In Pace Christi

La Salandra Angelo

La Salandra Angelo
Data de nascimento : 29/03/1919
Local de nascimento : Biccari (FG)/I
Votos temporários : 19/03/1947
Votos perpétuos : 19/03/1950
Data de ordenação : 08/12/1942
Data da morte : 08/12/2000
Local da morte : São José do Rio Preto/BR

P. Angelo La Salandra è nato a Biccari, in provincia di Foggia, decimo figlio del signor Domenico, possidente terriero e agricoltore, e di Maria Giuseppina Caione, casalinga. Era il 29 marzo 1919. Dopo di lui, ne sarebbero arrivati altri quattro. Una famiglia numerosa e benestante, se si pensa che il papà, ad ogni figlio che nasceva, riusciva ad aggiungere alla proprietà un pezzo di terra.

Quella del signor Domenico era anche una famiglia profondamente cristiana e con un tocco di nobiltà. A Troia, dove le radici degli antenati si perdevano nella notte dei tempi, murata nella chiesa di san Domenico, c’è ancor oggi una lapide in pietra col nome della casata e una data: 1785. Come mai, allora, il piccolo Angelo è nato a Biccari?

Proprio in quegli anni, il papà vi aveva acquistato un oliveto e una grande casa con tante stanze, il salone e la terrazza. Lì, all’inizio della prima guerra mondiale, aveva trasferito la famiglia.

Ne faremo un avvocato

Angelo aveva quattro anni, quando la famiglia tornò definitivamente a Troia. I compagni cominciarono a chiamarlo “biccarese” con un sottile senso di disprezzo, ma il ragazzino seppe ben presto rifarsi battendoli tutti nel gioco e soprattutto nella scuola. Suo maestro di 3a, 4a e 5a elementare è stato il sacerdote don Vincenzo De Santis che possedeva il raro dono di far amare la scuola agli alunni provocandoli con indovinelli sulle materie studiate e con gare scolastiche. Non ci voleva altro per accendere l’intelligenza e far scattare lo spirito di competizione in Angelo che, fin dai primi anni, si mostrò estroverso, vivace, combattivo e… birichino.

Anche nelle discussioni con i compagni e in famiglia era imbattibile, tanto che un giorno il papà, compiaciuto del modo con cui sapeva difendere le sue ragioni, disse alla mamma: “Di questo guaglione ne faremo un avvocato”.

La pratica della carità era un segno esterno della religiosità della famiglia. Nei lunghi e rigidi inverni, quando i poveri battevano alla porta di casa, la mamma era generosa nel dare loro farina e lardo. Alle persone del vicinato che la avvisavano di guardarsi dai falsi poveri, rispondeva: “Preferisco essere ingannata che negare la carità a un bisognoso”. Sarà il modo di fare di p. Angelo.

In questo caldo ambiente umano e religioso il vispo ragazzino si preparava inconsciamente ad essere missionario comboniano.

La vocazione

La vocazione missionaria di Angelo è legata al ministero di P. Bernardo Sartori che, da qualche anno aveva fondato il seminario missionario di Troia e il giornalino “Stella Missionaria” che i ragazzini leggevano con gusto perché portava tanti episodi missionari. P. Bernardo, inoltre, aveva la capacità di attirare i ragazzi e di entusiasmarli. Angelo divenne assiduo frequentatore della casa dei missionari e già durante l’anno di quinta elementare chiese di potervi entrare.

“Il racconto dei sacrifici che i missionari compivano, invece di spaventarmi, provocavano in me una reazione di sfida. Quando ero giovane seminarista, inoltre, ascoltavo le conferenze di P. Sartori che ci parlava della vita dura, di rinuncia e di sacrificio che conducevano i missionari in Africa. Ciò mi aiutava a superare i disagi  che provenivano soprattutto dal cibo di scarsa qualità: la carne e il vino, infatti, non si vedevano mai”, scrisse nel suo diario.

