In Pace Christi

Podda Gesuino

Podda Gesuino
Data de nascimento : 18/04/1930
Local de nascimento : Orotelli
Votos temporários : 09/09/1952
Votos perpétuos : 09/09/1954
Data de ordenação : 26/06/1955
Data da morte : 03/02/2003
Local da morte : São Luis/BR
P. Gesuino Podda è nato a Orotelli, Nuoro, il 18 aprile 1930 da papà Giuseppe, mugnaio ed elettricista, e da mamma Rita Ortu, casalinga. Era il primo di otto figli, quattro maschi e quattro femmine. In famiglia si viveva la fede, specialmente da parte della mamma che non mancava mai alla messa quotidiana insieme ai figli; e questa fede era nutrita con abbondante preghiera. Il parroco scrisse: “Gesuino si è sempre comportato bene moralmente e proviene da famiglia onorata e cristiana”.
Chierichetto fervoroso e intraprendente “si alzava alle quattro del mattino per essere, con la mamma, alla prima messa, anche nei giorni feriali - scrive la sorella Nina - e i suoi giochi preferiti erano quelli di celebrare Messa con uno scialle sulle spalle a mo’ di casula. Un suo cugino, Mons. Rosario Menne, partì per il seminario un paio d’anni prima di lui. Questo fatto influì ulteriormente sulla scelta sacerdotale del giovinetto”.
Così, dopo le elementari al paese, passò al seminario di Nuoro per le medie e il ginnasio e poi fu accolto nel seminario regionale di Cuglieri (Nuoro) per il liceo. Qui sentì la voce del Signore che lo chiamava alle missioni. Dopo essersi consigliato con i superiori, prese la decisione di entrare tra i Comboniani.

Duplice lotta
Appena parlò di vocazione missionaria si scatenò una duplice lotta: una da parte del suo vescovo e l’altra da parte della famiglia. “Giorni fa – scrisse in data 29 luglio 1950 - mi sono incontrato con il mio vescovoper strappargli il permesso, ma invano. Mi ha risposto che non è bello partire missionario quando si è per entrare in teologia… che si può fare il missionario anche qui… Tuttavia mi ha promesso di lasciarmi partire dopo che avrò lavorato per tre o quattro anni in diocesi… Ma io continuo a pregare il Cuore di Gesù, la Vergine Santissima e il caro San Giuseppe perché abbiano ad aiutarmi nella lotta…”.
Una lettera del 3 settembre 1950, scritta dal rettore del seminario, P. Crescentino Greppi SJ, ci fa capire che tutto si era appianato: “Podda Gesuino di Orotelli è un ottimo e prezioso elemento, che ha compiuto gli studi di liceo mantenendo sempre una condotta lodevole ed edificante degna in tutto di un chierico aspirante al sacerdozio. Egli ha coronato gli studi con la promozione alla Teologia come risulta dalla allegata pagella. Mi consta, però, che il suo vescovo gli ha fatto finora molte difficoltà; la famiglia gli era contraria, ma ora anche il babbo si è piegato e non so se anche il vescovo abbia consentito. Certo, se Gesuino potesse essere accolto sarebbe un buon missionario sotto tutti i punti di vista”.
Il 7 ottobre, festa della Madonna del Rosario, anche il vescovo ha capitolato: “In nomine Domini ti concedo di lasciare il Regionale e di andare missionario, secondo il tuo desiderio e la volontà del Signore. Tu dovrai molto pregare per la tua diocesi, perché essa non manchi mai del numero sufficiente di sacerdoti. Che non avvenga che un giorno dai paesi degli infedeli debbano venire i missionari ad evangelizzare i cosiddetti paesi cristiani. Tuo aff.mo Mons. Giuseppe Melas”.
Con poche parole scarne e sostanziali, come è sempre stato il suo stile, in data 26 ottobre 1950 Gesuino ha fatto la sua richiesta per il noviziato: “Io sottoscritto Gesuino Podda chiedo alla paternità Vostra Rev.ma di essere ammesso nella congregazione dei figli di Mons. Comboni. Ringraziamenti e ossequi”.

