“Il primo giorno della settimana” (Vangelo, v. 1), Gesù è risorto! Esplode la vita, inizia la storia nuova dell’umanità: nulla è come prima, tutto ha un senso nuovo, positivo, definitivo. L’annuncio di quel fatto storico - che è il tesoro fondante della comunità dei credenti in Cristo - rimbalza di casa in casa, di chiesa in chiesa, ad ogni latitudine, in tutti gli angoli del mondo; diventa ‘vangelo = bella notizia’ per tutti i popoli. “Il sepolcro vuoto è diventato la culla del cristianesimo” (S. Girolamo).

“Cristo Risorto”:
la buona notizia che cambia l’uomo e la storia

Atti 10,34.37-43; Salmo 117; Colossesi 3,1-4; Giovanni 20,1-9

Riflessioni
“Il primo giorno della settimana” (Vangelo, v. 1), Gesù è risorto! Esplode la vita, inizia la storia nuova dell’umanità: nulla è come prima, tutto ha un senso nuovo, positivo, definitivo. L’annuncio di quel fatto storico - che è il tesoro fondante della comunità dei credenti in Cristo - rimbalza di casa in casa, di chiesa in chiesa, ad ogni latitudine, in tutti gli angoli del mondo; diventa ‘vangelo = bella notizia’ per tutti i popoli. “Il sepolcro vuoto è diventato la culla del cristianesimo” (S. Girolamo). La tomba vuota ha marcato il passo decisivo della fede per Giovanni: egli corse al sepolcro, “si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò”; poi entrò insieme con Pietro, “e vide e credette” (v. 4.5.8). Era l’inizio della fede in Gesù risorto, che più tardi si rafforzò quando lo videro vivente.

La fede è graduale: Maria di Màgdala, Pietro e Giovanni corsero al sepolcro con l’intenzione di recuperare un cadavere sparito; erano impreparati ad un avvenimento che non era nei loro calcoli; solo più tardi arrivarono alla fede nel Signore risorto; e ne divennero perfino testimoni ed annunciatori coraggiosi (I lettura): “Noi siamo testimoni… testimoni prescelti da Dio… E ci ha ordinato di annunciare al popolo e di testimoniare…” (v. 39.41.42). Da allora, il cammino ordinario della trasmissione della fede cristiana è la testimonianza di persone che hanno creduto prima di noi. Per questo, noi professiamo che la fede è apostolica: perché è radicata nella fede degli Apostoli e nella loro testimonianza. “Il fatto principale nella storia del cristianesimo sta in un certo numero di persone che affermano di aver visto il Risorto” (Sinclair Lewis).

Da sempre, la Chiesa missionaria dà inizio a nuove comunità di fedeli proprio annunciando che Gesù Cristo è il Figlio di Dio, crocifisso e risorto. È Lui il motivo radicale e il fondamento della missione. Il fatto storico della risurrezione di Cristo, avvenuto intorno all’anno 30 della nostra era, costituisce il nucleo centrale e dirompente del messaggio cristiano, mentre la catechesi ne arricchisce i contenuti e li trasmette con metodologia adeguata. La missione è portatrice del messaggio di vita, che è Cristo stesso: il Vivente per la sua risurrezione, dopo la passione e morte. Questo è il kerigma, annuncio essenziale per quelli che non sono ancora cristiani; e annuncio fondamentale anche per risvegliare e purificare la fede in coloro che si soffermano quasi soltanto alla prima parte del mistero pasquale. Vi sono cristiani, infatti, che si concentrano quasi solo sul Cristo sofferente nella passione, e quasi non fanno il salto della fede nel Cristo risorto. Sembra loro più facile e consolante identificarsi con il Cristo morto, soprattutto quando si vivono situazioni di sofferenza, depressione, povertà, umiliazione, lutto... In realtà, tale consolazione sarebbe soltanto apparente e passeggera senza la fede nel Risorto. Ai nostri giorni, in piena crisi del Covid-19, risuona forte la parola di Papa Francesco, che ci conferma nella fede. (*)

La testimonianza, che unisce insieme annuncio e coerenza di vita, è la prima forma di missione (cfr. AG 11-12; EN 21; RMi 42-44). I veri testimoni del Risorto sono persone contagiose. Le persone trasformate dal Vangelo di Gesù risorto, che vivono i valori superiori dello spirito (II lettura), sono le uniche in grado di contagiare altre persone e interessarle agli stessi valori: quali l’accettazione e la serenità nella sofferenza, la speranza anche davanti alla morte, la preghiera come abbandono nelle mani del Padre, la gioia nel servizio agli altri, l’onestà a tutta prova, l’umiltà e l’autocontrollo, la promozione del bene altrui, l’attenzione ai bisogni degli ultimi, la testimonianza dell’Invisibile  La missione si estende e si realizza capillarmente così, ancor prima e meglio che attraverso le sole parole, le strutture e le gerarchie. “Celebra la Pasqua con Cristo solo chi sa amare, sa perdonare… con un cuore grande come il mondo, senza nemici, senza rancori”, come insegnava in una catechesi il vescovo Mons. Oscar Arnulfo Romero, poco prima di essere ucciso a San Salvador il 24 marzo 1980.

