In Pace Christi

Rattin Lauro

Rattin Lauro
Data de nascimento : 09/11/1926
Local de nascimento : Grigno (TN)/I
Votos temporários : 09/09/1948
Votos perpétuos : 22/09/1950
Data de ordenação : 19/05/1951
Data da morte : 06/04/2000
Local da morte : Cairo/EG

Terminate le elementari al paese natale, Lauro Rattin, figlio di Mario e di Bellin Alice, entrò nel seminario dei Padri Venturini di Trento, ma dopo due anni emigrò nel seminario diocesano. Il ragazzino si mostrò subito molto vivace, allegro e sempre in vena di combinarne qualcuna, ma molto buono, cordiale con tutti e di compagnia. In un giudizio su se stesso, Lauro scrisse: “Sono portato all’ottimismo, a vedere sempre l’aspetto bello delle cose, a far contenti gli altri. Vado d’accordo con tutti”. Il suo carattere estroverso e scherzoso, lo fece passare come un “superficiale” e gli causò più di una sofferenza nella vita.

Alle soglie del sacerdozio poté scrivere: “Ho sofferto molto, ma ho anche imparato molto”.

Il primo giugno 1946 il nostro giovane scrisse ai superiori dei comboniani esprimendo il suo desiderio di farsi missionario:

“Frequento il terzo corso liceale nel Seminario Maggiore di Trento. Da due anni mi pervade una brama ardente di diventare missionario. Sento il desiderio di lasciare tutto per dedicarmi interamente a Cristo e sacrificarmi per tante anime prive della grazia di Dio. Che tutto ciò sia semplice entusiasmo, non lo credo perché ha trasformato e modificato la mia vita di seminarista. Concepisco la vita missionaria come rinuncia a tutto, ad ogni cosa superflua ed anche lecita, pur di far conoscere Gesù Cristo a tutti gli uomini.

La storia della mia vocazione non è affatto straordinaria. Attraverso riviste e periodici, discussioni e conferenze di carattere missionario, dalle parole di missionari e specialmente alla vista del loro genere di vita austero e sacrificato, ho capito che il Signore mi chiama per questa strada. Il padre spirituale e il rettore mi hanno confermato l’autenticità della mia vocazione missionaria. Anzi, dato il mio temperamento dinamico, mi hanno assicurato che sono fatto proprio per la vita missionaria di prima linea.

Le difficoltà per assecondare questa chiamata vengono solo dai genitori. Non vogliono affatto che io li abbandoni ed abbia a rinunciare a tutto. Spero, però, con l’aiuto di Dio di riuscire a convincerli durante le prossime vacanze”.

Il Rettore, in data 11 giugno 1946, scriveva: “Il chierico Rattin è intelligente, volitivo, di buona pietà. Anche la condotta è buona. Si lascia comandare ed è obbediente. Penso che non farà fatica nella vita attiva di missione. E sarà uno capace di dare tutto grazie anche al suo carattere piuttosto originale ed entusiasta...”.

Ce la farà?

In agosto del 1946 Lauro entrò nel noviziato di Firenze e, durante il secondo anno di formazione, frequentò il seminario di Fiesole per terminare il liceo. Qui conseguì “l’attestato di merito di primo grado per applicazione allo studio e lodevole condotta”.

Due anni dopo, il 9 settembre 1948, emise i primi Voti. Ebbe due padri maestri; P. Patroni, il primo, e P. Audisio il secondo. Il primo scrisse: “ Giovane un po’ insofferente delle sante restrizioni del noviziato. Qualche irregolarità nell’osservanza delle regole trova una sufficiente scusa nel suo carattere portato all’indipendenza, ma ha la volontà di impegnarsi Nei primi mesi del noviziato dubitavo della sua riuscita perché, essendo vivacissimo, pensavo che difficilmente si sarebbe adattato alla disciplina severa dell’Istituto. La vita metodica pareva in contrasto con la sua vivacità, ma dopo un serio cammino nella direzione spirituale cominciò a capire la necessità assoluta dell’unione con Dio, della padronanza di sé e dello spirito di fede se si vuole portare frutto nell’opera di apostolato, e su questi principi cominciò a lavorare seriamente. Come carattere è molto sensibile e un po’ nervoso. Dà speranza di buona riuscita. Speriamo che non si stanchi nella lotta per vincere l’esuberanza della sua vita”.

