In Pace Christi

Simonelli Giuseppe

Simonelli Giuseppe
Data de nascimento : 28/10/1907
Local de nascimento : Lumezzane (BS)/I
Votos temporários : 01/11/1927
Votos perpétuos : 07/10/1931
Data de ordenação : 21/05/1932
Data da morte : 17/11/1999
Local da morte : Verona/I

Padre Giuseppe è nato a Lumezzane San Sebastiano, Brescia, il 28 ottobre 1907 da una famiglia numerosa (12 fratelli) e profondamente cristiana. Suo padre, che si chiamava Giuseppe come lui, aveva una bottega di maniglierie in ferro e anche un po’ di campagna. La mamma, Benvenuta Ercolani, si dedicava a far crescere la numerosa nidiata.

Appena terminate le elementari, il nostro Giuseppe aiutò il papà a lucidare le maniglie ma, con l’aiuto del suo parroco, scoprì in sé i germi della vocazione missionaria. I genitori non si opposero alla sua scelta per cui, in data 7 agosto 1921, scrissero la seguente dichiarazione: “Sono contento che mio figlio Giuseppe Francesco abbia intrapreso la via della salvezza sua e delle anime. Confido che abbia a continuare, ma se per caso non se la sentisse di andare avanti, noi genitori dichiariamo di riceverlo nuovamente nella nostra famiglia come niente fosse successo. Sperando che Maria Ausiliatrice abbia a riceverlo sotto il suo manto mi appello alla sua preghiera e a quella dell’Istituto. Con distinta stima dev.mo Simonelli Giuseppe e Ercolani Benvenuta”.

Così, nel 1921, a 14 anni di età, Giuseppe Simonelli entrò nell’Istituto Comboni di Brescia e frequentò la classe preparatoria alla prima media. Dalle scarse note che si trovano nell’archivio dell’Istituto, possiamo constatare che il nostro giovinetto era piuttosto timido, assai riservato, molto delicato e rispettoso con i compagni, tuttavia era piuttosto solido quanto a idee per cui non era facile fargliele cambiare, quando riteneva che le sue fossero giuste.

Come profitto scolastico ci sono degli alti e bassi. Normalmente è sempre andato bene, salvo in un trimestre - segno di crisi di crescita - in cui riportò anche qualche nota negativa. Tuttavia fu sempre promosso al termine dell’anno scolastico.

Alla scuola di un santo

Nel 1925, dopo la quinta ginnasio superata con bei voti, partì per il noviziato di Venegono Superiore. Suo maestro era p. Faustino Bertenghi, un missionario che morirà nel 1934, a 50 anni, in concetto di santità. Questi trovò Giuseppe “molto flemmatico e tranquillo, tuttavia laborioso, schietto, obbediente. Di molta buona volontà, fa tutto ciò che gli è possibile per migliorare. Si distingue nel lavoro che ama. E’ un giovane di preghiera e di sacrificio. Non sembra che abbia una grande propensione allo studio, tuttavia se la cava”. Il primo novembre 1927, emise la professione temporanea.

Completato il liceo a Verona, venne trasferito a Brescia per essere assistente dei seminaristi dell’Istituto Comboni. Frequentò la teologia nel seminario diocesano e fu ordinato sacerdote il 21 maggio 1932, a 24 anni di età. Anche se aveva cominciato in ritardo, era riuscito a ricuperare il tempo.

Ci restano due lettere di Simonelli, scritte da Brescia al superiore Generale. La prima è del 24 novembre 1931 con la quale chiede di essere ammesso ai Voti perpetui. Tra l’altro dice: “Già da tempo penso e prego per fare con generosità tale passo per darmi così tutto in mano ai miei superiori, e per sempre. Non ho altro desiderio all’infuori di questo. Lascio, però, alla Paternità Vostra giudicare circa la mia idoneità e se sia o no degno di essere ammesso alla professione perpetua”.

Nella seconda lettera, del 17 aprile 1932 chiede di accedere al sacerdozio “qualora lei, con il suo consiglio mi ritenga, non dico degno, ma in qualche modo atto a promuovere il bene della Congregazione e delle Missioni. Confido nel Cuore di Gesù e nella potente protezione della Vergine Santissima e di San Giuseppe”.