I genitori erano piuttosto contrari alla vocazione missionaria del figlio, sembrandogli che l’entusiasmo per le missioni fosse fuoco di paglia. La sorella Teresa, invece, un’anima bella che poi si farà suora tra le Oblate del Sacro Cuore, era favorevole. Ella raccoglieva attorno a sé i fratelli e raccontava vite di santi ed episodi del Vangelo.

Un giorno mentre il papà e la mamma erano in campagna, preparò un fagottino con un po’ di biancheria e mandò il fratello dai missionari. Al ritorno, i genitori accettarono il dato di fatto di buon grado. In questo modo iniziò il cammino missionario di P. Angelo. Aveva 11 anni.

A Troia il nostro giovinetto acquistò una più solida formazione alla vita cristiana, si abituò alla vita comunitaria e motivò il suo amore alla vocazione missionaria. Alla scuola di P. Sartori e dello scolastico comboniano Giovanni Giordani che era il suo assistente, non poteva essere diversamente.

Santo Padre, mi benedica

Prima che finissero le vacanze del 1933, che dovevano concludersi con la partenza per la scuola apostolica di Brescia dove avrebbe frequentato il ginnasio, Angelo andò pellegrino a Roma con i genitori per l’acquisto del Giubileo in quello speciale anno della Redenzione. Quando Pio XI gli passò vicino, il seminarista ebbe la prontezza di spirito di dirgli:

“Santo Padre, mi benedica; io voglio essere missionario”. Al che il Papa: “Bene, figliolo, Dio ti benedica nella tua vocazione”.

Fu solo il grande entusiasmo per la vocazione e i canti missionari nel momento dell’addio, che gli impedirono di versare una lacrimuccia lasciando la sua città e la famiglia. A Brescia, dove giunse nel settembre del 1933 con altri compagni, fu accolto dal superiore, P. Cesare Gambaretto. Qui ebbe modo di mostrare il suo valore rispondendo a una domanda del professor Pettoello, un laico esigentissimo e famoso per le sue bocciature. Mise in palio un dieci a chi sapeva la causa storica del Rinascimento in Italia. Una domanda da università, eppure Angelo si alzò e rispose: “La caduta di Costantinopoli nel 1453 da parte dei Turchi”. Rimasero tutti senza parole ed Angelo non vide mai una brutta nota fino al termine del ginnasio. Il superiore, che aveva notato l’estro di Angelo, gli faceva declamare le poesie in refettorio.

L’ombra della croce

Nel 1936 Angelo, giovane di 17 anni, aveva iniziato da poco il secondo anno di noviziato a  Venegono Superiore. Vi era entrato nel settembre del 1935, e si era messo con tutto l’impegno possibile a dare la scalata al monte della santità, quando fu colpito da un serio attacco di pleurite. Il padre maestro, Giocondo Bombieri, gli consigliò di tornare in famiglia. A quei tempi, la mancanza d’una forte costituzione era annoverata tra i segni di non vocazione alla vita missionaria.

Trascorse ben sette mesi a letto, amorevolmente accudito dai familiari, in modo particolare dalla mamma e dalla sorella Teresa.

Alla pleurite si aggiunse la peritonite e infine la nefrite. Altro che Africa! Angelo aveva da fare le sue a tirare il fiato per sopravvivere. Furono mesi di intensa preghiera al Cuore di Gesù e alla Madonna Mediatrice. Non solo da parte del malato, ma dell’intera famiglia che si era stretta attorno a lui in una gara di santa solidarietà. E la spuntarono. Angelo lasciò la camera da letto proprio per celebrare la festa del Sacro Cuore nel giugno del 1937. Anche la mamma, trovandosi d’accordo col P. maestro, stringendo a sé il figlio, gli disse:

“Angiolino, ora grazie a Dio e alla Madonna sei guarito, ma questa lunga e grave malattia è stata certamente un segno che Dio non ti vuole missionario in Africa, bensì sacerdote diocesano come tuo fratello Nicolino. C’è da fare tanto bene anche qui”.