La missione è un evento eminentemente pasquale, perché affonda le sue radici e i contenuti nella Risurrezione di Cristo. Questa è la notizia più bella di cui il mondo ha bisogno: in Cristo crocifisso, morto e risorto “Dio dona la vita nuova, divina ed eterna. È questa la buona novella, che cambia l'uomo e la storia dell'umanità e che tutti i popoli hanno il diritto di conoscere” (Giovanni Paolo II, in RMi 44). “L’evangelizzazione, nel nostro tempo, sarà possibile soltanto per contagio di gioia”. (Papa Francesco). Tale evangelizzazione - gioiosa, paziente e progressiva - è la prima attività della Chiesa missionaria presso tutti i popoli.

Parola del Papa

(*) “La risurrezione di Gesù non è una cosa del passato; contiene una forza di vita che ha penetrato il mondo. Dove sembra che tutto sia morto, da ogni parte tornano ad apparire i germogli della risurrezione. È una forza senza uguali… Ogni giorno nel mondo rinasce la bellezza, che risuscita trasformata attraverso i drammi della storia. I valori tendono sempre a riapparire in nuove forme, e di fatto l’essere umano è rinato molte volte da situazioni che sembravano irreversibili. Questa è la forza della risurrezione e ogni evangelizzatore è uno strumento di tale dinamismo”.
Papa Francesco
Esortazione apostolica Evangelii Gaudium (2013), n. 276

P. Romeo Ballan, MCCJ

Correre verso di lui

Quando si vuole fortemente incontrare qualcuno, capita che si arrivi in anticipo. Gli appuntamenti sono fatti quasi apposta per mostrare la tensione di ciascuno verso l’altro. Nel corteggiamento, ad esempio, capita che si facciano congetture su quando è meglio arrivare per dare il giusto messaggio: né troppo presto, né troppo tardi.

Maria di Màgdala non si perde in sofismi, vuole vedere Gesù, anche se ormai da morto. Vuole andare a trovarlo ed esce di mattina, ma prestissimo, «quando era ancora buio» (Giovanni, 20, 1). È l’ora carica di tensione dell’attesa, il momento che annuncia già il giorno pur restando nell’oscurità.

La cosa bella è che Maria è comunque arrivata tardi. Gesù non c’è, se ne è già andato, anche se lei crede che sia stato portato via solo il suo corpo. Lui ha anticipato ancora di più l’appuntamento, lo ha spostato, nel Vangelo di Matteo fisserà il prossimo incontro con i suoi apostoli in Galilea.

Nel Vangelo di Giovanni siamo invece ancora nel buio della confusione, senza nessuna agenda e nessun piano. Comincia così la corsa delle persone e delle notizie, tutte intorno a quell’evento inspiegabile, scandaloso. Corre Maria dagli apostoli, ha paura che qualcuno abbia trafugato una salma, corrono i due apostoli che vogliono verificare cosa dice quella donna, uno dei due corre più veloce di Pietro, fanno avanti e indietro, si superano, si aspettano, una grande fretta e un’ansia crescente. Matteo nel suo Vangelo parla di «fretta», «timore e gioia grande» (28, 8): queste cose stanno misteriosamente insieme quando si cerca Gesù. Forse alla fine l’altro discepolo, che aveva superato Pietro, lo aspetta anche perché è stanco, non solo per rispetto dell’età, e si china di fronte al sepolcro vuoto non solo per lo sgomento e la meraviglia, ma anche per la fatica di quel grande correre.

Dopo essere stati inquietati, essersi mossi, scapicollati, è necessario riprendere fiato, aspettare, abbassare la testa: non per sottomissione, ma in qualche modo per riposare, o anche per esprimere con quel gesto il nostro assenso, forse l’intuizione di qualcosa di incomprensibile.

Infatti dopo che Pietro ha visto i teli, il sudario, in una ricognizione precisa, l’altro apostolo entra anche lui, e, oltre a vedere, crede. E non solo perché vede: non bastano prove scientifiche, serve un senso, una direzione per quella corsa, una meta in cui aspettare l’altro, arrestare la fretta e chinarsi. Gesù è stato più veloce di loro, anima e rilancia la corsa, da duemila anni, e al tempo stesso la sua stessa mancanza ci fa arrestare, inginocchiare, credere nella risurrezione. 
[Riccardo Sabato - L'Osservatore Romano]

Buona Pasqua!