Come si vede, il nostro chierico si presentava con profonda umiltà, animato unicamente dal desiderio di servire la congregazione e la Missione.

Alla corte del principe Lobay

Partito immediatamente per il Sudan meridionale, vi rimase fino al 1961, salvo cinque anni (1943-1948) in Egitto e due anni in Italia, a Pesaro (1949-1951) come p. spirituale dei seminaristi. Ma vediamo nei particolari le fasi di questo suo ministero sacerdotale missionario.

La prima missione dove fu inviato fu quella di Loa, alla destra del Nilo, in prossimità del confine con l’Uganda. I primi missionari che visitarono il territorio di Lokary (così si chiamava il posto della missione in antico) furono padri Albino Colombaroli e Giuseppe Zambonardi nel 1912.

Partiti da Gulu, in Uganda, in “cerca di un popolo ben disposto ad accogliere il vangelo” arrivarono a Nimule e qui il rappresentante del governo inglese li indirizzo a Lokary. Ma era appena terminata una guerra tra le genti di Lokary e gli Acioli di Kitgum per cui i due missionari videro che il momento non era opportuno per l’impianto di una missione per cui, andarono a fondare Palaro.

Ed ecco che un giorno arrivò a Palaro il principe Lobay, il figlio del Capo di Lokary, desideroso di apprendere la nuova religione di cui aveva sentito parlare. Si mostrò subito ben disposto verso la missione e interessato ad apprendere le verità del Vangelo. Ma quando seppe che, per essere cristiani, bisognava avere una moglie sola, disse ai missionari:

“Io sono il principe ereditario, non posso vivere con una moglie sola. Cosa direbbero i miei sudditi e gli altri capi dei dintorni?”. E se ne andò triste come quel suo coetaneo del Vangelo che non aveva avuto il coraggio di rinunciare a tutto per possedere Cristo.

Nel 1917 p. Molinaro, passando per caso dalle parti di Lokay, andò a visitare il giovane principe che lo accolse con evidenti segni di gioia. Stava costruendo la sua “reggia” in pietra, ma fece interrompere i lavori perché gli operai costruissero immediatamente una capanna per il Padre in modo che potesse fermarsi per qualche giorno.

Al momento del commiato il giovane principe consegnò al missionario un suo fratello e un servo affinché li portasse a Palaro e li istruisse nella religione cattolica, poi chiese che fossero inviati al più presto un paio di catechisti. Poco dopo ne arrivarono otto. Il principe ne tenne uno per la sua corte e distribuì gli altri sette nel territorio.

Solo nel gennaio del 1921, dopo aver superato le opposizioni degli inglesi che avevano riservata quella zona ai protestanti, si poté iniziare la costruzione della missione di Loa, quasi all’estremo sud del territorio di Lokay. I primi 25 cristiani fra cui 5 ragazze, furono battezzati nella pasqua del 1922. Erano quasi tutti imparentati col principe Lobay. Il cristianesimo ebbe subito una larga diffusione nonostante le restrizioni che venivano continuamente dal governo inglese.

La missione di Loa cambiò tre posti. P. Simonelli vi giunse quando si stava trovando la terza sistemazione, un posto dove c’era acqua in abbondanza e ampi spazi in modo che potessero sorgere ampi fabbricati, laboratori e scuole. Nel 1930 erano arrivate anche le suore per dedicarsi alle ragazze e alle donne. Cosa incredibile per quel tempo, alcune ragazze, istruite dalle suore, proseguirono gli studi altrove e diventarono maestre.

La valle degli spiriti

Vicino alla missione di Loa c’era una valletta attraversata da un torrente. P. Simonelli si sorprendeva a guardare sempre più spesso quella valle e sognava abbondanti raccolte di messi, anche perché la gente da mantenere in missione era salita ormai a 400 persone (i ragazzi dei catecumenati). Ma c’era una difficoltà: quel luogo era abitato dagli spiriti e, chi avesse messo piede in esso, sarebbe certamente morto.

“Ottima credenza - disse p. Simonelli ai confratelli - così se la coltiviamo siamo sicuri che la gente non andrà a rubare i prodotti”.

