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Nr pisma
Odbiorca
Znak (*)
Miejsce napisania
Data
341
Firme Messe
1
Cairo
1869
FIRME DELLE MESSE CELEBRATE

NELLA CHIESA DI CAIRO

ACR, A, 24/1



342
Firme Messe
1
Alessandria Egitto
1869
343
Madre Emilie Julien
0
Cairo
18. 1.1870
A MADRE EMILIE JULIEN

ASSGM, Afrique Centrale Dossier



Cairo, 18/1 70

Mia carissima e reverenda Madre,
[2016]
Non posso esprimerle il dolore che provo nel vedermi obbligato a lasciar partire per Gerusalemme Sr. Maria Bertholon. Sarà impossibile trovare una Suora così buona e così disponibile. Da questo momento le dichiaro di non rinunciare a Sr. Maria. La lascio partire per seguire l'obbedienza che le ha inviato, perché altrimenti io temo che la Congregazione di S. Giuseppe non mi soddisferebbe nelle preghiere che farei in avvenire per ottenere delle Suore. Sr. Maria si è dedicata moltissimo alla mia Opera: non potrei mai ricompensarla abbastanza per tutto il bene che ha fatto nel mio Istituto. Ella ha sopportato con costanza ammirevole tutte le pene che sono inseparabili in un'opera agli inizi. Vi è un grande lutto nel mio Istituto a causa della sua partenza. Non si mangia, non si cucina; le morette sono inconsolabili. Ella resterebbe molto volentieri, ma siccome è una vera religiosa, non ama mancare all'obbedienza. La lascio dunque partire perché spero che mi prometterà in una lettera di accordarmela in breve tempo. Ella ha sempre domandato di non essere Superiora, ma non ha mai domandato di abbandonare le mie morette. E' talmente umile che sarebbe ben felice di rimanere qui sotto la direzione di Sr. Veronica.


[2017]
Faccia dunque attenzione, mia buona Madre; io tengo Sr. Elisabetta per sempre, ma nella speranza che Sr. Maria sia concessa al mio Istituto. La buona Suor Veronica non la conosco, ma a giudicare da quei pochi giorni in cui ella è da noi, mi piace molto ed è molto amata dalle morette. Spero che sarà la Superiora che mi abbisogna. Dunque la prego di conservare Sr. Maria per me e di non destinarla altrove. Ella va a Gerusalemme, ma la prego di accordarla al mio Istituto quando gliela domanderò. Prima di tutto l'obbedienza, ma poi le raccomando la carità. Le chiedo una brava e buona Suora araba: l'aspetto dopo la festa di S. Giuseppe. Così avrei quattro Suore, e più tardi, cinque con Sr. Maria e sarà contento. E perché cinque Suore? Perché non tarderò a inoltrarmi nell'Alto Egitto (clima migliore di quello d'Europa) allora o bisogna andare là, o intraprendere, con l'aiuto di S. Giuseppe, la scuola delle ragazze al Cairo Vecchio, occupata attualmente dalla Madre Caterina, della quale ignoro del tutto la destinazione.


[2018]
Ho una grande stima della brava Sr. Maraval, Assistente, ma mi sembra che si sia lasciata montare la testa, togliendomi Sr. Maria. Io non posso perdonarla. Tutta la mia fiducia è posta in lei, mia buona Madre. Lei m'ha fatto tanto del bene e me ne aspetto ancora in questa circostanza. La ringrazio molto per avermi concesso Sr. Veronica perché mi sembra, come le ho già detto, ben a proposito per noi, ma la ringrazierò meglio se mi accorderà ancora Sr. Maria e una buona Suora araba. Mi risponda in proposito per cui ho già incaricato P. Stanislao. Dopo la sua risposta mi metterò d'accordo con il Delegato (che farà il mio piacere) e tutto sarà finito.

Porga i miei ossequi a Sr. Celeste, alla signora de Villeneuve e preghi per il suo umilissimo figlio



D. Daniele Comboni



Traduzione dal francese.






344
M. Eufrasia Maraval
0
Cairo
25. 1.1870
A MADRE EUFRASIA MARAVAL

ASSGM, Afrique Centrale Dossier



W.J.M.J.

Cairo, 25/1 70

Mia M. R.da Madre,
[2019]
E' con il più grande rammarico che lascio partire Sr. Maria; se non avessi il timore di compromettermi con la Congregazione e di causare dispiacere alla Madre Generale, non avrei lasciata partire una Suora che lei sa quanto stimi e alla quale io tenevo molto. Ma le dichiaro che non rinuncio a Sr. Maria, ma la reclamerò più tardi per la mia Opera che, per lo sviluppo che sta prendendo, ha bisogno almeno di cinque Suore. Ho scritto alla Madre Generale e al Card. Barnabò che reclamerò a suo tempo Sr. Maria, come colei che ha dedizione per le morette. Ella ha chiesto di essere sollevata dalla carica del superiorato, ma non ha chiesto di essere trasferita altrove. Sr. Maria è umile; può darsi che per la sua umiltà sarebbe felice di sottomettersi a una nuova Superiora. Ma ella si preoccupa prima di tutto dell'obbedienza: vuole obbedire ed è per questo che è ancora più stimabile.

Lei avrebbe potuto inviarmi Sr. Veronica (che mi sembra molto buona e assai capace e mi piace molto, come al P. Piero) e lasciarmi in più Sr. Maria. Lei avrebbe potuto farmi evitare un dispiacere così grande, ma le perdono a condizione che aiuti la mia causa presso la Madre Generale al fine di concedermi di nuovo Sr. Maria e una brava Suora araba. Mi occorrono le Suore per due case.


[2020]
In confidenza le annuncio che il Card. Barnabò mi ha chiamato a Roma per affari della Missione. Egli mi ha fatto un grande rimprovero cardinalizio perché ho condotto le Suore di S. Giuseppe in Egitto senza un regolare permesso di lui, Prefetto di Propaganda e Protettore e perché non gli ho scritto tutti i mesi. Io non ho fatto che ridere e gli dirò che ho guadagnato una indulgenza plenaria facendo la mia santissima volontà. Il Cardinale mi farà concedere anche Sr. Maria e la Madre Generale (che sarà a Roma) sarà molto buona con me. Non partirò che verso la fine del prossimo mese, ma la prego di non dire ciò a nessuno, perché il bel tacere non fu mai scritto.


[2021]
La prego di porgere i miei ossequi alla Superiora dell'ospedale e alla cugina del mio carissimo amico, il celebre Gesuita maltese Padre Fenek. Ora c'è dolore a casa nostra per la partenza di Sr. Maria. E' appena uscito il nostro medico turco che ha invocato in testimonio Maometto, che ha pianto ed è infelice per la partenza di Sr. Maria perché non c'è, ha detto, una donna al mondo come Sr. Maria. Fiat! Il Buon Dio ce la concederà ancora.

Gradisca l'espressione della mia stima e del mio dolore.



Suo affezionatissimo

D. Daniele Comboni

M.o A.o



Traduzione dal francese.






345
P. Luigi Artini
0
Cairo
27. 1.1870
AL PADRE LUIGI ARTINI

APCV, 1458/242



W.J.M.J.

Cairo, 27/1 70

Mio R.mo P. Provinciale,
[2022]
E' molto tempo che io le avea preparata una lunga lettera, che sta sul mio tavolo ancora, e non l'ho spedita nemmeno per Bachit. Finalmente oggi ho pensato di scriverle, benché affogato da mille occupazioni. Ho scrupolo e dolore per aver concesso ai due pellegrinanti soli 20 giorni fra andare e venire da Gerusalemme: io ne ho loro concesso 20 perché se ne piglino 40; ma furono esatti oltre ogni credere, cento volte più di Comboni; e contro la mia aspettazione lieti e contenti mi capitarono a casa ai 7 gennaio. Mai veduta tanta esattezza in vita mia. Sono lezioni del Paradiso. Altra lezione magnifica del Paradiso.


[2023]
Ho ottenuto finalmente dalla Delegazione Ap.lica il P. Bernardino, che dal 2 al 22 febbraio mangerà, berrà, dormirà, e lavorerà in casa mia, mentre dai 2 agli 11 darà gli esercizi alle Istitutrici more mie, e dagli 11 al 21 darà gli esercizi alle mie Monache. Stanislao me ne ha condotta una da Gerusalemme che è una perla. Al 22 una magnifica veleggiata sul Nilo chiuderà il nostro convegno del Paradiso. S'intende che il P. Provinciale è il protagonista della scena. Oggi p.e. il P. Bernardino passò una bella giornata, disse; il P. Stanislao non v'era, avendolo ieri mattina mandato in Alessandria.


[2024]
I suoi due cari figli Stanislao e Beppi sono due perle di missionari. Essi si preparano per la Nigrizia, e già la sanno lunga come se fossero vecchi missionari. Che io dica il vero è un fatto; e lo potrà constatare col P. Bernardino, dopo che sarà vissuto con noi 20 giorni. Monsig.re Arciv.o poi stima molto il P. Stanislao: me ne accorsi nei miei colloqui con lui. Dunque è d'uopo comporre le cose in modo, da non solamente consacrare alla Nigrizia questi due, ma di mandarne degli altri. Ne parleremo a voce. Dica al P. Tita Carcereri dell'Ospedale che avea ragione di scrivere a suo fratello che il Concilio ecumenico non si può fare senza D. Comboni. Infatti l'altro giorno mi scrisse il Vescovo, e ieri S. Em. il Cardinale annunziandomi di recarmi in quella dominante per mettermi in regola circa le cose della missione.


[2025]
Io non partirò dall'Egitto prima dei 19 o 29 febbraio, perché ho molto a fare in Egitto, ed anche perché al ritorno dall'Alto Egitto le loro Altezze Imperiali gli Arciduchi Rainieri ed Ernesto e l'Arciduchessa Maria Carolina verranno ai nostri Istituti per tenere a battesimo 4 mori. Già vennero a farci visita giovedì scorso, e il P. Stanislao parlò molto con Loro. Ma siccome ho combinato coll'Arciduca Rainieri un colpo magico col Pascià, così sarà facile che passi tutto il mese di febbraio in Egitto. Ma ciò che mi consola è che Mgr. Vescovo di Verona si è inteso perfettamente col P. Guardi. Questa è cosa che V. P. R.ma deve sapere. Il Vescovo non mi dà ulteriore spiegazione; solo mi comanda di comandar a Stanislao di scrivere una lettera umile al P. Guardi; io ho fatta l'obbedienza; e Stanislao mi promise di fare la sua. Dunque preghi e faccia pregare perché si compongano le cose a gloria di Dio, ed a salute della Nigrizia. Così vuole Iddio, così desidera Comboni, così pregano i due figli di S. Camillo africani. Se preghiamo, tutto è fatto, perché Cristo è un galantuomo. Il P. Bernardino oggi mangiò molta polenta; è la prima volta che la mangiò in oriente. E' sempre quel lepido, e caro padre Bernardino del Paradiso; e dall'abito e barba, in fuori non ha nulla cambiato.


[2026]
Anche S. Camillo è un galantuomo. Molti mi hanno aiutato colle chiacchere; e S. Camillo ha fatto i fatti. Non sono contento, mio R.mo Padre, finché non la porto in Africa. Qui vivrebbe 10 anni di più. Ma veggo che è troppo necessario in Europa. Ho pianto dalla consolazione quando lessi l'Album delle Comunioni etc. Questa è opera diretta e condotta a termine dal P. Artini. Dio deve benedire il P. Artini, perché ha il cuore fatto secondo quello di Dio.

Riceva gli ossequi di tutti noi, e mandi una larga benedizione a questo



povero, crocifisso, ma sempre

allegro e contento Suo

D. Dan. Comboni






346
Mons. L. Ciurcia (Relazione)
0
Cairo
15. 2.1870
A MONS. LUIGI CIURCIA

RELAZIONE STORICA SUL VICARIATO APOSTOLICO

DELL'AFRICA CENTRALE

AVAE, c. 23



Cairo, 15 febbraio 1870

Vicariato Apostolico dell'Africa Centrale
[2027]
Fu il molto reverendo Padre Massimiliano Ryllo, polacco di nascita e membro della Compagnia di Gesù, il primo che concepì la nobile idea di fondare la Missione dell'Africa Centrale. Essendo stato molti anni Superiore Generale dei Gesuiti in Siria, ove egli ha lavorato con uno zelo infaticabile e ottenuto un grande successo in mezzo a ostacoli e guerre orribili, soprattutto all'epoca delle conquiste di Mahhammed-Aly, vicerè d'Egitto, aveva fatto conoscenza con un negoziante cristiano che aveva fatto una considerevole fortuna in Sudan col commercio dei denti di elefante e che aveva raccontato molti dettagli interessanti sulla condizione e i costumi dei neri, dei quali aveva constatato la disposizione a essere civilizzati, vedendo due ragazzi schiavi che erano stati condotti a Khartum.

Uomo eminentemente istruito, pieno di zelo e di coraggio e suscitato dal Buon Dio per lanciarsi nelle imprese più difficili e pericolose, per la gloria della Chiesa, il Padre Ryllo, essendo stato nominato Rettore del Collegio Urbano di Propaganda Fide all'epoca in cui i Gesuiti erano incaricati di dirigere questo glorioso cenacolo di apostoli e di martiri dell'universo intero, si fece premura di proporre alla S. Congregazione il piano di erigere una Missione nell'Interno della Nigrizia.


[2028]
In effetti, la Propaganda, stupita dall'importanza di questa santa impresa destinata a ricondurre nell'ovile di Gesù Cristo la parte del mondo più disgraziata e più abbandonata, nella seduta del 26 dicembre 1845 dichiarò l'Africa Centrale Vicariato Apostolico. Ciò che il grande zelatore delle Missioni straniere, Gregorio XVI, confermò con un Breve del 3 aprile 1846. I confini di questo grande Vicariato, secondo il Decreto apostolico erano:

a Oriente il Vicariato dell'Egitto e la Prefettura dell'Abissinia

a Occidente la Prefettura delle Guinee

a Settentrione la Prefettura di Tripoli, il Vicariato di Tunisi e la Diocesi d'Algeri

a Mezzogiorno i Monti Qamar, detti anche Monti della Luna. (1)

Per intraprendere la coltura di questo vasto campo evangelico, la Propaganda ha scelto questi primi venerabili soggetti:

1º S. E. Mons. Casolani di Malta, Vescovo di Mauricastre i.p.i. e Vicario Apostolico

2º Il molto R.do P. Massimiliano Ryllo della Compagnia di Gesù

3º Il P. Emanuele Pedemonte di Genova (una volta ufficiale sotto l'impero di Napoleone I)

4º Don Ignazio Knoblecher di S. Cantien (Diocesi di Laybach), dottore in Teologia e allievo del Collegio di Propaganda a Roma

5º Don Angelo Vinco di Cerro (Diocesi di Verona), allievo dell'Istituto Mazza.


[2029]
Questi validi Missionari si erano proposti la nobile impresa della conversione dei popoli neri, d'impedire ovunque l'infame commercio degli schiavi e di prendersi cura di alcuni cattolici che, per motivi di commercio, si erano dispersi in quelle lontane contrade. Il cammino che la nuova carovana doveva seguire, la sede che doveva scegliere, non le furono stabiliti.

La destinazione della Provvidenza e l'esperienza dei Missionari dovevano deciderne. Mons. Casolani era del parere di prendere la strada di Tripoli e del Fezzan, attraversare con il cammello il grande deserto del Sahara in 84 giorni e stabilirsi nel vasto impero di Bornù. Il P. Ryllo, al contrario, era convinto che sarebbe stato prudente seguire la via del Nilo e della Nubia, visto che c'era un percorso più sicuro e già conosciuto dai viaggiatori e praticato dalla spedizione egiziana quando Mahhammed-Aly fece nel 1822 la conquista del Sudan orientale, E' quest'ultima idea che prevalse.


[2030]
Prima che la carovana potesse avviarsi, Gregorio XVI morì, ma l'augusto Pio IX, animato dallo stesso zelo per la conversione della Nigrizia, confermò i Decreti del suo glorioso Predecessore, benedì la santa impresa e i nuovi apostoli dell'Africa Centrale. Ma siccome i preparativi di questa spedizione richiedevano ancora del tempo e Monsignor il Vicario Apostolico doveva ancora attendere qualche mese per accomodare alcuni affari di famiglia, si stabilì che il Knoblecher con il P. Pedemonte e Don Angelo Vinco lasciassero Roma il 3 luglio 1846 per recarsi in Siria presso i Maroniti, dove essi dovevano abituarsi a una vita orientale che avesse qualche rapporto con le usanze dei paesi della Nubia e del Sudan, ove dovevano andare. Questo soggiorno fu di otto mesi, durante i quali essi hanno approfittato per lo studio della lingua araba che è parlata fino al 13º di Latitudine Nord. Essi visitarono Gerusalemme e i Luoghi Santi memorabili per la vita e i miracoli del Divin Salvatore.


[2031]
Nella primavera seguente tutti i Missionari si riunirono in Alessandria, ma con un cambiamento nella direzione della Missione, per dei motivi dei quali è inutile farne qui menzione.

Mons. Casolani seguiva come semplice Missionario la santa carovana, alla testa della quale c'era P. Ryllo che era stato nominato Provicario Apostolico dell'Africa Centrale con Decreto apostolico del 18 aprile 1847. La spedizione era munita di circa 50.000 franchi, di cui la Propaganda ne aveva forniti 37.634:41 (7.000 Scudi Romani).

Cinque mesi furono impiegati in Alessandria e al Cairo per fare i preparativi, durante il quali i Missionari ebbero il vantaggio di apprendere le informazioni necessarie più esatte sul Sudan presso l'illustre ingegner francese sig. d'Arnaud che aveva visitato la Nubia e alcune tribù dell'interno e guidata la spedizione egiziana sul Fiume Bianco.


[2032]
Il P. Ryllo, che conosceva a fondo l'anatomia dello spirito turco, ebbe il coraggio di presentarsi personalmente a S. A. Mahhammed-Aly e al suo valoroso figlio Ibrahim Pascià. Questi, qualche anno prima, aveva destinato in Siria una somma considerevole a chi gli avesse portato la testa del coraggioso Gesuita, perché aveva incoraggiato i cristiani del Monte Libano e i Maroniti a resistere all'orgoglioso conquistatore che voleva impadronirsi del paese, malgrado il suo padrone, il grande signore di Costantinopoli.

P. Ryllo, che parlava perfettamente l'arabo, seppe comportarsi così bene alla Corte egiziana, che guadagnò la confidenza dell'illustre guerriero, come del glorioso vicerè d'Egitto che colmò di favori il suo antico nemico e gli rilasciò un documento firmato che proteggeva presso i governanti e i capi del Sudan i Missionari fino ai più lontani confini della dominazione egiziana. Così favoriti dalla Provvidenza i Missionari lasciarono il Cairo per risalire il Nilo per l'Alto Egitto e per la Nubia. Il loro piano era quello di dirigersi verso le tribù dei neri per la via di Khartum, la capitale delle nuove conquiste egiziane del Sudan, situata a due miglia dalla punta del triangolo della penisola del Sennar, là dove il Fiume Bianco e il Fiume Azzurro si uniscono per formare il Nilo entro il 15º e il 16º di Latitudine Nord.


[2033]
Verso la fine del mese di ottobre la santa carovana fece la sua prima entrata nei confini del Vicariato dell'Africa Centrale al di là della prima cateratta nella celebre isola di File, presso il Tropico del Cancro, dove il battesimo di un bambino musulmano moribondo produsse il primo fiore di questo importante apostolato e la primavera del loro difficile e pericoloso ministero.

Quale vasto campo da evangelizzare si presentava davanti ai nostri zelanti Missionari! Non parlerò qui dell'enorme numero di territori e di paesi di questa grande Missione, come delle numerose lingue e dialetti parlati tanto dalle popolazioni come nelle tribù che occupano questa immensa distesa che la geografia non ha ancora potuto classificare che sotto il nome generico di Regioni Sconosciute dell'Africa.


[2034]
Direi soltanto una parola in generale della vasta distesa di questo immenso Vicariato, poiché pur escludendo lo spazio occupato dalle missioni che sono state fondate dopo l'erezione di questa e calcolando i suoi confini meridionali dei Monti della Luna (nel caso che esistano realmente) posti tra il 5º di Latitudine Sud e l'Equatore, pressapoco là dove i celebri viaggiatori Speke e Grant hanno scoperto con molta probabilità nel 1858 il Nyanza Vittoria tra il 3º di Latitudine Sud e l'Equatore, cioè il lago che forma la prima sorgente del Nilo e là dove Sir Samuel Baker aveva constatato nel 1864 il grande Bacino che costituisce la seconda sorgente del detto fiume, cioè il Nyanza Alberto o Louta N'Zige all'Equatore (2) risulta che questa grande Missione abbraccia pressapoco la distesa che esiste tra il 5º Lat. Sud e il 24º Nord racchiusa tra il 10º e il 35º di Longitudine orientale del Meridiano di Parigi.

Inoltre abbraccia lo spazio che esiste tra il 10º e il 29º Lat. Nord, tra il 9º occidentale e il 10º Longitudine orientale secondo il suddetto Meridiano. Ciò ci fa concludere che il Vicariato dell'Africa Centrale, dopo il Decreto Apostolico d'erezione, è quasi 20 volte più in estensione della Francia. Per quanto la Propaganda abbia tolto dopo, nel 1868 da questa grande Missione una parte considerevole all'ovest per formarne la Prefettura Apostolica del Deserto del Sahara affidata all'Arcivescovo di Algeri, tuttavia bisogna riconoscere che il Vicariato dell'Africa Centrale è il più vasto del globo.


[2035]
Tuttavia è vero che la S. Sede erigendo questa immensa Missione ha inviati questi primi operai evangelici al fine di formare altri Vicariati e Prefetture Apostoliche secondo la speranza e i risultati che l'azione cattolica ne potrebbe offrire, secondo le diverse Congregazioni religiose o Società ecclesiastiche che il Vicario di Gesù Cristo destinerebbe per cooperare alla rigenerazione religiosa e civile di questa vasta parte del mondo che è ancora avvolta nelle tenebre della morte.

Durante il viaggio nella Nubia inferiore il P. Ryllo fu colpito da una violenta dissenteria, ciò che costrinse la carovana ad abbandonare la via diretta del Deserto di Korosco e Abu-Hammed, per seguire la strada più lunga di Wady-Halfa e di Dongola percorrendone così il braccio dell'arco che segna il corso del Nilo attraverso le cateratte della Nubia. Dopo molte pene e sofferenze e anche forti spese, essi infine raggiunsero Khartum l'11 febbraio 1848.


