In Pace Christi

De Berti Aleardo sr.

De Berti Aleardo sr.
Data urodzenia : 10/12/1898
Miejsce urodzenia : Roverchiara VR/I
Śluby tymczasowe : 08/06/1923
Śluby wieczyste : 19/03/1925
Data święceń : 12/07/1925
Data śmierci : 02/01/1969
Miejsce śmierci : Venegono/I

            È scomparso la sera del secondo giorno dell'anno. Sulla mezzanotte precedente, rientrando in camera dopo un breve giro in corridoio, era stato preso da dolori lancinanti, apparentemente allo stomaco, simili a quelli accusati prima dei due ultimi interventi. Grazie ai calmanti, i dolori passarono; e alla sera verso le 18, egli appariva in buone condizioni a tre Padri con i quali si intratteneva. Invece, un'ora dopo venne trovato ben composto nel letto, come assopito, spirato da circa mezz'ora.

            P. Aleardo De Berti era nato a Roverchiara (Verona) il 10 dicembre1898. Entrò nel seminario diocesano nel 1911, per iniziarvi il secondo anno di ginnasio, e dovette lasciarlo nel 1917, al termine del secondo anno di liceo, chiamato a servire la patria come ufficiale. Combatté sul Piave e, finita la guerra, fu per circa due anni nel Trentino. Congedato il 5 gennaio 1921 col grado di tenente, nell'aprile successivo entrava nel Noviziato a Savona, per compiere l'ideale accarezzato fin dal primo anno di seminario. Emise i primi voti a Venegono 1'8 giugno 1923 e la professione perpetua a Verona il 10 marzo 1925. Come Scolastico si prestò nell'incipiente «Ufficio Nigrizia ». Fu ordinato sacerdote il 2 luglio 1925.

            Il 3 dicembre seguente partiva da Venezia per l'Uganda. Confidava da Khartoum il 6 gennaio 1926: «Io dico sempre al Signore: conservatemi sano ed io mi consumerò, con la vostra grazia, tutto per Voi, pel bene di quelle anime che Vi degnerete di affidare alle mie cure ». Proseguendo il viaggio in battello, quindici giorni dopo si vedeva morire tra le braccia, invano assistito da medici e da un Fratello, il P. Cesare Bezzecchi, poco più anziano di lui, sepolto sulla sponda sinistra del Nilo, all'altezza di Bor (Nel 1954 P. De Berti cooperò a ritrovare ed esumare i resti di P. Bezzecchi, che vennero trasferiti a Wau da Mons. Mason).

            Arrivato a Gulu, P. De Berti venne subito messo a capo della Scuola Artigiani. Trasferito al Bahr el-Gebel, il l° maggio 1927 raggiungeva Torit, e il l0 luglio 1928 passava ad Isoke. «Benché giovane, egli è pieno di buona volontà e dà speranza di riuscita» poteva scrivere il suo Regionale. A Torit le difficoltà non gli erano mancate. Febbri prolungate, Capi contrari, carattere fiero dei Lotuho, catecumenati quasi vuoti, carestia e conseguente rinvio dei catecumeni di stazione, e inoltre, nel marzo

1928, un uragano che allagò la casa dei missionari e abbatté la chiesa e le altre costruzioni. Accennando al suo ministero e alla situazione, egli scriveva: «Ho viaggiato parecchio per visitare i catecumenati...Attribuisco questa sterilità un pochetto anche alle mie miserie. Di tanto in tanto me la piglio anche con S. Teresa del B. G., perché in fin dei conti, se io sono responsabile di Torit davanti agli uomini, S. Teresa lo è in parte davanti a Dio. Una confidente preghiera a S. Teresa mi ridona il coraggio e la pace».

            Isoke era allora la stazione più desolata della nuova Prefettura. Pochi catecumeni in missione, gli altri catecumenati quasi deserti, e movimento religioso pressoché nullo. Il «gelato inverno» continuò nel1929, nonostante una ventina di cappelle, l'aiuto delle Suore nelle scuole e un discreto numero di alunni; e proseguì nel 1930: la festa patronale dei SS. Pietro e Paolo registrò solo sei battesimi solenni. E un mese prima era morto il Fratello.