La guerra con se stesso
Dopo aver lottato tanto con il vescovo e con la famiglia, Gesuino dovette ingaggiare una guerra serrata con se stesso per domare il carattere ardente e focoso che la natura gli aveva dato. Trascorse il noviziato a Firenze dal 6 novembre 1950 al 9 settembre 1952, sotto la guida di P. Giovanni Audisio.
“Abituato alla disciplina di un seminario esemplare – ha scritto il padre maestro – non ha trovato difficoltà ad adattarsi a quella del noviziato dove si trova bene ed è contento. È un giovane esigente con se stesso e con gli altri, venendo meno qualche volta a quel compatimento delle debolezze altrui che lo portano a gesti di impazienza. Ha un alto concetto della vocazione missionaria e vuole onorarla in se stesso. Durante l’anno scolastico ha fatto l’insegnante di latino agli studenti di prima liceo. È un carattere energico, di ottimo ingegno e di spiccato criterio.”
Nella domanda per i voti ha espresso il desiderio di “consumare la propria esistenza il meno indegnamente possibile, come membro della Congregazione dei Figli del sacro Cuore di Gesù per la salvezza delle anime”.
Dopo i voti, passò a Venegono Superiore per lo scolasticato. P. Alessandro Medeghini scrisse di lui tre sole parole: “È un sardo”. Più avanti precisò: “Uomo di fatica, abituato al sacrificio, al dono di sé”.
Il 26 giugno 1955 è stato ordinato sacerdote a Milano dall’Arcivescovo Mons. Montini. La sua prima destinazione è stata l’animazione vocazionale e missionaria nel Sud d’Italia, particolarmente a Troia. P. Gesuino cominciò a battere i paesi della zona sulle orme del servo di Dio P. Bernardo Sartori che aveva fatto di quella parte d’Italia il suo campo di apostolato. Lavorò con entusiasmo raccogliendo buoni frutti da un punto di vista vocazionale.

Una vita in Brasile
Il suo sogno di essere mandato ad gentes si realizzò nel 1958 con la destinazione allo stato del Maranhão, Brasile, Prelatura di Balsas. Fu vice parroco nelle parrocchie di Loreto (1958-1959) Balsas (1959-1961) e Mangabeira (1961-1962) e poi parroco nuovamente a Mangabeiras e a Balsas, in gioiosa compagnia di altri Missionari Comboniani.
Le missioni erano in una fase di notevole espansione, ed essendo di giovane fondazione c’era tutto da fare. P. Gesuino si rimboccò le maniche e ci diede sotto con tutto l’entusiasmo di cui era capace. Si dedicò particolarmente alle desobrigas. In groppa al mulo percorreva chilometri e chilometri lungo sentieri sconosciuti, sfidando i rami e le alte erbe che gli tagliavano la faccia e, soprattutto il morso dei carapatos che gli succhiavano il sangue lasciandogli un prurito fastidioso.
Tutte queste sofferenze erano ampiamente ripagate quando, raggiungendo un casolare isolato, veniva accolto come un dono di Dio. “Qui in Mangabeiras le cose vanno abbastanza bene. Ogni tanto il termometro segna qualche fiasco nel lavoro apostolico. Ciò serve per impinguare lo spirito e per farci lavorare nel completo distacco interiore dalle soddisfazioni apostoliche. Siamo impegnati nei lavori di rifinitura della chiesa matrice, della cappella di San Francesco in periferia, della scuola e di un salone parrocchiale. Abbiamo quattro chiese in costruzione nel sertão e altre in programma, se le possibilità materiali ci saranno favorevoli”, scriveva nel 1963.
Il contatto con la povertà, molto spesso con la miseria e l’ingiustizia, gli creava nell’anima l’esigenza di darsi tutto per favorire un cambiamento in quella società depressa e sfruttata. Restava edificato quando i suoi fedeli, pur essendo estremamente privi di beni materiali, gli chiedevano la parola di Dio, e i sacramenti.
“Il giorno dell’Immacolata andai a celebrare la Messa in un collegio di ciechi – scrisse nel 1973. - Era diretto da una coppia di ciechi: lei laureata in filosofia, lui in pedagogia. Si sono sposati e hanno consacrato la loro vita ai ragazzi ciechi che, attualmente, sono in numero di quarantacinque. Vivono di carità perché detto collegio non è riconosciuto ufficialmente. L’allegria di quella coppia strana mi ha sconvolto, umiliato, e mi sono chiesto: ‘Se diventassi cieco che cosa sarei capace di fare per l’umanità sofferente? Io che appartengo alla casta degli eroi, dei predicatori, dei professionisti della perfezione e della bontà, che cosa potrei insegnare ai due ciechi? Confesso che mi sono sentito umiliato e ho percepito uno scossone da cascare a terra di schianto come Paolo sulla via di Damasco. In quel giorno ho visto veramente Cristo presente e operante in quella coppia di sposini giovani che, sia pure con le pupille spente, mi hanno indicato che il sole sorge ad oriente… Se mi capiterà di trovare colleghi in crisi, li manderò dai due ciechi per un ridimensionamento della loro vita…”.
Al ritorno dei suoi viaggi apostolici, si trasformava in un grande animatore parrocchiale, specialmente attraverso il canto e la musica di chiesa… “Proprio in questo momento sto ascoltando il disco ‘I Negro Spirituals’ che mi hai regalato prima della mia partenza per Balsas. ‘Voi che soffrite, narrate quello che il Signore ha fatto per voi. È lui che ha fatto la luce, e questa luce noi la godremo in proporzione dell’intensità delle tenebre in cui ci perdiamo…’. Sembrano parole scritte per la mia gente”.
P. Gesuino sapeva suonare e cantare. Capì che anche la gente amava il canto e la musica. Con questi mezzi riuscì a mettere insieme robusti gruppi di persone, specialmente di giovani che poi catechizzava.
Nel 1964 troviamo P. Gesuino in Italia, a Napoli, con l’incarico di animatore missionario. Nel 1967 era nuovamente a Balsas con l’incarico di vicario generale della diocesi. Per essere vicino al suo vescovo, Mons. Rino Carlesi, dovette trasferirsi a Balsas, tuttavia continuò ad interessarsi delle parrocchie di Loreto e di Mangabeiras.

