Ricordando Padre Giuseppe Zoppetti: “Sapeva stare con tutti e ascoltare tutti”

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Giovedì 7 aprile 2022
Padre Giuseppe Zoppetti è nato a Endine (Italia) il 9 ottobre 1930. Dopo il noviziato a Firenze (49-51) ha fatto i voti temporanei il 9.9.51, e sei anni dopo quelli perpetui (9.9.57). Dopo gli studi a Verona (51-54) e a Venegono (54-58), è stato ordinato prete il 31 maggio del 1958 ed è partito subito per la missione del Sudan, dove è rimasto fino al 2014. Il missionario Giuseppe si è spento serenamente nella comunità di Castel d’Azzano (Verona – Italia) il 3 aprile 2022, all’età di 91 anni. Servo buono e fedele, riposa nella pace del Signore!

P. Giuseppe era uno dei confratelli presenti a Castel D’Azzano dalla apertura del Centro nel 2015. Di forte tempra fisica, si muoveva con il suo girello con una certa agilità, usciva volentieri fuori in giardino, incurante del freddo e della pioggia. Fedele e puntuale agli atti comunitari, in cappella seguiva la liturgia con il suo tablet che strimpellava con le sue grosse dita mandandolo spesso in tilt.

La seconda ondata del covid, che investì drammaticamente la nostra comunità nel dicembre del 2020, scosse fortemente la sua salute fisica e mentale e lo costrinse a spostarsi con la carrozzina. Il personale lo chiamava affettuosamente “il nostro orsacchiotto”, per il senso di tenerezza che suscitava. Le sue condizioni si erano aggravate nelle ultime settimane e si spense alle 23.15 del 3 aprile.

Questa mattina del 6 aprile abbiamo celebrato il suo funerale, presieduto dal superiore provinciale, P. Fabio Baldan. Erano presenti alcuni confratelli di Casa madre di Verona, dei familiari e due rappresentanti della nostra associazione di volontari. Uno di loro, Gedeone, particolarmente legato a P. Zoppetti, ha espresso la stima per questa grande figura missionaria caratterizzata dalla bontà e semplicità.

P. Luciano Perina, vicesuperiore della comunità e compagno di missione di P. Zoppetti, ha fatto l’omelia, che riportiamo qui in seguito.

Omelia del funerale

Qualche giorno fa un confratello mi ha chiesto: ma è vero che in Sudan avevate eletto Provinciale P. Zoppetti? Cos’è che vi aveva spinti a eleggerlo, lui? Domande che si possono fare, notando la natura estremamente calma e tranquilla di P. Zoppetti, mentre per comandare, o meglio per esercitare il servizio dell’autorità, come si dice adesso, sembra ci voglia anche un po’ di grinta, un po’ di intraprendenza, con un briciolo di sapersi districare in una eventuale situazione complicata. E P. Zoppetti di caratteristiche complicate, nel suo carattere e nella sua persona ne aveva ben poche, a meno che non si voglia considerare la bontà una cosa complicata.

In Sudan ai miei tempi, quando c’era da eleggere il Provinciale, mi sembra che, o per un motivo o per un’altro, facevamo come quando si va sull’altalena; un colpo di qua e un colpo di la’; un colpo con un tipo grintoso, e poi un colpo con un tipo molto calmo e buono.

Negli anni ‘80, se ben ricordo, era Provinciale P. Sina, un tipo calmo, tranquillo, ma che non riusciva a spostare da Khartoum un confratello che tutti avrebbero voluto da un’altra parte. E allora, scaduto P. Sina, venne eletto provinciale P. Rovelli; un confratello buono, ma con un carattere opposto a quello di P. Sina. E così il confratello che doveva essere spostato fu immediatamente spostato da Khartoum a Wad Medani, a 300 km da Khartoum. P. Rovelli durò Provinciale 6 anni. Ma dopo di lui si sentì il bisogno di qualcosa di più calmo, e meno grintoso. E così venne eletto Provinciale P. Giuseppe Zoppetti che, per quanto riguarda spostamenti e cose simili, ci lasciava respirare abbastanza.

Io l’ho conosciuto nel 1975. Siamo stati insieme 3 anni al Comboni School di El Obeid. Lui insegnava matematica e io inglese. Io ero nuovo. Lui era già stato per diversi anni a insegnare matematica nel Comboni School di Atbara e nel Comboni School di Port Sudan. Dovunque c’era bisogno di lui, lui andava, senza dire ma.

