Lunedì 5 maggio 2025
Partiamo dal titolo del Convegno Fratelli comboniani europei – che era proprio “Fratello: uomo di speranza” – che ha convocato a Roma, dal 29 aprile al 1° maggio 2025, una ventina di fratelli che lavorano in Europa, provenienti dalla Curia e dalle circoscrizioni di Spagna, Germania, Polonia, Portogallo e, naturalmente, Italia.

Fratelli per “abbracciare la speranza”

“Dinamico!”. Forse è questa la parola più adatta per definire il “Convegno Fratelli 2025”. Dinamico, perché, anziché ritrovarci a Verona (come abbiamo fatto negli ultimi anni), ci siamo spostati a Roma (e non poteva essere diversamente, visto l’Anno Giubilare). Dinamico, perché ci siamo mossi (“in uscita”, come direbbe Francesco) e siamo andati a conoscere realtà dove si vive e si costruisce speranza. Dinamico, perché ci siamo lasciati interpellare, sin dalle parole introduttive di padre Luigi Codianni, superiore generale, e poi ci siamo mossi attraverso la testimonianza di Eraldo Affinati, l’incontro con la Parola, aiutati da Giandomenico Placentino, abbiamo abbracciato la speranza, ci siamo lasciati abbracciare dalla speranza per essere “Fratelli: uomini di speranza”.

Partiamo, quindi, dal titolo del Convegno Fratelli comboniani europei – che era proprio “Fratello: uomo di speranza” – che ha convocato a Roma una ventina di fratelli europei, provenienti dalla Curia e dalle circoscrizioni di Spagna, Germania, Polonia, Portogallo e, naturalmente, Italia.

Nel suo saluto iniziale, padre Luigi Codianni ci ha chiesto di soffermarci un poco sul carisma, sulla necessità di vivere con passione il carisma di fratelli, di recuperare, prima di tutto, la vita del fratello come una esperienza carismatica. Comprendere il significato profondo dell’esperienza carismatica aiuta a distinguere tra ciò che è genuino e ciò che è solo apparenza. Il carisma come dono, sia personale che comunitario. Ma, ancora prima di essere il dono che ci abilita per un apostolato, il carisma è una esperienza interiore che ci spinge a:

  • Guardare il passato con gratitudine,
  • Vivere il presente con passione,
  • Abbracciare il futuro con speranza.

Partendo da questo invito che padre Codianni ci ha rivolto la prima sera dell’incontro, abbiamo vissuto il secondo giorno “all’incontro della speranza”. In un primo momento, attraverso la testimonianza di Eraldo Affinati (fondatore, assieme alla moglie, della scuola di italiano per stranieri Penny Wirton). Eraldo ci ha invitati a guardare alla scuola, non tanto a partire dalla metodologia di insegnamento, quanto piuttosto dallo stile: è lo stile dell’accoglienza che crea relazione, e dalla relazione nasce la condivisione di vita.

Questo stesso stile di relazione e di condivisione di vita lo abbiamo poi vissuto nelle visite effettuate nel pomeriggio a “luoghi di speranza”. Le attività comboniane dell’Acse (Associazione comboniana servizio emigranti), una delle sedi romane della scola Penny Wirton, la “Casa Magnificat” per accoglienza delle donne vittime di tratta, e il percorso “sul cammino di Agar” – anche questa una esperienza di accoglienza e di comunità con donne o uomini vittime di tratta e di sfruttamento.

Fr. Daniele Giusti e padre Luigi Codianni, Superiore Generale, nella messa celebrata nelle grotte vaticane.

Visitati i luoghi e conosciute le esperienze, abbiamo definito questi spazi come “territori di speranza” e “luoghi di vangelo incarnato”. Per riassumere: durante il secondo giorno, siamo “andati all’incontro della speranza e ci siamo lasciati abbracciare dalla speranza”.

La sveglia il mercoledì mattina è stata all’alba, perché abbiamo voluto visitare e pregare davanti alla tomba di Papa Francesco, partecipando alla messa nella Cappella Palatina della basilica di Santa Maria Maggiore, davanti all’icona di Maria venerata con il titolo di “salus popoli romani”. Un saluto doveroso e un grazie a Francesco che per 12 anni è stato vescovo di Roma e Papa, ed è stato per tutta la chiesa e il mondo segno e uomo di speranza.

Il resto della mattinata è stato dedicato all’incontro con la Parola che ci è stata “spezzata” da Fratel Giandomenico Placentino, monaco della fraternità monastica di Bose ad Ostuni. Testo di riferimento: Gen. 6,5 – 9,17. Noè, il Diluvio e la speranza di un mondo nuovo… Interessantissima e ricca di spunti per la riflessione personale e comunitaria la lectio che fratel Giandomenico ci ha proposto. Bellissima l’immagine finale dell’arca – in ebraico, tebah. Si tratta della stessa parola che la Scrittura usa per definire “culla”, il luogo dove viene posto Mosè. La scrittura fa, quindi, un parallelismo tra Mosè, che salva il popolo dalle acque, e Noè, che lo salva dal diluvio. La tebah non ha poppa, non ha prua, non ha remi, non ha ponti di comando: deve galleggiare, non navigare. Noè deve confidare solo in Dio. Anche noi, pertanto, come Noè, siamo invitati a riporre la nostra speranza nelle mani di Dio.

La tebah diventa anche il luogo della gentilezza – o meglio: “il laboratorio della gentilezza” – perché Noè e la sua famiglia imparano a preoccuparsi gli uni degli altri e degli animali che sono presenti sull’arca. Ecco, quindi, la speranza come “luogo in cui ci si prende cura gli uni degli altri”.

E così siamo arrivati all’ultimo momento del Convegno fratelli. Dopo il percorso compiuto, il “passaggio” attraverso la Porta Santa della basilica di San Pietro e la messa celebrata nelle grotte vaticane hanno assunto un valore grande.

Nell’omelia, padre Codianni ci ha ricordato la specificità della vocazione del fratello, che genera, da parte nostra, una risposta gratuita a questa specifica chiamata: risposta gratuita che significa atto d’amore e, per questo, obbedienza. Il lavoro e il servizio rendono visibile questo atto d’amore e, quindi, le nostre azioni e le nostre mani si trasformano in “azioni e mani cristiche”.

Un grazie di cuore a chi ha pensato questo Convegno fratelli. Grazie alla comunità della Curia che ci ha accolti. Grazie a chi ha partecipato, ai relatori che ci hanno accompagnato, e alle comunità di speranza visitate.

Arrivederci al prossimo Convegno fratelli.

Fr. Antonio Soffientini, mccj