[2036]
Questa città era allora formata da capanne e da piccole case in paglia o in mattoni cotti al sole a un solo piano, che la pioggia sovente distrugge e di cui i piccoli angoli non possono proteggere che una parte dei suoi abitanti, mentre gli altri dimorano sotto delle piccole tende e, di solito, sotto le stelle. La sua popolazione contava appena 15.000 abitanti di cui gran parte era composta di schiavi di ogni specie e di differenti colori, strappati con violenza da tutte le tribù della Nigrizia. Tutti i nostri Missionari, riparati sotto delle modeste tende erette sui bordi del Fiume Azzurro, erano malati per le fatiche e i pesanti lavori di un lungo e pericoloso viaggio. La malattia del P. Ryllo aumentò. I viveri e le provvigioni erano quasi finiti. Le risorse di cui essi erano provvisti, diminuivano considerevolmente. Era impossibile continuar il viaggio. D'altra parte la città di Khartum era l'ultima Stazione del commercio europeo, la metropoli del Sudan egiziano, l'ultimo posto dove ha luogo la corrispondenza con l'Egitto e il punto di partenza e di comunicazione degli affari tra il Cairo e l'interno della Nigrizia.

Nessun luogo parve ai Missionari più conveniente per avere una sicura corrispondenza con gli indigeni dell'Africa Centrale e arrivare anche a formare dei progetti saldi e positivi sul sistema e il modo di esercitare il loro futuro ministero e poter prepararsi a studiare il genere di vita, le credenze, le superstizioni e i costumi del paese, come le diverse lingue degli schiavi che erano necessarie per ben compiere i doveri del loro stato. Infine per abituarsi poco a poco al clima del Sudan così differente da quello dell'Europa e per stabilirvi un luogo di riposo per i poveri Missionari che, dopo essere stati per qualche tempo sparsi nelle differenti tribù per portarvi la Parola di Dio, potessero infine riunirsi per riprendersi un po' e sopportare meglio in seguito le fatiche e i lavori del loro santo ministero.


[2037]
Si decise dunque di erigere una Stazione a Khartum. Un signore turco, Cherrif Hassan, che aveva già offerto ai Missionari una generosa ospitalità a Dongola, volendo adempiere un dovere di riconoscenza verso alcuni Preti Maroniti del Monte Libano che gli avevano salvato la vita nella spedizione della guerra del Vicerè d'Egitto in Siria, procurò loro anche in questa città tropicale dei generosi aiuti e una benevola protezione.

Ma il 17 giugno 1848 il molto reverendo P. Ryllo, pieno di meriti e in preda alle più terribili sofferenze, rese la sua anima al Creatore, dopo aver ceduto il titolo di Provicario a Ignazio Knoblecher. Fu sepolto nel mezzo della piazza che è stata, poco tempo dopo, trasformata in un vasto giardino. Colà vi è stato eretto un modesto mausoleo dove gli allievi si riuniscono, da allora, tutti i giorni prima del tramonto del sole, per recitare il rosario.


[2038]
Dopo la morte di P. Ryllo, Mons. Casolani era ridotto a un tal punto di debolezza che gli era quasi impossibile restabilirsi. Quale destino per questi poveri Missionari inviati al di là del deserto, senza mezzi e sotto i colpi delle più terribili malattie! Al posto dei soccorsi che si erano tanto sollecitati dall'Europa ricevevano, al contrario, delle terribili notizie. La tempesta della rivoluzione aveva invaso tutta l'Europa e tutto ciò che era stato in onore e venerazione fino a quel momento fu calpestato e la santa Fede, come le basi dell'ordine sociale, parvero distrutte. I predicatori della Divina Parola furono perseguitati e cacciati; le pie istituzioni per la conversione e la propaganda della Fede e anche il Sovrano Pontefice: tutto era in rovina.

Chi con un simile rovesciamento poteva ancora pensare alla lontana Missione dell'Africa Centrale? Come potevano i Messaggeri della Fede sperare dei soccorsi nell'interesse della loro impresa tanto difficile? La Propaganda di Roma che aveva subito i colpi più terribili della rivoluzione, dichiarava solennemente che ella non era più nella possibilità di aiutare i Missionari e dava loro il permesso di rientrare in Europa per essere destinati ad altre Missioni.


[2039]
Fu il venerabile Dott. Knoblecher che non si spaventò e ispirò coraggio ai suoi cari compagni. Senza Knoblecher la Missione dell'Africa Centrale sarebbe caduta dal 1848 e non esisterebbe più.

Il Padre Ryllo, mentre era in vita, aveva comperato un terreno sui bordi del Fiume Bianco a Khartum. Il Dott. Knoblecher lo fece trasformare in giardino, costruì una piccola dimora con una cappella molto stretta e assai povera, ma sufficiente per i più stretti bisogni dei Missionari. Essi poterono ogni giorno offrire il Santo Sacrificio della Messa, ringraziare il Divin Salvatore dei benefici della Redenzione e domandare tutti i giorni la sua assistenza e la sua benedizione, in un paese che fino a quel tempo non aveva conosciuto altro che gli errori del paganesimo e la cecità del maomettanesimo, al fine che questi differenti popoli entrassero nel grembo della Chiesa, unico porto di salute eterna.


[2040]
C'era a Khartum un grande mercato di schiavi. Questi sfortunati prigionieri dell'Africa Centrale strappati con violenza e con la forza dal seno delle loro famiglie, erano messi in vendita e incatenati come vili animali. Fra questi prigionieri si vedevano sovente bambini delicati consegnati a coloro che li comperavano ad alto prezzo.

I Missionari acquistarono su questo mercato molti ragazzi che sembravano molto intelligenti e che davano segni non equivoci di buona riuscita. Trovarono qui anche qualche discendente di europei sovente abbandonati senza pietà dai loro genitori, ricaduti nell'incredulità delle loro madri. Questi bambini furono accolti nella casa della Missione. Si cominciò a istruirli nelle cose più semplici che potevano essere loro utili nelle loro patrie, ma soprattutto nelle verità dela nostra santa Religione.

Essi dovevano formare la prima comunità cristiana dell'Africa Centrale e si doveva, un giorno, rendere loro la libertà; essi dovevano ritornare nella loro patria presso i loro compaesani su dei cammini sicuri, servir loro come apostoli e divenire i sostegni attivi e sicuri dei Missionari. Animati da un grande zelo questi giovani accoglievano favorevolmente la Divina Parola; il loro amore per Dio era vivo, le loro abitudini dolci e calme e nutrivano un cordiale affetto per i Missionari. In poco tempo i primi tra loro poterono ricevere il santo Battesimo che fu loro amministrato il giorno di Tutti i Santi.


[2041]
La sera della vigilia del grande giorno il Provicario, visitando com'era solito il dormitorio di questi ragazzi per assicurarsi che tutto era in ordine, scorse i catecumeni riuniti insieme in ginocchio in preghiera. Domandò loro cosa facessero: "Noi preghiamo, risposero, la Santa Vergine nostra Buona Madre, affinché ci ottenga da Dio la grazia di arrivare all'indomani, giorno felice nel quale diventeremo cristiani". Quanta fede nei primi ragazzi dell'Africa Centrale!

D'altra parte Knoblecher e i suoi compagni erano a loro volta i discepoli dei loro scolari perché cercavano, per quanto era possibile, di imparare le lingue delle differenti tribù alle quali questi ragazzi appartenevano e anche raccoglievano con cura tutti i fatti che potevano illuminarli sui loro costumi e usanze e su tutto ciò che poteva servir loro per conoscere la condizione delle loro terre natali. Questo al fine di riuscire meglio, più tardi, nell'apostolato che si proponevano d'intraprendere nel seno stesso della loro patria. Quando i soccorsi dall'Europa tardavano a venire, non diminuiva per questo lo zelo e l'attività era sempre la stessa. Gli allievi non erano privati di niente, perché i Missionari si privavano loro stessi per sovvenire ai loro bisogni.


[2042]
Tutto era sopportabile per questi degni ministri di Gesù Cristo che non cercavano che la gloria di Dio e la salute delle anime le più abbandonate. Nella piccola comunità di Khartum regnava la pace, l'ordine e lo spirito di Gesù Cristo.

Tuttavia il Dott. Knoblecher, tutto confidando nella Provvidenza di Dio, era preoccupato della posizione finanziaria della Missione. Per sollecitare dei soccorsi in Italia approfittò del ritorno in Europa di Don Angelo Vinco. Mons. Casolani, non potendo più sopportare il clima opprimente di Khartum, né le grandi fatiche della Missione, se ne ritornò a Malta con l'intenzione di non più ritornare sui suoi passi.


[2043]
Il Provicario Apostolico incaricò Don Vinco di accompagnare Monsignore in Egitto e di recarsi poi in Italia per sollecitare delle elemosine per la Missione. Il 19 gennaio 1849 questo coraggioso Missionario arrivava a Verona all'Istituto che l'aveva educato al servizio di Dio e formato all'apostolato. Ma se era stato sfortunato per non essere riuscito nello scopo principale del suo viaggio a causa della rivoluzione e dei deplorevoli avvenimenti di quei giorni, egli aveva tuttavia doppiamente guadagnato mediante il suo ritorno in patria, per essere riuscito, senza nemmeno essersi accorto, a ottenere un gran successo per l'avvenire della Missione. La Provvidenza l'aveva condotto nella città eminentemente cattolica e fedele, che fu teatro di lavori insigni e dell'apostolato di uno dei più grandi Santi e Martiri africani: San Zenone, Protettore di Verona, è africano. Là dove i pii veronesi venerano da secoli le gloriose reliquie del loro primo Protettore, S. Zenone, per suscitare la prima scintilla della vocazione apostolica che più tardi hanno abbracciato molto membri del venerabile Istituto dell'illustre professore Don Nicola Mazza di Verona.


[2044]
Avendo raccontato con tutto lo slancio della sua anima molti dettagli assai interessanti ai cinquecento allievi dei suoi Istituti di S. Carlo e di Canterane e date molte spiegazioni sulla deplorevole condizione degli sfortunati ragazzi della razza camita, vi accese il fuoco di questa carità divina che non può arrestarsi che nella carriera di dedizione completa e del sacrificio per la salvezza degli infedeli

I racconti di Don Angelo Vinco fecere una grande impressione nello spirito ardente di quel prodigio di carità e di saggezza, Don Nicola Mazza, degno emulo dei gloriosi campioni della Chiesa, S. Vincenzo di Paola e S. Carlo Borromeo. Questo venerabile fondatore, animato da un fuoco soprannaturale per la salvezza degli africani e vedendo fra i suoi allievi alcuni disposi ad assecondare il suo zelo, s'è deciso a cooperare all'apostolato della Nigrizia con i suoi due Istituti che fiorivano a Verona, di cui il primo poteva fornire degli zelanti Missionari e il secondo delle vere donne del Vangelo per la conversione dell'Africa Centrale.


[2045]
Seguendo questo nobile pensiero Don Nicola Mazza si era detto: "Il mio Istituto maschile, che fornisce ogni anno dei buoni preti alla Diocesi di Verona, potrà ben donare all'Africa dei buoni Missionari ed educare dei ragazzi africani, che potranno essere più tardi gli apostoli della loro patria. Il mio Istituto femminile che istruisce e mantiene ogni giorno più di 300 ragazze, potrà ben istruire sulla religione e la morale cristiana delle povere nere, affinché divengano utili per la loro patria". E' per gli elementi di questi due Istituti di Verona che si potrà intraprendere, con l'autorizzazione della S. Sede, una Missione nell'Africa Centrale per la propagazione del Vangelo.

Tale era l'idea dell'illustre Fondatore Mazza. In effetto, per l'attiva cooperazione del Rev. P. Geremia di Livorno, francescano missionario in Egitto, egli introdusse nei due Istituti di Verona molti africani dei due sessi per educarli nella Fede e nella civiltà cristiana e cominciò a preparare dei preti e dei buoni soggetti per intraprendere la sua opera.


[2046]
Nel frattempo Don Ignazio Knoblecher, trovandosi a Khartum solo con il P. Pedemonte, aveva sollecitato per mezzo di questi, dei Missionari presso il Padre Generale della Compagnia di Gesù: Egli ottenne così P. Luigi Zara di Verona con un altro Padre e altri Gesuiti laici.

Fu verso la metà del 1849, quando la miseria era al suo colmo, che dei soccorsi da Laybach arrivarono in tempo opportuno per aiutare la Missione nella sua miseria. Questi soccorsi. giunti su sollecito di lettere private, testimoniavano che la Fede e la partecipazione alle opere per la propagazione del Vangelo, non erano ancora estinte in Europa e davano anche delle speranze per l'avvenire. Tutte le pene sopportate fino a quel tempo, sembravano dolci e soavi ai cuori generosi di questi zelatori della salute degli africani, perché erano animati da questa felice fiducia che non fa mai difetto nello spirito di coloro che confidano in Dio.


[2047]
Dopo il ritorno di Don Angelo Vinco a Khartum, il Dott. Knoblecher prese la risoluzione di controllare l'esecuzione del grande progetto della Missione e di penetrare, per quanto possibile, nell'interno dell'Africa per meglio conoscere il campo dei suoi futuri lavori. Tutti gli anni in novembre, quando il vento del Nord cominciava a soffiare, il governatore generale del Sudan inviava da Khartum numerosi battelli per risalire il Fiume Bianco, al fine di provvedere ai bisogni necessari degli abitanti egiziani situati lungo il fiume e di scambiare con i neri dei coralli in vetro per dei denti di elefante. Il Dott. Knoblecher aveva stabilito di unirsi a questa spedizione. Un mercante musulmano offrì il denaro con delle condizioni un po' indiscrete. Egli si era proposto di esplorare con cura il paese per trovare un posto sicuro, sano e provvisto di acqua e di legna, per stabilirvi una Stazione cattolica.


[2048]
Nella ferma speranza di riuscire nel suo disegno, egli intraprese nel novembre del 1849 il suo viaggio sul Fiume Bianco. Nei 64 giorni di navigazione verso sud, il suo battello gettò l'àncora ai piedi della piccola montagna di Lagwek tra i Bari. Egli è stato così ben accolto da questi popoli che gli fu impossibile il ritorno senza promettere loro di ritornarvi nell'anno seguente. Dopo aver ben esaminato il paese egli intraprese delle esplorazioni nelle contrade vicine ai Bari; aveva osservato tutto e si è convinto che la tribù dei Bari era un punto sicuro e opportuno per stabilivi una Missione cattolica; dopo questo se ne ritornò in fretta a Khartum.


[2049]
Ora, il campo da coltivare era trovato. Ma tutto ciò che parve necessario per riuscire nell'opera, cioè il numero dei compagni di lavoro e i mezzi di mantenimento e i diversi elementi per dare un'educazione morale e cristiana ai popoli che si dovevano convertire e per garantire, come per la Missione, dagli attacchi inattesi dei loro vicini, tutto ciò mancava per la santa impresa. Tutti i tentativi fatti in Europa presso la S. Congregazione di Propaganda e presso pie Società che aiutavano le sante Missioni, non avevano avuto alcun buon risultato anche per i bisogni di prima necessità. Per questo, credendo assolutamente necessario intraprendere un viaggio in Europa, dopo aver incaricato i reverendi Padri Gesuiti della direzione della Missione, egli si mise in cammino per la Germania.


[2050]
Arrivato a Laybach, nella sua patria, aveva cercato e trovato dei pronti soccorsi per mantenere, per qualche tempo, la casa di Khartum. Dopo ciò aveva pensato al modo di trovare i mezzi per la sua futura impresa sul Fiume Bianco e ci riuscì; soprattutto egli fu molto felice a Vienna, ove aveva trovato alla Corte Imperiale, un appoggio senza eguali. Il Dott. Knoblecher ha chiaramente esposto in poche parole in una piccola Nota, il Programma della sua Opera e l'ha presentata a S. Maestà Apostolica.

L'Imperatore Francesco Giuseppe I aveva ricevuto il Provicario con molta amabilità; dimostrò il più grande interesse per questa nobile impresa; si mise a capo dello slancio suscitato in Austria in favore della Missione dell'Africa centrale e donò egli stesso dalla sua cassa privata, una somma di 25.000 lire austriache (20.835 franchi). Tutti i membri della famiglia imperiale, gli Arciduca, i Principi e le Principesse, come i Ministri cattolici dell'Impero e i capi dei diversi dicasteri, ciascuno secondo la propria possibilità, cercarono di rendersi utili alla Missione. Le più nobili dame della capitale e dell'impero venivano a deporre nelle mani del Provicario dei considerevoli aiuti in cambiali e in moneta.


[2051]
Questa accoglienza favorevole la ricevette anche dai Vescovi e dal Clero austriaco. Poco dopo comparvero le sollecitazioni e le lettere pastorali degli Ordinari, in cui si raccomandava la nuova Missione ai fedeli delle loro Diocesi, domandando loro delle offerte. Ciò che è da rimarcare è che da tutte le parti si presentavano dei degni ecclesiastici e dei pii laici che per amor di Dio e la salvezza del prossimo, desideravano intraprendere un viaggio in Africa per cooperare alla grande Opera della Missione. Non c'era bisogno di incoraggiamento e di attrattiva per cooperare al bene dell'impresa. La comparsa personale del venerabile Dott. Knoblecher eccitò un santo entusiasmo: la sua presenza entusiasmava tutti i cuori e li attirava irresistibilmente a lui.


[2052]
Sembrava dunque che la Missione avesse il necessario per la Stazione di Khartum e per la nuova fondazione nei paesi dei Bari. Ma che ne sarebbe stato per l'avvenire? Le fondazioni del Knoblecher sarebbero state costruite sulla sabbia, senza la speranza che i soccorsi continuassero per l'avvenire. Il più brillante inizio non produce dei grandi risultati in un'opera senza il marchio della perpetuità che assicuri la continuazione e il perfezionamento della stessa.

Per questo il Dott. Knoblecher, dopo i consigli di un venerabile Vescovo suo compatriota, Mons. A. Meschutar, consigliere aulico e capo della sezione del Ministero dei Culti, aveva riunito un Comitato composto da persone molto distinte e influenti nell'impero d'Austria e, con l'approvazione del governo imperiale, era stata eretta l'Associazione di Maria per la Missione dell'Africa Centrale che fu diretta prima dal suddetto Vescovo, Mons. Meschutar.


[2053]
Dopo l'approvazione della S. Sede ottenuta con il Breve del 5 dicembre 1852 essa fu posta sotto la protezione di S. Em.za il Card. Principe Federico Schwarzenberg, Arcivescovo di Praga e sotto la presidenza di S. E. il consigliere aulico Federico de Hunter, storiografo dell'impero di S. M. Apostolica e dell'impero austriaco.

Questo personaggio era uno dei più brillanti prodigi della grazia del secolo XIX. L'alto Comitato di questa Associazione aveva indirizzato delle circolari a tutti i Vescovi dell'impero ed essa fu stabilita in tutte le loro diocesi e aveva raccolto, durante molti anni, delle somme enormi per l'Africa Centrale. Sua Maestà l'Imperatore mise la Missione sotto la sua protezione e le ottenne un Firmano del grande sultano che le assicurava tutti i diritti e i privilegi in tutti i possedimenti del Vicerè d'Egitto, a cui la le Missioni cattoliche si congiungessero, dopo i Trattati nelle altre province dell'impero Ottomano. Un consolato austriaco era stato eretto a Khartum espressamente per proteggere i diritti e gli interessi della Missione.


[2054]
Dopo aver ben assestato gli affari a Vienna, il Dott. Knoblecher si recò, per la via di Monaco, a Bressanone nel Tirolo per raccomandare gli interessi della sua impresa al cuore magnanimo di uno dei suoi più stimabili amici che aveva conosciuto a Roma nel 1845 e dal quale era stato perfettamente compreso. Questo illustre e sapiente professore era il Dott. G. C. Mitterrutzner, canonico regolare dell'Ordine di S. Agostino, uomo di rari talenti, che è stato la colonna della missione al quale il Vicariato dell'Africa Centrale deve i più grandi servizi. Dirò solamente che egli aveva raccolto ogni anno delle somme ingenti per la Missione alla quale egli aveva pure mandato un buon numero di preti quasi tutti del Tirolo tedesco.


[2055]
Aveva pure impiegato ogni sorta di mezzi, ma soprattutto la penna, per contribuire alla grande impresa. Infine, mediante i manoscritti che gli sono stati offerti dai Missionari e assistito da due indigeni africani che egli aveva fatto venire a Bressanone, era riuscito a comporre i dizionari, le grammatiche e i catechismi nelle due lingue più importanti e più diffuse della Missione, cioè il Denka e il Bari. Così facendo egli ha procurato ai futuri Missionari dell'Africa Centrale gli elementi e le materie che sono necessari per esercitare il ministero apostolico sulla vasta distesa che si trova tra il 13º Latitudine Nord e l'Equatore, nelle regioni del Fiume Bianco.


[2056]
Knoblecher ricevette un'accoglienza molto favorevole presso l'illustre Mons. Gallura, Principe Vescovo di Bressanone e presso il suo pio e sapiente Clero. Egli fu ricevuto con santo entusiasmo a Verona e a Monza e, per la via di Genova, si recò a Roma per rendere conto alla S. Sede sugli affari della Missione. Ma ecco che nella città eterna si presentarono grandi ostacoli. La Propaganda, in seguito alle rimostranze di Mons. Casolani che s'appoggiava soprattutto sulla mancanza di mezzi finanziari necessari alla Missione e che S. Em.za il Card. Fransoni dichiarava di non poterne fornire, aveva deciso di abbandonare la Missione. Il Decreto di soppressione era già stato firmato e l'ordine di richiamare da Khartum i Missionari pronti per essere destinati ad altre Missioni, era già stato dato.

Il Rapporto di viaggio del Knoblecher nei paesi dei Bari e i felici risultati che egli aveva ottenuto in Austria, ne avevano arrestato il terribile colpo. Egli però vi era riuscito con molte pene e difficoltà.


[2057]
Pio IX in un'udienza particolare l'ascoltò con molta attenzione e vivo interesse. Knoblecher fu nominato Provicario Apostolico dell'Africa Centrale ed è stato di nuovo incaricato della direzione della Missione. Nel mese di agosto del 1851 si recò a Trieste per prendere le provviste abbondanti che aveva raccolte in Germania e per ricevere i nuovi Missionari con i quali partì per l'Egitto.