P. Audisio scrisse, al termine del secondo anno: “La sua sensibilità si è trasformata in carità autentica che lo porta ad aiutare tutti, anche a costo di grossi sacrifici. Ha corretto molti suoi difetti. Studente di prima teologia, è riuscito il migliore della classe. Dimostra di avere buoni principi e solido criterio”. La sua “esuberanza”, come la chiamò P. Patroni, gli giocò un brutto tiro durante il corso teologico a Venegono per cui gli fu negata la rinnovazione dei Voti. Che cosa aveva combinato di così grave? Una domenica, senza avvertire i superiori, era andato a Milano con un gruppo di giovani dell’oratorio per assistere ad una partita di calcio “ed aveva pure fumato una sigaretta”. Noi, oggi, faremmo un sorriso, allora… si piangeva.

“Con grande dolore ho avuto la notizia della delibera della Consulta a mio riguardo - scrisse in data 26 agosto 1949. - Dopo il primo inaspettato sentimento di sorpresa e di sconforto, tale decisione mi ha fatto seriamente pensare a ciò che avevo promesso di fare e non ho fatto... Ora io non intendo affatto addurre scuse inconsistenti di difesa, anzi dichiaro apertamente di aver commesso delle mancanze e trasgressioni alle regole. Credo, però, che nonostante gli esempi poco edificanti dati alla comunità e i difetti di cui sono stato imputato presso la Consulta, ho sempre amato la vocazione e per essa ho affrontato sacrifici e superato difficoltà che Iddio solo conosce... Creda pure, Padre, che il mio desiderio di rimanere in Congregazione è grandissimo e che altrettanto fortissimo è il proposito di vivere secondo lo spirito religioso della stessa... Se ho fatto male chiedo perdono, ma insieme chiedo umilmente di essere riammesso perché una vita diversa da quella missionaria religiosa mi sembra inconcepibile per me. Accetto e accolgo tutte le umiliazioni che mi possono venire, purché possa diventare sacerdote missionario...”.

La lettera venne letta nella Consulta del 31 agosto 1949 e la conclusione fu la seguente: “Nonostante in una Consulta precedente non siate stato ammesso alla rinnovazione dei Santi Voti, in questa fu deciso che li possiate emettere”. Seguono poi alcune ammonizioni.

Teniamo presente che la lettera di Rattin era accompagnata da una dichiarazione di P. Giacomo Andriollo, allora superiore a Venegono, nella quale si dice: “Do voto favorevole alla sua rinnovazione dei Voti”. Anzi, P. Andriollo stesso si precipitò a Verona a intercedere per quel ragazzo “un po’ vivace, sì, ma tanto generoso e pieno di zelo per la salute delle anime”.

E’ interessante la lettera di ringraziamento del nostro giovane al P. Generale, nella quale esprime i suoi sentimenti di riconoscenza per lo scampato pericolo. “Grazie del suo perdono, Reverendissimo Padre. Ho passato una settimana di angosciosa amarezza, ma ora le assicuro che ci sarà una svolta decisiva nella mia vita...”. E la svolta ci fu. Infatti P. Medeghini, il 31 luglio 1950, scrisse: “Ha fatto bene durante il 1949 e ha buone disposizioni per l’avvenire”. E Lauro scrisse di sé: “Sento una forte attitudine al lavoro diretto verso le anime. Mi piace consigliare, confortare, purificare. La gente mi trova simpatico e io approfitto di questo dono che il Signore mi ha dato per avvicinare le anime a Dio. Sarei anche disposto a insegnare, se l’obbedienza me lo chiederà, ma lo farei solo per un profondo senso del dovere”.

Un’altra mano, certamente quella di un superiore, ha scritto: “Persona molto attiva, è portato all’apostolato e al ministero ai quali si dedica con passione dopo aver terminati i suoi impegni scolastici”. Con queste credenziali P. Lauro Rattin, il 19 maggio 1951, fu ordinato sacerdote a Milano.

