Da Mezzolombardo, ai piedi delle montagne del Trentino, dove p. Luigi è nato, si è sempre portato dietro la solidità del carattere, la calma e la saggezza. I suoi compagni di scuola apostolica a Muralta ricordano la sua serenità e calma, il suo fare delicato e accogliente con tutti. Era il nono di dieci figli di Guglielmo e di Luigia Paoli. Il papà, impiegato presso la banca cattolica di Mezzolombardo, nel 1927 preferì licenziarsi e perdere il posto piuttosto di tesserarsi nel partito fascista. L’unica sorella divenne suora nella Congregazione di Maria Bambina a Trento, e trascorse tutta la vita come infermiera presso vari ospedali.
Luigi partì da Mezzolombardo per l’Istituto Comboni di Muralta il 25 ottobre del 1928 dopo aver terminate le elementari al paese.
Portava con sé una bella pagella con classifiche “primo” e solo qualche “secondo”. Ciò dimostra che era un ragazzino molto intelligente e capace di applicarsi. A Trento, dove dal 1928 al 1931 frequentò le medie presso il seminario comboniano, per i buoni risultati fu addirittura esonerato dagli esami interni (allora si facevano solo quelli). Poi passò a Brescia per il ginnasio. Fu che si ammalò e dovette tornare al paese per un periodo di vacanza-riposo prescrittagli dal medico a causa di una persistente bronchite ribelle ad ogni cura.
La mia è la strada giusta
A questo proposito ci sono delle lettere di p. Negri, superiore a Brescia, indirizzate a p. Bombieri, maestro dei novizi, nelle quali si dice che “quel disturbo, che si ritiene passeggero, non dovrebbe compromettere l’anno di noviziato”.
Ci sono lettere anche di Luigi con le quali assicura i superiori del buon andamento della cura. E finalmente ce n’è una del suo parroco. In essa non si parla di salute fisica ma di quella... spirituale. Il nostro giovane aveva fatto impressione ai compaesani per il suo contegno, il suo spirito di preghiera, la sua modestia, per cui don Guadagnini si sentì in dovere di scrivere in data 21 ottobre 1933:
“Luigi è un giovane ottimo sotto ogni aspetto, tutto lavoro e preghiera, amante della chiesa, rispettoso con tutti. Riuscirà certamente agli scopi dell’Istituto”.
Due giorni dopo, il 23 ottobre, il nostro giovane lasciò definitivamente la famiglia e partì per il noviziato di Venegono dove arrivò il 25 perché aveva fatto tappa a Trento e a Brescia.
“Parto contento e pieno di fiducia nel Signore - scrisse - sicuro che questa è la strada giusta, quella indicatami da Dio per mezzo dei superiori”.
Papà Guglielmo scrisse al p. maestro che il figliolo ora stava bene, se però avesse avuto bisogno di qualche altra cura, egli avrebbe provveduto alle spese. E si augurava che Luigi potesse proseguire in modo da diventare un ottimo missionario.
P. Negri, scrivendo a p. Bombieri, più concretamente, raccomandava cibo buono e abbondante, sia per Roncador come per gli altri novizi.
Come San Francesco di Sales
Fortunatamente l’aria di Venegono Superiore e le attenzioni del p. Maestro fecero sì che il novizio Roncador potesse intraprendere serenamente la sua formazione alla vita missionaria. Tipo piuttosto calmo, ha sempre rifuggito gli entusiasmi tanto facili nell’ambiente del noviziato, ma era molto applicato nei suoi uffici che compiva con scrupolo ed esattezza. Un difetto che il maestro gli richiamò più volte fu l’irascibilità. Sì, pur essendo un trentino dotato di calma e padronanza di sé, quando scattava, scattava con il rischio di far male a chi gli stava vicino.
“Dovrò controllarmi e chiedere al Signore con molta insistenza il dono della pazienza e della dolcezza”, scrisse. E poi, per consolarsi, aggiunse: “Anche san Francesco di Sales scattava ma, con la grazia di Dio e lo sforzo personale, è diventato un esempio di mitezza. Voglio che capiti altrettanto anche a me”.
I suoi sforzi furono premiati, tanto che, in età più matura, era giudicato anche troppo calmo. Il 7 ottobre 1935 emise la professione temporanea poi passò a Verona per terminare il liceo e la teologia nel seminario diocesano. Fu ordinato sacerdote il 29 giugno 1940.
La Congregazione e le anime
Nelle domande per la rinnovazione dei Voti o per la richiesta di essere ammesso agli Ordini sacri, risaltano due costanti che aprono una finestra sull’anima di Luigi. Il fine per il quale desidera proseguire nella sua vocazione è sempre “il bene della Congregazione e la salute delle anime”. La Congregazione e le anime che gli sarebbero state affidate costituivano per lui un impegno importante, un programma da realizzare e perciò da tenere costantemente davanti agli occhi.
Novello sacerdote, non potendo partire per la missione a causa della guerra che teneva chiuse le frontiere, fu inviato a Riccione (1941-1942) come vice parroco in una parrocchia tenuta dai Comboniani. Dal 1942 al 1945 fu insegnante nel piccolo seminario comboniano di Carraia (Lucca) e dal 1945 al 1946 fu a Rebbio.