Ecco i nomi di questi zelanti Messaggeri della Fede:



R. P. Bartolomeo Mozgan

" " Martino Doviak

" " Ottone Tratant

" " Giovanni Kociiancic

" " Matteo Milharcic

(tutti Slavi)




[2058]
Costoro erano accompagnati da numerosi laici votati alla Missione e utili per la loro attitudine alle arti e mestieri.

I missionari furono obbligati a prolungare il loro soggiorno nella capitale dell'Egitto di un tempo maggiore del previsto. Il Dott. Knoblecher, come abbiamo detto, era munito di un Firmano di Costantinopoli per la protezione del Vicariato presso il governo del Sudan Egiziano. Ma fu ben spiacevole che i diritti competenti, come i privilegi della nuova Missione, dovessero essere conosciuti dal Vicerè, poiché quel poco di intesa che esisteva da lungo tempo tra le "Alte Porte" e il "Divano" del Cairo, facesse credere che tali ordini non ottenessero in Egitto tutta l'obbedienza voluta. Il Dott. Knoblecher fu molto ben ricevuto all'udienza del Vicerè. Anche il Divano ricevette l'ordine di emanare delle disposizioni nel senso espresso nel Firmano ai plenipotenziari del Sudan. Tuttavia, malgrado tutte le rimostranze possibili, fu rifiutato di rimettere alla disposizione del Provicario il Firmano del Gran Pascià.


[2059]
Le astuzie e gli intrighi che l'insolente musulmano si permise di adoperare e l'esperienza che egli aveva del passato, avevano convinto Knoblecher che, senza il possesso di questo documento, le sue fatiche potevano essere facilmente eluse e restare senza successo. Fu allora che egli inviò una Nota al grande Divano nella quale egli dichiarava che si vedeva forzato di domandare a Costantinopoli un altro Firmano e farvi aggiungere che lo stesso Firmano restasse in possesso della Missione.

La risposta fu ch'egli sbagliava ad aspettare le disposizioni di S. A. il Gran Pascià e nel breve tempo di 48 ore ricevette dal governo egiziano una copia del Firmano costantinopolitano firmato da S. E. il Vicerè medesimo


[2060]
Prima di lasciare la capitale il Provicario pensò di provvedere la Missione di una barca abbastanza comoda per trasportare le provviste e i Missionari e fare i viaggi e le visite apostoliche sul Fiume Bianco. Acquistò dunque una grande barca chiamata dagli arabi "dahabia" che S. E. Heiraldin Pascià gli aveva concesso a un modico prezzo. Era un elegante vascello in ferro con tre vele che il 15 ottobre il Provicario ha solennemente benedetto, mettendogli il nome di Stella Mattutina. La cerimonia fu molto commovente. L'ultima delle tre stanze era veramente adatta per una piccola cappella. L'armonium, che accompagnava il canto dell'Ave Maris Stella e la devozione dei pii cattolici che vi erano intervenuti, resero molto interessante la festa sulle rive del Nilo, ai piedi delle piramidi.


[2061]
La Stella Mattutina divenne celebre nell'Africa Centrale. Era stata salutata con una straordinaria gioia da tutte le immense popolazioni del Fiume Bianco e considerata dai neri come un presagio di fortuna per tutta l'estensione da Berber a Gondokoro. Nella stessa maniera il nome di Abuna Soliman (nostro Padre principe della pace) con il quale è sempre stato chiamato il Dott. Ignazio Knoblecher, era sentito e pronunciato con una grande venerazione da tutti e da qualsiasi tipo di persona da Alessandria all'Equatore.

Il 18 ottobre tutta la carovana partì dal Cairo a bordo della "Stella Mattutina" per risalire il Nilo nell'Alto Egitto e la Nubia. A Korosko (21º L. N.) la carovana si era divisa. Il Provicario con quattro missionari e qualche laico prese la strada del Deserto dell'Atmur e arrivò a Khartum verso la fine dell'anno. P. Kociiancic traversò sulla Stella Mattutina le grandi cateratte di Dongola e il 29 marzo si gettò l'àncora a Khartum.


[2062]
Dall'autunno del 1850 Don Angelo Vinco aveva intrapreso, con l'approvazione dei Padri Gesuiti che dirigevano la missione, un viaggio sul Fiume Bianco. Il sig. Brun Rollet, negoziante savoiardo nel Sudan, aveva messo a sua disposizione una delle sue imbarcazioni. In poco tempo Don Vinco imparò la lingua del paese, visitò con cura numerosi luoghi della tribù dei Bari e fu il solo missionario che esplorò la tribù dei Beri a Sud-est di Gondokoro. Nella speranza che dei missionari sarebbero venuti dopo per stabilirvisi, cominciò un vero apostolato presso quei popoli. La sua pazienza, la sua abnegazione e la carità di cui era dotato e soprattutto il suo coraggio, lo resero ben presto l'uomo più importante e venerato del paese. Incominciò a istruire dei bambini; ne battezzò molti in "articulo mortis", ha ben disposto dei villagi a ricevere i Missionari con un vero amore.


[2063]
La sua reputazione era aumentata di più per il fatto seguente: c'era in un villaggio dei Bari un enorme leone che devastava il paese e divorava persone e soprattutto bambini. Abituato dalla sua giovinezza alla caccia sulle montagne di Cerro, suo paese natale, egli ha potuto non senza sforzi e confidando in Dio, uccidere con una carabina il terribile animale. Non si può immaginare le grida di gioia e di riconoscenza che gli ha prodigato quella gente che lo chiamavano figlio del tuono e gli portavano dei buoi e dei doni considerevoli come segno di una venerazione straodinaria. Il suo nome era celebre presso i neri.


[2064]
Il P. Pedemonte visitò i Bari e vi dimorò qualche tempo facendo molto del bene, mentre il pio P. Zara restò a Khartum dove lasciò un ricordo molto buono. Tutti e due lavorarono ad educare nella Fede e nella morale cattolica dei bambini cofti; essi prepararono una strada nel giardino della Missione che avevano ben coltivato. I Padri erano stati benedetti nell'Africa Centrale. Ma furono obbligati ad abbandonarla perché la Compagnia di Gesù, essendosi abbastanza ristabilita dalle rovine della rivoluzione del 1848, dopo i felici risultati dei passi di Knoblecher, richiamò i suoi soggetti dal Vicariato dell'Africa Centrale.

Il P. Zara fu destinato a Ghazier in Siria dove, qualche anno più tardi, rese l'anima al suo Creatore. Gli altri furono richiamati a Roma e il P. Pedemonte andò a Napoli dove coronò la sua carriera apostolica con una santa morte. Nel 1864 questo grande missionario settuagenario mi aveva dichiarato che il più grande sacrificio che egli aveva fatto in tutta la sua vita era stato quello di aver abbandonato la Missione dell'Africa Centrale, per la quale aveva concepito le più belle speranze.


[2065]
Dopo l'arrivo dei nuovi Missionari a Khartum, Kociiancic e Milharcic erano stati destinati per questa Stazione, mentre tutti gli altri si disponevano a partire per il Fiume Bianco. Il Provicario Apostolico scriveva nel 1852 in questi termini: (3)

"La Stazione di Khartum ci offre, dopo il nostro ritorno, l'immagine di una vita molto attiva. Noi siamo divisi e classificati dalle differenti occupazioni alle quali ci dedichiamo. Il R.do P. Milharcic, dotato di tutte le qualità necessarie per la buona direzione dei bambini, si occupa della scuola dei ragazzi. Essa conta, dopo che i copti scismatici ci affidano i loro bambini, più di quaranta scolari che danno agli educatori un gran lavoro. Nel nostro laboratorio tecnico si lavora dal mattino alla sera ed è così che arriviamo, poco a poco, alla possibilità di costruire i mobili più necessari. Il talento del R.do P. Kociiancic ci sorprende di tanto in tanto per l'invenzione di nuovi oggetti utili".


[2066]
Nella festa di Tutti i Santi dei ragazzi neri della scuola furono battezzati. Essi erano stati comperati sul mercato di Khartum. Mi riservo di parlare un'altra volta sulla schiavitù in Africa Centrale. E' sufficiente per il momento dire una sola parola sul mercato di Khartum come l'ha descritto il Dott. Knoblecher (4): "Non c'è niente che strappi di più il cuore come l'attraversare il venerdì (giorno consacrato dai turchi al culto divino) il mercato degli schiavi a Khartum per constatare l'abuso infame che si fa con tutta indifferenza e tra una folla di uomini, di donne, di ragazzi, di giovinette e di bambini. Questi miserabili, prima di essere concessi ai compratori, subiscono una visita indiscreta in molte parti del loro corpo. E' veramente straziante per un'anima cristiana di essere testimonio oculare di tutte le infamie che si fanno subire a questi poveri sventurati nostri fratelli in Gesù Cristo.


[2067]
Con quale indiscrezione gli acquirenti prima di concludere l'infame mercato mettono le loro mani sacrileghe su questi innocenti vittime e visitano a ciascuna i denti, la lingua, la gola e palpano con sangue freddo le loro mani, il loro collo, le loro orecchie, i loro piedi ecc. E' increscioso vedere come questi strilloni pubblici corrono di qui e di là, come si grida, come si trattano questi poveri schiavi senza che nessuno pensi che chi è sottoposto a tutto ciò è suo fratello e sua sorella! Io vidi nello stesso tempo in un angolo del mercato, alcune madri stordite e preoccupate alle quali erano stati strappati dei ragazzi e delle figlie e che non dovevano più rivederli qui sulla terra. Queste povere madri si attendevano da un momento all'altro la sorte dei loro figli. Ma ciò che mi fece grande impressione fu di vedere una giovane mamma con tre bambini di cui il più piccolo poteva avere appena due giorni, seduta per terra e tutta curva, appoggiava la sua testa al suo braccio destro, mentre con la sinistra stringeva il suo piccino sul suo seno.


[2068]
Così immersa nel suo dolore, guardava i suoi due ragazzi più grandi che si stringevano a lei con uno sguardo così toccante e un sentimento così vivo, come se presumessero la prossima separazione. Tutto a un tratto si sentì gridare: 'Quanto volete per questa famiglia?' A queste parole la madre afflitta alzò gli occhi; ma io non ebbi il coraggio di sentirne la fine. Soltanto da lontano potei intendere queste parole: 'Settecento piastre' (182 franchi). Ahimè! una famiglia, un uomo riscattato dal Sangue di Cristo, per un tale prezzo! Così assorto nei miei pensieri, arrivavo al posto dove si teneva il mercato degli uomini. Questi sembravano sottomettersi alla loro sorte con più tranquillità. Guardando tutto attorno a loro, attendevano il loro turno di asta. Ma essi non ignoravano anche che al minimo mormorio sarebbero stati puniti con la flagellazione, con dei violenti colpi di frusta o strettamente legati a pesanti catene".


[2069]
Il molto reverendo Provicario Apostolico mise in ordine gli affari a Khartum e partì sulla Stella Mattutina per il Fiume Bianco con i reverendi Padri Mozgan, Dociak et Trabant. In questo viaggio tutti avevano molto sofferto per le febbri. Il Provicario ne ebbe un eccesso forte che furono obbligati ad amministragli gli ultimi Sacramenti. Dopo molte fatiche e sofferenze egli raggiunse per la seconda volta il territorio dei Bari il 3 gennaio 1853. Qui trovò Don Angelo Vinco colpito da un colpo di sole e da una violenta febbre che degenerò in tifoidea.

Dopo qualche giorno questo coraggioso Missionario, dopo un corto ma laborioso apostolato, assistito nei suoi ultimi momenti dal suo venerabile Superiore che gli amministrò tutti i Sacramenti dei moribondi, rese l'anima al suo Creatore a Mardiouk nella tribù dei Bari, primo apostolo e martire della Fede e della civiltà cristiana sul Fiume Bianco. Il nome di Don Angelo Vinco è ancora in venerazione presso i popoli Chir, Beri e Bari che gli consacrarono, in certe occasioni, dei canti nella loro lingua e che sono diventati popolari nel Fiume Bianco al di là del 7º Lat. Nord.


[2070]
A Gondokoro (4º40' L. N. e 31º47' Long. Orient. di Parigi) il Dott. Knoblecher pensò d'acquistare un terreno per una fabbrica con giardino. Alcuni ricchi proprietari gliene offrirono e soprattutto un vecchio, chiamato Lutweri, si presentò per cedergli una parte considerevole della sua possessione. L'affare fu discusso in presenza di tanti capi, tra i quali si trovava anche il celebre capo dei Beri chiamato Nighila. Questa è una tribù assai guerriera al Sud-Est di Gondokoro.

Per questo il Provicario fece drizzare una tenda che dei pii benefattori d'Europa gli avevano fatto preparare per delle simili circostanze e donò a ogni capo una lunga veste azzurra con un "tarbusc" (fez rosso) per coprire la testa. Poi si rivestì con un abito bianco e una lancia in mano in forma di croce, segno della nostra Redenzione (5) al posto di una lancia o di una spada omicida. Così accompagnato da molti capi andarono sotto la tenda, ove tutti si sedettero. A un tratto uno di loro si alzò per fare un'allocuzione, alla quale ne succedeva un'altra; così tutti parlarono.


[2071]
I loro discorsi vertevano su questo punto: "Lo straniero deve comperare per sé e per i suoi fratelli un terreno per piantarvi degli alberi e per istruire i bambini e poiché questi signori non hanno niente in comune con i ladri e gli assassini stranieri, affinché nessuno disturbi i loro fratelli nel possesso del loro terreno, i capi si obbligano di sorvegliarlo. Dopo che tutti ebbero parlato, il Provicario, con l'aiuto del suo interprete, tenne loro un discorso sulla sua missione divina. Tutti i capi rimasero in piedi per testimoniare la loro approvazione e tutti ne sono stati molto soddisfatti. Tutti i capi gli espressero che erano persuasi delle sue parole e che avevano in lui molta fiducia. Da parte sua il Provicario li assicurò che egli e i suoi fratelli si sarebbero sforzati con tutte le loro forze, nella loro missione per il più grande bene del loro paese, così come per tutto il loro popolo.

Allora il capo Nighila si alzò per la seconda volta e parlò al congresso dicendo che solamente coloro che erano più vicini alla missione dovevano proteggere i Missionari contro gli oltraggi e gli attacchi del nemico e che quelli che abitavano più lontano, soltanto ogni tanto avrebbero visitato la casa e il giardino della Missione.


[2072]
L'assemblea fu terminata e il terreno considerato come proprietà della Missione. Ma ciò non fu senza difficoltà per determinare i confini e i limiti. Dopo aver finito, il Provicario chiamò il venditore e questi, accompagnato, dai capi, lo seguì fino al battello "Stella Mattutina", munita di una metà zucca vuota e secca che, con grande sua soddisfazione, gli fu riempita fino all'orlo di coralli in vetro di diverse qualità, dal Provicario. Il contratto della vendita fatta in lingua Bari era stato letto ai capi e ciascuno mise con grande rispetto il dito sulla penna del Provicario Apostolico a fianco del suo nome, facendone il segno di croce. Knoblecher distribuì a ciascuno dei coralli in vetro e tutti se ne tornarono col cuore contento.


[2073]
Comprato il terreno si dovette pensare a costruire una cappella per il servizio di Dio, una dimora per i Missionari e un orto per i bisogni della Missione. Ma mancavano operai capaci di eseguire l'impresa. Ricco di dedizione per questi popoli, il Provicario e i Missionari si facevano tutto a tutti, si dedicavano all'opera con un coraggio eroico. Bisogna tener presente che i Missionari che avevano bisogno di esercitare una grande influenza sui paesi dei Bari come sulle tribù vicine, avevano bisogno di una sede stabile ove essi potessero imparare le diverse lingue per poter meglio adempiere i doveri della loro vocazione, istruendone la gioventù, insegnando dei lavori a un popolo fino allora primitivo. Ci si domandò: "Dove si potrebbero trovare (avendo pure la provvista sufficiente di materiali) dei muratori, dei carpentieri, dei contadini, dei falegnami, dei fabbri ecc. per i lavori?


[2074]
Il Missionario doveva provvedere a tutto questo se voleva procurarsi un posto permanente in queste regioni ove i poveri neri con un poco di paglia e di fango costruiscono oggi le loro capanne che domani, a causa di un po' di pioggia caduta nella notte, saranno obbligati a ricostruire. Là il povero Missionario doveva essere ben in imbarazzo quando, girando gli occhi, scorgeva tante teste e mani imcapaci di eseguire la sua opera. Fu forzato a mettere in opera i suoi propri mezzi. Tutte le conoscenze tecniche che egli aveva acquisite a tempo perso durante le sue ricreazione in collegio, gli servirono in questo momento.

Dopo la S. Messa si prendeva per amor di Dio, talvolta la cazzuola, tal'altra la sega, la scure, chi armato di un'accetta, di un martello, di una zappa, di una vanga ecc. mostravano a quelli che li attorniavano, il modo di eseguire questi nuovi lavori ed esortandoli a imitarli. E' così che con il sudore della fronte si è eretta prodigiosamente tra quella gente, una casa alla gloria di Dio. E l'opera prosperò ammirabilmente poiché due anni dopo, quando il Provicario ritornò a Gondokoro, diede di questa Stazione i seguenti dettagli: (6)


[2075]
"Nel mezzo del territorio delle superbe tribù nere dei Bari, là dove le rive del fiume misterioso si elevano a un'altezza come non si vede in nessuna parte durante il suo percorso, si trova una fondazione che è un contrasto sorprendente con tutti i villaggi indigeni. Dalla parte nord e da quella del fiume si vede già da lontano, su una morbida altura, una costruzione quadrata, mentre le dimore degli indigeni sono di una forma sferica con un tetto a forma di cono, essendo il vero tipo di una costruzione indigena. Dalla parte ovest verso il fiume e verso sud, appare allo sguardo un grande viale d'alberi e di piante che non si trovano in nessuna parte del paese e che sono state portate da una regione ben lontana. Nel mezzo di questa distesa di terreno s'innalzano al di sopra dei pignoni, dei piccoli forti costruiti con il legno degli alberi di una altezza considerevole, con i quali si fanno anche dei pali per le barche del Nilo.


[2076]
Oggi la cima è sormontata da una Croce metallica che brilla da lontano al levare e al tramonto del sole e annuncia agli africani vicini all'Equatore, la venuta della salvezza e della Redenzione. Ai piedi della Croce sventola ogni tanto un orifiamma bianco con una stella azzurra che annunzia al vicinato le feste di Nostro Signore e quelle della Santa Vergine che celebra la Chiesa cattolica.

Ecco l'aspetto che ci presenta l'esterno di N. S. di Gondokoro sul Fiume Bianco, per la cui fondazione e decorazione i nostri amatissimi fratelli d'Europa hanno fornito il necessario".


[2077]
Knoblecher aveva stabilito come Superiore della Stazione di Gondokoro il R.do P. Mozgan Bartolomeo e, accompagnato dal principe dei Beri, Nighila, se n'era ritornato a Khartum da dove egli dovette prepararsi per recarsi in Egitto per fare delle consistenti spese e per aspettare dei nuovi messaggeri della Fede, da poco annunciati, dei quali ecco i nomi:

1º Luc Jeram, 2º Joseph Lap ..........della Carnia

3º Joseph Gostner, 4º Luigi Haller ...del Tirolo

5º Ignazio Kohl .............................della Bassa Austria

(Sul margine destro è scritto) C'era anche un eccellente laico di Vienna, Martino Hansal, maestro ed eccellente musicista.


[2078]
All'inizio del settembre 1873 essi arrivarono ad Alessandira, dove il Provicario Apostolico li attendeva. Il capo dei Beri, come abbiamo detto, aveva accompagnato Knoblecher nel suo lungo viaggio per il 27º di Lat. N. Il signor Gostner scriveva così da Alessandria all'illustre professor Mitterrutzner sul suo incontro con Knoblecher e il suo principesco compagno Nighila, che portava ancora il nome di "Mougha". Infine apparve il venerabile Provicario stesso tra gli arabi, i turchi, giudei, greci ecc. e dava da ogni parte, io non so in quante lingue, i suoi ordini. Tutti avevano un grande rispetto per Abuna Soliman. Quando fummo arrivati all'Hotel del Nord gli altri andarono a cena, ma io fui condotto dal Knoblecher al convento dei R.di Padri Francescani, dove egli ricevette un'ospitalità benevola e là noi mangiammo. In seguito il Provicario chiamò Mougha e come un lampo il principe dei Beri corse da un blocco di pietra dove si era steso e venne davanti a me presentandomi la sua mano, mi salutò cordialmente dicendomi: "Come state?" Alla mia risposta riprese: "Va bene".


[2079]
Egli non parla che nella sua lingua che nessuno capisce, salvo Knoblecher che, come sembra, parla correttamente con il capo dei Beri. Costui ha 25 anni e la sua statura è di sei piedi (Knoblecher dice che è uno dei più piccoli della sua razza); è magro e snello, nero come il carbone; nelle sue mosse e nel suo contegno ha qualcosa di spontaneo, tuttavia non senza rispetto. Egli non si accontenta di rimanere in camera, vuole essere libero e restare all'aria. Al collo ha una massa di collane in perle di vetro di differenti grandezze e colori; alle mani e ai piedi una quantità di braccialetti e di anelli in argento e ferro ed in avorio. Sono la sua gioia e il suo piacere. In una mano tiene sempre una piccola bacchetta di legno e nell'altra mano o sulla spalla, un grazioso piccolo sgabello di legno sul quale si siede subito appena arriva in un luogo.

Non ha la barba e sui suoi capelli raggruppati fino alla sommità attacca delle penne di struzzo. Egli fa qui un gran fracasso.... ma i più grandi signori e signore s'interessano molto a questa altezza nera... Noi andiamo sovente da lui ed egli ci stringe la mano dicendo: "Doto" (Come state?) e si sforza di farci imparare a contare fino a dieci.


[2080]
Dice che i suoi non volevano lasciarlo andare presso i bianchi, perché costoro avrebbero tagliate le orecchie ai neri e li avrebbero anche mangiati... Il comandante della fregata austriaca Bellona invitò il Provicario e S. Altezza nera a cenare a bordo. Il buon principe non sapeva se saziarsi di stupore per le cose che egli vide a bordo; il suo buon cuore lo spinse anche lontano allorché si trovava a tavola a cenare, prese il bicchiere del comandante e glielo presentò per farsi versare dell'acqua dalla sua mano, con la quale l'asperse... e lo fece re al modo dei Beri.....