Studente e insegnante

Nell’agosto del 1951 P. Rattin partì per il Libano. Erano con lui P. Francesco De Bertolis, P. Rufini e Fr. Aldo Benetti che ci fornisce le notizie di questo periodo. A Roma chiesero di vedere il Papa per riceverne la benedizione. In quel periodo Pio XII si trovava a Castelgandolfo. Fatta la richiesta attraverso P. Villani che lavorava in Vaticano, il Santo Padre fece sapere che avrebbe visto volentieri i missionari in partenza.

Mentre attendevano in anticamera con una trentina di missionari anche di altri ordini e congregazioni, P. Rattin, sempre esuberante e in vena di scherzi, disse: “Io gli chiedo la dispensa dal breviario”. Invece, quando si trovò a tu per tu con il Vicario di Cristo, disse: “Santità, andiamo in Libano per imparare l’arabo ma, mi raccomando, dopo non ci chiami in Vaticano a sfogliare carte”. “Lo so, lo so che a voi missionari piace andare per il mondo - rispose sorridendo il Papa. E poi aggiunse - state tranquilli: non vi chiamerò qui; c’è troppo da fare in missione”.

A Zahle, dopo la scuola con tanto di professore e di libri, P. Lauro scendeva in strada a completare la lezione parlando con la gente alla quale, con molta disinvoltura chiedeva come si chiamasse quella cosa o quell’altra. Gli interpellati sorridevano divertiti e rispondevano di buon grado sentendosi gratificati di essere elevati al grado di insegnanti, e per di più di un italiano.

P. Giacomo Andriollo, che era P. Provinciale “dell’Alto e Basso Egitto e del Medio Oriente” come diceva scherzosamente, disse un giorno a P. Lauro: “Figlio mio, figlio delle mie viscere, cerca di fare bene perché mi sei costato molto”. Per capire questa espressione bisogna rifarsi al tempo dello scolasticato quando P. Rattin rischiò di farsi mandar via per la sua troppa esuberanza, come abbiamo visto.

Sia in Libano, come in tutti gli altri posti dove ha esercitato il suo ministero missionario P. Lauro si è dedicato costantemente ai poveri e agli ammalati. Essi costituivano per lui la porzione prediletta che aveva ricevuto dalle mani del Signore.

Nella terra di Comboni

Terminato il suo tirocinio in Libano, P. Rattin fu dirottato in Sudan con la prospettiva di andare nelle missioni del Sud. Sognava tanto la missione di prima linea! Niente da fare! Egli, che aborriva l’insegnamento, fu mandato a fare il professore nel Collegio Comboni. Dopo alcuni mesi, però, il suo sogno poté avverarsi.

Scrive P. Antonino Orlando: “Nel 1952, a Khartoum, in attesa di andare in Sud Sudan, stette con noi al Collegio Comboni per vari mesi. Era piuttosto gracile di costituzione. P. Roberto Zanini, nostro principal, gli diceva: “Se non resisti nel Sud, torna pure al Collegio Comboni, ché ti troverai bene”. Infatti si era comportato molto bene ed era uno che accresceva l’allegria in comunità. Invece resistette al Sud fino all’espulsione del 1964.

Dopo quasi un anno di servizio a Khartoum venne dunque dirottato nel seminario di Okaru insieme a P. Bresciani e altri. Vi rimase dal 1953 al 1958

Per due anni (‘58-’60) fu direttore e incaricato delle scuole a Torit e per altri tre (‘60-’63) insegnante a Rejaf. Per capire come prese questi incarichi, contrari alla sua natura di missionario di prima linea, sentiamo che cosa scrisse in una lettera a P. Piotti nel 1996: “... Inoltre ti vorrei dire che c’è un principio che guida la mia vita, principio che fu instillato in me da mia madre ancora durante la mia fanciullezza: ‘Non importa se una cosa ti piace o no, l’importante è che tu faccia sempre ciò che ti viene comandato’. E aggiungeva: ‘Prima il dovere e poi il piacere’. E quando dopo la mia espulsione dal Sudan dissi a mia madre che in Africa avevo trovato solo il dovere, lei mi rispose che il piacere lo si trova facendo il proprio dovere. Così mi ha messo a terra un’altra volta”. Quando smise la scuola, nel febbraio del 1964, venne eletto segretario del Vescovo di Juba, ma quel compito fu brevissimo, Un mese dopo, infatti, tutti i missionari furono espulsi dal sul del Paese.