“A meno che il ladro non sia qualche cristiano al quale abbiamo insegnato che le storie degli spiriti sono tutte superstizioni”.

Simonelli si rimboccò le maniche e, aiutato dal Fratello, s’inoltrò nella valle, tagliò le piante e cominciò a dissodare il terreno. Incredibile: alla sera rincasarono tutti e due sani e salvi. La gente commento: “Sono bianchi, allora gli spiriti hanno paura”.

Una nota del diario del 1933 dice: “Stiamo assistendo alla suggestiva cerimonia dell’acquisto del Giubileo (il 1933 fu Anno santo n.d.r.) da parte dei cristiani che si ammassano in missione. La dolce solennità di Natale corona giorni santi con la santa Comunione generale. Poi i cristiani tornano ai loro villaggi santificati e corroborati per una vita migliore”. Poi un’altra nota: “Le piogge abbondanti hanno favorito un abbondante raccolto nella valletta, mai coltivata finora per la superstizione dei neri”.

Una nota del diario di questa missione dice: “Causa gli avvenimenti bellici, la missione dovette essere abbandonata dal 7 settembre 1940. Con la partenza dei due ultimi missionari, p. Baj e p. Simonelli, la missione restò senza personale europeo, ma i catechisti e i maestri, ben preparati, portarono avanti il lavoro fino alla fine della guerra, quando i missionari poterono tornare”.

Questa nota è importante perché ci fa capire che i missionari avevano lavorato bene in quanto avevano preparato la gente a fare da sé, proprio come Comboni aveva stabilito nel suo piano “salvare l’Africa con l’Africa”. P. Simonelli a Loa lavorò spremendo tutte le sue forze e anche di più per cui la salute cominciò a risentirne.

Anche a Loa p. Simonelli si mostrò: “Un bel carattere, obbediente, cordiale dotato di un grande zelo per la salute delle anime che va a cercare anche lontano dalla missione. Si è formato una cerchia di informatori che lo tengono aggiornato sui malati della zona e, appena sente che qualcuno è in pericolo di vita, parte immediatamente per portare i sacramenti. La gente gli vuole un gran bene e i confratelli si trovano bene con lui perché è un uomo di pace e di gran buon senso”, così p. Gaetano Briani.

Padre spirituale a Pesaro

Dal 1943 al 1948 p. Simonelli fu al Cairo come addetto al ministero. Quel trasferimento era stato motivato dalla guerra e dalla salute. Il clima più salubre dell’Egitto, rispetto a quello sudanese lo aiutò a rimettersi in forma abbastanza bene. Ma lo aiutarono a rifarsi il fisico anche le buone notizia che arrivavano da Loa.

Nella notte di Natale del 1946 venne ordinato il primo sacerdote locale, p. Avellino Wani. P. Simonelli, anche se era così lontano, volle partecipare alla festa facendo pregare i fedeli che frequentavano la chiesa e inviando al novello sacerdote una lettera di partecipazione. Non lo disse, ma il merito di quell’avvenimento che si celebrava nel cuore dell’Africa, era anche suo.

Nel 1953 nella grande chiesa di Loa gremita di fedeli, fecero la vestizione le prime quattro suore indigene. Il fine di queste suore era quello di insegnare nelle scuole elementari femminili. Alcuni mesi prima Mons. Mazzoldi aveva conferito vari ordini minori ad alcuni chierici. Anche questi erano frutti del ministero di p. Simonelli e dei suoi confratelli, che avevano seminato nel pianto, ed ora altri raccoglievano nella gioia.

Dopo 5 anni all’ombra delle piramidi, arrivò per p. Giuseppe il tempo delle vacanze in Italia. I superiori ne approfittarono per affidargli il compito di padre spirituale nel seminario comboniano di Pesaro. Questo ci fa capire quale fosse la spiritualità e lo zelo missionario che animavano p. Simonelli e la stima che i Superiori avevano di lui.

Ecco cosa scrisse p. Ceccarini, superiore dei piccoli seminari comboniani d’Italia: “Ottimo elemento, p. Simonelli, intelligente, furbo e giudizioso. Molto aperto alle idee belle che appoggia con entusiasmo e si sforza di attuare. Si è ambientato bene nella nuova realtà così diversa rispetto a quella che ha lasciato in Africa. Unico ostacolo al suo trattare con gli alunni e gli alunni a trattare con lui è la sordità. Egli stesso dice che teme di non poter fare bene questo ufficio così delicato per questo suo limite”.

