Festa della Santa Famiglia di Nazaret: «Gesù, fa’ ch’io sia buono»

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«Si può sapere cosa sei andato a cercar fuori in questa notte da lupi?». Così viene apostrofato il protagonista del Racconto di Natale di Buzzati, il povero don Valentino uscito nell’inquieta ricerca di Dio in una Notte Santa divenuta triste e buia perché le persone faticano a donare quel “po’ di Dio” che hanno trovato. E mentre scompare da ogni casa e da ogni cuore che cerca di tenerlo esclusivamente per sé, il Signore brilla tutt’intorno all’arcivescovo che rimprovera affettuosamente il pretino spaventato. (...)

La famiglia di Nazaret e il codice domestico

Gn 15,1-6; 21,1-3; Sl 104; Eb 11,8.11-12.17-19; Lc 2,22-40

La festa della santa famiglia è inserita nel contesto celebrativo natalizio. Il gruppo familiare composto da Giuseppe, Maria e Gesù vi appare come modello di ben assortita e rispettabile convivenza, concordia, donazione generosa e amore reciproco. La famiglia di Nazaret, “un vero modello di vita” con le sue virtù, percorse nella fede, nella gioia, nella sofferenza e nella prova un itinerario tutto suo, certo irrepetibile, ma anche con tanti aspetti in comunione con le famiglie di tutti i tempi.

Già all’origine, prima che questa famiglia si costituisse, c’è il dubbio legittimo di Giuseppe di fronte a Maria che risulta in attesa di un figlio non previsto. E dopo, questa nascita è tribolata: manca una casa di accoglienza e Gesù nasce in una grotta su una mangiatoia. Segue la persecuzione del sanguinario Erode che fa fuggire i genitori con il bambino in Egitto. Poi, tornati, quando portano Gesù dodicenne al Tempio, egli si eclissa per tre giorni. I momenti ancora più difficili sono quando Gesù lascia la casa familiare per la sua missione che lo condurrà al tragico epilogo del Calvario, in presenza della madre, presso la croce, impietrita dal dolore.

Con la celebrazione della Santa famiglia di Giuseppe, Maria e Gesù, la Chiesa vuole ricordarci tutta l’importanza che Cristo attribuisce alla famiglia in generale. Sul piano naturale, è la cellula del tessuto sociale. Sul piano spirituale, è la cellula della Chiesa, questa grande famiglia di Dio, che ha Dio come Padre, e noi siamo tutti fratelli di (e in) Cristo. La costruzione del Regno di Dio passa attraverso la famiglia cristiana solida e preoccupata dai valori umani e spirituali.

La famiglia è la grande scuola fondata da Dio per l’educazione degli esseri umani. È una struttura da conservare e da preservare con grande cura, soprattutto in questi tempi postmoderni di agonia della famiglia. L’agonia della famiglia è anche l’agonia della Chiesa. In questo triste contesto, la chiesa incoraggia oggi che i cristiani fanno delle loro famiglie rispettive “piccole Chiese domestiche”, dove si teme e onora il Signore, si pensa a santificarsi e ad offrire alla società delle persone sante.

Purtroppo, questo sembra un po’ arduo e utopistico in questi tempi odierni (post-cristiani?) di permissività, di abbandono delle virtù e di adozione elevata di una società “laica”, senza morale. Pensiamo ai divorzi, agli aborti, alle unioni libere, ai “matrimoni” tra omosessuali, alle coppie provvisorie e a tante altre scelte di oggi.

II cristiani veri non devono lasciarsi ingannare da queste mode ispirate dall’egoismo e dal progetto nascosto di “paganizzazione della società”. L’antica sapienza esalta l’onore che i figli devono ai genitori. È un atteggiamento di pietà e di riconoscenza. Li devono aiutare quando sono vecchi e fuori di testa. Oltre al principio di solidarietà tra generazioni che devono ispirare questo giusto rapporto tra genitori e figli, la compassione o la pietas verso i genitori ha anche una dimensione religiosa perché apre al rapporto con il Signore della vita: “Chi onora il padre espia i peccati…la pietà verso il padre non sarà dimenticata, ti sarà computata a sconto dei peccati”. Queste parole valgono anche per la madre.

La famiglia deve esprimere la carità che distingue il discepolo del Signore, la mansuetudine, la bontà, l’umiltà e la pazienza che sa sopportare e perdonare. Il perdono sincero ha come modello e fonte il perdono ricevuto dal Signore. Il cristiano non è uno che perdona e non dimentica l’offesa, ma è uno che perdona e non dimentica mai di aver già perdonato. Non ritorna più sulle cose perdonate.
Don Joseph Ndoum

Vieni Santo Spirito a confortare e proteggere
le nostre famiglie oggi e sempre!

