«Chi non conosceva P. Juan?». E con questa domanda che la gente di El Carmen e dei villaggi vicini ha accolto la dolorosa notizia della scomparsa di P. Giovanni Riva, morto il 2 gennaio 1981 a Inzago, suo paese natale. La partenza di P. Riva per la Casa del Padre è giunta per molti inaspettata, ed ha lasciato nello sconforto non solo la comunità comboniana dell'Ecuador, di cui era il Superiore Provinciale, ma le centinaia di persone e amici che da quasi ogni parte del mondo lo ricordavano e seguivano la sua attività missionaria.
Formatore
Nato il 19.8.1924 a Inzago, provincia di Milano, a 17 anni era entrato nel noviziato di Venegono, dopo aver completato il ginnasio nel seminario di Milano. Ordinato sacerdote a 25 anni, aveva svolto il suo sacerdozio nella preziosa opera della formazione per ben 20 anni a Crema, a Pesaro e di nuovo a Crema. In quest'ultimo seminario, di sua iniziativa, aveva aperto le porte alle «vocazioni adulte», prestando a questi giovani le sue cure più attente. Quindi era passato in Spagna, dove dal 1971 al 1976 si era dedicato con fervore alla formazione dei novizi e degli scolastici comboniani prima a Moncada e poi a Granada. Finalmente, il 22 ottobre 1976, poteva partire per l'Ecuador, esaudendo a 52 anni quel desiderio di lavorare in terra di missione, che era stato il principale ideale della sua vita. Eletto superiore provinciale, venne in Italia per il Capitolo del 1979, per poi tornarvi definitivamente, meno di due anni dopo, minato da un male incurabile. Ritornato in Ecuador dopo il Capitolo, infatti, P. Riva aveva ripreso la sua attività con il solito zelo, ma la sua salute era andata rapidamente peggiorando, obbligandolo a frequenti controlli medici e forzato riposo. Egli comunque non si preoccupava eccessivamente della sua salute, desideroso soltanto di dedicare tutto se stesso agli altri. Quando in ottobre fu costretto a rimpatriare, fu una triste sorpresa per tutti sentire dai medici che ormai il suo male era talmente avanzato che c'erano pochissime speranze di guarigione. Il fratello, dottor Franco, lo volle in casa sua ad Inzago, e le due sorelle gli prestarono le più generose attenzioni. P. Giovanni non perdette mai la speranza, e continuò ad interessarsi alle questioni della provincia e missioni dell'Ecuador, esprimendo sempre il desiderio di ritornare, edificando parenti, amici e confratelli che andavano a visitarlo. Si è spento il 2 gennaio 1981, ed è stato sepolto nella tomba di famiglia. Fin dagli anni in cui lavorava a Crema, le grandi qualità umane e spirituali di P. Riva ebbero occasione di rivelarsi a chi l'accostava. Ricorda P. Zorzato: «Nonostante siano passati tanti anni dai tempi di Crema, e dopo di allora non ci sia stata nessuna occasione di incontrarci ancora, io ho continuato a sentire verso P . Riva un legame di sincera amicizia. Era infatti uno di quegli uomini pieni di schiettezza e di sincerità, che suscitano stima e comprensione vicendevole. P. Riva si era guadagnato una grande stima anche presso il clero e i laici di Crema. Gli insegnanti laici che venivano a insegnare nel nostro seminario erano particolarmente legati a lui». Così per gli anni passati in Spagna: tanti sono i giovani missionari che egli ha seguito durante il periodo di formazione, e che hanno trovato in lui una vera guida spirituale anche nei momenti più delicati del loro cammino verso il sacerdozio.
Missionario
Ma dove tutto il suo amore per la missione ha potuto manifestarsi in modo più completo, è stato proprio in Ecuador, durante quegli anni - sia pur pochi - in cui P. Riva ha vissuto vicino ai poveri condividendo le loro sofferenze. P. Giovanni arrivò in Ecuador nell'ottobre del 1976, incaricato dell'apertura di una nuova missione, El Carmen, insieme ad altri due confratelli. L'inizio fu duro. I comboniani avevano trovato una casa parrocchiale vecchia e cadente, completamente priva anche del necessario e infestata dai topi. La chiesa non era da meno: era ormai marcia e pericolante. Anche la gente era fredda e religiosamente indifferente. In poco tempo, superando mille peripezie, i comboniani riadattarono la casa e costruirono una grande chiesa parrocchiale, iniziando opere educative e sociali e portando avanti un lento riavvicinamento con la gente. Fin dall'inizio, P. Riva dimostrò grande capacità di pazienza, ascolto, comprensione e adattamento, che gli permisero di ovviare alla sua inesperienza missionaria e di conquistare il cuore della gente. Con tatto e discrezione cercava di sanare i dissidi, di sdrammatizzare gli avvenimenti. «Non è che non prendesse le cose sul serio - scrive P. Basso - o che non si rendesse conto della gravità di una situazione... Ma parlando con lui, a volte anche solo raccontandogli i fatti, si aveva l'impressione che tutto diventasse più semplice e anche quando non si arrivava subito ad una soluzione concreta del problema, si andava via dal colloquio con il cuore più leggero, più disposti a continuare, più sereni, insomma». Nonostante avesse già più di cinquant'anni e soffrisse per le conseguenze di un'operazione fatta in Europa, egli stesso aveva scelto di non restare al centro della missione, e affrontava volentieri gli strapazzi di prolungati viaggi apostolici per giungere ai più di 100 villaggi e paesi del territorio. Predicava con molta semplicità e chiarezza, si direbbe con il cuore in mano e con l'umiltà dei piccoli, per cui il suo parlare piaceva e conquistava sia gli analfabeti della foresta che gli istruiti della città.
