Venerdì 5 settembre 2025
Gli interessi dell’industria petrolchimica hanno affossato la nascita di un Trattato globale contro l’inquinamento da plastica. Sul fallimento degli ultimi negoziati di Ginevra hanno pesato le scelte conservative di molti paesi africani, chiamati a fare ostruzionismo direttamente dall’African Energy Chamber. [Nigrizia]

Gli oltre 230 lobbisti presenti all’ultima tornata dei colloqui del Comitato intergovernativo di negoziazione (INC), riunitosi a Ginevra dal 5 al 15 agosto per formulare un Trattato globale contro l’inquinamento da plastica, hanno fatto valere gli interessi dell’industria del petrolio e della petrolchimica. Per la seconda parte della quinta sessione delle trattive nella città elvetica si erano ritrovati in più di 2.600 tra rappresentanti istituzionali di vario livello di 183 paesi, osservatori, esponenti di organizzazioni e della società civile.

Per dieci giorni si è discusso sulle azioni comuni da mettere in campo per arginare questa forma di inquinamento, dalla progettazione e dal design dei prodotti alle sostanze chimiche tossiche usate per fabbricarli da eliminare gradualmente, dai limiti da porre alla produzione ai sostegni economici che ogni stato si dovrebbe impegnare a elargire per contribuire a questa causa.

Sulla carta le proposte portate avanti dalla High Ambition Coalition, blocco che comprende i paesi membri dell’Unione Europea, il Regno Unito, il Canada più diversi paesi latinoamericani e africani, sembravano poter mettere tutti d’accordo. Alla fine, però, ha prevalso l’ostruzionismo alle due bozze di testo presentate dal presidente dell’INC, l’ecuadoregno Luis Vayas Valdivieso, posto da una cerchia di petrostati riuniti nel Like-Minded Group of Developing Countries, con in testa Arabia Saudita, Kuwait, Russia, Iran e Malesia.

Ora si dovrà attendere un nuovo round di incontri per portare avanti un processo negoziale iniziato nel marzo del 2022 e che, a più di tre anni di distanza, ha prodotto molto meno di quanto ci si aspettasse.

Tutti i danni della plastica 

Il confronto di Ginevra, arrivato otto mesi dopo un’altra infruttuosa conferenza sul tema che si era tenuta a Busan, in Corea del Sud, dal 25 novembre al primo dicembre 2024, si è presto incagliato su due questioni in particolare. Da una parte il gruppo di paesi guidato dall’High Ambition Coalition ha puntato sull’introduzione di limiti alla produzione di plastica. Dall’altra i petrostati hanno aperto esclusivamente alla possibilità di prevedere un aumento dei volumi di riciclo dei rifiuti in plastica.

Quest’ultima è una soluzione che i petrostati continuano però a sostenere più a parole che con i fatti. Secondo gli ultimi dati diffusi dall’OCSE, infatti, in questo gruppo di paesi i tassi di riciclo di questa tipologia di rifiuto restano piuttosto bassi: 3-4% in Arabia Saudita, 5-6% negli Stati Uniti, 5-12% in Russia.

Altro elemento divisivo ha riguardato la possibilità di inserire nel testo del trattato riferimenti al fatto che l’inquinamento da plastica sia una delle principali cause dell’emissione di sostanze nocive e, di conseguenza, anche dei cambiamenti climatici in atto, nonché di gravi danni alla salute delle persone (cancro, infertilità, malattie cardiovascolari e morti premature).

La produzione di plastica rilascia ogni anno più di due gigatonnellate di CO2. Con oltre 430 milioni di tonnellate di prodotti in plastica generati, e sette miliardi di tonnellate di rifiuti dispersi nell’ambiente, se venisse considerata come uno stato questa industria sarebbe il quinto emettitore di gas serra al mondo.