Fondatore del seminario per i Fratelli Indigeni a Kit

Dopo due anni, infatti, chiese ed ottenne di poter tornare in missione. Partì nel 1952 e gli fu immediatamente affidato un incarico molto importante: iniziare un seminario per Fratelli Indigeni. Nel luogo dove in un primo tempo Mons. Mazzoldi aveva stabilito di fondare il seminario intervicariale, si pensò di dare inizio a questa nuova opera. P. Simonelli stesso ne descrisse gli inizi in una lunga relazione. Riportiamo le prime battute:

“Il 14 maggio 1952 segna la data di fondazione dell’opera dei Fratelli Indigeni sotto la protezione del beato Martino de Porres O. P. Umili inizi! Essendo ormai inoltrata la stagione delle piogge, non si poté preparare neanche una semplice capanna che ci potesse alloggiare, così si ricorse all’espediente di chiedere alloggio alla vicina missione di Regiaf, nel frattempo ci adattammo a percorrere giornalmente in bicicletta, sotto il sole o la pioggia, gli 11 chilometri che separano Regiaf da Kit.

Con cinque ragazzi che coprivano a piedi gli 11 chilometri portando, chi un grosso vaso per l’acqua da bere, chi una borraccia piena di tè, chi un arnese od altro occorrente per il lavoro, cominciammo, fr. Vanzo e il sottoscritto, a scavare le prime fondamenta per la grande opera! Questo andirivieni a piedi e in bicicletta durò fino al 15 dicembre, data in cui ci si stabilì definitivamente sul posto. Alloggiavamo in due stanze con i muri di fango e coperte in parte di tegole e in parte di lamiere”.

Poi p. Simonelli passa a raccontare l’apertura della strada con l’aiuto dei prigionieri mandati dal Commissario distrettuale inglese. All’inizio della strada, per indicare la missione, misero una croce “con il risultato - scrive il Padre - che uno dei nostri confratelli di passaggio, pensando si trattasse di una memoria per qualche vittima, invitò i ragazzi che l’accompagnavano a recitare un Requiem”.

Il fiume Kit, da cui il seminario prendeva il nome, che sfociava nel vicino Nilo, era spesso popolati di coccodrilli. Un giorno uno di questi afferrò una donna e le staccò un pezzo di gamba. La malcapitata riuscì a divincolarsi e a mettersi in salvo. P. Simonelli le cucì come meglio poté lo squarcio, poi prese il fucile, andò al fiume e, con un colpo secco, uccise l’aggressore.

Quando il suo compagno, fr. Vanzo, finì all’ospedale per un’ernia strozzata, egli raddoppiò le sue energie e, in un paio di settimane, riuscì a impastare e a cuocere nella fornace che aveva costruita, centomila mattoni. Quando il seminario entrò in possesso di un vecchio Dodge, residuato bellico, che però non si stancava mai di rombare portando materiale e operai, il seminario cominciò a crescere a vista d’occhio. In pochi mesi sei grandi fabbricati “non con i tetti di paglia, ma di tegole, non con i muri di fango, ma di mattoni” si allineano nell’ampio spazio.

Finalmente l’8 aprile 1953: “Apertura della scuola con 38 studenti e 5 cooperatori. P. Gusmini, appena giunto dall’Italia, dopo aver studiato in Inghilterra, diventa il professore. L’anno dopo gli studenti raddoppiano…”.

“Cinque maggio 1954 - scrive p. Simonelli - metto apposta la data perché è storica per il Kit. E’ festa del patrocinio di San Giuseppe: è lui, il caro Santo, che accanto alla sua immacolata Sposa vuol consegnare ai primi 24 postulanti la candida veste ai futuri Teaching Brothers (Fratelli Insegnanti) che iniziano il loro noviziato”.