Quando il Provicario si allontanò dalla fregata Bellona, tredici colpi di cannone annunciarono alla città di Alessandria quanto si stimava e venerava il capo della Missione dell'Africa Centrale. Il signor Chaevalier Huber, console generale d'Austria e molti signori vennero il 17 settembre a dare il loro addio ai Missionari.


[2081]
Allora Mougha, in tono regale, s'è piazzato in mezzo all'assemblea e disse (il Dott. Konoblecher faceva da interprete): "Gli europei potranno sempre visitare il nostro paese; gli arabi, al contrario, devono restare fuori, poiché essi vengono soltanto per mettervi il fuoco, uccidere, saccheggiare e farvi la rivoluzione". E il Dott. Kerschbaumer professore a S. Pölten, che doveva ritornare in Austria, fu incaricato da Mougha di porgere i suoi ossequi e i suoi complimenti a tutti gli amici del suo Padre Abuna Soliman, il Provicario Apostolico.


[2082]
In Alessandria e al Cairo il Dott. Knoblecher fece delle abbondanti provviste e delle notevoli compere per le due Stazioni di Khartum e di Gondokoro. All'inizio di ottobre la grande carovana abbandonò la capitale dell'Egitto per risalire il Nilo. Arrivata al Tropico del Cancro si alzarono delle tende di fronte all'isola di File, mentre si preparavano a Korosko 700 cammelli per attraversare l'Atmur fino a Berber.


[2083]
Fu a Korosko che due Missionari educati all'Istituto Mazza di Verona si unirono a questa carovana. Erano il R.do P. Giovanni Beltrame di Valeggio (diocesi di Verona) e il R.do P. Antonio Castagnaro di Montebello (Vicenza). Don Nicola Mazza, seguendo il suo nobile intento di venire in aiuto dei poveri neri, aveva fatto molti preparativi per realizzare il suo progetto. Nel suo Istituto maschile c'erano dei preti che erano disposti per la Missione e che si occupavano dell'educazione dei giovani neri per prepararli alla santa impresa.

Nel suo Istituto femminile c'erano delle pie e brave maestre che sapevano molte lingue e perfettamente l'arabo e che erano occupate a educare delle giovani nere per formarle all'apostolato della Nigrizia. Vedendo che tutte le sue cure promettevano dei buoni risultati per l'avvenire, egli credette arrivato il momento opportuno per sottoporre il suo piano alla S. C. di Propaganda al fine di ottenere l'autorizzazione di eseguirlo. Fu il suo antico discepolo Mons. Besi, Vescovo di Canopo e anziano Amministratore Apostolico di Nankin in Cina, il personaggio che egli incaricò di presentare a Roma il suo progetto.


[2084]
Sua Eminenza il Card. Fransoni, Prefetto di Propaganda rispose che bisognava rivolgersi al capo della Missione dell'Africa Centrale per fissare le basi della sua azione cattolica e determinare il posto nel quale bisognava stabilire la sua opera, che la S. Congregazione sarebbe intervenuta per definire l'affare. Fu allora che Don Nicola Mazza inviò a Khartum due dei suoi più degni preti, Don Giovanni Beltrame di Valeggio, della diocesi di Verona e Don Antonio Castagnaro di Montebello presso Vicenza, per trattare della nuova impresa. Essi furono ricevuti a Korosko dal Knoblecher con molta benevolenza ed egli espresse tutta la sua soddisfazione di concedere loro tutto quello che domandavano, ma che desiderava che essi restassero un po' di tempo a Khartum, cioè fino al suo ritorno da Gondokoro; dopo questo si sarebbero stabilite le basi dell'Opera dell'Istituto Mazza.


[2085]
Quando la notizia dell'entrata della grande carovana nel deserto dell'Atmur arrivò a Khartum il R.do Padre Milharcic con la Stella Mattutina ed altre imbarcazioni, si recò a Berber per ricevere i Missionari e trasportare tutti gli acquisti fatti in Egitto.


[2086]
La Croce di Gesù Cristo non è mai separata dalle opere di Dio. A mezz'ora da Berber Milharcic terminò con una santa morte la sua corta ma laboriosa carriera. La carovana arrivata a Khartum il 29 dicembre, trovò Kociiancic che spirava e fu sepolto vicino a Padre Ryllo nel giardino della Missione. Nei primi giorni del febbraio seguente, Don Castagnaro fu colpito dalla dissenteria. Era un'anima pura e candida che da lungo tempo desiderava sacrificarsi e morire per la salvezza delle anime. Quando il sacerdote gli portò il Pane degli Angeli, nei suoi ultimi momenti, arrivato alla porta della capanna, dovette arrestarsi perché il morente, raccogliendo tutte le forze del suo spirito, si alzò e fece una tenera allocuzione a Gesù Cristo con un amore e un desiderio di morire per Lui, che tutti ne furono commossi e piansero molto. Egli Gli consacrò tutto il suo desiderio di salvare le anime, Gli offerse tutta la sua vita e morì vittima del suo amore il 6 febbraio a Khartum, dopo aver ricevuto tutti i Sacramenti della Chiesa e tutti i conforti dei moribondi.


[2087]
Dopo aver incaricato il R.do P. Haller della scuola ed eletto il R.do P. Giuseppe Gostner Superiore della Stazione di Khartum e suo Vicario generale, accompagnato dal sig. Kohl, il Provicario andò a Gondokoro dove seppe che anche i R.di Padri Doviak e Trabant erano passati a miglior vita.

Abbattuto da questi terribili colpi l'anima generosa di Knoblecher non si scoraggiò. Il suo spirito che non viveva che di Dio, lo sostenne con la fede, nelle circostanze più spaventose; egli aveva posto tutta la sua confidenza in Dio seguendo l'insegnamento dello Spirito Santo: iacta curam tuam in Domino et ipse te enutriet.


[2088]
Siccome qualche giorno dopo il suo arrivo nel paese dei Bari avvenne un incidente, che avrebbe potuto avere le più funeste conseguenze per la Missione di Gondokoro, ma contro le supposizioni dei suoi nemici, tornò a suo vantaggio. Il Provicario, come i Missionari, fecero il loro dovere verso i cattolici europei che, dimenticando i principi della Fede e della morale cristiana, si erano traviati. Soprattutto quando questi disgraziati infierivano contro i poveri neri in mille maniere, i Missionari avevano protetto l'innocenza e la giustizia presso il governo turco nel Sudan che, istruito dall'eloquenza dei fatti e dalla condotta dei Missionari, aveva una grande stima e confidenza nel Provicario e la Missione.

E' per questo che alcuni di questi disgraziati europei guardavano i Missionari con occhio cattivo, perché la loro presenza era un biasimo incessante e un rimprovero alla loro condotta. I neri avevano distinto bene tra i Missionari e gli altri bianchi, perché vedevano che la Missione, al posto di uccidere i poveri neri, rubare i loro figli, i loro bambini e le loro mucche asciugava sempre le loro lacrime, curava i loro malati e faceva loro imparare la moralità, la giustizia e la strada del cielo. Per questo essi ben compresero nell'incidente che sto per citare, che la Missione era ben lontana da ciò che la più sottile malizia e perfidia voleva attribuirle. Dio ha sempre protetto la giustizia.


[2089]
Fra i 40 battelli che salivano e scendevano sotto differenti bandiere il Fiume Bianco per far commercio dei denti di elefante e per esercitare l'ignominiosa tratta dei neri, si trovavano anche nelle vicinanza di Gondokoro tre imbarcazioni appartenenti al console di Sardegna a Khartum chiamato signor Vauday. Quantunque egli fosse in buoni rapporti con i Bari, tuttavia egli dichiarò apertamente che aspettava l'occasione per far loro guerra e che voleva dare loro una forte lezione anche prima della sua partenza. Diceva che aveva tutto il necessario, armi, polvere e uomini più che ne bisognassero. Tutto questo egli comunicò la sera stessa al Provicario dopo il suo arrivo (4 aprile 1854).

Knoblecher lo consigliò d'essere prudente, ma egli rifiutò il consiglio con risa beffarde. Il 5 aprile verso sera, uno dei battelli del signor Vauday mise l'ancora tra la Stella Mattutina e il giardino della Missione. Sembra che si volesse compromettere la Missione e far conoscere ai neri che la Missione aveva la sua parte nella guerra che si voleva loro fare.


[2090]
Il console stesso gettò l'ancora più in basso vicino a Libo. Un giovane turco, agente del console, venne a bordo del battello della Missione e fece dei tristi lamenti sugli insuccessi del commercio tra i Bari. All'arrivo della notte il battello lasciò la riva. Nello stesso momento due carabine ben caricate spararono tra gli indigeni; costoro erano senza armi. Con loro c'erano, per caso, dei marinai della Missione, ove erano andati per comperare della carne. Due ragazzi neri caddero. Grosse palle di carabine sfiorarono i bordi della Stella Mattutina. Il cuciniere che si trovava vicino al fornello fu ferito a un orecchio e cadde svenuto a terra. Dei ragazzi uno era stato ucciso e l'altro gemeva nel suo sangue. Tutto ad un tratto gli indigeni corsero come lampi da tutte le direzioni verso il paese, ma il battello remò con tutte le sue forze verso Libo.

Si seppe dopo che la Missione era una spina nell'occhio per Vauday e che aveva gettato tutte le sue malvagie imprese sui Missionari. Si era pronti a pensare di vendicarsi per questo comportamento inaudito; si voleva eccitare gli indigeni contro la Missione e far loro credere che era questa che faceva loro guerra. I mercanti che ritornarono a Khartum avevano accusato il Provicario che aveva guastato tutto il commercio facendo dei regali di perle di vetro ai neri.


[2091]
Lontano, nel paese, si sentivano i tamburi di guerra. Con delle grida terribili i neri, facendo oscillare le loro lance e le loro frecce, venivano da tutte le direzioni. I compagni del Knoblecher attendevano con impazienza che gli animi si mettessero in calma. Il Dott. Knoblecher proibì ai marinai della Missione, che volevano prepararsi per la resistenza, di caricare i loro fucili e ordinò a tutti di salire il battello; soltanto se lo vedevano cadere essi dovevano remare in mezzo al fiume e astenersi dal vendicarsi. Per fortuna dei Missionari il battello del console di Sardegna con il fuoco continuo aveva attirato i neri irritati. Essi lo seguirono così velocemente che dopo pochi minuti non si videro più i loro movimenti, nemmeno con il telescopio: soltanto si sentiva da lontano un sordo rumore di fucili.


[2092]
Prima del tramonto del sole si raddoppiò e parve abbandonare la riva. Ci si accorse che c'era una battaglia micidiale, perché i neri portavano i feriti, uno dopo l'altro, ai Missionari.

Durante la notte si poteva vedere il fuoco sul ponte del battello. Non si poteva sapere niente di sicuro circa i feriti; per questo si mandò un domestico e un indigeno di fiducia ai campi dei neri per avere delle notizie. Li lasciarono entrare solamente quando capirono che i due appartenevano alla Missione. Intanto un marinaio del signor Vauday aveva nuotato dalle isole vicine e pregò il pilota della Stella Mattutina di procurargli un rifugio presso il Provicario Apostolico.


[2093]
Tremando per il freddo e lo spavento egli raccontò così quello che era successo: "Allorché Vauday intese i colpi, vedendo contemporaneamente accorrere i neri in folla, non attese l'arrivo di questo battello che si affrettava a partire e che avrebbe potuto facilmente gettare l'ancora in un posto del fiume dove le frecce non potevano arrivare, ma prese un fucile a due canne, obbligò i domestici che gli erano intorno a fare lo stesso e corse verso la folla armata di lance e di frecce.

Senza pensare a una ritirata Vauday accorse con il suo seguito verso i neri e, quantunque egli avesse delle armi migliori, fu sconfitto coi suoi compagni, perché il loro numero era più grande".

Tutto quello che apparteneva alla Stella Mattutina era a disposizione per curare i feriti e i malati. Mentre questi si trovavano alla casa della Missione, i loro parenti si presentarono in grande numero e li assistettero con tenero affetto.

Poiché la cura e il sacrificio dei Missionari non poteva sfuggire agli occhi degli indigeni, la fiducia aumentò in essi di giorno in giorno, talmente che Knoblecher, in rapporto a questo miserabile negoziante della Sardegna, poteva adattare le parole della Scrittura: "Voi pensate di farmi del male e Dio l'ha rivolto in bene". (Gn 50,20).


[2094]
La grande stima della quale avvantaggiò Knoblecher e la Missione sollecitò diversi capi dell'Equatore (soprattutto dopo l'ultima circostanza in cui i Missionari esercitarono una grande carità) a invitare il Provicario a stabilirsi presso di loro. Fu per questa circostanza che dopo aver affidato la Stazione di Gondokoro al sig. Kohl, il Provicario decise di fare una esplorazione tra le numerose cateratte a Sud di Garbo, Gumba e Takiman, tra quelle numerose tribù.

Kohl si sentì ben felice nella sua situazione di condividere la sua attività senza limiti nel lavoro e la cura dei feriti, nell'istruzione dei bambini e nel suo perfezionamento nella lingua dei Bari. In poco tempo egli guadagnò l'amore di tutti. Ma visitando un povero malato che abitava a una grande distanza durante l'alto calore del sole, si buscò una dannosa malattia che aveva preso una piega così pericolosa al ritorno del Knoblecher che costui fu obbligato ad amministrargli i Sacramenti dei moribondi. Egli sopportò per quattro giorni i più grandi dolori con la pazienza di un martire. Il 12 giugno rese l'anima al Creatore.


[2095]
Questa grave perdita aumentò le pene del Provicario ed egli fu obbligato a prendersi ancora più cura per l'istruzione dei giovani per fare il più presto possibile per dare, prima della sua partenza per Khartum, il S. Battesimo ai più preparati che lo domandavano con ardente desiderio. Fra questi si trovava anche il vecchio Lutweri, precedente proprietario della Missione. Il vecchio aveva assistito tutti i giorni alle istruzioni e alle preghiere dei bambini. La grazia gli fu accordata.

La Stazione di Gondokoro era desolata perché il P. Bartolomeo Mozgan aveva da qualche tempo abbandonato i Bari per discendere al fiume e aveva fondato la nuova Stazione di Santa Croce nella tribù dei Kich, tra il 6º e il 7º di L. N.


[2096]
Il 14 giugno, dopo aver dato le chiavi della casa al buon Lutweri e avendolo nello stesso tempo incaricato dell'amministrazione fino al suo ritorno, il Provicario ritornò a Khartum dove fu ricevuto in grande pompa dai Missionari che erano addolorati per i rapporti falsi che avevano ricevuto e cioè che egli sarebbe stato da tempo divorato dai neri.


[2097]
Fu in questo tempo che il Dott. Knoblecher pensò di costruire nella capitale del Sudan una grande casa per la Missione con una chiesa, rispondenti allo scopo per il quale le abbondanti offerte dei membri del Comitato di Marienverein diedero i mezzi. Il R.do P. Gostner, Vicario generale, dopo la morte del bravo Kociiancic era in intensa relazione con il suo illustre Presidente per la realizzazione di questa opera che costava nel 1859 più di 500.000 franchi.


[2098]
L'anno 1854 si preparò una nuova spedizione di Missionari composta da:

R.do P. Matteo Kirchner ........ di Bamberga in Baviera

"......." . Antonio Überbacher

"......." . Francesco Reiner
............................................della diocesi di Bressanone nel Tirolo


e si aggiunsero dei laici come operai:

sig.. Leonardo Koch, architetto

" .... Andrea Ladner

" .... Antonio Gostner (fratello del Vic. g.)

" .... Giovanni Kirchmair

" .... Giuseppe Albinger di Voralberg
....................................................del Tirolo




[2099]
Il 25 ottobre essi arrivarono a Khartum. Siccome Haller avevo preso le febbri dopo il 10 giugno 1854, P. Kirchner intraprese la direzione della scuola della Missione. I Padri Überbacher e Reiner erano destinati ai Bari. Poiché quest'ultimo morì poco prima della partenza, il Provicario condusse con sé il sig. Daminger, un eccellente laico, che rese molti servizi alla Missione.


[2100]
L'11 aprile 1855 la Stella Mattutina gettò l'ancora a una mezz'ora di distanza da Gondokoro. Tutti accorsero e si gridò pieni di gioia: "Il nostro battello arriva... il battello dei Bari arriva verso il fiume". Dopo s'intese da ogni parte: "Mougha, Mougha." Questi si vestì del suo abito rosso di Alessandria. Quali sentimenti invasero il R.mo Provicario Apostolico quando vide già lontano dalle rive la folla l'accompagnava con canti di gioia! I ragazzi e i bambini battevano le mani e tutti cantavano: "Il nostro Padre arriva, il nostro Padre ci ama... non ci ha dimenticato".

Dopo essere sceso a terra, ciascuno piccolo e grande volle presentarsi personalmente al Provicario, baciargli la mano ed esprimergli almeno con qualche parola la sua gioia per il suo felice ritorno.


[2101]
Allora il Dott. Knoblecher apprese quali false notizie i battelli dei mercanti avevano diffuso presso i Bari: che egli era morto o che era ammalato, che aveva lasciato Khartum per ritornare in Europa, che non amava più i Bari e che non voleva più ritornare fra loro. Tanto più grande era la sorpresa, tanto più cordiale era la gioia di tutti per la sua inattesa riapparizione. Fu molto interessante il lungo colloquio che il capo Mougha ebbe con la folla e con molti capi che l'attorniavano. Egli raccontò con grande entusiasmo le meraviglie che aveva visto presso i bianchi.

La folla accovacciata attorno a lui tendeva le orecchie con un'avidità straordinaria, per ascoltare ciò che egli aveva visto coi suoi propri occhi.


[2102]
Con una eloquenza piena di fuoco egli raccontò loro ciò che gli aveva fatto più impressione. Parlò loro degli immensi villaggi (Cairo e Alessandria), in cui la popolazione è numerosa come gli uccelli nelle loro migrazioni al tempo della pioggia; delle case come delle montagne e che sono tutte fatte dalle mani dell'uomo; del mare con le sue immense barche che si elevano fino alle nubi. Parlò loro dei costumi e degli usi delle nazioni straniere e come ci sono dei signori molto ricchi e molto grandi come dei sultani; come c'è una grande quantità di capi e di re e come vide un capo assai grande che è il capo di questi capi e di questi re (il vicerè d'Egitto)....

La folla gridava tutta meravigliata: "hha, hha!". Poi parlò loro dell'accoglienza benevola che ricevette e come i Missionari erano molto venerati dai capi e dai re. Come essi avevano delle case immense che sono eterne e che non si distruggono mai e che nemmeno la pioggia né le lance e le frecce possono farle cadere. Infine egli costatò la fortuna dei bambini dei Bari che erano educati in una grande casa a Khartum, che crescevano e imparavano come i bianchi ecc. ecc. Il trattenimento di Nighila durò più ore della notte. Tutti erano rimasti incantati.

Al mattino il R.do Padre Überbacher discese dalla Stella Mattutina, salì su un mulo, attorniato dai bambini che cantavano il Laudate Dominum ecc. e le piccole bambine catecumene l'accompagnarono fino alla cappella.

A mezzogiorno del 12 aprile arrivò anche il Provicario con la Stella Mattutina tutta piena di popolo. Uomini, donne, bambini, ragazzi, ragazze, grandi e piccoli avevano seguito il battello dalle rive del fiume. Il paese sembrava rinascere a vita nuova.


[2103]
Il Dott. Knoblecher trovò il paese dei Bari immerso nella carestia. La pioggia aveva distrutto e rovinato tutto. I poveri erano felici quando trovavano nelle campagne delle erbe selvatiche e delle radici per saziare la fame. La missione fece tutto quello che poteva in questa circostanza. Il Provicario che aveva due barche di durrah (grano nero) fece rallegrare una grande quantità di poveri. Oltre a questi ai quali si distribuiva fuori, v'erano sempre i poveri che mangiavano una volta al giorno alla Missione.

I bambini si presentavano alla porta e gridavano: "Padre, abbiamo fame." Essi partivano pieni di gioia dopo aver mangiato.


[2104]
Il Provicario si mise con attività straordinaria a istruire i catecumeni e i neofiti. Egli diede prova di tutto il suo sapere nella lingua del paese nel tradurre in questa lingua il Pater, l'Ave Maria, il Credo e le preghiere più ordinarie dei cattolici. Überbacher istruiva i piccoli, il Provicario gli adulti. Dopo qualche mese il Dott. Knoblecher potè battezzare molti Bari e diede la Santa Comunione, il Pane degli Angeli, a 31 cristiani.

Fra i battezzati si trovava il bimbo di sette anni (chiamato Logwit) dell'anziano proprietario del terreno della Missione, Lutweri, che ricevette il nome di Francesco Saverio e che venne otto anni più tardi nel Tirolo dove, dopo aver aiutato l'illustre professor Mitterrutzner nella lingua dei Bari, morì come un angelo a Bressanone. Il Provicario poi partì per Khartum dopo aver affidato la Missione al R.do P. Überbacher che continuò da solo, come un vero apostolo, l'opera così santa, ma piena di spine, tra i popoli della tribù dei Bari.


[2105]
Mentre Don Beltrame soggiornava a Khartum in aiuto alla Missione, prese delle informazione sulle diverse tribù dei neri per venire alla decisione di scegliere un posto conveniente per l'opera di Don Nicola Mazza di Verona. Gli si parlò molto sulle tribù dei Barta e dei Berta che abitavano all'ovest del Fiume Azzurro tra il 13º e il 10º di L. N., tra i Galla e la penisola del Sennar. Egli prese dunque la risoluzione di parlarne al Provicario Apostolico nell'idea che questi posti potessero essere adatti per una Missione sicura, essendo tra il Fiume Bianco e il Vicariato Apostolico dei Galla. Il Provicario consentì alla domanda di Don Beltrame che fece i preparativi necessari per intraprendere una esplorazione nei paesi dei neri che si trovano a Sud-Ovest del Fiume Azzurro.