            Al principio del 1931 il Prefetto Apostolico indisse preghiere speciali in tutte le stazioni per Isoke. E a Isoke apparvero sintomi di un risveglio. Alla missione i catecumeni si avvicinarono alla trentina (e sembrò un miracolo!). I due Padri, veramente « cor unum et anima una», senza paura di sporcarsi le mani, erano riusciti ad avere, oltre la chiesa, una scuola e due dormitori in muratura. E imploravano un Fratello che venisse a costruire dimore stabili per i missionari, perché le abitazioni cadenti costituivano un pericolo per l'incolumità. I Padri continuarono a fare del loro meglio alla missione e nei safari, e nel 1933 i cattolici erano quasi 500 e gli alunni più di 200.

Superiore Maggiore

Nel 1934 P. De Berti veniva nominato Superiore Regionale del Bahrel Gebel, e si stabiliva a Juba. Tre anni dopo, prima dell'inizio del Capitolo, dichiarava: «Faccio presente ai Superiori la mia inettitudine a tenere l'ufficio di Superiore di Circoscrizione. Dispongano quindi di me come meglio credono in Domino. Sono pienamente disposto a lavorare in qualunque stazione come secondo Padre ».

            Invece venne confermato nell'ufficio, e nel gennaio 1938, dopo una capatina in Inghilterra, era di nuovo nel Bahr el Gebel. Fissò la residenza prima a Okaru e poi a Palotaka. Alcune frasi della sua corrispondenza col Superiore Generale rivelano il suo spirito. « Si tira avanti come il solito, eccetto qualche quarto d'ora d'apprensione... – Mi dia una buona benedizione ... - La pregherei di prendere ora in considerazione la posizione dell'attuale Superiore di Circoscrizione del Bahrel Gebel. Le mie negligenze e poco edificanti esempi possono ben poco incoraggiare gli altri... - Che S. Teresa sia sempre la mia guida. Per stavolta ho finito. Mi compatisca e mi benedica ».

            E arrivò la guerra. Nel settembre 1940 i missionari furono concentrati in tre missioni: Isoke, Okaru e Palotaka (con Lerwa come succursale).Da Juba il Prefetto Apostolico poteva visitare tutte le missioni. Catechisti e maestri fecero meraviglie nelle missioni deserte. Nell'agosto1942 i missionari furono rimessi in libertà, e poterono riprendere il lavoro ordinario, obbligati solo ad informare l'autorità prima di ogni spostamento.

            L'animo di P. De Berti in quel periodo si manifesta in alcune frasi dei laconici messaggi inviati a Verona nel 1943-44: « Lavoro ordinario nelle stazioni. - Si lavora e si prega ovunque. - Ho visitato tutte le stazioni. Dappertutto si lavora e si prega». E appena finita la guerra scriveva: « Fin dal principio della guerra ho ordinato la recita delle Litanie del S. Cuore dopo le preghiere del mattino. Si, abbiamo pregato, e per la povera umanità traviata e per la nostra amata Congregazione e Missione». E, dopo avere accennato allo sviluppo delle scuole, conchiudeva: «Dica ai cento candidati che aspettano il via, che siano preparati anche alla prosa della scuola. Alle quasi-parrocchie attendiamo noi dell'altro secolo».

            Alla fine del 1946, alla vigilia del settimo Capitolo, P. De Berti scriveva candidamente: « Dopo vent'anni di Superiore io ho bisogno di farne altri venti di suddito e buon suddito. - Mi dia il permesso di prendere il biglietto di andata e ritorno. - Un posticino nel Bahr elGebel, sia pure a 50 miglia a est di Kapoeta, spero mi sarà riservato. Basta " careghe "; ora devo imparare a fare il suddito e buon suddito».

