Lunedì 1 luglio 2019
La comunità della Curia Generalizia dei Missionari Comboniani ha celebrato venerdì 28 giugno la solennità del Sacro Cuore con i Comboniani presenti a Roma, alcune Comboniane e un gruppo di amici e benefattori. La Messa è stata presieduta da Mons. Miguel Ángel Ayuso Guixot, comboniano e Presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso. Tra i concelebranti c’erano anche Mons. Giuseppe Franzelli, comboniano e vescovo emerito di Lira, in Uganda, e Don Alfio Tirrò, parroco della parrocchia di San Vigilio. Pubblichiamo qui di seguito alcuni passaggi dell’omelia proferita da Mons. Ayuso.

Gli etiopi presenti hanno cantato un canto di ringraziamento per il dono della vocazione missionaria comboniana.

Carissimi Fratelli e Sorelle,
Nell'odierna solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù, la Chiesa offre alla nostra contemplazione questo mistero, il mistero del cuore di un Dio che si commuove e riversa tutto il suo amore sull'umanità. Un amore misterioso, che nei testi del Nuovo Testamento, come diceva Papa Benedetto XVI, ci viene rivelato come incommensurabile passione di Dio per l'uomo. Egli non si arrende dinanzi all'ingratitudine e nemmeno davanti al rifiuto del popolo che si è scelto; anzi, con infinita misericordia, invia nel mondo l'Unigenito suo Figlio perché prenda su di sé il destino dell'amore distrutto; perché, sconfiggendo il potere del male e della morte, possa restituire dignità di figli agli esseri umani resi schiavi dal peccato. Tutto questo a caro prezzo: il Figlio Unigenito del Padre s’immola sulla croce: "Avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine", con un amore personale, tenero e mite.

1. Un amore personale

Per Papa Francesco, la Solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù è come la festa dell’amore, l'amore di un cuore che ha amato tanto. Un amore che si manifesta più nelle opere che nelle parole e che è soprattutto più dare che ricevere. Il Papa evidenzia come questi due criteri siano i pilastri del vero amore ed è il Buon Pastore a rappresentare in tutto l'amore di Dio. Lui conosce una per una le sue pecorelle, "perché l'amore non è un amore astratto o generale: è l'amore verso ognuno".

La prima caratteristica dell'amore del Padre verso di noi è che è un amore personale. Egli non ama il genere umano; ama ogni singola persona. Per Lui, ogni persona vale in se stessa e per se stessa di un valore infinito. E' per questo che se anche su cento, se ne perde una sola, non si consola pensando che una su cento non è nulla. Il Padre non ci vede 111ai come parte di un tutto, come numero di una serie, come individuo di una specie.

San Tommaso d'Aquino dice che ciascuno di noi per Dio Padre è unico: è una persona. "Ha amato me", scrive S. Paolo, "ed ha sacrificato se stesso per me" (cfr. Rm 5, 5-11). Se ciascuno di noi è di valore infinito, che cosa succede nel cuore di Dio se anche uno solo si perde? "Lascia le novantanove nel deserto e va dietro a quella perduta, finché non la ritrova". L'uomo è perduto ed allora inizia la ricerca dell'uomo da parte di Dio. Il cristianesimo è la ricerca dell'uomo da parte di Dio; è la discesa di Dio all’uomo. E' cioè grazia e solo misericordia. "Infatti, mentre noi eravamo ancora peccatori, Cristo morì per gli empi nel tempo stabilito…”, come ci dice nella seconda lettura.

2. Un amore tenero

Una seconda caratteristica dell'amore del Padre per ciascuno di noi è la tenerezza. Spiegando un passaggio della prima lettura che abbiamo ascoltato, tratta dal Libro del profeta Ezechiele, il Papa sottolinea che la cura per la pecora smarrita e per quella ferita e malata sono un aspetto dell'amore di Dio. Così dice Papa Francesco: "Il Signore sa quella bella scienza delle carezze, quella tenerezza di Dio. Non ci ama con le parole. Lui si avvicina – vicinanza – e ci dà quell'amore con tenerezza. (...) E questo è un amore forte, perché vicinanza e tenerezza ci fanno vedere la fortezza dell'amore di Dio".