[2106]
Il Dott. Penay, medico capo del Sudan, aveva fatto questo viaggio e visitato questi paesi così come molti agenti civili e militari del governo egiziano, soprattutto per cercare la polvere d'oro di cui è ricco il paese. Lo stesso illustre tedesco Russegger visitò questo paese e fece una descrizione abbastanza esatta di questo viaggio e di ciò che vi era di più interessante, come si può vedere nei suoi bei volumi scritti con molta cura. Questo viaggio era stato fatto anche da uno dei più coraggiosi e zelanti Vescovi missionari del nostro secolo: Mons. Gugliemo Massaia, Vescovo di Cassia e Vicario Apostolico dei Galla, la storia del quale è troppo poco conosciuta in Europa, ma può essere paragonata con tutta verità (in rapporto agli enormi lavori apostolici) alla storia degli Apostoli e Martiri dei primi secoli della Chiesa.


[2107]
Allorché una terribile persecuzione in Abissinia, eccitata dal vescovo copto eretico Abba Selama, forzò Mons. Jacobis e Massaia ad abbandonare questo paese, nel momento in cui Mons. Massaia tentava di penetrare nel suo Vicariato dalla parte di Gondar al fine di eludere le furberie e gli intrighi di Abba Selama e del patriarca eretico. Egli concepì il progetto di penetrare nella sua missione per la via della Nubia e del Fazogl.

Sotto il nome di Khauaïa Gerghes Bartorelli (nome della famiglia di sua madre) egli visitò tutti i santuari eretici dei copti scismatici dell'Egitto presso i quali conobbe tutti i tentativi che i suoi persecutori facevano contro di lui senza che essi si accorgessero. Siccome il suo nome era diffuso sul Fiume Azzurro, dove gli abissini avevano il commercio della cera, del caffè e del sale, il santo Prelato si travestì da povero arabo e con coraggio eroico, a volte facendo il piccolo negoziante al dettaglio di pepe, di zucchero o di droghe, a volte camminando a piedi e in brevi giornate, a volte mescolandosi tra i mendicanti, egli riuscì da solo a penetrare da Rossères e da Fadassi nella sua missione in otto mesi dopo aver avuto una lunga conferenza sul Fiume Azzurro con Abuna Daoud (che fu poi patriarca dei copti eretici) che veniva dalla predicazione in Abissinia contro i Vicari Apostolici dell'Abissinia e dei Galla.

Questo degno Prelato non trovò tuttavia opportuna questa via per penetrare tra i Galla, perché presentava troppe difficoltà e pericoli.


[2108]
Don Beltrame accompagnato dal sig. Francesco Mustafa, convertito dall'islamismo e battezzato a Milano, partì da Khartum su una barca del Dott. Penay il 4 dicembre 1854 e per la via di Wad-Medineh, Sennar, Rossères e Fazogl toccando l'estremità orientale delle tribù dei Barta e dei Berta, arrivò, dopo molte pene e fatiche, a Benichangol presso i Changallas vicino a Fadassi all'Ovest del Fiume Azzurro. Ma siccome le comunicazioni tra questi paesi e Khartum erano troppo difficili, non si trovò prudente fondarvi la prima casa di un'opera tale e quale doveva essere quella di Don Nicola Mazza. E' per questo che Don Beltrame se ne ritornò a Khartum con il progetto di cercare un altro posto sul Fiume Bianco.

Fu allora che il Provicario espresse il desiderio di accordare all'Istituto di Verona un posto nelle tribù dei Denka. Occorrevano però dei Missionari per questa impresa, perciò Beltrame ritornò a Verona per prelevare dei nuovi messaggeri della Fede, dopo aver concluso con il Provicario Apostolico ciò che è contenuto nel seguente documento:



Vicariato Apost.co dell'Africa Centrale

N. 10°
[2109]
Incaricati dal Vicario di Cristo ad evangelizzare i popoli infedeli dell'Africa centrale, desiderando quindi, quanto sta a noi, che venga effettuata quanto sia possibile la diffusione della nostra S. Religione, accordiamo con sommo piacere al R.mo Sig.r D. Nicola Mazza, fondatore di una Congregazione di Carità esistente in Verona, rappresentato del R.do Sig.r D. Giovanni Beltrame membro della stessa Congregazione, ed inviato a trattare in proposito, quanto segue:

1º. di aprire nella nostra Missione un Istituto per l'educazione cristiana dei poveri infedeli, fra quella tribù pagana e in quel luogo, che i Sacerdoti esploratori a ciò inviati dal Superiore dello stesso Istituto di Verona si sceglieranno a loro piacere di preferenza.


[2110]
2º. Avendo questo nuovo Istituto secondo l'espresso volere del fondatore a mantenersi coi propri mezzi comuni a tutti i due Istituti, cioè a quello già esistente in Verona, e a quello da aprirsi nel Nostro Vicariato, concediamo ai Sacerdoti della Congregazione sopraindicata la direzione amministrativa del medesimo Istituto.

3º. Ci riserviamo per altro, come nostro dovere, quei diritti che garantiscono i S. Canoni ai Vicari Apostolici nelle loro Missioni.


[2111]
4º. Per facilitare poi la necessaria comunicazione siasi col Superiore del Vicariato, siasi coll'Europa e sollecitare in modo desiderabile il bene possibile dei missionari, sarebbe il nostro desiderio, che fin dal principio risiedesse un Sacerdote nella Stazione principale di Khartum, dove abitando nella casa della Missione, oltre di fare da Procuratore della propria Missione, troverebbe occupazioni efficienti e bastevoli, secondo gli ordini del Vicario, o Superiore della Stazione.

Intanto daremo parte del fin qui esposto alla S. Congregazione di Propaganda Fide per la conferma dell'asserito.

In fede di che emaniamo questo Documento munito della nostra suscrizione, e del sigillo di questo Vicariato Ap.lico.

Dalla Nostra attuale Residenza di Khartum

3 agosto 1855

(L.S.)

firmato D.r Ignazio Knoblecher

Pro-V.o Ap.co




[2112]
Mentre il Provicario si trovava sul Fiume Bianco, una numerosa carovana di Missionari viaggiava su un vapore del Lloyd nel Mediterraneo diretto all'Egitto. Vi erano 4 preti, 1 maestro e 9 operai tutti del Tirolo: essi erano pieni di desiderio di sacrificarsi per il buon Dio e la salvezza dei neri nell'Africa Centrale.

Ecco i nomi dei Missionari:

1º R. P. Giuseppe Staller Diocesi di Bressanone

2º" " Michele Wurnitsch Diocesi di Bressanone

3º " " Francesco Morlang Diocesi di Bressanone

4º " " Luigi Pircher di Leifers presso Bolzano, diocesi di Trento.


[2113]
Sfortunatamente uno di loro, il R.do Padre Staller, fu obbligato a ritornare in Europa dietro consiglio dei medici a causa di una grave malattia. Un altro, il R.do Padre Wurnitsch morì qualche ora dopo la partenza da Korosko nel deserto, sulla sabbia. Egli fu sepolto all'inizio del deserto di Korosko. Gli altri raggiunsero felicemente Khartum. Morlang fu mandato presso i Bari, il R.do P. Luigi Pircher presso i Kich alla Stazione di Santa Croce. Costui era un'anima pura, un vero imitatore di S. Luigi Gonzaga. Egli morì troppo presto, pochi giorni dopo l'arrivo alla sua destinazione nel 1856. Gli altri operai furono destinati alla Stazione di Khartum. C'erano fra di loro dei veri cristiani che resero dei grandi servizi alla Missione con il loro buon esempio e una infaticabile attività nella costruzione della casa per amore del buon Dio. Non citeremo che questi:

Sig. Ferdinando Badstuber (ebanista falegname) morto qualche mese dopo;

Sig. Antonio Vallatscher (tessitore, calzolaio, saldatore);

Sig. Gottilieb Kleinheinz (cameriere e cuciniere);

Sig. Giovanni Juen (muratore e tagliatore di pietre);

Sig. Giovanni Fuchs (calzolaio ecc.).


[2114]
Innanzi tutto si distingueva il maestro J. Dorer, sul quale il Vicario generale, P. Gostner, scrisse da Khartum dopo la sua morte: "Per i nostri ragazzi Dorer era un padre prudente, una madre tenera, un saggio maestro; in una parola: 'tutto in tutto'. Il suo carattere morale si può esprimerlo in questa espressione: un angelo in carne umana".

Il Provicario Apostolico visitò nel 1856 anche gli istituti di Santa Croce e dei Bari. Il primo giugno arrivò con la Stella Mattutina a Gondokoro. Egli fu salutato dagli scolari con dei canti pii nella lingua dei Bari che sono divenuti popolari in tutta la tribù. Egli vi trovò il P. Überbacher che aveva lavorato con una dedizione e un profitto ammirevoli e che fu felice di aver ricevuto un nuovo compagno, il sig. Morlang.


[2115]
Quasi nello stesso tempo il R.mo P. Gostner Vicario generale, aveva accompagnato in Egitto otto scolari fra i più bravi e intelligenti della scuola di Khartum che dovevano essere condotti in Europa per ricevere una educazione superiore. Arrivati in Alessandria il primo settembre incontrarono il Prof. Mitterrutzner che conduceva una nuova carovana di Missionari dalla Germania.

Il 4 dello stesso mese il Dott. Mitterrutzner, rinunciando con un'abnegazione ammirevole a visitare i monumenti e la classica terra dell'Egitto, ritornò in Europa con i suddetti allievi di Khartum, tra i quali i due bravi Alessandro Dumont e Fr. Charris furono alloggiati nel Collegio di Propaganda di Roma; altri due furono posti presso l'infaticabile e pio amico della Missione, Luca Jeram di Laybach (che tentò due volte di rientrare a Khartum, ma a causa delle terribili malattie, la prima volta ritornò dal Cairo e la seconda da Assuan) e quattro andarono a Verona nell'Istituto Mazza, Ecco i nome dei Missionari arrivati:

R. P. Antonio Kaufmann del Tirolo

" " Giuseppe Lanz del Tirolo

" " Lorenzo Gerbl di Wasserburg in Baviera.


[2116]
C'erano ancora quattro operai laici di cui tre tirolesi. Essi trovarono nel Vicario generale un conduttore sbrigativo, sotto la direzione del quale essi arrivarono alla metà di ottobre a Korosko, dove incontrarono una fatalità inattesa. S. A. Reale Saïd Pascià, Vicerè d'Egitto, fece un viaggio nel Sudan e durante numerosi mesi tutti i cammelli furono fermati per lui e il suo numeroso seguito per il viaggio attraverso il deserto. Solamente il 7 gennaio 1857 Gostner potè lasciare Korosko e alla metà di marzo arrivò a Khartum.

I PP. Kaufmann e Lanz ricevettero la loro destinazione: il primo a Gondokoro, il secondo a Santa Croce. Il pio e zelante giovane Missionario, sig. Gerbl, restò a Khartum. Di una famiglia ricchissima, fu il primo istitutore in Germania della Società dei giovani studenti che è ancora molto diffusa quando era ancora giovane e, nei posti in cui si era costituita, fece un gran bene, soprattutto per preservare gli studenti delle Università dal veleno del razionalismo e far loro praticare le massime della nostra santa religione.


[2117]
All'età di 24 anni il P. Gerbl arrivò a Khartum dove egli ebbe sempre una buonissima salute. L'11 giugno del 1857 celebrò la Messa nella chiesa della Missione, visitò gli ammalati e a mezzogiorno pranzò. Nell'Ars (tre ore dopo mezzogiorno) fu colpito da un eccesso di febbre molto violenta mentre passeggiava nel giardino di Khartum con Francesco Mustafa. Discutevano sul modo di educare la gioventù africana. La sera dello stesso giorno il pio Gerbl era già sepolto.

Il Dott. Knoblecher accompagnò egli stesso Kaufmann e Lanz con la Stella Mattutina alla loro destinazione. Fu in questa epoca che si preparava a Verona la spedizione di Don Nicola Mazza.

Dopo il ritorno di Don Beltrame a Verona, questo venerabile Fondatore aveva preparato cinque preti e un eccellente e pio laico per la sua impresa. Eccone i nomi:


[2118]
Don Giovanni Beltrame di 35 anni di Valeggio diocesi di Verona

Don Francesco Oliboni, professore di 34 anni di S. Pietro Incariano diocesi di Verona

Don Alessandro Dalbosco di 27 anni di Breonio diocesi di Verona

Don Angelo Melotto di 29 anni di Lonigo, diocesi di Vicenza

Don Daniele Comboni di 26 anni di Limone, diocesi di Brescia

Sig. Isidoro Zilli di 37 anni di Trieste, fabbro e meccanico.

Tutti attendevano da lungo tempo la felice circostanza di abbandonare la loro Patria per recarsi nell'Africa Centrale e morire per Gesù Cristo. Ma c'era un terribile ostacolo: la mancanza di denaro. Il Dott. Mitterruzner, nel suo passaggio da Verona per recarsi in Egitto, non si era fermato nell'Istituto che pochi momenti il 23 agosto 1856. Ritornando da Alessandria il 12 settembre seguente con i quattro allievi della scuola di Khartum, di cui abbiamo parlato, vi si intrattenne qualche giorno.

Dimorando e vivendo durante questo tempo con i 34 preti che c'erano allora nell'Istituto, si accorse che molti di questi l'interrogavano sovente sulla Missione e che bruciavano dal desiderio di consacrarvisi.


[2119]
Egli sondò bene il terreno e non comprendeva la ragione per la quale essi non partivano per l'Africa poiché lo desideravano, non meno che lo zelante Fondatore. Nella serata del 14 settembre prese in disparte Don Beltrame per interrogarlo sulla questione. Beltrame scoperse contento ogni cosa e dichiarò che il giorno in cui avessero avuto un po' di mezzi, tutti sarebbero partiti. Custodendo il segreto, Mitterrutzner ritornò nel Tirolo con il fermo proposito di rivolgersi all'alto Comitato di Marienverein a Vienna, per ottenere di mettere a disposizione di Don Nicola Mazza i mezzi necessari per fondare la sua Opera nell'Africa Centrale.

Dopo molte difficoltà, sia da parte del Comitato per accordare, sia da parte di Don Nicola Mazza per accettare, finalmente con la mediazione del Mitterruzner l'affare fu concluso verso la metà del mese di luglio 1857.

La Società di Vienna accordò i mezzi pecuniari all'Istituto Mazza per stabilirsi nell'Africa centrale e Don Nicola Mazza preparò subito la spedizione.


[2120]
Il 3 settembre le LL. AA. Imperiali Ferdinando Massimiliano e la sua novella sposa, l'Arciduchessa Carlotta, figlia del Re del Belgio, che più tardi salirono il trono imperiale del Messico, ci onorarono della loro visita e si intrattennero con noi un'ora e mezza, promettendo di venire entro sei anni a Khartum, (così mi aveva dichiarato l'Arciduca).

Il 5 la carovana partì per Trieste dove aumentò ancora di quattro pii operai e il 15 settembre, con il piroscafo Bombay, arrivammo in Alessandria.

Tre di noi, cioè Melotto, Dalbosco e io, visitammo Gerusalemme e i Luoghi Santi; in novembre abbandonammo il Cairo e, per l'Alto Egitto e il deserto, ci dirigemmo verso l'Africa Centrale. Il Dott. Knoblecher accolse i nuovi Missionari di Verona con una manifestazione paterna e tutta la gioia del suo cuore. Ordinò loro di stabilirsi alla Stazione di Santa Croce presso i kich da dove potevano esplorare poco a poco le diverse tribù dei neri e scegliere il posto dove fondare la prima casa della loro santa impresa.

Come è mia intenzione di fare un Rapporto a parte sui pericolosi viaggi e i travagli del nostro apostolato nell'Africa Centrale, non esco al presente dall'idea che mi sono tracciato qui di scrivere una semplice storia abbreviata del Vicariato Apostolico dell'Africa Centrale. E' per questo che mi avvio velocemente verso lo scopo di questo breve scritto.


[2121]
Il Provicario Apostolico avendo costatato nel 1857 nelle tre Stazioni meno casi di morte che negli anni precedenti e incoraggiato dalla nuova spedizione di Verona che fortificava la Missione, decise di intraprendere un viaggio in Europa al fine di parlare alla Propaganda di Roma del Vicariato, fare degli accomodamenti per l'avvenire e soprattutto ristabilire la sua salute che era colpita considerevolmente dai pericolosi e reiterati viaggi e fatiche spirituali e corporali e soprattutto dalle malattie pericolose che aveva sopportato.

E' per questo che incaricò il R.do P. Matteo Kirchner di visitare le Stazioni del Fiume Bianco e di accompagnare i Missionari dell'Istituto Mazza alla loro destinazione.


[2122]
Dopo aver lasciato a Khartum il nostro carissimo confratello D. Dalbosco in qualità di procuratore, con la benedizione del Vicario generale, Gostner, partimmo da questa città sulla Stella Mattutina sul Fiume Bianco.

Favoriti dal vento del Nord questo celebre battello procedeva con la rapidità di un piroscafo a vapore contro la corrente del fiume misterioso. Passammo i paesi molto vasti degli Hassanieh, dei Baggara, dei Abourof, dei Scelluk, dei Denka, dei Gianghe e di altre tribù.

Mai passava un giorno senza costatare coi nostri occhi, lo stato deplorevole e la condizione infelice dei poveri neri, del quale non mi è possibile farne ora la descrizione. Mai passava una notte senza sentire i leoni e vedere dei grandi gruppi di elefanti, di ippopotami, di tigri, di iene, di leopardi e di altre bestie selvagge.


[2123]
Dopo aver sopportato molte pene e malattie arrivammo il 14 febbraio alla Stazione di Santa Croce dove il pio e bravo Giuseppe Lanz, aiutato da due laici Glasnik e Albinger, era il solo Missionario che era sopravvissuto. Mozgan, spossato per le fatiche, e colpito da una febbre perniciosa, aveva emesso qualche giorno prima il suo ultimo respiro.

Mentre la Stella Mattutina conduceva Kirchner nei paesi dei Bari, noi tutti ci istallammo (il superiore Don Beltrame, Oliboni, Melotto, Comboni, Zilli) in una piccola capanna che aveva servito, fino a quel momento, per custodire le vacche, la cui altezza era di tre metri e il diametro di quattro metri. Il nostro letto consisteva in una piccola asse sormontata da una coperta che avevamo portato dal Cairo, eccetto Don Oliboni che dormiva appoggiato su una piccola cassa. Non c'era niente in quel paese.


[2124]
Prima di tutto pensammo di imparare la lingua del paese, cioè il Denka che, dopo le informazioni che prendemmo, era la più diffusa tra le tribù del Fiume Bianco e delle regioni limitrofe.

Il primo che si era occupato di questa lingua fu il Dott. Knoblecher, ma fino a quest'epoca non aveva scritto che circa 600 parole per comprendere ed esprimere le cose di prima necessità. Dopo di lui fu Mozgan che si occupò di questa lingua così importante. Egli però non lasciò a Lanz in eredità che qualche dialogo e una piccola collezione di 600 parole che, al nostro arrivo presso i Kich, era il meno per farsi comprendere dagli indigeni nei bisogni più urgenti. Noi ci eravamo messi con una applicazione costante e assidua a studiare questa lingua.

Prima di tutto avevamo preso il dizionario italiano e ne avevamo trascritto più di 5.000 parole le più comuni e utili per il nostro ministero. Poi, con l'aiuto degli allievi della Missione e soprattutto del piccolo Antonio Kacional e della piccola Caterina Zenab di nazionalità denka, che conosceva bene la lingua araba da noi conosciuta, eravamo riusciti (Lanz, Beltrame, Melotto e io) nello spazio di dieci mesi a comporre un dizionario italiano-denka ricco di 3.000 parole, una piccola grammatica, dei dialoghi più comuni e un voluminoso catechismo contenente le materie dei dogma e della morale cattolica sufficienti per esercitare il ministero apostolico presso i nostri cari indigeni.


[2125]
Avevamo fatto delle indagini nei paesi dove il denka era parlato, dove constatammo gli costumi, gli usi, le credenze, gli errori e le superstizioni degli indigeni. Per dire su questo solo una parola (poiché sarebbe il tema di un trattato) direi che i neri di queste contrade sono generalmente affatto pagani e feticci. Essi credono che vi è un Essere Supremo che chiamano Dendid, che significa grande intenditore; ma parlando della Creazione essi dicono che sono stati creati come tanto l'elefante, quanto la mucca, quanto la luna.

Vi sono delle tribù che credono che i bianchi sono stati creati nell'acqua e i neri nel carbone, ed è questo, dicono, che spiega la ragione per la quale sono neri. Ve ne sono delle altre che affermano che i bianchi parlarono con Dendid, ma i neri non parlarono con lui.

Noi possiamo assicurare che la religione di Gesù Cristo non è mai penetrata in queste tribù, perchè non trovammo mai la minima tradizione delle verità del Nuovo Testamento. Al contrario, conservano molte tradizione dell'Antico Testamento, come i sacrifici, la legge del taglione, gli angeli e i demoni.


[2126]
Essi chiamano l'angelo Acïek e il diavolo Acïok. Considerando queste parole che non diversificano punto nelle consonanti, ma solamente nella vocale della seconda sillaba, ne risulta che i denka credono con noi che l'angelo e il demonio hanno una stessa natura. Essi fanno sempre dei sacrifici e hanno le loro cerimonie molto interessanti per questi sacrifici. Ma essi non sacrificano mai a Dio, né gli prestano alcun onore, perché non ha bisogno di essere sollecitato dagli uomini per fare il bene. Egli lo fa sempre per se stesso. Al contrario, essi sacrificano sempre al diavolo (Acïok) per placarlo e renderlo propizio, impedendolo di fare del male agli uomini.

Fummo testimoni di innumerevoli sacrifici. Ed eccone uno: tra ottobre e novembre 1859 c'era stata una cometa nell'Africa Centrale come in Europa. Siccome essi credevano che la cometa era stata mandata nel cielo dal diavolo, i capi e i tiets (indovini e stregoni) si riunirono insieme e avevano discusso sul da farsi in quella sfortunata circostanza. Essi decretarono di sacrificare otto buoi al diavolo. In effetto essi uccisero solennemente gli otto buoi e, dopo molte cerimonie e canti, offrirono queste vittime ad Acïok.


[2127]
Ma la cometa si manifestava sempre più formidabile. Allora in un'assemblea stabilirono di bruciare una grande quantità di praterie e di pascolo. Noi lo notammo bene una notte quando si vedeva la luce come il giorno e domandammo agli indigeni la ragione di ciò: "E' per bruciare, risposero, la cometa." "E perchè volete bruciarla?" ripresi. Essi risposero: "Perché la cometa è presagio di disgrazie e di disastri." Ma anche questa volta non erano riusciti a bruciare la cometa, così un giorno vedemmo una folla di gente armata di lance e di frecce avvelenate che, ben schierati in una pianura, lanciavano contro la cometa. Alla sera domandai a un capo il perché essi lanciarono delle frecce. "E' per uccidere la cometa", mi rispose. Quando la cometa, dopo il suo corso, finì per sparire gli indigeni fecero una grande festa e cantarono, ballarono e mostrarono la loro riconoscenza e finirono per dire che Acïok (il diavolo) era pacificato e appagato.