Superiore provinciale
Con la conclusione del Capitolo Generale dell’Istituto, ci fu il cambiamento dei superiori provinciali. Prima di quella data, infatti, i provinciali venivano nominati direttamente dal Superiore Generale che risiedeva a Roma. Se i confratelli puntarono su P. Gesuino significa che si era fatto stimare ed amare.
“Qui le cose vanno magnificamente. Mons. Carlesi è veramente formidabile e ha già dato un impulso nuovo a tutta la pastorale missionaria parrocchiale della prelatura. P. La Salandra non si riconosce più: è completamente trasformato, dalle idee veramente larghe e aggiornate. Posso dire che Balsas potrebbe far gola a tutti per lo spirito che regna in tutti i settori. Digitus Dei est hic”. Col suo vescovo progettò di andare incontro al altre diocesi più carenti di sacerdoti.
“Aiutato da quattro consiglieri, che sono gran brava gente di mente e di cuore, aperti e sensibili ai problemi, mi auguro di poter prestare un servizio efficiente”. P. Gesuino fece veramente bene. Si mostrò aperto e comprensivo con i confratelli, sempre disponibile a creare rapporti di amicizia con le autorità, pur mettendo al primo piano la giustizia.
Terminato il suo mandato di provinciale, ebbe la delicatezza di chiedere al Superiore Generale di essere mandato nel Sud del Brasile, in un’altra regione, per non influenzare o condizionare il suo successore. Invece i superiori gli chiesero di trattenersi a Balsas per coordinare la pastorale della città. Nella sua umiltà scrisse: “Balsas in questi anni è notevolmente cambiata, e il sottoscritto pure. Potrei deludere le attese della Chiesa Locale (clero e popolo). Tuttavia, se ritenete ancora valida la mia presenza, e se questo tipo di presenza non suona come un privilegio, lasciando agli altri gli strapazzi del sertão, accetto anche con sacrificio a titolo di emergenza, pur sapendo a quali difficoltà dovrò sobbarcarmi”.
Al termine del suo mandato come parroco (1984), andò in Italia per il Corso di Rinnovamento e poi fu inviato a Firenze per essere formatore dei postulanti. “Qui si va avanti come si può, facendo del nostro meglio, da persone povere e peccatrici… A me riesce difficile sentirmi contento. Col passare del tempo mi convinco sempre più che i superiori hanno preso un bel granchio nel destinarmi alla formazione, e che non è affatto vero che l’obbedienza faccia miracoli. Ce la sto mettendo tutta ma quando, oltre al carisma, manca anche la preparazione specifica per un determinato e difficile incarico, come è la formazione dei giovani oggi, si corre il brutto rischio di bruciare le persone e noi stessi. Nessuno mette in discussione la necessità della rotazione, rimane però vero che le persone bisogna saperle chiamare in patria al momento giusto e per il posto giusto”.
I superiori capirono l’antifona. Lo tolsero da Firenze e dopo quattro anni di animatore missionario a Bari (1986-1990) tornò in Brasile. Andò a San Luis, parroco nella parrocchia di San Giovanni Battista. Qui incentivò, le attività di carattere religioso e sociale. Nel “centro sociale” raccolse le persone che avevano problemi derivanti dalla povertà e dalla fame.
Da anni si tirava dietro l’artrosi e altri disturbi. Ultimamente anche il cuore si era messo a non funzionare come si deve. Pur curandosi come poteva, cercò di dare sempre tutto di sé. Anche quando era malato, non ha smesso di dedicarsi agli altri, magari raggiungendoli col telefono. La malattia, la sofferenza, furono maestre di vita per lui. “Personalmente non accetto la tesi della sofferenza per la sofferenza – scrisse -. Farei del Padre Eterno un mostro di iniquità se pensassi che se ne stia a guardare compiacente chi soffre, come se lui fosse un essere immaturo e bisognoso dei nostri gemiti o delle nostre bestemmie per crescere fino alla pienezza del suo essere. Lui, nella sua saggezza infinita e nella sua paternità che non conosce confini, permette e lascia che l’uomo sia incatenato da mille sofferenze perché, accettate generosamente, cessano di essere ostacoli e diventano mezzi di crescita in esperienza e in sensibilità ai problemi altrui. Qui sta il mistero”.