“Mamma, non ho parole per ringraziarti di quanto hai fatto per me. Devi, però, sapere che in questi mesi di sofferenza la mia unica preghiera è stata: ‘O missionario o morte’. Quindi la mia guarigione è segno evidente che il Signore mi vuole suo missionario”. La mamma rispose:

“Sia fatta la volontà di Dio”. Ma P. Bombieri, quando lo aveva mandato a casa, intendeva che fosse per sempre e non lo accolse.

Sacerdote diocesano

Angelo non si perse d’animo: chiese al suo Vescovo di poter essere accolto in seminario come esterno per la filosofia, sotto la direzione di don Mario De Santis. Intercalava lo studio con lunghe passeggiate nei campi dove incontrava i pastori e i contadini con i quali amava intrattenersi. Soprattutto si rivolse ai figli dei poveri che, marinando la scuola e il catechismo, passavano la loro giornata giocando sotto le mura della città. Così ebbe origine l’umile oratorio “San Giovanni Bosco” che radunava gli scugnizzi di quattro parrocchie. Inconsciamente, il Signore lo preparava a fare, da missionario, la sua opzione per i più poveri in Brasile.

Entrato nel seminario diocesano di Troia come membro attivo, ebbe l’incarico di assistente di una classe. Nel contempo portava avanti i suoi studi di teologia, mentre suo fratello Nicola studiava nel seminario regionale di Benevento in vista della laurea in teologia. Fu ordinato sacerdote l’8 dicembre 1942 dopo aver fatto il mese ignaziano di esercizi spirituali. Tre anni prima, nel 1939, era stato ordinato suo fratello don Nicola.

Appena ordinato, ricevette la nomina ufficiale di Vice rettore del seminario, incarico che, di fatto, aveva esercitato anche da chierico. Seguirono gli anni della seconda guerra mondiale con massicci bombardamenti a Foggia. L’episcopio, il seminario e molte case di Troia si aprirono ad accogliere i profughi che cercavano scampo lontano dai luoghi strategici.

Novizio a Firenze

La lotta col Vescovo fu dura per ottenere il permesso di lasciare la diocesi in vista di un suo rientro tra i Comboniani. Per coprire la distanza Troia-Firenze ci vollero dieci giorni di viaggio avventuroso. A Firenze era atteso da P. Stefano Patroni, maestro dei novizi. Vi giunse il 26 settembre 1945.

P. Patroni: “Un uomo – scrisse P. Angelo – che insegnava più con la sua vita che con le parole. Ed io volli vivere la vita di ogni novizio, prendendo quasi un sacro gusto spirituale nel poter imitare la vita di Gesù a Nazaret, lavorando con la vanga nell’orto, falciando l’erba per le vacche, lavando i piatti e le pentole in cucina, pulendo i gabinetti. Nel secondo anno il Padre Maestro mi chiese di insegnare alcune materie ai novizi e mi diede la possibilità di aiutare l’economo nella predicazione di giornate missionarie”.

Ed il maestro che cosa disse del discepolo? “Appena entrato ha chiesto di essere trattato come l’ultimo dei novizi. E’ sempre diligente e costante in tutti i suoi doveri. In ogni cosa tende al più perfetto; sembra che  non si accontenti mai di quello che fa. Qualche volta, perciò, per troppo amore all’esattezza, cade nella meticolosità. Buon criterio e ottimo ingegno. Come carattere è piuttosto impulsivo e gran ragionatore, tuttavia sa dominarsi molto bene. Dà ottima speranza di essere un buon religioso e un bravo missionario”.

Il 19 marzo 1947, festa di San Giuseppe, P. Angelo La Salandra emise la professione religiosa in un clima di intensa commozione da parte sua, e di festa da parte dei confratelli che avevano per lui una grande stima.