La celebrazione della Sacra Famiglia fu istituita per essere esempio e riferimento per la famiglia nel vivere sociale e cristiano, con le sue caratteristiche umane e i suoi problemi quotidiani. Infatti, oggi, la contempliamo nella casa di Nazareth, dove Maria e Giuseppe crescevano, giorno dopo giorno, il fanciullo Gesù. Maria sposò Giuseppe, uomo giusto, secondo i disegni di Dio; conservando la sua verginità, divenne con la maternità, la madre del Figlio di Dio e madre di tutti gli uomini. Allevò il Divino Bambino con tutte le premure di una madre normale, ma nel cuore portava la grande responsabilità per il compito affidatole da Dio. Di Giuseppe non si conosce molto, nemmeno della sua morte. I Vangeli raccontano del suo fidanzamento con Maria, dell’angelo che gli parlò della maternità voluta da Dio, pregandolo di non ripudiare la fidanzata; del viaggio con Maria a Betlemme per il censimento; dei vari episodi circa la nascita e la vita di Gesù, in cui egli fu sempre presente. La terza persona della famiglia è Gesù. Della sua infanzia non si sa quasi nulla: Egli, il Figlio di Dio, visse nel nascondimento della sua famiglia terrena, ubbidiente a sua madre e a suo padre, collaborando nella bottega di Giuseppe, meraviglioso esempio di umiltà. Fu ubbidiente alla madre, ormai vedova, tanto da operare il suo primo miracolo pubblico alle nozze di Cana, dietro sua richiesta. Possiamo facilmente immaginare le tante situazioni e i gesti quotidiani di Giuseppe e Maria con questo figlio da accudire, da istruire. Ma l’evento immenso che si compiva nella casa di Nazareth era che, per Maria e Giuseppe, quel Bambino era contemporaneamente il loro Dio e il loro affetto più caro. Fu in quella casa che gli atti più sacri (pregare, dialogare con Dio, ascoltare la sua Parola, entrare in comunione con Lui) coincisero con le normali espressioni colloquiali che ogni mamma e ogni papà rivolgono al loro bambino. Fu così che cominciò la storia di tutte le famiglie cristiane, per le quali ogni aspetto della vita familiare (gli affetti, gli avvenimenti, la materia del vivere) può essere vissuto come sacramento: preludio di un amore infinito.

«Gesù, fa’ ch’io sia buono»

«Si può sapere cosa sei andato a cercar fuori in questa notte da lupi?». Così viene apostrofato il protagonista del Racconto di Natale di Buzzati, il povero don Valentino uscito nell’inquieta ricerca di Dio in una Notte Santa divenuta triste e buia perché le persone faticano a donare quel “po’ di Dio” che hanno trovato. E mentre scompare da ogni casa e da ogni cuore che cerca di tenerlo esclusivamente per sé, il Signore brilla tutt’intorno all’arcivescovo che rimprovera affettuosamente il pretino spaventato.

Stiamo vivendo anche noi un tempo inquieto, nel quale temiamo di non riuscire a condividere con le persone che amiamo la gioia di queste ore. In realtà anche il primo Natale è stato inquieto per tutti i suoi protagonisti. Lo è stato per Zaccaria, che fatica a sperare in una vita felice e feconda, dopo aver tanto pregato insieme a sua moglie (Lc 1, 18). È stato angoscioso per Giuseppe, che deve affrontare il senso di inadeguatezza e convincersi di avere un ruolo nella storia sorprendente che gli viene proposta dall’Angelo (Mt 1, 24). Sconcertante è stata la luce improvvisa che abbaglia i pastori in piena notte e li invita ad andare a Betlemme a vedere un segno misterioso per la troppa semplicità: «Un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia» (Mt 2, 12).

Il fatto è che, per raggiungere la pace e la gioia del Natale, non basta stupirsi degli eventi straordinari. È necessario, come Maria, ritagliare dei tempi di contemplazione in mezzo alle inquietudini e agli andirivieni dei giorni di Natale, per «custodire tutte queste cose, meditandole nel nostro cuore» (Lc 2, 19). Si tratta, come l’anziano Simeone che accoglierà al Tempio la Sacra Famiglia, di avere gli occhi colmi di gratitudine perché «hanno visto la salvezza». Ma cosa vede Simeone? Non soltanto la realtà semplice di una famiglia così povera da non potersi permettere di offrire al tempio un agnello, ma solo un paio di tortore. Bisogna guardare al di là della superficialità di «chi crede / che la realtà sia quello che si vede» (Montale). Ci vuole uno sguardo contemplativo, che sa fare memoria della propria vita e ricordare i piccoli e grandi doni che, a ben vedere, costellano la storia di ognuno. Accorgersi che anche ogni giornata di questo 2020 che si avvia alla conclusione è stata un dono, che è stata un dono ogni persona, a cominciare da chi abita sotto il mio stesso tetto: un dono e una chiamata, che attende una risposta quotidiana d’amore, di affetto. Per renderci conto di questo, tuttavia, è necessario avere lo sguardo buono di Simeone, che sa vedere nel Bambino e nella famiglia normale che lo accompagna la «salvezza preparata davanti a tutti i popoli» (Lc 2, 32).