P. Simonelli ha spremuto tutte le sue energie per quest’opera di cui, con Mons. Mazzoldi può essere considerato il fondatore. Avrebbe potuto esserne il direttore ma, “data la sua sordità - registra una nota di p. Guidi, superiore provinciale, il 3 aprile 1955 - non può dirigere l’Opera dei Fratelli Indigeni. La sua posizione, benché superiore del seminario, è d’inferiorità verso i suoi collaboratori (maestro dei novizi, incaricato dei lavori, ecc.) che, in pratica, sono indipendenti. Egli, quindi non è altro che un nome”.

Ma p. Simonelli non ha mai avuto il desiderio di primeggiare. Gli bastava lavorare, servire, andare a visitare la gente nei villaggi e far contenti i confratelli. Provenendo dalla Val Trompia dove si fabbricano le armi, era un abile cacciatore, particolarmente quando si trattava di procurare qualcosa da mettere sotto i denti nei momenti di carestia. Un suo amico dei tempi del Sudan, vedendolo a Gozzano dove il Padre si trovava, lo salutò con queste parole: “Ti ricordi quando andavamo a caccia di elefanti? E li prendevamo!”. Più che elefanti, egli cacciava qualche gazzella o antilope che rappresentavano la porzione di carne che integrava il cibo a base di pesce del Kit o del Nilo.

Già condominio anglo-egiziano dal 1899, nel 1956 il Sudan divenne indipendente. Il nuovo Governo musulmano iniziò quasi subito una subdola persecuzione contro le missioni e la Chiesa, che coinvolse anche p. Simonelli e tutti gli altri missionari.

Mesto rimpatrio

L’avventura sudanese del nostro Padre, infatti, fu interrotta dall’espulsione che lo colpì tre anni prima degli altri. Motivo: dava cibo e medicine alla gente, contravvenendo alle prescrizioni del governo islamico. Inoltre, essendo insegnante, era uno dei primi ad essere presi di mira. Ma la goccia che fece traboccare il vaso fu un atto di “disobbedienza” alle autorità islamiche.

I missionari avevano la proibizione di uscire dalla loro missione senza uno speciale permesso della polizia. Capitò che nella missione di Palotaca un confratello aveva urgente bisogno di p. Simonelli. Questi, senza pensarci due volte, e mosso da un impulso di carità, si mise in viaggio sperando di farla franca o, comunque, di riuscire a spiegare le sue ragioni al poliziotto che avrebbe potuto fermarlo… Il poliziotto non volle sentire ragioni e, poco dopo, il Padre ricevette il foglio di via. Non era più persona gradita.

La sua espulsione coincise con l’acuirsi della persecuzione religiosa che culminò con l’espulsione, nel 1964, di tutti i missionari e suore dal Sudan meridionale.

“Dopo tanto lavoro, dopo tanta fatica… ma perché mi lamento? Cristo non è finito in croce? Io, invece sono finito in Italia”, disse p. Simonelli per consolarsi da quello smacco.

Trent’anni a Gozzano

Dal 1961 al 1965 fu insegnante di matematica ai piccoli seminaristi comboniani di Brescia. Ma dovette interrompere quel ministero a causa della sordità che gli rendeva difficili i rapporti con gli alunni.

Il 4 ottobre 1965 passò a Gozzano come confessore dei novizi e addetto al ministero. P. Simonelli si è immediatamente inserito nel contesto sociale del paese diventando un gozzanese a tutti gli effetti. Accettò con gioia di trasportare a Gozzano la sua residenza, cosa che i missionari raramente fanno quando cambiano casa, data la loro continua mobilità. Come segno di riconoscenza per i suoi 25 anni di presenza a Gozzano, nella biblioteca comunale è stato esposto il suo ritratto eseguito come persona benemerita.

Rimase a Gozzano fino al 21 luglio 1995 quando, in ambulanza, passò al Centro Ammalati di Verona. Da giorni, infatti, andava soggetto a svenimenti e il medico consigliò il ricovero in una casa attrezzata per persone ammalate.

Oltre al servizio in noviziato (dal 1948 al 1969 Gozzano fu sede di uno dei due noviziati comboniani in Italia) il Padre si è prestato subito per il ministero in parrocchia con la celebrazione di una messa quotidiana, l’assiduo ascolto delle confessioni (mettendo in funzione l’apparecchio acustico che, di tanto in tanto, lanciava fischi acuti peggio di una vaporiera), l’animazione del gruppo dell’Apostolato della preghiera e la celebrazione dei Primi Venerdì del mese.