Formatore in Portogallo

La destinazione per la missione fu immediata. P. Angelo sognava l’Uganda dove si trovava il suo primo maestro P. Sartori, invece i Superiori lo destinarono al Mozambico, allora possedimento (colonia) portoghese. Prima di recarvisi, bisognava fare una tappa in Portogallo per apprendere la lingua e avere i permessi d’entrata. In vista di questa missione, P. Giovanni Cotta, proprio nel gennaio del 1947, aveva acquistato un terreno per costruirvi una casa e una chiesa appena fuori la città di Viseu.

P. Angelo partì nell’ottobre del 1947 con il neo ordinato P. Rino Carlesi e P. Ezio Imoli, sacerdote già da dieci anni. Dopo una tappa a Lourdes, proseguirono per il Portogallo. Furono provvisoriamente ospitati nel seminario diocesano, ma subito dopo furono sistemati in tre parrocchie diverse. A P. Angelo toccò quella di Canas de Sobogosa come coadiutore di un parroco anziano e malato. Nonostante i suoi strafalcioni di lingua portoghese, riuscì a coalizzare la gente, i giovani e i ragazzi molto bisognosi di istruzione religiosa e di sacramenti.

In Portogallo, P. Angelo divenne poi padre spirituale del seminario diocesano, animatore vocazionale ed economo per il nuovo seminario comboniano che stava sorgendo per opera di Fr. Eligio Locatelli. P. Ernesto Calderola, che aveva preso il posto di P. Giorgio Ferrero partito per il Mozambico, chiese a P. Angelo di cercare a Lisbona una sede per la Procura dei Comboniani. Il Cardinale di Lisbona gli assegnò una parrocchia alla periferia della città dove avrebbe dovuto “pregare molto e soffrire tanto”. P. Angelo, con il suo zelo e la sua dedizione riuscì a trasformare Paço de Arcos mediante una pastorale capillare dei giovani, degli anziani, dei malati e degli operai.

In Brasile

Dopo 13 anni di servizio in Portogallo, nel 1960, poté finalmente partire per la missione. Non in Mozambico, ma in Brasile, a Balsas, dove mons. Diego Parodi lo nominò subito parroco e delegato vescovile. Il Padre si applicò con il suo solito entusiasmo per una solida pastorale delle famiglie.

Fu colpito dalla situazione dei contadini che lavoravano ancora con “a caneta do pai Adao” la penna del papà Adamo. In sintonia con il Vescovo e con altri confratelli diede vita al C.A.E.R. (Centro di Assistenza e di Educazione Rurale), un lavoro non facile, ma indispensabile per migliorale la società. Già prima del Concilio i missionari avevano capito che missione è anche promozione umana.

Quando, dietro ordine diretto di papa Giovanni XXIII, si diede inizio al seminario, P. Angelo ne divenne il primo rettore. In seguito si sentì il bisogno di una scuola superiore per dare un’alternativa agli studenti altrimenti obbligati a frequentare la scuola pubblica. E sorse il Collegio S. Pio X nel quale, udite udite, furono ammessi i seminaristi e anche le ragazze. P. Angelo ne divenne animatore e rettore. “Io invitavo – scrisse – i seminaristi a trattare le compagne di scuola senza complessi di fuga o di rigetto, ma con semplicità come fratelli e sorelle, in modo che prendessero coscienza delle loro capacità di controllo affettivo in vista della libera opzione del celibato sacerdotale”. P. Angelo era spinto ad adottare questo metodo in seguito alla constatazione che alcuni sacerdoti abbandonavano i loro impegni per sposarsi, adducendo la scusa che durante il seminario era stato loro nascosto come stavano veramente le cose.

Superiore provinciale

Nel 1964, P. Domenico Seri, provinciale uscente, disse a P. Angelo: “E’ arrivata dall’Italia la sua nomina a superiore provinciale”. Vedendo la faccia di P. Angelo, si affrettò ad aggiungere: “Se non vuole accettare liberamente, ho l’ordine dal padre generale di farla accettare in forza della santa obbedianza”. Il Padre tornò in Italia per il Capitolo del 1969 nel quale fu eletto P. Tarcisio Agostoni.