[2128]
Colui che fa i sacrifici, cioè il ministro, è un personaggio molto rispettato presso i neri. Si chiama tiet, cioè stregone, unisce le funzioni di prete, di medico e di sapiente. Quando c'è un malato ed egli è chiamato, deve prima dichiarare se il malato guarirà o morirà. Se la sua sentenza è per la guarigione, si circonda il malato di molte cure e sovente egli guarisce. Se, al contrario, egli dichiara che il malato morirà, allora lo si abbandona subito in modo che se non muore per la violenza della malattia, deve morire per essere stato abbandonato da tutti. Per quanto i neri del Fiume Bianco siano meno avanzati nel progresso dei nostri primi padri al tempo di Adamo ed Eva, tuttavia nei paesi nei quali non è penetrato il musulmano o l'europeo, essi hanno dei costumi semplici e puri. E' affatto sconosciuta la demoralizzazione. In poco tempo questi paesi si convertiranno al cattolicesimo se si potrà continuare il nostro ministero.


[2129]
Queste tribù sono popolate anche da immensi branchi di elefanti. Non passa mai una notte senza sentire lo spaventoso ruggito del leone; la pantera, il leopardo e soprattutto l'iena sono quasi comuni come i cani in Europa. Si trovano in grande qualità i serpenti più colossali, così come i coccodrilli, gli ippopotami, gli scorpioni ben più grandi dei nostri ecc. Come si vede, tutte queste circostanze concorrono a rendere più pericoloso il soggiorno dei Missionari.

Malgrado tutto ciò noi eravamo felici di poter rendere noto a quella gente le massime e la fede dell'Evangelo. Le basi degli alberi era il nostro pulpito per predicare ed era sempre attorniato dai capi e dai neri nudi, armati sempre di lance e di frecce avvelenate. Essi ascoltavano la Parola di Dio con un'avidità straordinaria e un'applicazione che ci dava molto da sperare. La nostra chiesa per offrire il Santo Sacrificio consisteva a volte in una piccola tenda, a volte in una piccola capanna di cinque piedi di altezza, a volte ai piedi di un grande albero. Nei paesi dei Ghog abbiamo innalzato una Croce di trenta piedi.


[2130]
Era la prima volta che l'Evangelo era stato predicato in quei paesi. Avevamo detto a quegl'indigeni che la Croce era il segno della nostra salvezza e che essi dovevano sempre ricorrere là nei loro bisogni. Essi fecero ciò per lungo tempo e può darsi che continuino anche nel presente. Tuttavia, siccome noi siamo sicuri che il nostro ministero continuerà a causa della morte di tanti Missionari, non credemmo prudente di dare il Battesimo a coloro che ce lo domandavano, dopo aver ricevuto una istruzione conveniente.

L'epoca in cui i Missionari sia europei, sia indigeni potranno installarsi solidamente presso gli africani, le tribù dell'Africa Centrale entreranno nell'ovile di Gesù Cristo.


[2131]
Nella tribù dei Kich costruimmo pure una chiesa. Essa costò molto sudore all'infaticabile Lanz e a tutti i Missionari. Siccome non c'erano pietre in questo paese, ci servimmo di legno d'ebano di cui ci sono immense foreste. Piantammo dei pali d'ebano e, con mattoni fatti di fango e conchiglie del fiume, costruimmo con le nostre mani la casa di Dio della larghezza di dodici metri e della lunghezza di 22 e coperta solidamente di paglia nel modo con cui si coprono le capanne della gente.

La chiesa, che era riuscita una meraviglia per i neri, aveva due altari dove celebravamo il Divin Sacrificio e le cerimonie delle feste dell'anno con una gioia che non era inferiore al giubilo che la pietà cattolica prova nelle magnifiche cattedrali d'Europa. I capi dei neri vi arrivavano da lontano e vi restavano con rispetto edificante.


[2132]
Ma quali dure prove la Provvidenza preparava ai poveri Missione dell'Africa Centrale! Il R.do P. Kirchner arrivando con noi al Santa Croce, trovò, come abbiamo detto, il presidente di questa Stazione Bartolomeo Mozgan che era morto.

Arrivato ai Bari trovò morto anche il presidente di Gondokoro, Überbacher. Dopo aver nominato Superiore di questa Stazione Morlang, ritornò alla Stazione di Santa Croce ove trovò morto anche il nostro confratello Don Francesco Oliboni. Questo venerabile Missionario che era stato per dieci anni professore al Liceo Imperiale di Verona, era un uomo di eminente pietà e saggezza,


[2133]
In una parola, egli attraversò il deserto in 26 giorni e durante questo tempo, sotto un calore terribile, egli tollerò un digiuno e una astinenza molto rigorosi, perchè non mangiava né beveva mai che una sola volta al giorno al tramonto del sole. Per prepararsi poi alla festa del Natale nel deserto, rimase senza gustare nulla, né acqua dal mezzodì del 23 dicembre fino alle 10 del 25, cioè 45 ore continue dopo aver trascorso 18 giorni sul cammello.

Oltre le sue preghiere particolari che prolungava per molte ore del giorno, egli recitava tutte le notti da 50 a 60 Salmi di Davide con la meditazione di essi e, durante il suo soggiorno presso i Kich, non si era mai coricato, ma prendeva sonno seduto su una panca o una seggiolina, appoggiando il braccio su una cassa. Si coricò solamente il 19 marzo per morire il 26 dello stesso mese. Io l'avevo salassato tre volte; stava meglio il 24, ma una terribile febbre lo vinse. Negli ultimi momenti ci rivolse una tenera raccomandazione, incoraggiandoci a rimanere costanti fino alla morte per la conversione dei poveri neri. Pieno di fede e abbracciando il Crocifisso, rese il suo spirito a Dio.

Kirchner, arrivato a Khartum, trovò Don Alessandro Dalbosco capo della Stazione poiché il R.mo Vicario generale, Gostner, era deceduto. In questo valido Missionario il Vicariato dell'Africa Centrale aveva perso un grande appoggio.


[2134]
Colpito da queste gravi perdite il R.do Kirchner si premurò di informare il Provicario Apostolico che era andato in Europa, quando, una settimana dopo, arrivò a Khartum la notizia che anche il Dott. Knoblecher era morto a Napoli. In effetto, quando il Provicario lasciò la Missione in ottobre del 1857 per recarsi in Europa, cadde ammalato sul Nilo e già al Cairo trovò la temperatura molto fredda che fece sulla sua malattia una cattiva impressione che fu obbligato a rimanere sempre nella camera del convento dei RR. PP. Francescani.

In Alessandria si trovò ancora peggio. Nella speranza di trovare in Italia meridionale dei mezzi più sicuri per ristabilirsi, il 5 gennaio s'imbarcò su un piroscafo che era diretto a Napoli. Egli arrivò molto sofferente a metà gennaio. L'ambasciatore d'Austria presso il re delle due Sicilie, sig. Chevalier De Martini, lo visitò nell'albergo dove egli aveva preso una forte tosse ed curato dal Dott. Zimmerman. Mediante l'interessamento del Nunzio Apostolico Mons. Ferrari, il Provicario ottenne una benevola accoglienza presso i Padri Agostiniani, che ne ebbero una grande cura.


[2135]
Egli trovò nel R.mo P. A. Eichholzer, confessore della regina, un vero amico. Per suo interessamento il sig. Lucarelli, medico rinomato, incominciò il suo trattamento con grande cura. Ma la malattia sempre peggiorava per una violenta tosse, febbre continua e dei gravi dolori di petto. Ben presto fu costretto a letto; egli sputò molte volte sangue e ricevette i Sacramenti dei moribondi. Tuttavia le cure solerti, assidue e intelligenti dei dottori, in due mesi lo fecero entrare in convalescenza che dava delle speranze di guarigione.

Siccome il Papa Pio IX aveva in quel tempo accordato un Giubileo, il Provicario volle guadagnare le indulgenze che vi erano annesse. Per questo pregò il suo confessore che era Padre Lodovico, Rettore del convento, di concedergli un ritiro di dieci giorni che fu per lui di grande consolazione.


[2136]
"Quando sovente lo visitavo, scrisse in Germania, voleva che gli parlassi solamente su argomenti divini. Si confessò sovente e ricevette tante volte la Comunione. Gli faceva dispiacere soltanto non poter offrire il Santo Sacrificio della Messa". Forse per la sua applicazione agli esercizi del ritiro, egli ricadde in una malattia mortale. Dio chiamava questo grande Servo a Lui per donargli una degna ricompensa ai suoi grandi meriti. Quaranta ore prima della sua morte, essendo solo nella stanza, volle seguire gli esempi dei più grandi Santi e coricarsi per terra, attendendo in questa posizione, la sua fine. Il rumore scosse i religiosi che accorsero, lo misero a letto e gli ordinarono di sottomettersi alla volontà di Dio e di rimanere a letto.

La notte prima della sua morte fece chiamare il P. Priore. Con degli inesprimibili dolori egli fece togliere dal suo baule e accendere il cero che egli aveva ricevuto nella chiesa del Santo Sepolcro a Gerusalemme, che conservava dal 1847 e lo pregò di ricevere il suo ultimo atto di consacrazione della sua vita a Dio. Egli stesso prese nelle sue mani il Crocifisso e fece ad alta voce il sacrificio della sua vita a Dio suo Creatore in espiazione dei suoi peccati. Queste parole le pronunciò con un tale fervore che il Priore e tutti i Padri non poterono trattenere le lacrime.


[2137]
Il 13 aprile 1858 verso mezzogiorno il Provicario Knoblecher spirò all'età di 38 anni, 9 mesi, 7 giorni (egli nacque il 6 giugno 1819).

Il suo corpo fu esposto nella chiesa degli Agostiniani. L'Alto Comitato di Vienna gli fece celebrare un servizio funebre a Vienna e il Nunzio Apostolico, Mons. de Luca, pontificò. Il suo corpo fu poi trasportato a Laybach dove gli fu eretto un monumento imponente. Egli lasciò molti scritti per arricchire la geografia, la botanica, la storia naturale e la filologia delle lingue del Fiume Bianco. Le Missioni persero in Knoblecher un grande campione e la Chiesa cattolica uno dei suoi più degni figli e apostoli.


[2138]
Quando il Provicario Knoblecher intraprese il suo viaggio in Europa nel 1857, le Stazioni della Missione erano fiorenti. Erano state erette delle scuole a Khartum, a Santa Croce, a Gondokoro e c'erano degli uomini apostolici molto capaci che lavoravano con molto zelo e senza risparmiarsi per amore di Dio e dei poveri neri.

I Missionari erano sparsi sulla linea orientale dell'Africa Centrale tra il Tropico del Cancro e l'Equatore. Ma l'anno seguente, come abbiamo detto, la Missione ricevette i colpi più duri in tutte le sue tre Stazioni, ma soprattutto a Khartum dove il Vicario generale Gostner aveva agito con forza e zelo apostolico alla morte del Provicario e in Europa ci si consolò pensando che Gostner sarebbe stato capace di sostenere l'Opera. La Propaganda si era data da fare per eleggere Gostner a capo di questa grande Missione, ma questa notizia non gli era pervenuta poiché dopo tre giorni dalla morte di Knoblecher, una febbre violenta lo strappò alla vita all'età di 36 anni, a Khartum il 16 aprile 1858.


[2139]
Allorché il Prefetto della S. C. di Propaganda, il Card. Barnabò, apprese tutte queste perdite e soprattutto la morte di Gostner, parlò categoricamente: "Dopo tante perdite, dopo tali sacrifici, bisogna chiudere questa Missione". L'illustre professor Mitterrutzner, al quale il Cardinale aveva indirizzato queste parole il 6 settembre 1858, si permise di far conoscere e osservare a Sua Eminenza che le perdite erano grandi e pure grandi i sacrifici, ma che c'erano nella Missione molti uomini validi e capaci di continuare l'Opera incominciata e che si sarebbero trovati anche in avvenire. I sacrifici erano stati grandi, naturalmente, ma che non dovevano essere disprezzati i successi, che esistevano tre scuole fiorenti in questa Missione e giustamente gli allievi del Collegio di Propaganda Andrea Scharrif e Alessandro Dumont ne erano un esempio.

Una comunicazione scritta da Sua Eminenza, portava questi alunni al di sopra di ogni elogio in rapporto al loro talento, pietà e giudizio. Queste presentazioni erano la causa per la quale si finì per lasciare la Missione e ci si occupò della scelta di un nuovo Provicario.


[2140]
Tanto da parte della Propaganda di Roma che del Comitato di Vienna, la scelta cadde sul venerabile Missionario Matteo Kirchner. Egli si trovava a Khartum quando gli arrivò la lettera della sua nomina a capo del Vicariato. Uomo di grande umiltà e spaventato dalle enormi difficoltà della santa impresa, egli decise di non accettare la direzione della Missione che dopo aver esposto alla Propaganda tutti gli ostacoli che vedeva per ben compiere il suo dovere, affinché decidesse tutto per il meglio della Missione.

Dopo aver affidato la Stazione di Khartum alla direzione del pio Don Alessandro Dalbosco, che nominò anche suo procuratore per le missioni del Fiume Bianco, egli partì per l'Europa.

Arrivato a Roma, dopo lunga resistenza, accettò il duro incarico di Provicario Apostolico dell'Africa Centrale. Dietro consiglio della Propaganda al fine di provvedere alla conservazione dei Missionari, egli fece il progetto di fondare una Stazione in un punto del Vicariato dove l'aria era buona e il clima assai sopportabile per gli europei.


[2141]
In questa Stazione dovevano raccogliersi tutti i Missionari per ristabilire la salute e riposarsi delle enormi fatiche del loro apostolato. Le Stazioni cattoliche di Santa Croce e di Gondokoro dovevano essere affidate, durante l'assenza dei Missionari, alla custodia di un indigeno sicuro e fedele e solamente una volta all'anno, all'epoca del vento del Nord, in novembre, alcuni Missionari dovevano lasciare la Stazione in progetto per visitare e sistemare gli affari delle Stazioni cattoliche di Khartum e del Fiume Bianco. La Propaganda si era preso l'incarico di fornire la moneta necessaria per la fondazione di questa Stazione per la quale si era scelto il villaggio di Scellal che è situato di fronte all'isola di File a 100 chilometri circa da Khartum e a 20 da Assuan, sul limite del territorio egiziano e nubiano, al di sopra della prima cateratta 24º11'34" di Lat. Nord e a 30º16' di Longitudine orientale di Parigi.

Il nuovo Provicario, al suo ritorno nell'Africa Centrale, prese con sé tre Padri dell'Ordine di S. Francesco d'Assisi: il P. Giovanni Ducla Reinthaller di Graz e due italiani della provincia di Napoli di cui uno morì già al Cairo. Il R.do P. Luigi Vichweider, nato a Virgl presso Bolzano nel Tirolo, diocesi di Trento, partì dall'Europa il mese di giugno 1858; egli si era già sistemato a Gondokoro il 25 gennaio 1859.


[2142]
Mentre i Missionari di Don Nicola Mazza lavoravano con molta attività nel Vicariato dell'Africa Centrale sia a Khartum dove Don A. Dalbosco dirigeva la Stazione ed espletava le funzioni di procuratore generale del Vicariato, sia a S. Croce dove Don Beltrame, Melotto e Comboni, dopo aver appreso la lingua dei denka s'occupavano dell'istruzione dei Kich e visitavano con molta cura i paesi confinanti dove si parlava il denka, S. E. il Card. Barnabò espresse al pio Fondatore Don Nicola Mazza il desiderio di cedere ai suoi preti Missionari la Stazione di Santa Croce, mettendo così a disposizione del Provicario Apostolico il pio e bravo Missionario Giuseppe Lanz per le altre Stazioni, così tutti gli altri sarebbero stati più tardi destinati a questa Stazione. Ecco come ci scriveva da Verona Don Nicola Mazza l'8 marzo 1859:


[2143]
"Miei cari figli, S. E. il Card. Barnabò, Prefetto della S. C. di Propaganda a Roma mi ha scritto che sarebbe suo desiderio di affidare ai miei Missionari la Stazione di Santa Croce e di affidarla anche alle mie mani e che mi prenda tutta la cura possibile per educare nei miei istituti africani di Verona il maggior numero possibile di ragazzi neri dei due sessi per formarne dei maestri e delle maestre, al fine di poter fondare con questi elementi due collegi nella Stazione principale di Khartum, l'uno maschile e l'altro femminile. A questa lettera ho risposto che accetto ben volentieri la Stazione di Santa Croce e che farò tutto il possibile per fornire dei maestri e delle educatrici neri per i due collegi di Khartum.


[2144]
Mi pare che tali pensieri siano venuti da Dio: In questa maniera la Stazione di Santa Croce sarà per noi la Stazione fondamentale e come il capoluogo dalla quale ci si potrà introdurre poco a poco, nelle tribù dei denka. I due collegi fondati a Khartum dai nostri maestri educati da noi non ci causeranno del male, poiché trovando in questi collegi i nostri allievi, è certo che si sentiranno molto affezionati alla Missione dei denka ed essi faranno, più che potranno, del bene spirituale e temporale.

Per me e per voi, miei cari figli, ci sarà una grande gioia di poter agire con tutto il gradimento di Roma che è la nostra unica e carissima Madre. Mi sembra ancora che noi fornendo i due collegi di Khartum di maestri e di maestre ed educando dei neri e delle nere, la Stazione di Santa Croce e la Missione dei Denka non saranno prive di vantaggio, poiché io sono sicuro che si faranno giuste ripartizioni, soprattutto delle maestre e maestri originari di Santa Croce e dei denka e saranno assegnati a queste Missioni".


[2145]
Noi ignorammo completamente queste disposizioni della Propaganda e del nostro Superiore generale. E' per questo, seguendo sempre le istruzioni ricevute prima, che ci siamo dedicati a predicare il Vangelo e a fare delle visite nei paesi dove si parlava la lingua dei denka. In effetti costatammo che questa lingua era molto diffusa nell'Africa Centrale poiché era parlata nelle seguenti contrade:

A destra del Fiume Bianco:

1º Le tribù dei denka tra il 9º e il 12º L. N. a Settentrione del fiume Sobat

2º La tribù dei Bors tra il 6º e il 7º L. N.

3º La tribù dei Tuit a Nord dei Bor

4º La tribù dei Donghiol

5º La tribù dei Agnarkuei

6º La tribù dei Abuiò

7º La tribù dei Agher

8º La tribù dei Abialagn.

A sinistra del Fiume Bianco:

9º La tribù degli Eliab al disotto del 6º L. N.

10º La tribù dei Kich tra il 6º e l'8º L. N.

11º La tribù degli Atuot a Sud-Ovest dei Kich

12º La tribù dei Gogh a Nord-Ovest degli Atuot

13º La tribù degli Arols al Nord dei Ghogh

14º La tribù dei Gianghe che abitano la riva sinistra dei Scelluk e si estende molto all'interno.


[2146]
15º La grande tribù dei Nuer al Nord dei Kich si estende largamente dalle due coste del Fiume Bianco e parla una lingua propria, ma conosce e parla anche il denka.

16º La potente e formidabile tribù dei Scelluk tra il 9º e il 12º L. N. parla una propria lingua, ma conosce e usa anche la lingua dei denka.

17º Le tribù situate nell'interno della penisola di Sennar al parallelo dei Monte Berta parlano il denka:

a) la tribù dei Ghiel

b) La tribù dei Yom

c) La tribù dei Beer

18º Molte altre tribù situate nella parte superiore del Fiume Sobat e del Bahr-el-Ghazal parlano anche il Denka. Mi avevano assicurato che questa lingua era parlata ancora da altre tribù dell'interno verso il Lago Ciad e il vasto impero di Bornù, ma ne ignoro completamente i nomi.

Ciò che c'era di positivo era che l'infaticabile Don Beltrame, dopo il suo ritorno in Europa, aveva molto studiato e corretto ciò che aveva scritto su questa lingua e aveva corretto bene la grammatica e il dizionario. Ma chi rese un immenso servizio alle Missioni dellìAfrica Centrale è l'illustre Mitterrutzner. Questo celebre poliglotta, con la sua profonda scienza filologica, con gli scritti dei Missionari e con l'aiuto di due ragazzi denka e Bari, pubblicò due opere molto importanti su queste due lingue, le più necessarie per la Missione dell'Africa Centrale:



Die Dinka-Sprache in Central-Afrika

von J.C. Mitterrutzner; Brixen, 1866

poi:

Die Sprache der Bari in Central-Afrika

Grammatik, Text und Wörterbuch

von J.C. Mitterrutzner, Brixen, 1867.




[2147]
Dopo le nostre lunghe e interessanti indagini e dopo enormi fatiche e penose malattie, ci affrettammo per ritornare a Khartum. Arrivati di fronte a Denab, che noi giudicavamo con Kotschy capitale degli Scelluk, ci era stato annunciato che il re era stato strangolato dai capi suoi parenti perché tra gli Scelluk era viltà e vergogna morire di morte naturale. Egli era ancora chiuso nella sua capanna e non era ancora, dopo due mesi, stato sepolto, perché il suo successore, che doveva essere il figlio di suo fratello di nome Gheu, non era ancora stato eletto.

L'elezione doveva dipendere dal popolo e solamente dopo l'istallazione del suo successore il re defunto sarebbe stato sotterrato. Ci fu assicurato che il re riceve come imposta e come retribuzione la terza parte degli oggetti strappati agli stranieri dal brigantaggio e ruberie dei suoi sudditi. Di conseguenza bisogna dire che tra gli Scelluk il brigantaggio e il latrocinio è favorito e incoraggiato dal re. E' la sola tribù dei neri che ha questa legge.


[2148]
Mi sembra che il motivo di ciò è perché gli Scelluk sono il popolo più esposto alle irruzioni barbare dei Nubiani che confinano con essi. I Nubiani, i Dongolesi si precipitano soprattutto sui Scelluk per strappare i ragazzi e le ragazze nere per farne l'infame commercio degli schiavi. Le orribilii violenze dei giallaba nubiani hanno talmente irritato gli Scelluk che sono diventati crudeli essi stessi contro gli stranieri.