Il 21 maggio 1992 p. Giuseppe ha celebrato i suoi 60 anni di sacerdozio. Non essendo tanti coloro che arrivano a una simile meta, il ‘grazie’ che è scaturito dal cuore di p. Giuseppe è stato cordiale e sentito. La domenica precedente, 17 maggio, aveva celebrato nella sua Lumezzane insieme ai fratelli e ai nipoti che lo consideravano il patriarca della famiglia .

Nell’occasione del suo 60° tutta Gozzano si è stretta attorno a lui in un tripudio di gioia e di riconoscenza. La messa in Basilica è riuscita veramente solenne e così il pranzo che è seguito.

Fino ai suoi ultimi giorni di permanenza a Gozzano portò avanti il delicato incarico di rispondere ai Benefattori che mandavano ai missionari le loro offerte. Quando arrivavano gruppi di ragazzi a visitare la casa dei missionari, p. Simonelli amava intrattenersi con loro raccontando qualche avventura della sua vita missionaria.

Possiamo dire che il Padre fu testimone di 30 anni di storia della casa comboniana, e della vita del paese e della parrocchia. Vide il passaggio della casa da sede di noviziato a GIM e poi a Centro di animazione missionaria. Vide la ristrutturazione dell’ala dell’immenso fabbricato riservato ai missionari e alla cessione della parte vecchia alla parrocchia.

Come San Francesco

Uomo attivo e intraprendente, in tutta la sua vita, p. Simonelli ha saputo ben equilibrare l’evangelizzazione con la promozione umana, sia in Africa come in Italia. Terminata la catechesi o la preghiera, passava volentieri nell’orto per dedicarsi all’agricoltura e all’allevamento di animali da cortile (galline, conigli) che costituivano una utile e buona entrata per la comunità.

Lui, che faticava a comunicare con gli uomini per via della sua quasi totale sordità, s’intratteneva volentieri a “parlare” con le sementi e con le pianticelle, quasi per raccomandar loro di non fare scherzi e di crescere bene e in fretta.

Una delle sue caratteristiche fu la perenne giovinezza di spirito che lo ha sempre sostenuto, specialmente nel sopportare pazientemente la croce della sordità che lo ha accompagnato dagli anni giovanili. Mentre lavorava nell’orto o in cucina (era un bravo cuoco) cantarellava o fischiettava qualche arietta melodica. Con la comunità era uomo di equilibrio e dotato di fine umorismo.

Pontefice e servo

Don Carlo Grossini, parroco di Gozzano, alla fine della messa funebre ha dato la seguente testimonianza:

“Aggiungo volentieri una parola di partecipazione di tutta la comunità di San Giuliano e di Gozzano, al vostro dolore per il distacco da questo confratello che ha lasciato una testimonianza davvero risplendente. Condivido con voi anche la preoccupazione per il futuro, giacché sicuramente è presente questo interrogativo conturbante: ‘Ci saranno altri missionari che riempiono i vuoti lasciati da questi evangelizzatori così fondati, così determinati, così capaci anche di far risplendere il messaggio missionario? Partecipo nella preghiera questa preoccupazione e questa consegna al Signore di vite ricche di santità e di testimonianza.

Quando giunsi a Gozzano fui accolto dal sorriso di p. Simonelli insieme al sorriso di molti altri religiosi e sacerdoti, in particolare del prevosto emerito don Virgilio, e subito imparai a vedere in loro come dei padri, anche perché tutti e due erano coscritti del mio papà che il Signore aveva chiamato a sé soltanto pochi mesi prima del mio ingresso in parrocchia. Grazie a questa comunione e comunanza di vita tra parrocchia e comunità religiose, ho imparato che quello che è scritto nei documenti della Chiesa è davvero possibile.

In p. Simonelli ho visto realizzata questa capacità di esprimere totalmente la propria identità missionaria e insieme anche il pieno inserimento in una pastorale ordinaria di una parrocchia. A Gozzano p. Simonelli era ed è rimasto sempre il padre, il padre missionario per antonomasia. Era colui che impersonava tutta la vita religiosa.