In Etiopia

Dopo le “amare” vacanze in Italia, quando ormai non c’era più speranza di un immediato ritorno in Sudan meridionale, P. Rattin venne inviato in Etiopia, prima come insegnante ad Asmara in Eritrea (1965-1975) e poi come addetto al ministero ad Addis Abeba.

“Lo rividi poi all’Asmara - scrive P. Orlando - dove io ero direttore dell’altro Collegio Comboni e superiore di Comunità. P. Lauro divenne molto popolare con le famiglie italiane. Fu un vero apostolo. Quanti coniugi mise a posto! Quanti ne preparò ad una buona morte! Però, in un modo un po’ strano. Allora non c’era ancora la televisione in casa, quindi alla sera tutti i membri della comunità si ritrovavano insieme per un po’ di ricreazione. P. Lauro veniva per cinque minuti, poi spariva. Nessuno ci faceva caso perché tutti, essendo insegnanti, dovevano lavorare fino alle ore piccole per preparare la lezione. Invece, cosa succedeva? Quatto quatto, trascinando la moto a mano per non farsi sentire, usciva dal Collegio e poi via all’ospedale. Là trascorreva le notti con gli ammalati. Non ho mai capito come facesse il giorno dopo a tenere le sue lezioni, eppure faceva bene. Ma compresi una cosa: che lo Spirito Santo ispira come vuole. Questo mi mise il cuore in pace.

Ancora nel 1995, quando io fui al Cairo in Egitto per rimettermi da una bronchite, una vecchia signora di Asmara (90 anni), dottoressa, e il cui marito P. Lauro aveva assistito sul letto di morte, mi pregò di salutarlo. Tanto era il ricordo che aveva lasciato”.

Ho sempre detto sì

Quando P. Calvia, segretario generale (si interessava dell’Egitto perché ne era stato delegato al Capitolo) gli propose, ma senza imporglielo, di lasciare Addis Abeba per l’Egitto allo scopo di dirigere una scuola ad Helouan, P. Rattin ebbe un sussulto interiore: “Da quando sono missionario - scrisse il 10 maggio 1970 - ho la gioia di poter dire di aver detto sempre di sì al minimo cenno dei Superiori. Quante volte, oltre al mio lavoro, mi furono scaricati addosso tanti barili pesanti, ed anche allora, sempre sì. Ma adesso, dal momento che vengo lasciato libero nella scelta, mi pare che dicendo di no - come è stonato questo no! - servirei meglio la Chiesa. Dopo tante esperienze acquisite, mi sono accorto di riuscire molto bene nel lavoro delle coscienze, nel consigliare, nel confortare, nel rappacificare famiglie divise, nel preparare gli animi al grande viaggio verso l’eternità. Quando qualcuno si rifiuta di ricevere qualsiasi prete, chiamano me: Tranne una volta in cui venni solennemente sconfitto, sono sempre riuscito, con la grazia di Dio, a sistemare tutto, a mettere ordine, a far contente le persone. Le telefonate si susseguono per tutto il giorno e alle volte anche di notte. I confratelli, e lo stesso P. Battelli, considerando che sono lasciato libero di decidere, mi suggeriscono di rimanere.

Prescindendo da questo, sono sicuro che farei un fiasco solenne andando ad Helouan ad organizzare e dirigere una scuola. Io qui faccio scuola, e lo faccio volentieri perché non voglio mangiare il pane a tradimento, ma appena terminato il lavoro scolastico, devo prendere la moto e andare negli ospedali e nelle cliniche o nelle famiglie a visitare chi soffre, a mettere pace, a salvare i matrimoni. Come organizzatore sono zero. Io devo vivere in mezzo alla gente, con la gente. Nei giorni forzati in cui fui ad Addis, sono riuscito a far fare Pasqua a parecchi italiani, con molta meraviglia degli altri Padri. Non pensi che io sia largo o dalla coscienza lassa. Sono solo comprensivo, paziente, dolce fino a sudar freddo. Insomma dico di no a lei Reverendo Padre, solo perché sono convinto di contribuire alla salvezza di più anime qui che altrove.