I diktat dell’oil&gas in Africa 

Anche sulle delegazioni dei paesi africani presenti a Ginevra il peso delle lobby del petrolio e della petrolchimica si è fatto sentire. Osservando i numeri, la questione non dovrebbe riguardare più di tanto il continente africano che ad oggi produce solo il 5% della plastica immessa sul mercato globale consumandone non più del 4%.

Ma la crescita demografica e l’esponenziale aumento delle aree urbanizzate che investiranno sempre di più l’Africa nei prossimi anni, spingono a guardare al continente come a quello del futuro anche su questo fronte, con tutte le conseguenze che ne deriveranno non solo in termini produttivi ma anche per l’ambiente e la salute delle persone.     

Come segnalato da Semafor, nei giorni decisivi per il tramonto dei negoziati di Ginevra è stata l’African Energy Chamber (AEC), con sede in Sudafrica, a mettere in guardia gli stati africani sui rischi che avrebbe comportato una firma del trattato soprattutto per quei paesi in cui l’industria petrolchimica sta crescendo di anno in anno, in primis Angola, Gabon, Ghana e Senegal.

In una nota diffusa dall’AEC il 12 agosto, il suo presidente esecutivo NJ Ayuk, ha esortato questi paesi a “dare priorità alle proprie esigenze energetiche e industriali rispetto ad agende ambientali esterne che non sono in linea con le priorità di sviluppo dell’Africa”. “Sostenere questo trattato – ha sottolineato – equivarrebbe a darsi la zappa sui piedi, senza alcun senso per il futuro dell’Africa”.

Non tutti, però, in Africa la pensano allo stesso modo. Nei giorni delle trattative Deborah Barasa, ministro dell’Ambiente del Kenya, paese membro dell’High Ambition Coalition, ha invocato un’azione decisa da parte di tutti per fermare il proliferare incontrollato di rifiuti in plastica. Negli stessi giorni Ababu Namwamba, rappresentante permanente del Kenya nel Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP), aveva invitato i negoziatori a trovare un accordo sul trattato e proposto di spostare proprio a Nairobi gli uffici che seguono direttamente i lavori per la sua stesura.

Henry Msuya, ingegnere meccanico del Tanzania Bureau of Standards, ha sottolineato l’urgenza di arrivare alla stipula di questo trattato anche per attivare quella cooperazione regionale che in Africa è fondamentale per frenare i traffici illegali dei rifiuti in plastica e la loro combustione.

In una nota diffusa dopo il fallimento delle trattative il ministro delle Foreste, della Pesca e dell’Ambiente del Sudafrica Dion George, ha dichiarato che il suo paese “non vacillerà nella lotta per porre fine all’inquinamento da plastica e creare un contesto normativo equo”. Il ministro ha poi promesso che il tema della plastica sarà al centro della prossima Conferenza ministeriale del G20 su ambiente e clima, in programma a Città del Capo a ottobre.

Al contempo nella stessa nota il ministero del Sudafrica ha però ammesso di essersi opposto nelle ultime trattive di Ginevra all’introduzione di limiti rigidi per la produzione di plastica. Proprio uno degli argomenti su cui i petrostati e i lobbisti del settore hanno fatto leva per rafforzare il campo dei contrari al trattato.

Negli ultimi anni diversi stati africani hanno avviato azioni concrete per fermare l’inquinamento da plastica. I governi di Kenya, Nigeria, Sudafrica, Uganda e Zimbabwe hanno lanciato un progetto da 90 milioni di dollari per ridurre le emissioni di sostanze chimiche pericolose a esso connesse, iniziando a intervenire in settori chiave come quelli automobilistico, elettronico ed edile. 

Ma fino a quando questi paesi saranno legati ad accordi energetici importanti con paesi che remano in senso opposto, quali l’Arabia Saudita – dove Saudi Aramco prevede di destinare circa un terzo della sua produzione petrolifera alla plastica e ai prodotti petrolchimici entro il 2030 -, le loro azioni saranno destinate ad avere una portata limitata rispetto all’entità del problema che l’Africa e l’intero pianeta hanno di fronte.

Rocco Bellantone – Nigrizia