            Invece il Capitolo del 1947 lo nominò Assistente Generale; ed egli dovette fermarsi a Verona. Oltre agli incarichi del suo ufficio, si occupò specialmente dell'economia della casa e della propaganda, prestandosi per ministero e giornate missionarie nelle parrocchie, approfittando anche della simpatia che godeva tra il clero veronese, soprattutto tra i numerosi compagni di seminario.

            Nel 1950 passò a Thiene, come Superiore. Forse quello fu il periodo più fiorente della Scuola Apostolica, in questi ultimi tempi. P. De Berti non solo promosse la propaganda per le vocazioni, coadiuvato efficacemente dai confratelli, ma impresse un ritmo di reciproca fiducia e responsabilità tra religiosi e aspiranti, che diede numerose e buone vocazioni.

Il « buon suddito »

            Il 28 novembre 1953 poteva imbarcarsi di nuovo a Venezia per ilBahr el Gebel, destinato a Palotaka come Superiore. Ma un anno dopo superò una « febbre nera » solo grazie alla trasfusione del sangue di un giovane maestro Avokaya. Passò quindi a Rejaf, in riposo. Rimpatriò nell'ottobre 1955, e assunse l'ufficio di economo in Casa Madre. Ma nel1956 veniva destinato a Rebbio, come Superiore, incarico che conservò fino al 1964.

            In quegli otto anni procurò di avere validi collaboratori per cercare e coltivare buone vocazioni; e si dedicò in modo particolare alla propaganda e alla raccolta di offerte, anche nella vicina Svizzera, raccogliendo i fondi che permisero poi i lavori di ampliamento e sistemazione di quella Scuola Apostolica. Purtroppo la sua salute, mai robusta, e che non gli aveva permesso un'intensa occupazione mentale, pur senza impedirgli una molteplice attività esterna, cominciò a declinare, con lancinanti dolori e interventi chirurgici, che l'obbligarono a lunghe degenze in ospedale e a particolari riguardi nella dieta e nel lavoro. Però non perdeva mai il buonumore e l'apparente esuberanza, anche se era sotto l'incubo di mali peggiori.

            La sua vita dal 1964 alla morte la riassunse lui stesso lo scorso ottobre sopra un formulario: «Sempre a Venegono, come buon suddito. Da alcuni mesi Assistente malati "Volontari della Sofferenza" di Varese e Provincia ».Di malattia se ne intendeva per esperienza personale, e vista 1'organizzazionedel Santuario di Re, si era dato con passione a questo apostolato. Un giorno parlò con tale spirito ad un gruppo di ragazzi malati, che un signore, commosso, gli pagò subito auto e poi benzina per compiere meglio il suo ministero. E con l'aiuto dell' «Ausilia» P. De Berti poté assistere i malati anche a domicilio; ed essi sussultavano di gioia appena lo sentivano arrivare e, ancora prima di vederlo, ne udivano la voce e il saluto.

            Col pieno consenso dei Superiori aveva organizzato una Giornata Malati a Venegono per il 26 gennaio u. s. La Giornata, sul tipo delle Giornate di Lourdes, si svolse regolarmente quel giorno, con partecipazione di una cinquantina di malati, alcuni dei quali in barella, tra una commozione indescrivibile degli stessi sofferenti e dei confratelli, i quali - secondo il desiderio del Padre - avevano conservato il presepio fino a tale data.

            Come in passato, P. De Berti si era alzato sulla mezzanotte del 31 dicembre 1968, aveva pregato e aveva affidato al diario il programma per il 1969, scrivendo: « Gesù, aiutami a vivere il nuovo anno nel tuo amore. Fa che la mia presenza tra gli ammalati sia di utilità alle loro anime e di conforto alle loro sofferenze. - Quod vis. Ma se possibile: croci, poche; gioie, tante ». Forse questo abbandono fiducioso e filiale nell'amore del Cuore di Gesù può riassumere lo spirito del caro Padre.

Da Bollettino n. 89, aprile 1969, p.106-109