Alla fine del primo trimestre ci trovavamo insieme in refettorio a correggere i compiti in classe. Gli chiesi di farmi vedere un po’ come faceva lui che era pratico del mestiere, anche per imparare un po’. Mi fece quindi vedere che criterio usava lui nel dare i voti. E mi colpì il fatto che se uno non aveva azzeccato neppure una delle risposte, lui dava 30 (il voto massimo era 100, e la sufficienza, 50). Siccome espressi la mia sorpresa a tanta generosità, lui mi spiegò che, se gli avesse dato 0, come quello di fatto si meritava, sarebbe stato difficile poi tirarlo su, se durante l’anno quello avesse migliorato un po’…. “Se adesso avesse preso 0, mi disse, mica dopo potrà prendere 100, e allora, se quello in seguito, finalmente si impegna un po’, io potrei dargli 70, e così promuoverlo poi alla fine dell’anno”. Il suo desiderio era quello di promuoverli tutti i suoi studenti. E per questo era sempre pronto a fare ore supplementari al pomeriggio, per quelli che facevano un po’ fatica. Tutti gli studenti lo rispettavano e lo amavano come un fratello maggiore; un fratello maggiore buono, che voleva il loro bene e che spronava ciascuno a dare il massimo.

Quando andò in missione, siccome era destinato per le scuole, non gli fecero studiare arabo per due anni, in Libano o in Cairo, come ai miei tempi facevamo tutti. E siccome nel Sudan del Nord, se non sai un po’ di arabo, sei morto, dovette impararlo un po’ alla volta, il dialetto Sudanese, un po’ a spanne, con tanta fatica, tanta pazienza e tante gaffe. Eppure non ho mai sentito un lamento contro i superiori, per averlo mandato così, un po’ alla sans façon, nel mondo arabo, senza saperne una parola.

Alla domenica andavamo a celebrare l’eucarestia in qualche piccola comunità cristiana nella periferia di El Obeid. Per la messa lui leggeva l’arabo traslitterato. E poi, per la breve omelia, ce la metteva tutta. Col suo arabo un po’ strafalciato…. La teneva necessariamente corta. Ma c’era una parola che ricorreva ad ogni pie sospinto, la parola in arabo dialettale kwaies, che vuol dire bene/buono. Quindi nelle sue omelie ricorrevano sempre espressioni come: se ami Gesù, kwaies … se ami i tuoi fratelli, kwaies… se leggi il Vangelo, Kwaies… se perdoni, kwaies…. se fai per bene il tuo lavoro, kwaies, etc.

E la gente ti capiva, P. Zoppetti! Eccome se ti capiva! Sapevano che tu parlavi loro col cuore. Loro, immigrati dal Sud Sudan, di arabo spesso ne sapevano meno di te. E quelle espressioni lì, l’essenziale della vita cristiana, spezzettato per i cuori semplici, anche se sembravano dette in modo un po’ ripetitivo, loro le capivano al volo. Perché ancor prima di sentirle nella predica le avevano viste nella tua vita.

Quando da Provinciale venivi a visitarci nelle missioni, portavi sempre con te un paio di cacciaviti e qualche altro arnese da lavoro, come ti era richiesto. In ogni missione c’era sempre qualche rubinetto che non chiudeva bene, qualche bicicletta che non frenava, qualche macchina che stentava a partire. E così tu venivi coi cacciaviti, e qualche confratello si chiedeva bonariamente se tu avessi studiato la teologia dei cacciaviti. Ma sbagliava il confronto. Perché tu conoscevi una teologia sola, quella del servizio:

  • servizio ai tuoi studenti, con una attenzione particolare a quelli che facevano fatica a tenere il passo, con un voto buono e incoraggiante, anche se erano ancora un passo indietro.
  • Servizio di evangelizzazione ai fratelli e alle sorelle neri del Sud. Il tuo arabo strafalciato li aiutava a capire, perché la tua vita buona li illuminava oltre la povertà del vostro arabo.
  • Servizio ai confratelli, che magari si vantavano di conoscere un po’ di teologia, ma erano come un pulcino nella stoppa, se si rompeva un rubinetto.