Superiore provinciale
Per queste sue virtù, già conosciute da molti confratelli in Ecuador, prima del suo arrivo, dopo appena un anno e mezzo di permanenza venne eletto superiore provinciale. In questo nuovo servizio, ebbe occasione di manifestare sempre grande amore alla congregazione e ai confratelli, soprattutto a quelli che si trovavano in crisi d'identità. Aveva accettato di essere superiore per obbedienza, ma il suo amore alla gente e alla missione era più grande. Aveva trasferito la sede del provinciale da Esmeraldas a Quito, più per ascoltare i consigli dei confratelli che per vero desiderio personale. Per questo, ogni volta che gli era possibile, tornava a El Carmen per aiutare i missionari, e usciva in lunghi «recorridos» che gli permettevano di ristabilire i contatti con i piccoli e i poveri. E, quando nei primi mesi del 1980 cominciò a manifestarsi la malattia che doveva portarlo alla morte, non se ne preoccupò e continuò a rendersi utile alla congregazione e agli altri, come se niente fosse cambiato. Perciò la notizia della sua morte ha sorpreso molti: il suo popolo di El Carmen lo aspettava di ritorno e invece si è dovuto accontentare di partecipare tutto, unito e commosso, alla Messa di suffragio. Non sono mancati attestati di sentite condoglianze da parte delle autorità della regione: il consiglio municipale di El Carmen ha espresso in un documento comunicato alla stampa tutto il suo dolore per la perdita di questo «distinto Pastore di Cristo, che sviluppò un proficuo lavoro comunitario a favore dei settori emarginati».
Testimonianze
Tra le tante testimonianze pervenute, ne abbiamo scelte due, scritte da persone molto diverse tra loro, ma che sono accomunate dalla medesima impressione che il contatto e l'amicizia con P. Riva ha loro fornito. La prima è di un’impiegata del Vicariato apostolico di Esmeraldas: «P. Riva veniva, mi pare, ogni due mesi, per scrivere il ciclostilato "Combonianos en Ecuador", cosa che richiedeva alcune ore. Non si adirava né spazientiva mai, nemmeno quando doveva aspettare a causa dei miei continui errori e conseguenti correzioni. Una volta mi disse: - Sei molto stanca, hai fatto tanti errori -. Ed era la verità. Ma ciò mi dimostrò ancora una volta la sua pazienza e la sua grandissima carità... Mi ha sempre edificato la sua semplicità, la sua povertà, il suo spirito di sacrificio: niente per sé, tranne il servizio agli altri. Nessuna ricerca di facilitarsi le cose, nemmeno i continui viaggi che faceva. Qualcosa in lui faceva trasparire la presenza di Dio». L'altra testimonianza è di un illustre confratello, che forse più di ogni altro ha avuto modo di seguire da vicino P. Riva negli anni della sua missione in Ecuador, Mons. Enrico Bartolucci, vescovo di Esmeraldas: «Il mio ricordo di P. Riva risale a tanti anni fa, ai tempi in cui si occupava delle vocazioni adulte, a Crema, e mandava a me, che lavoravo a Nigrizia, lettere e testimonianze dei suoi giovani perché le pubblicassi. Da sempre mi ha colpito in lui quella pace forte e serena che emanava dalla sua piccola e compita persona, dalla sua voce, dai suoi gesti. Qui, appena giunto, si inserì con estrema facilità. E immediatamente e spontaneamente conquistò la stima e la simpatia di tutti con la sua autorevolezza morale. Sapeva coinvolgersi nei problemi, e sapeva soffrire, ma non si lasciava mai schiacciare né trascinare dagli avvenimenti. Nelle difficoltà, prescindendo dalla soluzione dei problemi troppo spesso insolubili, sapeva sempre comunicare una speranza e una pace superiore, un senso di fiducia che induceva anche noi a guardare avanti, o - meglio - in alto. L'equilibrio, la saggezza istintiva, una schietta e serena libertà di dialogo, il senso del dominio di sé e degli avvenimenti erano certamente anche il frutto di una vita interiore profonda e ordinata. Ma erano soprattutto doni che il Signore gli aveva concesso a beneficio di tutti noi. Adesso che se ne è andato, ne sentiamo la mancanza e il rimpianto. Ha dedicato il più e il meglio della sua vita a formare missionari e sacerdoti. E anche qui in Esmeraldas ha avuto e ha diffuso fiducia nei nostri seminaristi: ha creduto che anche questa nostra Chiesa esmeraldegna, ancora tanto spoglia e bambina, potesse produrre frutti di santità, e vocazioni religiose e sacerdotali.
Un piccolo grande uomo
Il suo ricordo resterà per sempre in mezzo a noi. E sarà un perenne richiamo e stimolo a volerci più bene, a stimarci di più, a stare più vicini gli uni agli altri, a ricominciare daccapo con santa ostinazione ogni giorno la nostra umana fatica per costruire il regno, dentro di noi e tra di noi, anzitutto, e in mezzo al nostro popolo». Mentre andiamo in stampa, ci giunge questa testimonianza sulla morte di P. Riva: «La sua morte è stata qualche cosa di bello per l'animo religioso. Nella notte cominciò a star male ed ebbe due crisi d'enfisema polmonare; gli erano accanto la sorella e il fratello. Si fece reggere a sedere e poi guardandoli disse: "La cerimonia è finita, andiamo cantando". Così dicendo iniziò una salmodia e spirò dopo pochi versetti. È stato veramente un piccolo grande uomo!» (Don Bruno Strazieri)
Da Mccj Bulletin n. 132, giugno 1981, pp.71-74