Comboniani, in Sudan: 11 missionari hanno deciso di rimanere nelle loro missioni

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Giovedì 4 maggio 2023
Carissimi confratelli, a nome della provincia comboniana di Egitto-Sudan, voglio esprimere la mia gratitudine a tutti e a ciascuno per la vostra gentilezza nello starci vicini in questi giorni terribili che il Sudan sta vivendo. Le vostre preghiere e la vostra amicizia fanno davvero la differenza. [Foto:
L’Osservatore Romano]

Col passare dei giorni, la situazione a Khartoum si delinea come una situazione che si prolungherà. È difficile condividere informazioni su quanto sta succedendo, anche perché la comunicazione è difficile e il centro di Khartoum è fuori dalla nostra portata. Quello che posso dire è che:

• Dei 15 confratelli che si trovavano in Sudan il giorno che gli scontri sono cominciati, 4 sono stati evacuati, per la loro sicurezza, dopo che erano stati a lungo esposti ad una situazione di alto rischio. Gli altri 11 hanno personalmente e generosamente deciso di rimanere nelle loro missioni.

• Personalmente, sono testimone del fatto che sia la decisione di rimanere come quella di evacuare sono state decisioni difficili da prendere, che hanno costato non poca sofferenza. In entrambi i casi, condividiamo il senso di pena e dolore del popolo Sudanese, che siamo venuti a servire e ad amare, e che San Daniele Comboni ha amato come un padre.

• Ci consola il pensiero che – per ora – la situazione in diverse regioni del Sudan è ancora sopportabile. In alcune regioni, le scuole continuano il loro lavoro!

È ancora molto presto per conoscere quando tutto questo finirà e come sarà la nostra missione a Khartoum dopo. Per ora, contiamo sulle vostre preghiere!
In fede,
p. Diego Dalle Carbonare
Superiore Provinciale di Egitto-Sudan
Cairo, 3 maggio 2023

L’Osservatore Romano

Nel Paese è intanto arrivato il coordinatore Onu per gli aiuti d’emergenza
Non si fermano i combattimenti in Sudan

Scontri in tutta Khartoum, in particolare nelle aree intorno alle infrastrutture governative e militari, e raid sulla città gemella, Omdurman. È una cronaca di combattimenti quella che viene dal Sudan, dove secondo il britannico «The Guardian» ad essere colpiti sono ancora i centri sanitari: un attacco aereo nei pressi dell’ospedale East Nile, nel nord della capitale, ha ucciso almeno tre venditori di tè e un bambino.

Le parti in campo — l’esercito comandato dal presidente di fatto del Paese africano, il generale Abdel Fattah al-Burhan, e le Forze di supporto rapido (Rsf) guidate dal generale Mohamed Hamdan Dagalo — hanno concordato l’ennesima tregua che, in linea di principio, dovrebbe durare 7 giorni, a partire da domani. Mentre 468 paramilitari si sarebbero uniti nelle ultime ore alle forze sudanesi, i numeri dell’emergenza sono tali che la diplomazia internazionale cerca nuovi margini di negoziazione. Il segretario di Stato statunitense, Antony Blinken, e il ministro degli Esteri egiziano, Sameh Shoukry, hanno discusso di un ampliamento del cessate il fuoco, nelle stesse ore in cui l’Alto commissariato Onu per i rifugiati faceva sapere che sono ormai oltre 100.000 le persone fuggite dal Sudan verso i Paesi confinanti, soprattutto Ciad, Egitto e Sud Sudan. E oggi a Port Sudan è giunto il coordinatore delle Nazioni Unite per gli aiuti di emergenza, Martin Griffiths, che si è detto al lavoro per ottenere dai belligeranti l’impegno a garantire l’accesso all’assistenza umanitaria.
[L’Osservatore Romano]