I giorni di questo Natale inquieto saranno pieni di luce se avremo occhi contemplativi e desideri di prenderci cura dei doni della nostra vita. Chiediamo al Signore questo sguardo con la preghiera di un poeta: «Gesù, fa’ ch’io sia buono, / che in cuore non abbia che dolcezza. / Fa’ che il tuo dono / s’accresca in me ogni giorno / e intorno lo diffonda, / nel Tuo nome» (Saba).
di Carlo De Marchi

LA BENEDIZIONE DEI GENITORI

Benedire, dal latino benedicere, significa dire bene, dire del bene, augurare il bene. È l’espressione di una attesa, di una soddisfazione o di una riconoscenza. Benedire evoca quindi qualcosa di positivo: un beneficio, un favore. Infatti, l’uomo ha bisogno di felicità, di protezione, di salute, di riuscita nella vita, ecc.

La Bibbia è ricca di benedizioni. Fin dall’ inizio Dio benedice la sua creazione (Gn 5, 2) e il suo disegno è di benedire tutte le nazioni della terra (Gn 12, 2-3). Questa benedizione di Dio al suo popolo continua mediante il dono del suo Figlio (Lc 1,42; Mt 21, 19). Dunque, origine e fonte di ogni benedizione è Dio, che è al di sopra di tutte le cose; egli solo è buono (Mt 10, 18), ha fatto bene ogni cosa e vuole che tutte le sue creature siano colme dei suoi benefici.

La benedizione si rivolge anzitutto a Dio per la sua bontà. Si tratta di lodi o di benedizione ascendente. Ma essa riguarda anche gli uomini che Dio protegge e dei quali si prende cura con la sua Provvidenza, e tutte le altre cose create, la cui ricchezza e varietà sono messe da Dio a disposizione degli uomini. È la benedizione discendente, mediante la quale tutta la vita degli uomini può essere posta sotto lo sguardo protettore e misericordioso di Dio.

Dio ha concesso, già fin dal principio, che specialmente i patriarchi, i re, i sacerdoti, i leviti e i genitori innalzassero al suo nome lodi, e trasmettessero benedizioni. Oggi, in modo più particolare, vescovi, sacerdoti e diaconi sono incaricati dalla Chiesa di invocare le benedizioni divine sugli uomini. Ma lo sono anche i semplici battezzati, in virtù del loro battesimo e della loro confermazione. Quando Dio benedice direttamente o per mezzo di queste persone, sempre vengono assicurati il suo aiuto, i suoi benefici, il suo sostegno, la prosperità e la sua protezione. Per esempio, la benedizione paterna, fin dall’ antichità, ha sempre un influsso decisivo sul destino di chi ne è oggetto (cf Gn 27; 48; 50, 24-25; Dt 33; 2Sm 23; 1Re 2; 2Re 13, 14s).

La benedizione risulta allora un aumento/incremento dei risultati, al di là di ogni legge naturale, una loro straordinaria moltiplicazione. Cioè, senza benedizione ogni lavoro rende solo ciò che esso è naturalmente ritenuto capace di dare, il suo frutto non viene moltiplicato; senza di essa, ogni applicazione, organizzazione, costanza o perseveranza porta solo frutti naturali. In altre parole, con la benedizione divina uno ha fecondità nelle sue imprese e porta sempre frutti; i suoi sforzi e il suo lavoro sono sempre coronati da successo: quindi, la benedizione produce miracoli e trascende ogni situazione.

I gesti più ordinari per benedire sono l’imposizione delle mani, il segno della croce e l’aspersione con l’acqua benedetta (che ricorda il mistero pasquale e l’acqua del battesimo). Per evitare ogni rischio di superstizione, ognuno di questi gesti rituali va accompagnato da una preghiera o da una parola di Dio tratta dalle Sacre Scritture.

Nelle famiglie non si deve perdere la buona tradizione della benedizione dei figli, soprattutto il primo giorno dell’anno (Capodanno). La benedizione paterna è una cosa sacra e fonte inesauribile di grazie. Quando il papa non vive più, la può dare la mamma o il fratello maggiore. Si tratta di un gesto di amore da parte del padre e di un gesto di umiltà da parte dei figli.

Le mani tese sui figli inginocchiati, se possibile ai piedi del crocifisso, si invoca la benedizione e la protezione divine su tutta la famiglia, in questo mondo, e l’augurio del Paradiso dopo questa vita. Poi, tutti si scambiano vicendevolmente gli auguri, prima dei regali.

I genitori non aspettino il Capodanno per benedire i figli: lo devono fare sempre nel cuore, nella preghiera, durante o lungo l’anno, e farlo solo ufficialmente il primo gennaio. A loro, con l’aiuto dello Spirito, come pure alla Chiesa, è affidato il servizio di implorare e di effondere le benedizioni di Dio sulle loro famiglie.

È una cosa buona quando i familiari pongono la loro fiducia anzitutto in Dio, per bocca del più anziano, chiedendo la sua benedizione che opera sempre il bene che dice.
Don Joseph Ndoum