agli altri”. Avremo i nostri peccati, anche noi comboniani, ma finché il Signore ci dà uomini di questa tempra vuol dire che ci vuole bene e che non è scontento della nostra congregazione. Certe morti, precedute da certe vite, sono segno di speranza e di vittoria per i valori del Regno.             (P. Lorenzo Gaiga)

Da Mccj Bulletin n. 150, luglio 1986, pp.88-95