Ciao, carissimo P. Giuseppe Zoppetti. In paradiso non ci saranno più rubinetti da aggiustare, e tutti gli studenti passano con 130 e lode. Là ci sarà solo bontà, piena, e in tutti. Grazie per tutti gli esempi di bontà che tu ci hai dato durante la nostra vita insieme. E’ stato come un preludio della bontà piena che vivremo, quando ci incontreremo ancora.

p. Luciano Perina
Castel D’Azzano, 5 aprile 2022
Comboni2000

Testimonianza di fr. Agostino Cerri

Non mi è difficile mettere insieme dei ricordi personali legati alla figura di Padre Giuseppe Zoppetti. Abbiamo vissuto nella stessa diocesi di El Obeid per diversi anni con ruoli differenti ma sempre con un intento unico: lavorare per il bene della gente con lo spirito di San Daniele Comboni.

Il primo ricordo che ho di P. Zoppetti è di averlo intravisto una calda mattina di luglio mentre se ne stava seduto sul sedile davanti di un “safingia” il tipico camion Ford azzurro usato dai mercanti per trasportare merci e persone sulle piste sabbiose del Kordofan. Il camion era parcheggiato all’ombra di un “alloba” la pianta spinosa del Kordofan che regala ombra e frutti ai pastori e pellegrini.

Non ci conoscevamo, ma una volta arrivato alla cattedrale distante circa 500 mt dalla scuola Comboni dove abitavo ho chiesto a P. Cosimo chi era quello straniero sul camion. Mi rispose che era P. Zoppetti e si stava recando alla missione di Babanusa, una delle parrocchie della diocesi.

Da allora ci siamo incontrati diverse volte nei raduni pastorali della Diocesi e della Provincia. Sempre con la sua allegria e frugalità sapeva stare con tutti e ascoltare tutti. Era stato eletto Provinciale e il suo arrivo in visita alle comunità era una provvidenza perché sapeva mettere mano a tutto ciò che non funzionava dalle auto agli impianti elettrici. La sua disponibilità e la sua semplicità erano proverbiali. Ancora ricordo di quando alla scuola Comboni serviva un insegnante di matematica. P. Alberto Modonesi andò a prenderlo con la Land Rover a Babanusa. P. Giuseppe non si scompose chiuse la parrocchia e venne ad aiutare la scuola a terminare l’ultimo trimestre. Per P. Giuseppe i numeri non avevano segreti e la sua mente matematica sapeva fare i calcoli giusti per dare la risposta giusta. Da provinciale si interessava dell’armonia che doveva regnare in ogni comunità e voleva che le nostre missioni fossero accoglienti e ben tenute. Fu tra i primi ad interessarsi e a procurare i pannelli solari in quelle missioni isolate in cui mancava l’elettricità, proprio per dare la possibilità di svolgere al meglio il proprio lavoro.

Aveva una teoria tutta sua riguardo all’ordine, però non trasgrediva il buon vivere insieme. La sua stanza era zeppa di strumenti, pezzi di ricambio, testi scolastici e quaderni, tutto serviva a secondo del ruolo che doveva assumere durante la settimana. La frugalità e la semplicità della sua vita ci erano di esempio ma metteva prima di tutto la vita gioiosa e impegnata del suo essere missionario. Diversi suoi studenti ritrovati anni dopo, mi parlavano con riconoscenza dell’insegnamento ricevuto al Comboni di El Obeid dove P. Giuseppe insegnava contabilità nel ramo commerciale della scuola. Diversi sacerdoti sono stati incoraggiati e aiutati durante gli anni di formazione nei seminari; nei momenti di difficoltà o di dubbio sapevano a chi rivolgersi per avere un consiglio o un aiuto. P Giuseppe sapeva dare fiducia e quando era Parroco, sia nella Diocesi di Khartoum o di El Obeid, aveva sempre un buon numero di seminaristi e catechisti che si affiancavano nel suo lavoro ai quali affidava responsabilità condividendo con loro la casa e i pasti per formarli nella pastorale e all’amore per la chiesa.

Le parole del salmo responsoriale di oggi ben si addicono a questo nostro Confratello che ieri ci ha lasciato “Bontà e fedeltà mi saranno compagne tutti i giorni della mia vita abiterò ancora nella casa del Signore per lunghi giorni”

Caro P. Giuseppe, la Pasqua oramai prossima la festeggerai con tanti altri confratelli che come te hanno camminato e vissuto la Missione Comboniana con sacrificio e impegno, in mezzo a tanti giovani appassionati di libertà e con la visione di un futuro migliore. Tu ti sei immedesimato nel loro lavoro e nelle loro incertezze cercando sempre il modo migliore per essere fonte di speranza e sicurezza.

Ciao. Fr Agostino Cerri
[Missionari Comboniani]