Ma c’è un’altra cosa: quando venni mandato qui, mi dissero che dovevo creare un’atmosfera di serenità in Asmara, dove c’era tanta disunione. Adesso andiamo molto d’accordo. Quando succede qualche burrasca, mi metto dentro e riesco a far scaturire la pace. Non è un dono mio, questo, è un dono che il Signore mi ha dato. Io cerco solo di metterlo in pratica...”. E i superiori lo lasciarono al suo posto per altri sei anni durante i quali P. Lauro fece un sacco di bene. Ma poi la situazione politica di quel Paese si deteriorò per cui ci fu un ridimensionamento anche nei missionari.

In Egitto

Con una lettera del 25 maggio 1977 P. Agostoni lo destinava alla Delegazione dell’Egitto. “Ti ringrazio per l’entusiasmo che hai messo nel tuo lavoro e del gran bene che hai fatto. Sono certo che ne farai altrettanto anche in Egitto”.

Infatti, dal 1977 al 1997 P. Lauro fu incaricato della chiesa Cordi Jesu e, dal 1997 fu cappellano dell’ospedale italiano. Anche qui portava avanti il suo carisma di uomo di tutti, specie dei più poveri e “necessitosi”.

“Aiutava tutti - scrive Fr. Benetti - cristiani e musulmani, poveri e bisognosi. Si curava dei vecchi ‘residui’ della ex colonia italiana. Col suo modo di fare e con la sua generosità, li visitava nelle loro case. E non disdegnava neppure i servizi più umili come tagliare le unghie dei piedi a chi era solo e non riusciva a fare da sé. Regolarmente visitava i prigionieri in carcere; sbrigava le complicate carte, le pratiche e i passaporti senza badare alla religione del richiedente. Si era fatto amici nel ministero degli interni riparando i tavoli sgangherati e le sedie rotte degli uffici. Sovente andava anche a casa loro per piccole riparazioni. Sapeva fare di tutto e bene. Era sempre allegro e in vena di battute umoristiche. Conosceva l’arabo meglio degli stessi arabi.

Anche lui, come altri confratelli dell’Egitto, negli anni addietro era passato per la grande tribolazione causata soprattutto dall’incomprensione di qualche confratello, ma anche questo entrava nel piano di Dio per la costruzione del suo Regno. P. Rattin è un missionario che ha lasciato il segno dove è passato; un segno positivo, vorrei dire ‘l’impronta di Dio’ tra gli uomini”.

Nel 1981 fece il corso a Roma e poi, dato il suo carisma per gli ammalati, gli fu offerta la possibilità di restare in Italia come aiuto in una delle nostre case per anziani e malati. Egli, però, sentiva fortissimo il richiamo dell’Africa per cui chiese con insistenza di poter tornare. Diciamo che era favorito nel suo ministero “africano” dalla perfetta conoscenza dell’arabo, dell’inglese, del francese e del tedesco. Confinarlo dove si parlava solo italiano, poteva essere uno spreco.

Tuttavia l’occasione di dedicarsi a tempo pieno agli ammalati arrivò quando P. Binda, cappellano dell’ospedale italiano del Cairo, partì per la Casa del Padre (dicembre 1996). In quell’ufficio, P. Lauro Rattin consumò tutte le sue forze con generosità e dedizione.

Lasciò un grande rimpianto

In un dispaccio al Superiore generale in data 14 marzo 2000 P. Picotti, superiore della delegazione d’Egitto, scriveva: “L’altra notte P. Rattin ha avuto una crisi polmonare, risultata poi un infarto polmonare, ed è stato urgentemente portato in sala di rianimazione. Ieri poi, durante la dialisi (soffriva di insufficienza renale) ha avuto una forte diminuzione di emoglobina per cui gli è stata fatta una trasfusione. Sembrò poi riprendersi e pareva che stesse meglio tanto che poteva passeggiare in giardino quando il 6 aprile un infarto lo stroncò in pochissimo tempo.