Dopo molte pene arrivammo a Khartum, dove il nostro caro compagno, Don Angelo Melotto, che era stato l'angelo di consiglio e di prudenza della nostra piccola società, spossato dalle febbri e dalle fatiche, spirò nelle nostre braccia il 26 maggio 1859 all'età di 31 anni.


[2149]
Il Provicario Apostolico, Don Matteo Kirchner, arrivò a Khartum risoluto a mettere in esecuzione le nuove disposizioni sulla maniera di spiegare l'attività futura dei Missionari, sulle quali egli era d'accordo con la Propaganda. Mentre egli si sarebbe recato in Egitto per implorare da S. A. il Vicerè un terreno a Scellal per costruire la nuova Stazione, Don Beltrame fu incaricato dal Provicario di recarsi sul Fiume Bianco per richiamare i Missionari, prendere gli alunni neri che la prudenza avrebbe consigliato e asportare dalle Stazioni tutti gli oggetti che si credevano utili per trasportarli nella nuova casa.


[2150]
Il primo dicembre Don Beltrame partì con la Stella Mattutina e tre barche da Khartum. Arrivato a Santa Croce egli incaricò Kaufmann di preparare tutti gli oggetti da trasportare a Scellal, mentre lui e Don Giuseppe Lanz si recavano presso i Bari. A Gondokoro essi trovarono che il pio e zelante Don Vichweider, dopo due mesi di febbri intermittenti che si cambiarono in perniciosa, era morto il 3 agosto del 1859.

In pochi giorni le tre barche furono caricate di oggetti della Missione e, avendo affidato la casa a uno dei capi più fedeli di nome Medi, i Missionari ritornarono a Santa Croce ove tutto era pronto per essere imbarcato.

Quando i Kich si accorsero che i Missionari partivano ci fu un rammarico generale da parte di tutti. Essi dicevano: "Se voi ci abbandonate chi ci difenderà dai soldati dongolesi quando verranno a ucciderci e a rubare i nostri bambini e il nostro bestiame? Voi siete stati finora i nostri padri, voi avete istruito i nostri bambini e ci avete insegnato la via del Cielo, voi avete alleviato i nostri poveri e curato i nostri malati. Chi verrà a consolarci e a ristabilirci in salute?" I Kich per quanto sospettosi per natura, tuttavia avevano ben distinto tra i Missionari che venivano tra loro per far loro del bene e i turchi e i negozianti che andavano a casa loro per rubare il loro bestiame, il loro avorio, strappare le loro donne e i loro bambini e a ucciderli. Essi si tranquillizzarono solamente dopo la promessa che i Missionari sarebbero ritornati l'anno seguente.

Le quattro barche arrivarono con i quattro Missionari a Khartum e dopo poco tempo il pio e zelante Don Giuseppe Lanz, dopo quattro anni di laborioso apostolato, rese l'anima al suo Creatore.


[2151]
Nel frattempo il Provicario Apostolico si era recato al Cairo e aveva ottenuto da S. A. Saïd Pascià un bel terreno a Scellal e vi aveva incominciato la costruzione che in poco tempo fu terminata. Già i Missionari del Fiume Bianco e di Khartum si vi erano istallati e la Stella Mattutina, guidata attraverso le cateratte, dopo molti ostacoli, gettò l'ancora al Cairo, dove il Vicerè d'Egitto diede loro una bella somma di molte migliaia di scudi per accomodare la casa, ciò che fu fatto nell'aprile 1961.


[2152]
Il Provicario, affranto per le nuove perdite di Missionari e preoccupato dell'avvenire della Missione, desiderando ardentemente la salvezza degli indigeni, risolse di mettere in esecuzione l'idea che aveva concepito da un po' di tempo di affidare la Missione a un Ordine religioso colossale, che poteva intraprendere e condurre a dei buoni risultati questa opera così importante e difficile. Mediante l'interessamento di S. E. il Card. Barnabò egli si rivolse al R.mo Padre Bernardino da Montefranco, generale dei Francescani, uomo di eminente saggezza e carità che era stato dal 1850 al 1856 Custode di Terra Santa. Il Padre generale, ben disposto a concorrere a questa grande impresa, degna del suo glorioso Ordine che ha dato alla Chiesa migliaia di apostoli e di martiri, avendo visto i preparativi e le speranze delle Opere per i neri fondate a Napoli da quel prodigio di carità che era il R.do P. Lodovico da Casoria, ricevette con soddisfazione la domanda del Kirchner.


[2153]
Per assecondare il desiderio dell'Alto Comitato di Vienna che aveva espresso al Card. Prefetto di Propaganda il desiderio che i tedeschi fossero preferiti per il motivo che le offerte per la Missione venivano dall'Austria, indirizzò da Roma in data 1 giugno 1861 una Circolare a tutte le province francescane della Germania per riunire un bel numero di Missionari del suo Ordine allo scopo di inviarli nell'Africa Centrale.

Ecco la Circolare: [Traduzione dal latino]

Fra Bernardino da Montefranco

dell'Osservanza Regolare S. P. N. Francesco, ecc. ecc.

Ministro generale dell'Ordine dei Minori ecc. ecc.


[2154]
Ai Superiori e ai sudditi religiosi sacerdoti e a noi grandissimamente cari, delle nostre province germaniche, salute e serafica benedizione nel Signore.

Essendo l'istituzione del nostro Ordine Serafico nata dal supremo ardore dell'inclito Fondatore S. P. Francesco, non solo per richiamare dal fango dei peccati e dei vizi alla grazia della salvezza, ma anzi e più per la conversione delle genti ancora sedenti nelle tenebre di un errore mortale, perciò noi emulando lo zelo del Santo Padre e dei santi successori suoi figli e dei nostri maggiori, appena che fummo eletti, benché indegni, alla direzione di tutto l'Ordine, spesso con non poche lettere, ci siamo impegnati a eccitare i nostri giovani sacerdoti specialmente delle province italiane a questo spirito di vera carità.

Ora pertanto l'Ill.mo Matteo Kirchner, Provicario Apostolico, avendoci dal Gran Cairo scritto affinché gli potessimo dare una mano attraverso i nostri giovani sacerdoti, specialmente delle province germaniche, a coltivare quella mistica nuova vigna del Signore che giace finora oppressa di triboli e spine, noi desideriamo venirgli incontro; con questa nostra breve lettera esortiamo i nostri giovani figli sacerdoti delle suddette province, affinché se qualcuno di loro si sentirà chiamato a questa grande opera di pietà, si affretti a scriverci e immediatamente gli manderemo le lettere di obbedienza, purché abbiamo costatato in lui i necessari requisiti per esercitare un così grande compito, attraverso le lettere testimoniali che i rispettivi Ministri provinciali ci devono mandare insieme con la richiesta.

Frattanto esortiamo i Rev.mi Ministri Provinciali affinché non tentino di impedire in alcun modo tali giovani che hanno conosciuto ripieni di vero spirito di carità per le anime, di donarsi a questo compito.

Dato a Roma ad Ara Coeli il 1 giugno 1861.

Fra Bernardino, Ministro Generale.


[2155]
Alla risposta favorevole del R.mo Padre generale dell'Ordine Serafico, il Provicario Kirchner si recò a Roma nel mese di agosto con il P. Reinthaller, dove dopo il consenso della Propaganda, egli affidò definitivamente il Vicariato dell'Africa Centrale all'Ordine Serafico e il R.do Padre Reinthaller era stato eletto Superiore della Missione.

Dopo il permesso del R.mo Padre generale, il nuovo capo dell'Africa Centrale, munito di una trentina di lettere d'obbedienza firmate dal Generale in favore dei Religiosi che desideravano consacrarsi all'apostolato tra i neri, il P. Reinthaller percorse le province del Veneto e dell'Austria e riuscì a riunire una numerosa falange di 34 Missionari tra preti e laici. Nel mese di novembre 1862 arrivò a Scellal nella nuova Stazione.


[2156]
Una volta installati nel Vicariato dell'Africa Centrale i R.di Padri Francescani, tutti i Missionari della Germania e di Verona abbandonarono la Missione e ritornarono in Europa.

Il P. Reinthaller, dopo aver lasciato qualche Padre e Fratello alla Stazione di Scellal, attraversò il deserto con tutti gli altri e arrivò a Khartum, dove una parte di Missionari restò, mentre la maggior parte di essi andò con il Provicario verso il Sud. Qualche confratello era morto durante il viaggio. Nella tribù dei Scelluk il P. Reinthaller si ammalò pericolosamente; per questo egli ritornò a Khartum, mentre altri Padri si installarono a Santa Croce presso i Kich dove ricevettero nel grembo della Chiesa qualche bambino africano.


[2157]
Nel 1862 un'altra carovana di Figli di S. Francesco si diresse verso Scellal, circa 24, tra i quali si trovavano tre fratelli del R.do P. Lodovico da Casoria di Napoli (nella spedizione del 1861 ve ne erano cinque). Questi si spaventarono nel sentire le notizie del R.do Padre Superiore Reinthaller che, ridotto a una estrema debolezza per le febbri, si era recato a Berber, dove dopo aver sopportato grandi dolori, rese l'anima al suo Creatore.

Molti altri gli succedettero nell'eternità; altri o ritornarono in Europa o furono ricevuti con una particolare bontà nella missione dei Padri di Terra Santa.


[2158]
In pari circostanze bisognò abbandonare le Stazioni di Gondokoro e di Santa Croce che erano distanti e si decise di occupare solamente le Stazioni di Khartum e di Scellal. La S. C. di Propaganda, dopo la morte di Reinthaller, affidò provvisoriamente la direzione del Vicariato dell'Africa Centrale, dal 1862, al Vicario Apostolico d'Egitto. In poco tempo la Missione di Scellal era stata chiusa e quella di Khartum occupata da due soli Francescani dei quali il Superiore era il R.do P. Fabiano Pfeifer di Eggenthal nel Tirolo e un fratello laico.


[2159]
Dopo questo periodo il Card. Prefetto incaricò Mons. Pasquale Vuicic, Vescovo di Anfitello e Vicario Apostolico dell'Egitto, di intraprendere un viaggio nell'Africa Centrale per visitare la Missione e informare la Propaganda sull'opportunità e il piano di ristabilire, in quelle contrade, l'apostolato cattolico. Ma i gravi e importanti affari della Missione d'Egitto non gli permisero mai di disporre di molti mesi, che sono necessari, per ben adempiere gli ordini di Propaganda.


[2160]
Il P. Lodovico da Casoria, degno figlio di S. Francesco d'Assisi, animato da grande zelo per la salvezza dei poveri neri, fondò a Napoli nel 1854 due istituti per i neri dei due sessi, di cui il maschile era diretto dai suoi Fratelli Bigi del Terz'Ordine che egli aveva istituito per intraprendere le sue ammirabili opere di carità create da lui in favore dei poveri di questa capitale. Il femminile era diretto dalle Suore Stimmatine, terziarie, di Toscana, che aveva chiamate a Napoli per condurre e sviluppare altre opere di carità che aveva appena fondato per le povere ragazze del popolo.

L'istituto maschile era composto da 60 neri che aveva fatto istruire, secondo l'inclinazione di ciascuno, nelle scienze e nelle arti con lo scopo di trasportarli più tardi nel centro dell'Africa e renderli utili ai loro connazionali. Tutti, grandi e piccoli, erano vestiti con la divisa dei Fratelli Bigi del Terz'Ordine di Napoli. Il medesimo scopo e lo stesso sistema regolava l'istituto femminile che ebbe fino a 120 nere. Ora nel 1865, il R.do P. Lodovico, essendo stato informato che la casa di Scellal era stata abbandonata e vedendo che la sua opera abbastanza sviluppata per essere nella possibilità di inviare in Africa qualche soggetto nero, domandò, con la mediazione del R.mo Generale del suo Ordine, la casa di Scellal per il suo istituto africano di Napoli. Il Card. Barnabò, sempre desideroso di assecondare le opere che hanno per fine la conversione degli infedeli, concesse la casa di Scellal al Padre Generale dei Francescani consentendone che costui l'affidasse all'istituto del Padre Lodovico.


[2161]
Nel mese di giugno dello stesso anno Don Nicola Mazza informato perfettamente della condizione nella quale si trovavano gli affari dell'Africa Centrale, mi inviò a Roma munito di una petizione firmata da lui stesso, per domandare alla Propaganda una Missione nella Nigrizia per il suo Istituto in conseguenza al suo piano di cui abbiamo parlato.

Fu allora che il Card. Prefetto epresse la sua volontà di dividere il Vicariato in due parti; la prima sarebbe stata affidata all'Ordine Francescano e la seconda all'Istituto Mazza.

Alla domanda di Sua Eminenza, dopo le istruzione del mio Superiore, presentai alla Propaganda questo progetto di divisione:


[2162]
1º Missione del Nilo Occidentale per essere affidata all'Ordine Serafico con i seguenti confini:

Al Nord il Vicariato dell'Egitto,

All'Est il Nilo e il Fiume Bianco,

Al Sud l'Equatore,

All'Ovest.... in infinitum

2º Missione del Nilo Orientale per essere affidata all'Istituto Mazza con i seguenti confini:

Al Nord il Tropico del Cancro,

All'Est i Vicariati di Abissinia e dei Galla,

Al Sud l'Equatore,

All'Ovest il Nilo e il Fiume Bianco.




[2163]
Il Card. Barnabò ricevendo questo progetto di divisione con molto interesse, si riservò di comunicare direttamente con il mio Superiore e il R.mo Padre Generale dei Francescani per constatare formalmente se le due Istituzioni possedessero gli elementi necessari e se avevano i mezzi finanziari per sobbarcarsi queste Missioni, dopo gli articoli del progetto di sottomettere l'affare per essere esaminato da tutta la Congregazione e avrebbe in seguito provocato i Decreti Apostolici per l'erezione delle due nuove Missioni.

Mentre attendevo, nella città eterna, il risultato di queste pratiche burocratiche, l'illustre Fondatore del mio Istituto, Don Nicola Mazza, rendeva il suo spirito a Dio a Verona all'età di 75 anni e il rispettabile Definitore di Ara Coeli dichiarò al Card. Barnabò che non poteva approvare per il momento alcun progetto di divisione, perché poteva darsi che egli non conoscesse a fondo il terreno sul quale era posta la questione e non aveva abbastanza indicazioni e dettagli riguardo al Vicariato dell'Africa Centrale, per essere al punto di cederne una parte a un'altra Istituzione.


[2164]
Dopo questi giusti motivi dei venerabili Padri Francescani, S. E. il Card. Prefetto giudicò opportuno di non emettere alcuna decisione sul piano della divisione proposta, ma stabilì, nella sua grande saggezza, che il P. Lodovico, come rappresentante dell'Ordine Serafico e io, come rappresentante dell'Istituto Mazza, dovessimo intraprendere un viaggio nell'Africa Centrale per studiare ed esaminare l'affare sul posto stesso e, dopo aver sottomesso le nostre idee al consiglio e al giudizio del Vicario Apostolico d'Egitto, che era il capo del Vicariato, si sarebbe potuto meglio riuscire a formare un piano di divisione giusto e opportuno per le due parti, che in seguito sarebbe stato presentato alla S. C. di Propaganda.


[2165]
Questa determinazione di Sua Eminenza era molto saggia, perché durante il tempo che noi avremmo impiegato in Africa, la Direzione del mio Istituto, che si era vista obbligata a limitare le sue opere a causa della morte del Fondatore, avrebbe avuto il tempo sufficiente per determinare così la sua nuova posizione nell'accettare o no la Missione. Nel medesimo tempo il Padre Lodovico avrebbe potuto condurre in Africa i primi soggetti del suo istituto e prendere possesso della Stazione di Scellal.


[2166]
La nostra partenza per l'Africa era stata fissata per il novembre prossimo e S. Em.za il Card. Prefetto mi aveva concesso una piccola somma di denaro per il mio viaggio in Africa. Nell'ottobre precedente il P. Lodovico con me e tre Fratelli neri, tra il quali si trovava il P. Bonaventura di Khartum, volle visitare la capitale dell'Austria per implorare dalla Società di Maria dei soccorsi per Scellal. Passammo per Bressanone al fine di consultare l'illustre professor Mitterrutzner su un nuovo piano di divisione del Vicariato dell'Africa Centrale, da presentare a Roma al nostro ritorno in Europa, perché il P. Lodovico non era soddisfatto di quello che era stato presentato alla Propaganda.

L'illustre professore, con molta saggezza, ci provò che il miglior progetto di divisione sarebbe stato di dividere il Vicariato dal Nord al Sud, al posto di dividerlo dall'Oriente all'Occidente, cioè sarebbe stato bene affidare ai Francescani le regioni dell'Egitto fino alle prime tribù nere al 12´º L. N. e all'Istituto Mazza da questo punto fino all'Equatore. Tutto ciò per importanti motivi che sono espressi nella lettera latina indirizzata da Mitterrutzner al P. Lodovico a Vienna il 29 ottobre 1865.


[2167]
Le pratiche fatte a Vienna in favore della Stazione di Scellal, non erano state inutili poiché il Comitato cedette al P. Lodovico l'uso di tutta la mobilia della Missione, della cappella e dei laboratori delle diverse arti. Il Comitato dichiarò poi che le risorse dell'Associazione bastavano appena per la Stazione di Khartum, di cui unicamente poteva occuparsi.

Tuttavia tre mesi più tardi, dopo la mediazione del Card. Prefetto, l'Alto Comitato assegnò ai Fratelli di P. Lodovico residenti a Scellal, la somma di 1200 franchi per anno.


[2168]
Il 6 gennaio, festa dell'Epifania, del 1866, arrivammo a Scellal e il Padre Lodovico prese possesso di questa Stazione cattolica. Tre giorni dopo, in seguito a lettere urgenti che aveva ricevuto, il P. Lodovico lasciò la Missione per ritornare a Napoli. In questo modo lo scopo principale del nostro viaggio nell'Africa Centrale si arenò e due mesi dopo anch'io rientrai in Europa.

I Fratelli del P. Lodovico da Casoria restarono nella casa di Scellal per otto mesi, poi, per mancanza di risorse, questa Stazione fu chiusa e i Religiosi si misero sotto la direzione e al servizio della Terra Santa.


[2169]
A Khartum il P. Fabiano rimase solo per quattro anni, aiutato da un Fratello laico. Nel 1868 arrivò in suo aiuto il R.do P. Dismas Stadelmeyr di Innsbruk con il Fratello laico Gerardo Keller. Nel mese di dicembre 1869 passò dal Cairo il R.do P. Ilario Schlatter del Tirolo, Minore Riformato, che era diretto a Khartum in aiuto al P. Dismas, eletto superiore della casa, dopo il ritorno in Europa del P. Fabiano Pfeifer.


[2170]
Dopo ciò che ho esposto in questo piccolo Rapporto bisogna domandarsi:

1º Quali sono i risultati che si erano ottenuti e il bene che era stato fatto nel Vicariato dell'Africa Centrale dopo la sua fondazione dal 1846 al 1867?

2º Perché l'Ordine colossale dei venerabili Figli di S. Francesco non ottenne i risultati che si speravano dalla sua azione cattolica?

3º Qual'è il sistema più opportuno e il piano più efficace per intraprendere con successo l'apostolato dell'Africa Centrale?



Rispondo dicendo:


[2171]
Innanzi tutto bisogna pur confessare che l'iniziamento di un Apostolato cattolico nel seno di un popolo straniero ha generalmente dei risultati, la cui importanza rare volte si può con giusta misura apprezzare. Le conquiste evangeliche effettuansi ben assai diversamente delle conquiste politiche. L'Apostolo suda non per sé, ma per l'eternità; non cerca altrimenti la sua, ma la felicità dei suoi simili, sa che l'opera sua con lui non muore, che la sua tomba è una culla di nuovi apostoli: e perciò misura i suoi passi non sempre coi suoi desideri, ma sempre colla necessaria prudenza di assicurare l'esito della redentrice impresa. I risultati di un primo apostolato sono massimi, ma per lo più anche segreti: il tempo si riserva di rilevarne alcuni; ma i più li conosce Dio solo. Il che se è vero generalmente di tutti, lo è molto di più di quello dell'Africa centrale. Lanciati quei primi eroi della carità apostolica dalla volontà di Dio sulle equatoriali regioni della Nigrizia, qualificata dall'antico proverbio pella Madre che divora i suoi figli, dessi trovaronsi troppo letteralmente soli in mezzo ad una spaventosa novità.


[2172]
Dove non osarono mai di penetrare cogli agguerriti loro eserciti i celebri conquistatori dell'antichità, si trovarono essi pochi ed inermi, ignari dei paesi e dei linguaggi, stranieri ai popoli e ai loro costumi, esposti alla fierezza di un clima implacabile con mille bisogni senza poterli soddisfare, nello sconforto di non poter riscontrare intorno a sé non dirò già le abitudini, le civili forme almeno capitali del vivere sociale, ma neppure le più ovvie somiglianze della natura umana, dubbiosi di dover trattare con uomini degradati. Se essi da questo loro primo incontro non avessero riportato che di conoscere il paese e tracciare la via per cui entrarvi, di verificare la natura umana degli indigeni e la loro posizione morale e politica, di accertare i mezzi più atti a conseguire l'intento di rigenerali, e riconoscere le difficoltà principali che vi avrebbe incontrato l'apostolato, certamente essi avrebbero fatto moltissimo, e avrebbero troppo bene spesa la loro vita.


[2173]
Ma in fatto assai più ha conseguito la Missione dell'Africa centrale nel suo primo periodo. Dessa ottenne di percorrere e conoscere sopra il 15º. grado verso l'Equatore buona parte di quella immensa regione, che fino agli ultimi anni sulle Carte geografiche era segnata con nome di REGIONI INCOGNITE; potè avvicinare e piantare delle stazioni fra quelle tribù, che la tradizione di molti secoli addietro avea dipinto come antropofaghe; penetrò nel seno delle famiglie di quei nomadi, e ne scoprì le superstizioni, ne rilevò le speranze, ne ricercò la storia, ne studiò i costumi; appresso, costituitasi loro benefattrice, le iniziò a distinguere l'apostolo dall'avventuriere, e ottenne per quello il loro rispetto, la loro stima e la loro benevolenza, e quasi non dissi le loro simpatie e il loro affetto; e giunse perfino a impadronirsi dei loro principali linguaggi, che consegnò a sudati volumi, preparando così i primi e più essenziali elementi all'azione efficace dell'apostolato futuro, e suscitando in Europa il primo palpito della speranza alla rigenerazione dell'infelice Nigrizia.