Dopo il Capitolo P. Angelo stette un mese come parroco a Messina, poi tornò a Balsas come direttore e insegnante. Nel 1976 fu chiamato in Italia per il periodo di rotazione. Quindi tornò alla sua Troia come animatore vocazionale. Dopo 40 anni di buona salute dovette sottoporsi a un paio di interventi che lo rimisero in forma, tanto che nel 1979 tornò in Brasile, questa volta come vice parroco a Vila Presidente Medici, tra gli indios e caboclo della Transamazzonia. Un lavoro difficile e duro che, tuttavia, gli riservò tante soddisfazioni spirituali. Dopo aver lasciata la parrocchia di Santa Maddalena, andò a San Paolo (1982-1989). Nella cappella Santa Crux, attigua alla casa provincializia, organizzò degli incontri con gli immigrati, trattando i loro problemi di fede e di lavoro. Incrementò la pastorale giovanile, la pastorale degli anziani che formarono il gruppo “Amici della Sapienza”, insomma il gruppo saggi, essendo tutti anziani e soli.

La malattia come… salute

Nel novembre del 1981, P. Angelo si trovava nel Parà-Maranhào e cadde malato di nefrite e di prostata. Fu accompagnato, via aerea, da P. Diniz all’ospedale della Benficencia Portuguesa per essere operato. Nella solitudine di quelle notti insonni, rivide tutta la sua vita… “In quella dolce contemplazione - scrisse - constatavo come il Signore era stato buono e misericordioso con me, povero peccatore. Quante grazie avevo ricevuto! Da quanti pericoli mi aveva preservato! Quanti errori commessi e ingratitudine perpetrate alla sua infinita misericordia! In quei giorni di sofferenza, al gioioso ringraziamento filiale, univo l’umile pentimento del figlio prodigo, con il proposito di corrispondere sempre più a tanto amore gratuito del Padre. Promisi che, guarito, mi sarei dedicato al lavoro di apostolato con sempre più entusiasmo… Questi propositi furono rinnovati durante un mese di ricovero al Gemelli di Roma nel 1983, per l’operazione di calcoli al rene sinistro. Sì, quelle malattie, sono state per me un colpo di salute spirituale”.

Al suo ritorno in Brasile, fece parte della comunità dello scolasticato in San Paolo, dando ancora una mano nella parrocchia di Santa Maddalena dove trovò tante vecchie amicizie. Ma si prestò anche a lavorare in una favelas di periferia, infestata da banditi, poi tra gli alcolisti e i carcerati. Ormai i più “necessitosi” erano diventati la sua porzione prediletta.

Nel 1989 P. Angelo era nuovamente in Italia per il Corso di aggiornamento a Roma e per essere ricoverato nell’ospedale Casa Sollievo della Sofferenza di S. Giovanni Rotondo per una forma di stress che gli era venuto – dice lui – dalla nuova destinazione al Portogallo. In una lunga lettera al Superiore Generale manifestò la sua difficoltà a prestare un servizio in Portogallo, perché la sua opzione era per i poveri. Ed in Brasile i poveri erano certamente più numerosi che in Portogallo. “Vivo nella mia carne tutta la problematica dell’opzione per i più poveri, per liberarli dalle strutture del peccato attraverso una promozione integrale, affinché anch’essi abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza, sgorgata dal Cuore trafitto del Buon Pastore. Come missionario comboniano, mi sento pienamente realizzato a tutti i livelli della mia personalità”.

Si riprese immediatamente quando ricevette il via per il Brasile (gennaio 1990). Andò nella missione di Mirador nel Nordeste, ma il clima troppo umido e il caldo soffocante gli nuocevano perciò, dal 1991 al 1998, andò a San Paolo. Tornò in Italia per le vacanze e per altri interventi: fu operato agli occhi all’ospedale di Bussolengo (VR), e di blocco intestinale negli Ospedali Riuniti di Foggia. Ancora una volta, il vecchio combattente si rialzò e partì per il Brasile. Fu destinato a San José do Rio Preto come membro della casa di riposo per anziani e addetto al ministero. Ebbe qualche difficoltà iniziale di inserimento per un uomo attivo come lui, tuttavia la sua fede ebbe il sopravvento. Trovò modo di esercitare il ministero nell’ospedale, nel confessionale e… nel cimitero accompagnando i defunti alla sepoltura.