Il tramonto
All’inizio di gennaio del 2003 P. Gesuino ha partecipato al ritiro provinciale con tutti i Comboniani. Ad un certo punto ha voluto essere ricoverato all’ospedale per un eccesso di liquido nelle gambe. Ma a complicare tutto è arrivata la polmonite. A nulla sono valse le cure dei medici. Alle 23.30 del 3 febbraio 2003 è morto per insufficienza cardiaca.
È stato sepolto a Balsas nella tomba dei Comboniani, dove già riposano P. Franco Sirigatti, P. Marco Vedovato, P. Flavio Campus, P. Florio Chizzali e P. Fabio Bertagnolli.
È stato ricordato al suo paese con una solenne concelebrazione presieduta dal vescovo Mons. Pietro Meloni, concelebranti Mons. Sebastiano Sanguinetti (già parroco di Orotelli) ed una ventina di sacerdoti. La chiesa di San Giovanni era gremita di fedeli, compaesani ed amici. Nell’omelia il vescovo ha ricordato lo spirito di docilità e obbedienza del padre, la sua dedizione alla missione e il suo spirito di sacrificio. “Aveva fatto suo il motto di San Paolo: ‘È un dovere per me annunciare il Vangelo’ e ‘Guai a me se non evangelizzo’. Il parroco Don Mariani ha proposto di sostituire i fiori e i necrologi con offerte che avrebbero portato a termine le iniziative missionarie di P. Gesuino”.
Il presidente del consiglio della provincia di Nuoro, dottor Salvatore Podda, ha detto tra l’altro: “La vita e il sacrificio di P. Gesuino deve insegnare a tutti noi la tolleranza verso i poveri e gli immigrati. P. Gesuino avrebbe voluto una società più giusta, più attenta ai bisogni della gente dove tutti potessero vivere la propria vita in un contesto di pace, con dignità. Con la sua scelta di vita ha tracciato una strada che anche noi dobbiamo percorrere fino in fondo”. “La sua prematura scomparsa – ha scritto il fratello Battista – ha lasciato in noi un vuoto incolmabile. Gesuino non era solo il fratello prediletto, era anche l’amico al quale confidavamo ogni nostra preoccupazione, ogni nostro problema, e lui aveva parole chiare, di incoraggiamento, di fede per tutti. Sono sicuro che continuerà ad aiutarci e a guidarci da lassù”.
I confratelli e la gente di Balsas e di San Luis ricordano “con gratitudine e con commossa ammirazione, l’eroica testimonianza missionaria, l’incondizionata fedeltà alla Chiesa, l’amore appassionato ai poveri e agli emarginati del nord-est del Brasile, l’attaccamento al Vangelo predicato e testimoniato fino all’ultimo respiro con coraggio e mitezza”.
Che dal cielo ottenga all’Istituto vocazioni “totalmente donate” come era lui e alla società brasiliana un po’ di giustizia. P. Lorenzo Gaiga, mccj