[2174]
Che se questa speranza fu purtroppo una crudele illusione nel secondo periodo della Missione, quando fu questa affidata all'inclito Ordine Serafico, ciò avvenne per molte cause indipendenti dalla volontà degli operai evangelici; e fu uno di quei episodî dolorosi che Iddio talvolta permette così per provare i suoi servi, come per ammaestrarli, affinché l'opera sua riesca non pel momento, ma per la perpetuità nel vero interesse dei popoli rigenerandi. L'Ordine Serafico era nuovo anch'egli nell'Africa centrale; ed era prevedibile che anch'egli sul principio vi avrebbe dovuto fare le sue esperienze e forse a prezzo di non poche vittime. Ma se esso fosse stato libero nella scelta dei soggetti da spedirsi, certamente non sarebbe stato tanto nuovo, come lo fu, né alla lingua, né ai costumi, né ai popoli, né al clima dell'Africa centrale. Nella Palestina e nell'Egitto egli avea dei vecchi e distinti Missionari, la cui esperienza ed abituazione ad un clima più elevato di quello di Germania, avrebbe più prudentemente diretto i passi, e risparmiato non pochi dei danni toccati alla Missione.


[2175]
Ma si volle imporre, e certe Società benefattrici richiesero la preferenza pei missionari della loro nazione, e di questa guisa in un momento critico, in cui di molto erano diminuite le caritatevoli contribuzioni dei pietosi fedeli così a causa delle politiche vicende, come pei gravi sopravvenuti bisogni della Religione minacciata in Europa, l'Ordine Serafico si trovò obbligato di avventurare la direzione della Missione ad un personale fornito bensì delle migliori intenzioni del mondo, di generoso ed eccellente spirito apostolico, ma inesperto e malpratico di simili imprese, e troppo inopportuno per la severa posizione della Nigrizia. E qual meraviglia che sia stato obbligato di ritirarsi?


[2176]
A dir il vero, troppo importanza fu data a questo insuccesso, perché si volle argomentarne una impossibilità assoluta della missione, quando era forse meglio da sentenziare contro il modo per attuarla. L'inclito Ordine Serafico non ha certamente bisogno dei miei conforti: la storia di sei secoli di glorioso apostolato fra cento infedeli nazioni dell'uno e dell'altro emisfero è monumento immortale della sua potenza e delle sue conquiste: laonde mi sia lecito di esternare le mie più ferme speranze nel suo ritorno più efficace all'impresa, col nuovo sistema di azione, che le passate vicende e la storia della Missione consigliano come il più opportuno e prudente per riuscire a rigenerar la Nigrizia centrale.


[2177]
E qui mi si conceda di esporre umilmente anche la mia opinione sull'argomento, compendiando l'idea ragionata nel mio Piano per la Rigenerazione dell'Africa già stampato fin dal 1864, che ebbe l'onore d'incontrare l'approvazione dei distintissimi personaggi e Capi principali di varie Missioni che circondano la Nigrizia. E' dal 1857 che mi sono prefisso il quesito, ed ho voluto studiarlo fra le tribù medesime dei neri, e a fianco di quei primi generosi apostoli di questa difficile missione. Per tanto a me pare che non sia già più da avventurare inutilmente la vita dei Missionari europei alla sproporzionata differenza del clima equatoriale, e alla isolata privazione di tutti gli agi conservatori della vita: oltre le ingenti spese di queste apostoliche immigrazioni resta sempre sospesa e dubbiosa coll'esistenza del Missionario quella della Missione. Oltre di che il personale di quest'Opera redentrice sarà sempre poco e insufficiente ai gravi e urgenti bisogni dell'infelice Nigrizia; e i frutti della rigenerazione chi sa da quale età sarebbero raccolti.


[2178]
Quindi io opino che sia più utile invocare l'azione dei missionari europei all'educazione dei piccoli neri d'ambo i sessi in vari Istituti maschili e femminili da stabilirsi sulle frontiere della Nigrizia in località salubri e sotto un clima medio tra l'europeo e l'equatoriale. Questa educazione deve prefiggersi lo scopo di preparare negli allievi stessi i futuri apostoli della Nigrizia, in cui rimpatrieranno un dì sotto forme di colonie evangelizzatrici, maestri ai loro connazionali delle arti e delle scienze più necessarie, e più della fede e morale dell'Evangelo sotto la immediata direzione dei loro Istitutori, già acclimatizzati per buona parte agli ardori africani. Questi Istitutori e Missionari europei dovranno mutarsi e succedersi a vicenda nel governo immediato delle missioni dell'interno più o meno di frequente, secondo che potranno più o meno sopportare le fatiche apostoliche e il clima di quelle contrade


[2179]
Con questo sistema si ottiene di perpetuare ed accrescere l'apostolato rigeneratore della Nigrizia in modo più efficace e meno fatale; di affrettarne praticamente la civilizzazione colle arti e scienze principali, collo sviluppo di un necessario commercio, e coll'introduzione di costumi più miti e sociali; di minorare i bisogni della missione, e di assicurare i passi e i progressi collo stabilimento delle colonie; e in fine di abilitare fra non molto l'Africa stessa a rigenerare se medesima. Quello che per le altre missioni cattoliche è uno dei frutti più dolci delle fatiche dell'apostolato, per quella dell'Africa centrale per mio avviso, è il mezzo più necessario e prudente per attivare efficacemente l'apostolato medesimo. Né è a dire che sia indifferente educare allo scopo i neri anche in Europa, perché l'esperienza ha provato che questo è un lavorare a nulla; il clima e le agiatezze d'Europa sono non meno fatali al nero; il clima e le privazioni dell'Africa centrale al Missionario.


[2180]
Il suesposto sistema di azione fu giudicato da taluni un magico ideale; ma è già più di due anni che io ho preso a realizzarlo nei miei piccoli Istituti dei neri in Egitto, e la prova di questo tempo mi conferma nella mia opinione, che il mio piano tracciato per la rigenerazione della Nigrizia, sia dei più opportuni ed efficaci, come forse potrò in altro tempo dimostrare. Ho poi il conforto di sapere, che adottato in altre località al medesimo scopo, ha generato nei missionari le stesse mie convinzioni d'una felice riuscita. Favorevoli circostanze sorte di questi dì senza essere state previste, pare vogliano assicurarci da parte della Provvidenza che l'ora della salute è suonata anche pella povera Nigrizia.


[2181]
Non rimane adunque che rimettere con più coraggio la mano all'impresa, perché Dio è con noi. Giovani Sacerdoti, cui la sublime vocazione, lo zelo delle anime, e lo spirito di sacrificio determina a farvi con Cristo rigeneratori dei vostri infelici fratelli, eccovi cento milioni di negri, abbandonati, che domandano l'opera vostra. Gli Ordini e Congregazioni religiose, che sono la milizia eletta della Chiesa, accorrano anch'essi a mietere allori su questo vastissimo campo, dove Satana tiene schierata tutta la sua potenza. E voi, cui gli obblighi dello stato ritengono in patria, non negateci né le vostre quotidiane preghiere, né l'obolo della vostra carità.


[2182]
Lavoriamo tutti senz'altra emulazione che quella di guadagnare più anime a Cristo: diamoci tutti a vicenda la mano: uno sia il voto, uno lo scopo, uno l'impegno di tutti coloro che amano Gesù Cristo, quello di conquistargli l'infelice Nigrizia.



Laus Deo, Deiparae, et Divo Paulo Ap.lo.



Dato al Cairo in Egitto il 15 febbraio 1870

D. Daniel Comboni

Miss. Ap.lico dell'Africa Centrale



(1) Annali della Propagazione della Fede, T. 20, Nº 121, p. 5935.

(2) Proceeding of the R. Geog. Society V. X. N. 1, p. 6 etc.

The Albert N'yanza Great Bassin of the Nile, and Explanations of the Nile Sources by Samuel Baker, M. A. F. R. G. etc. London 1867.

(3) D.r Ignace Knoblecher... Eine Lebensskizze von D.r J. C. Mitterrutzner.

(4) Zweiter Jahresbericht de Marienvereins. Wien.

(5) I capi e i neri non escono mai dalle loro capanne senza avere la lancia e le frecce avvelenate.

(6) Dr. Ignace Knoblecher Apostolicher Provicar der Katholischen Mission in Central-Afrika Eine Lebensskizze von D.r J. C. Mitterrutzner.



Traduzione dal francese.






347
Mons. Luigi di Canossa
0
Cairo
15. 2.1870
A MONS. LUIGI DI CANOSSA

ACR, A, c. 14/73



Cairo, 15/2 70

Lod. J. M. in et. e c. s.

Eccellenza R.ma,
[2183]
Per non fare e spedire due lettere separate, mando a V. E. l'inclusa diretta a Mgr. Delegato, pregandola di leggerla, e poi spedirla a S. Bartolomeo all'Isola. E' l'ultimo foglio di chiusa del mio rapporto scritto in francese sulla Missione dell'Africa Centrale dal 1847 al 1867. Questo Respondeo dicendum è la conclusione dei 21 fogli che già spedii a Roma, e la risposta a tre quesiti

1º. Quali risultati ottenne la missione?

2º. Perché non riuscirono i francescani in essa?

3º. Qual sarebbe il miglior sistema per un buon successo?

Farò un altro Rapporto sui due anni della nostra Missione, cioè fino ad oggi. Tutto ciò per Mgre, e Lione.


[2184]
Spero che partirò da Alessandria al 1º. di marzo, ed all'8 sarò a Roma.

Ora che si sta discutendo sugli Affari del Rito Orientale e quindi delle Missioni Cattoliche, non sarebbe la circostanza opportuna perché Ella si mettesse d'accordo col Card. Barnabò e con Mgr. Delegato per alzare la voce in Concilio in favore dell'Africa Centrale, di 100 milioni di negri, che giacciono sepolti nelle ombre di morte? Non sarebbe un affare di gran rilevanza il proporre e discutere sul modo di conquistare alla Chiesa la decima parte dell'Umanità, che tanti sforzi di 18 secoli non hanno potuto guadagnare a Cristo? Non sarebbe questo il momento di fare un colpo di stato, e d'invocare i lumi della Chiesa, e l'appoggio di tutti i cattolici del mondo rappresentati dai Vescovi del Concilio, per avere in poco tempo e uomini e denaro da stringere d'assedio la Nigrizia? Ah! Monsignore e Padre mio! Mi sembra che sarebbe questo un argomento degno del Concilio.


[2185]
L'E. V. alzi la voce in Concilio, e dica a Pio Nono: "Emitte, Beatissime Pater, vocem tuam, et renovabitur facies Africae". Una parola del Santo Padre in Concilio, un'adesione dei Vescovi, farebbero venire le convulsioni a tutti i cattolici del mondo, e butterebbero quattrini per l'Africa, e sorgerebbero Apostoli per la Nigrizia. Si degni, Monsignore di riflettere a questo pensiero, e abbia il coraggio di insistere, di pregare, di seccare tutti i R.mi padri e soprattutto il Cardinale nostro Prefetto; e non li lasci fino a che non ha ottenuto l'intento. La Sacra Famiglia, spero, farà questa grazia a me, ai miei compagni, ai nostri Istituti, che pregano per questo scopo quotidianamente.


[2186]
Si tratta che missionari protestanti e musulmani seguono ora l'Inglese Baker (che arrivò a Khartum con 2600 uomini), e vanno a predicare, ove noi abbiamo predicato sul Fiume Bianco. Da Gondokoro (4º. grado) il Governo d'Egitto fa una strada fino al Niamza, ove si metterà un vapore: e da Suakim fino a Berber si fa una strada ferrata, e così si facilitano le comunicazioni col cuore dell'Africa. Gli acattolici vanno avanti, e noi resteremo qui neghittosi a perderci in un cucchiaio d'acqua? Noi preghiamo il Dio delle misericordie perché il Concilio si occupi della Nigrizia. Mille ossequi a Mgr. Delegato



Suo Um.o afflitt.mo figlio

D. Daniele Comboni






348
Card. Alessandro Barnabò
0
Cairo
17. 2.1870
AL CARD. ALESSANDRO BARNABO'

AP SC Afr. C., v. 7, ff. 1372-1373



W.J.M.J.

Cairo, 17 febbraio 1870

E.mo Principe,
[2187]
Pieno di riconoscenza pei sentimenti e voti che l'E. V. si degnò esprimermi nell'ossequiato suo foglio 11 gennaio p.p., per la benevola raccomandazione che ha fatto in mio favore a codesta Opera Apostolica, mi permetto di notificarle come il Sig.r Baker è giunto in Khartum, ove sta organizzando una forte spedizione per conquistare a nome del Vicerè d'Egitto tutta la linea del Fiume Bianco fino alle sorgenti del Nilo al di là dell'Equatore. Da fonti quasi ufficiali ho potuto rilevare il piano di azione dello stesso Baker (Ho qualche diffidenza sulle pretese intenzioni umanitarie del Kedive). Da Khartum fino ai Bari sopra una linea di 11 gradi egli fissa delle Stazioni, ove lascia un capitano con certo numero di soldati bene agguerriti, i quali pigliano possesso del paese, e vegliano sulla tratta dei negri. Da queste Stazioni si diramano a poco a poco ad occupare i villaggi interni. Ogni turba di schiavi sorpresa dai soldati cade in potere del capitano, il quale punisce i delinquenti, e distribuisce agli schiavi dei tratti di terreno da coltivare. I soldati poi proteggono gli abitanti della stabilita Provincia, e li difendono dai nemici, che oserebbero turbarli.


[2188]
I punti trascelti sono i più importanti del Fiume Bianco, cioè, gli Hassanieh, Mokhada el Kelb, Hella-el Kaka, il Sobat, l'Imboccatura del Bahar el Ghazal, ai Nuer, Kich, Eliab, Gondokoro. Da Gondokoro al N'Yamza Albert si praticherà con facilità una strada carrozzabile; e sul N'Yanza Albert (2º. L. sud) Baker trasporta un piccolo piroscafo, i cui pezzi s'imbarcarono al Cairo sotto gli occhi del Kedive. La spedizione è munita di oggetti meccanici, di artisti, coloni, medici e tutto. Di più vi sono missionari protestanti, e mufti per musulmanizzare gli indigeni. Anzi Baker vuol dare una lezione ai Bari, perché l'anno scorso ammazzarono due missionari protestanti.


[2189]
Si dice ancora che è prossima l'attuazione di una via di ferro fra Suakim sul Mar Rosso e Berber sul Nilo. Se ciò avvenisse, arriverebbe un tempo che col piroscafo si andrebbe da Alessandria a Suakim, colla ferrata da Suakim a Berber, et col piroscafo da Berber a Gondokoro (4º. 40' L. N.), e in carrozza dai Bari alle sorgenti del Nilo. Sottopongo queste nozioni alla saviezza di V. E. Cosa ne avverrà da tutto questo?... Forse la Provvidenza ne trarrà del bene, agevolando la via al cattolico banditore per portarvi la fede... Ma se la gente di Baker infierisce contro i negri, potrebbe succedere il caso dei negri dell'Africa occidentale al tempo in cui la Spagna ed altre potenze estraevano colla violenza gli schiavi per trasportarli alle miniere ed ai terreni d'America. Dio vegli sui poveri neri!


[2190]
Quanto a me, espongo un semplice pensiero. Ora che si discute sugli Affari dei Riti Orientali e sulle Missioni, non sarebbe opportuno di trattare la causa dell'infelice Nigrizia, e proporre ai padri del Concilio di studiare sul modo di guadagnare alla Chiesa cento milioni di negri che giacciono sepolti nelle ombre di morte? Non sarebbe questo il momento d'invocare i lumi della Chiesa, e l'appoggio dei cattolici di tutto il mondo rappresentati dai Vescovi che siedono al Concilio per richiamare a vita la decima parte dell'Umanitá?.... Se dalla bocca del Pontefice uscisse una parola di eccitamento in favore di un'impresa sì capitale, se risuonasse in Concilio la voce de Vescovi dell'Orbe cattolico in favore della Nigrizia, non sorgerebbero apostoli, mezzi pecuniari, ed opere organizzate per raggiungerne lo scopo di sì grande importanza?


[2191]
Perdoni, o E.mo Principe, se la mia piccolezza osa sottometterle un tale pensiero, e scongiurarla a prendere considerazione di un tale concetto, nella certezza che tale argomento è degno del venerando Consesso, che publicum rei Christianae bonum vere respicit (B.lla Multiplices II). Fino dal 8 Dic.e p.p. ho ordinato e si fanno nei miei Istituti preghiere speciali perché il Santo Padre ed i Vescovi in Concilio si occupino anche della Nigrizia, dal che ne dee derivare del bene. Vorrei che alcuni Vescovi dopo l'invocazione dello Spirito Santo: Adsumus Domine etc. sorgessero in Concilio, e dicessero al glorioso nostro Santo Padre Pio IX:

"Emitte, Beatissime Pater, vocem tuam; et renovabitur

facies Africae"


[2192]
I miei piccoli Istituti camminano assai bene: la picciola infermeria per le more abbandonate ha mandato in cielo due anime anche in questa settimana; una di 16 anni l'avea battezzata dieci ore prima.

Terminati gli Spirituali Esercizi delle Monache, secondo che mi scrisse Mgr. Vescovo di Verona d'accordo con V. Em., e credo col venerat.mo Delegato Ap.lico, e rassettati bene i miei affari, verrò in codesta dominante.

Si degni l'E. V. di ricevere gli omaggi dei miei cari compagni e delle mie Suore. Mi sembra che la madre Generale Emilie m'abbia concessa una Superiora veramente buona e brava.

Ho l'onore di baciarle la sacra porpora, e di protestarmi con tutto l'ossequio



di V. E. R.ma um.o obbl.o ind.mo figlio

D. Daniele Comboni






349
Mons. Luigi di Canossa
0
Cairo
25. 2.1870
A MONS. LUIGI DI CANOSSA

ACR, A, c. 14/72



Lod. G. e M. In et. c. s.

Cairo, 25 febbraio 1870

(Venerdì Gnocolaro)

Eccellenza R.ma,
[2193]
Stamane si terminarono i Santi Esercizi pelle Monache col solenne Te Deum, Comunione generale preceduta dalla chiusa. Si tratta che il nostro P. Girelli fece 68 prediche fra meditazioni e Istruzioni negli Esercizi pelle more e Monache; e nessuna predica fu meno di un'ora, ed alcune di due. Mia cugina Faustina Stampais fece tutti e due i corsi, e sarebbe beata di vivere sempre di silenzio ed esercizi spirituali. Sembra che il P. Girelli (che è scrupoloso) sia stato contento e delle Suore e delle morette.

Come le scrissi col vapore francese, dietro le osservazioni del veneratissimo nostro Provicario Ap.lico P. Elia, ho giudicato prudente di aspettare il permesso formale del Cardinale, per recarmi in Roma. Dunque porti pazienza, Monsignore, e voli dal Cardinale, ed ottenga una riga di suo pugno, che io possa presentare al R.mo Provicario, ed io volo subito a Roma. Desidererei che fosse subito perché se si aspettasse sotto Pasqua, sono giorni inopportuni per trattare affari.


[2194]
Per carità promuova in Concilio la questione, e parli sulla Nigrizia, e sulla maniera di guadagnare a Cristo cento milioni di anime africane: dica che non mancano mai nella chiesa gli operai evangelici che sospirano il martirio come la più cara e soave ricompensa delle più ardue fatiche; e tutti noi quattro siamo tutti disposti di sostenere a piè fermo la morte col più atroce dei martiri anche per salvare un'anima sola della Nigrizia: per noi i calori dell'Africa sono come uno zeffiro in Italia al più buon Parroco veronese. Se poi il Santo Padre, o il Concilio avessero ad alzare la voce in favore della Nigrizia, ed a rivolgersi ai cattolici, etc.... noi moriamo dalla consolazione.......

Avrei da scrivere anche a Monsignor Delegato: ma se non mando subito alla posta, non parte nemmeno questa. Mille ossequi da parte di noi tutti e tutte, e del P. Pietro da Taggia e Girelli, e le bacia la mano in uno a D. Vincenzo, Giovanni e suoi teologi.



Suo ubb. figlio

D. Daniele Com.






350
P. Luigi Artini
0
Roma
24. 3.1870
AL PADRE LUIGI ARTINI

APCV, 1458/246



Roma, 24 marzo 1870

Piazza del Gesù, 47.

Mio amatissimo e venerato Padre,
[2195]
Mi limito a spedirle una lettera del P. Bernardino, che dimenticai di spedirle dall'Egitto. Quando sarò un po' quieto le scriverò a lungo. Intanto accetti i miei più filiali ossequi e affettuosi saluti. Il P. Stanislao è il mio Rappresentante in Egitto in tutto, e gliene rilasciai ampla Procura. Ho veduto e parlato a lungo col P. Guardi e con Tezza. Furono gentilissimi. Vedremo ai fatti cosa si giungerà a fare. Stanislao e Franceschini sono due apostoli dell'Africa, hanno carattere costanza e vero zelo. Fu buonissimo il Card. Barnabò: ma non credo che ai fatti: noi lavoriamo per Gesù unicamente. La via ci si renderà più piana se i Superiori supremi ci aiuteranno colla loro influenza. Mgr. Vescovo di Verona è un vero angelo per l'Africa: confido assai nel suo zelo. Egli porta come meritano i due suoi figli. Guai a chi li tocca! Barnabò mi disse una parola sul più giovane: gli saltai negli occhi come un ibis: godette nel sentir belle cose di lui. Non ho che una sola cosa che nessuno mi può rubare: la coscienza. Roma sa che io parlo con coscienza.


[2196]
Sono restato d'accordo col P. Stanislao che io le scriva per pregarla ad espormi con confidenza e chiaro l'affare delle Case riscattate al Paradiso etc. S. Giuliano. Conti sull'assistenza di Dio sul mio silenzio, prudenza etc. Abbiamo il Cuor di Gesù e S. Camillo che ci guida, e S. Giuseppe. Il P. Zanoni non vidi, né cerco di vedere: solo prego per lui. Del P. Bernardino Girelli nulla speranza di ritorno per ora. E' più francescano che i Francescani. Fu molto allegro presso di noi, e vi stette oltre 20 giorni.

Le bacio le mani: quando vado dal S. Padre chiederò una benedizione speciale per lei e P. Tomelleri. Mille ossequi al venerando P. C. Bresciani.



Tutto suo in Gesù

D. Daniele Comboni