Il Figlio di Dio è venuto a cercarci là dove eravamo: si è fatto partecipe della nostra stessa condizione umana. "Poiché dunque i figli hanno in comune il sangue e la carne, anch'egli ne è divenuto partecipe... Egli non si prende cura degli angeli, ma della stirpe di Abramo si prende cura. Perciò doveva rendersi in tutto simile ai fratelli" (cfr. Eb 2,14a. 16-17).

3. Un amore mite

Una terza caratteristica dell'amore di Dio, alla quale ciascuno di noi deve conformarsi, è la mitezza. Ricordo ciò che il Santo Padre ci disse nel 2015 in occasione dell'Udienza per i 150 anni dei Comboniani: "Non cessate di chiedere al Sacro Cuore la mitezza che, come figlia della carità, è paziente, tutto scusa, tutto spera, tutto sopporta (cfr. 1Cor 13,4-7). È la mitezza dello sguardo di Gesù quando guardava Pietro la notte del giovedì santo (cfr. Lc 22,61), o quando invitava Tommaso, l'incredulo, a mettere la mano vicino al Cuore trafitto (cfr. Gv 20,27). Lì, da quel Cuore, si impara la mitezza necessaria per affrontare l'azione apostolica anche in contesti difficili e ostili".

Non è facile essere miti in un mondo che diviene ogni giorno di più aggressivo e violento. Che fare allora? Dobbiamo fissare lo sguardo al Cuore trafitto di Gesù, quel cuore che sanguina ogni giorno per le ferite inferte ai più piccoli, ai poveri, ai bisognosi, a tutti coloro che sono scartati ed emarginati e che, direbbe Papa Francesco, "non è un'immaginetta per i devoti ma il cuore della fede". Il Signore si è fatto piccolo, ha annientato se stesso fino alla morte in Croce e ha scelto i più piccoli con un cuore che ama e è fedele. Morale della favola: Farsi piccoli!

Carissimi Fratelli e Sorelle,
"Il Fondatore ha trovato nel mistero del Cuore di Gesù lo slancio per il suo impegno missionario" (RV 3). Comboni non aveva dubbi: ciò che spinge il missionario a partire, e lo sostiene nelle difficoltà, è la carità che arde nel cuore di Cristo "vittima di propiziazione per tutto il mondo (S 3324) "e che è egli stesso la gioia, la speranza, la fortuna e il tutto dei suoi poveri Missionari" (S 5255).

San Giovanni Paolo Il, nel Messaggio ai Missionari Comboniani per la Messa di Ringraziamento in San Pietro (18 marzo 1996), disse: "Fedele imitatore del Buon Pastore che va in cerca delle sue pecore, Daniele Comboni non temette di affrontare estenuanti e rischiosi viaggi per condurre all'ovile di Cristo le popolazioni dell'Africa Centrale, in particolare del Sudan. (...) Dalla contemplazione della Croce e dalla devozione al Sacro Cuore di Gesù, il vostro beato Fondatore seppe trarre sostegno e forza per affrontare ogni prova".

Ricordo le parole di Padre Francesco Pierli: "In coerenza con le indicazioni di Comboni, la nostra Regola di Vita afferma che nel mistero del Cuore di Gesù il comboniano "contempla e assume"… "per la liberazione globale dell'uomo" (RV 3.3), gli atteggiamenti interiori di Cristo: "la sua donazione incondizionata al Padre, l'universalità del suo amore per il mondo e il suo coinvolgimento nel dolore e nella povertà dei popoli (RV 3.2). Senza questi atteggiamenti non si può parlare di impegno per la venuta del Regno di Dio, non si può parlare di missione".

Rivolgiamo la nostra preghiera allo Spirito Santo perché continui a guidarci e a sostenerci tra le correnti e le difficoltà della vita perché come ha detto Papa Francesco quest'anno in occasione della solennità di Pentecoste: "Senza lo Spirito la vita cristiana è sfilacciata, priva dell'amore che tutto unisce. Senza lo Spirito Gesù rimane un personaggio del passato, con lo Spirito è persona viva oggi; senza lo Spirito la Scrittura è lettera morta, con lo Spirito è Parola di vita. Un cristianesimo senza lo Spirito è un moralismo senza gioia; con lo Spirito è vita".

Mentre ringraziamo il Signore per il Suo amore per noi, ed ispirati dal carisma del nostro Fondatore, San Daniele Comboni, possiamo noi comboniani, come desiderava lui, essere sempre "santi e capaci".

E al Cuore trafitto del Buon Pastore, ogni onore e gloria, ora e nei secoli dei secoli.
Amen!