L’ultima visita che ho fatto a una nonna, per portarle la comunione, mi ha dato ancora questa consolazione: vedere che nel suo libro di preghiera, tra mille altre immagini - quasi un’immagine ogni pagina - c’era quella del 50° di ordinazione sacerdotale di p. Simonelli. E chi entra nel negozio del fotografo di Gozzano vede, dopo anni da quando p. Simonelli ha lasciato il paese, ancora campeggiare la bellissima fotografia della sua foltissima barba che diventa anche l’occhio introspettivo di p. Simonelli.

Così potrei rincorrere le immagini moltiplicate di questa lunga sua presenza nella comunità gozzanese. Mi sembra bello presentare l’immagine di p. Simonelli quando celebra la messa delle 8.30, puntuale tutte le mattine nella chiesa disadorna di Santa Marta. Il suo portamento, i suoi gesti, sono solenni anche quando la messa è la più ordinaria. Sapeva celebrare con solennità. Sembrava davvero un pontefice, e mai tralasciava una piccola ammonizione, frequentemente anche un predichino. Io scherzavo un po’ sui suoi predichini, ma era un motteggiare che nasceva da grande ammirazione. Soprattutto voleva che si cantasse il Sanctus e, quando l’animatrice musicale non iniziava, allora si sentiva la sua voce tenorile che intonava il Sanctus perché, diceva, il Sanctus è il canto più importante, il canto centrale della Liturgia.

Vedo ancora l’immagine di p. Simonelli che scende la via Vescovado e Basilica - una via solenne come del resto dice il nome stesso - raccolto, gli occhi rivolti verso terra, con una corona lunga, pendente dal braccio, mentre va a fare visita agli ammalati nella continuità di quelle presenze religiose di cui dicevo.

E mi sembra di scorgerlo ancora quando, arrivato sulla piazza San Giuliano, si sorprende a distribuire sorrisi alle persone che incontra. Non parole, non tante parole, giacché gli era proibito un rapporto immediato e facile con le persone a causa della sua sordità. Ma quel sorriso rimane presente nella comunità di Gozzano come un’immagine importante, che conta, soprattutto se si unisce ad altre immagini come quella immortalata in una fotografia che ha fatto il giro di tutti i giornali locali: l’immagine di p. Simonelli che si appoggia a una falce nell’atto, ripetuto da ogni uomo che lavora la terra, di molare la falce con la pietra.

L’immagine di p. Simonelli che si incontrava spesso entrando in casa era quella di un uomo addetto ai lavori più semplici, vestito di una spolverina da lavoro, che indicava come il pontefice all’altare, il missionario che sa comunicare con la preghiera e col gesto, è anche il servo, l’umile servitore dei suoi confratelli. E tutto con la stessa dignità, con la stessa importanza.

P. Simonelli, come p. Vitti, come il venerabile p. Picco, resterà per sempre nella storia di Gozzano, e a lungo nel cuore e nel ricordo della gente, come un segno dell’amore che Dio ha per gli uomini. Grazie p. Giuseppe”.

Partenza improvvisa

P. Simonelli è deceduto mercoledì 17 novembre 1999, alle ore 17.00, nel Centro Ammalati di Verona per arresto cardiocircolatorio. Dal suo arrivo nella città scaligera, praticamente, si muoveva servendosi della sedia a rotelle.

La sua morte ha concluso un’esistenza serena, gioiosa, benvissuta, gradita al Signore e di utilità al prossimo. Che il Signore lo rimeriti.

Dopo i funerali a Verona, insieme a quelli di fr. Schiavone, la salma è stata portata a Lumezzane dove è seguito un secondo solenne funerale. Ora riposa accanto ai suoi nella tomba di famiglia. Ci lascia la testimonianza di un uomo sereno, equilibrato, sempre contento sia quando faceva cose importanti come quanto eseguiva le più piccole. Il Signore lo ha premiato con una lunga vita e con una morte serena. Che dal cielo sia vicino a coloro che gli hanno voluto bene.    

P. Lorenzo Gaiga

Da Mccj Bulletin n. 205, gennaio 2000, pp. 155-165