Ai funerali, solennissimi tenuti nella ‘sua’ chiesa ‘Cordi Jesu’e con un grande concorso di popolo, erano presenti il Nunzio Apostolico, Mons. Paolo Giglio, e il vescovo copto cattolico Mons. Andraus Salama, i rappresentanti dell’Ambasciata e del Consolato d’Italia, il Cav. Luigi Del Luca, presidente del Consiglio di Amministrazione dell’ospedale italiano”.

Nell’omelia P. Picotti ha applicato a P. Lauro quanto è detto nella 1Gv 3,18-24 e in Mt. 25, 31-46. “Aver fede in Gesù figlio di Dio ed amarci gli uni gli altri come Lui ci ha amati è ciò che ci fa rimanere in Dio. ‘Ero malato e mi avete visitato, ero carcerato e siete venuti a trovarmi’ è stato il programma di vita di P. Lauro. Ho visto anche dei musulmano rivolgersi a lui per chiedere una preghiera e una benedizione sui loro malati.

Ma siamo anche testimoni dell’amore che P. Lauro ha avuto per Dio. Amore espresso nella liturgia, nei fiori che adornavano gli altari, nel canto che voleva solenne e ben preparato, nella pulizia della chiesa...

Amore soprattutto per i poveri. Proprio questa mattina - prosegue P. Picotti - una persona mi ha detto: ‘Nessuno si rivolgeva a P. Lauro per chiedere aiuto senza ricevere nulla’. Era sempre pronto a dare. Ieri sera ho telefonato a una mamma di un italiano che è in prigione qui al Cairo da più di 20 anni. Alla notizia della morte di P. Lauro ha gridato piangendo: ‘Chi aiuterà ora mio figlio?’. P. Lauro mi aveva detto che era andato a trovarlo più di 200 volte. Se ha avuto qualche difetto come tutti gli umani (e per questo preghiamo per lui) ricordiamo che è scritto che la carità copre la moltitudine di peccati. Di sicuro P. Lauro ha già sentito le parole consolanti di Gesù: ‘Vieni servo buono e fedele, entra nella gioia del tuo signore’ e la Vergine Maria che lui aveva imparato ad amare sulle ginocchia della mamma, come attesta la sorella Gemma, ha certamente accompagnato P. Lauro all’incontro con suo figlio Gesù”.

“Ricordo la sua disponibilità a qualsiasi servizio - scrive P. Ballin. - Ricordo il suo impegno per imparare sempre meglio l’arabo che, alla fine, conosceva meglio degli arabi stessi, ricordo il suo amore per la gente e la sua prontezza nel soccorrere chi era nel bisogno a qualsiasi ora del giorno e della notte”.

Si potrebbe anche parlare di P. Rattin animatore missionario. Il periodico “Voci Amiche” del Decanato di Borgo Valsugana, Trento, nel numero di maggio del 2000 ha pubblicato una testimonianza su questo argomento. In essa vediamo questo generoso missionario che ha saputo coinvolgere i suoi vecchi compagni di seminario, ora parroci nel Trentino, nell’aiuto alle missioni.

P. Rattin riposa in Africa dove ha voluto rimanere fino all’ultimo brandello della sua vita. Ci ha lasciato l’omelia scritta, che avrebbe pronunciata la domenica seguente l’inizio della sua malattia. Commentava la pazienza di Giobbe. Terminava con queste parole: “Gioia e dolore sono due componenti inseparabili e insopprimibili della vita umana che deve essere vissuta nella realtà di ogni giorno, senza attendere miracoli, ma compiendo sempre e solo il proprio dovere. Scaviamo nella nostra vita con l’aratro del Vangelo: solo così sapremo sopportare i nostri mali e, un giorno, il peso smisurato della nostra gioia”.

P. Lauro che ha sopportato tante contrarietà, ora sta gustando proprio il peso smisurato di questa gioia che Dio riserva ai suoi servi fedeli. I confratelli e la gente del Cairo, specialmente i piccoli, i poveri, i sofferenti, che tanto hanno ricevuto da lui, sanno di avere un protettore in cielo che continuerà il suo carisma di aiutare chi è nel bisogno. E lo farà in modo sovrabbondante.       P. Lorenzo Gaiga

Da Mccj Bulletin n. 207, luglio 2000, pp.86-93