Anche lì diede esempio di povertà, di laboriosità e di dedizione alle anime. “Arrivava a casa a tutte le ore – dice Fr. Domenico Barbieri – mangiava ciò che trovava, alle volte anche freddo o avanzato dal giorno prima. E non c’era verso di fargli cambiare sistema. Diceva che i poveri non avevano neanche quello. Aveva sempre paura di disturbare… Credo che se si fosse trattato un po’ meglio sarebbe ancora vivo”.

L’incontro col Signore

La morte lo colse all’ospedale di Sao José dove era ricoverato da qualche giorno per complicazioni intestinali che si sono subito trasformate in “perforazione”. La morte è stata abbastanza veloce e inaspettata da tutti. La Chiesa aveva già celebrato i vesperi della solennità dell’Immacolata, quindi si era in pieno nella festa. Considerando la vita che il Padre aveva vissuto, le sue due grandi devozioni ai Cuori di Gesù e di Maria, e che proprio in quel giorno celebrava i suoi 58 anni di sacerdozio, si deve dire che non ci poteva essere, per lui, un momento più opportuno per entrare nel Regno dei Cieli, dove la grande festa alla Madre di Dio stava per cominciare.

Il vescovo Mons. Orani, con tanti sacerdoti del clero diocesano, confratelli e amici venuti fin da San Paolo, si sono stretti in modo affettuoso attorno alla bara del Padre. Il Vescovo stesso ha voluto tessere il suo elogio funebre e, dopo la celebrazione eucaristica di suffragio, lo ha accompagnato alla sepoltura, nel cimitero di San Giovanni Battista, alla periferia della città, in una tomba offerta all’Istituto dalla diocesi.

Mons. Franco Masserdotti, vescovo di Balsas, si è fatto vivo con un messaggio: “Nell’apprendere la notizia della morte del nostro carissimo confratello, P. Angelo La Salandra, vogliamo unirci in preghiera con tutti voi, in questo momento di commiato. Alla luce della risurrezione, assieme al dolore per la sua scomparsa, proviamo molta serenità e pace perché abbiamo la certezza che egli si trova già nella Casa del Padre a ricevere il premio eterno per la sua dedizione e il suo entusiasmo apostolico.

La parrocchia di Balsas deve molto a P. Angelo per gli anni che ha trascorso qui, nel servizio pastorale della parrocchia, nel Collegio San Pio X, del quale non è stato non solo direttore e padre, ma anche l’anima, nel seminario dove ha trasmesso tutto il suo entusiasmo a molti giovani che avevano ricevuto la vocazione. P. Angelo fa parte della storia di Balsas in modo permanente e vitale. Perciò esprimo insieme alle mie condoglianze, i sentimenti di tutto questo popolo che lo ha conosciuto, lo ha ammirato e lo considera un santo. La distanza ci impedisce di essere presenti fisicamente, ma siamo uniti a voi spiritualmente, assumendo con voi l’eredità di fede ed entusiasmo di P. Angelo e trasformandola in un impegno di vita e di ardore missionario”.

Nella provincia brasiliana e in Congregazione P. Angelo lascia ricordi molto vivi della sua singolare personalità: zelo apostolico, instancabile dedizione alla missione, spiritualità quasi monastica, preghiera da asceta, attenzione per i poveri, povertà e semplicità di vita oltre ad un’insistenza quasi esagerata di essere sempre al servizio degli altri, di giorno e di notte. Che il Signore mandi tanti altri missionari della sua tempra.       P. Lorenzo Gaiga

Da Mccj Bulletin n. 210, aprile 2001, pp. 83-91