Dal 1946 al 1947 fu economo a Padova, quindi passò a Verona dal settembre del 1947 all’agosto del 1948, per trasferirsi nel seminario comboniano di Trento come economo e insegnante fino al 1952. Chi scrive lo ha conosciuto proprio in questo periodo e lo ricorda con il suo breviario sotto il braccio o tra le mani, mentre passeggiava su e giù per la grande aula dello studio, sempre pronto e disponibile ad andare da chi gli faceva un cenno, per una spiegazione o un chiarimento. Era delicato perché non metteva mai a disagio nessuno. Mai creava distanza con chicchessia.
Durante la ricreazione si metteva in un angolo del cortile ad osservare i ragazzi che giocavano. Se qualcuno andava da lui a chiedergli qualcosa, magari una spiegazione per il compito da fare, egli lo riceveva sempre con il suo sorriso sulle labbra. Data la spiegazione, diceva: “Ora vai a giocare, corri e salta, penserai dopo allo studio”.
Ha scritto di lui p. Giorgio Canestrari, che era superiore a Trento in quel periodo:
“Il suo comportamento denota un tono di saggezza. E’ diligentissimo nel preparare le sue lezioni ed ama molto fare scuola. A scuola, però, non sempre riesce a tenere la disciplina perché è piuttosto remissivo con gli scolari. Questi ultimi gli vogliono bene.
Direi che, più che per il ministero, è tagliato per l’insegnamento. E’ di esempio anche per la regolarità alla partecipazione alle pratiche di pietà in cappella. Se vede cose che gli sembrano storte, non ha paura a rilevarle. E’ molto esatto anche nel chiedere i piccoli permessi, ma si accontenta di buon grado di quanto passa il convento, che in questo periodo non è molto.
Quanto all’insegnamento ha delle vedute diverse rispetto al metodo tradizionale. Forse ha ragione lui, ma i tempi per fare cambiamenti non sono ancora arrivati per cui si adegua di buon grado. Prepara bene gli alunni nelle materie che gli sono affidate”.
Brasile, via Portogallo
Il 10 agosto 1952, dopo un tirocinio di 12 anni in Italia, scoccò finalmente l’ora della partenza per la missione. P. Luigi fu destinato al Brasile. Prima, però, doveva fare tappa in Portogallo per rendersi utile al seminario di Viseu e per apprendere la lingua. Per due anni fu insegnante e, indubbiamente, la sua esperienza servì anche ai confratelli per impostare bene l’insegnamento in quel seminario di recente fondazione.
Dalle sue lettere si nota la gioia di essere nella “terra di Maria” e racconta con accenti toccanti il suo primo pellegrinaggio a Fatima. La vita in Portogallo, a quel tempo, era all’insegna della povertà, del “puro indispensabile e qualche volta mancava anche quello”, ma si era felici e contenti perché un clima di autentica famiglia regnava tra i confratelli, e tutti erano protesi a mettere basi sicure alla Congregazione tra il popolo portoghese che accoglieva i missionari, specie da parte dei sacerdoti, con segni di evidente simpatia.
Scrive p. Furbetta:
“Ci siamo incontrati in Portogallo per lo studio della lingua. Lui, sempre calmo, ha voluto restare due anni, per ‘impararla bene’. Io, sempre di fretta, sono rimasto un mese e mezzo e salpai subito col Vera Cruz per il Brasile”.
Nell’ottobre del 1954 anche p. Roncador poté attraversare l’Oceano per fermarsi a San Matteo dove cominciò la sua attività come vice parroco. Ma dopo sei mesi fu dirottato a Nuova Venezia, sempre con lo stesso incarico. Vi rimase dal 1955 al 1959. Dal 1959 al 1961 fu a S. Gabriel da Palha, ancora vice parroco, e dal 1962 al 1964 tornò a San Matteo con il compito di superiore locale.
Rettore del seminario
In realtà, però, doveva interessarsi al seminario diocesano, che stava per nascere. Con p. Roncador c’era il vescovo mons. Giuseppe Dalvit (si erano conosciuti a Trento) e l’unico sacerdote diocesano locale Pedro Fossi.
P. Roncador era giunto a San Matteo in marzo e, il 7 agosto 1962, scrisse al p. Generale:
“Le confesso che non ero proprio preparato alla responsabilità degli inizi di un seminario diocesano, ed ancor oggi fatico molto a rassegnarmi. Le difficoltà sono molte soprattutto per la mancanza di personale. Noi due ci dividiamo la sorveglianza giornaliera di 26 seminaristi. Purtroppo tutti e due siamo inesperti di seminari americani. Anche i ragazzi, sebbene di buone famiglie, presentano i loro misteri indecifrabili.
Il lato economico è molto aleatorio: entrate incerte, ragazzi in maggioranza poveri, ma poveri sul serio. Patrimonio del seminario, nullo. Fino ad oggi si è tirato avanti e la Provvidenza penserà anche al domani.
Aggiunga una buona dose di scuola: sono due classi, elementare e ammissione alle medie, poi c’è il ministero domenicale a scapito dell’assistenza ai ragazzi. Bisogna dire che mons. Dalvit si fa in quattro per aiutare. I due Fratelli, Xillo e Cortese, sono molto disponibili e di seria pietà; tre professori esterni ci aiutano.
Per l’anno prossimo occorrerebbero altri due padri: un assistente e un padre spirituale. Quest’ultimo è indispensabile per coltivare questi germogli che sono la speranza della Chiesa brasiliana di domani. E intanto preghiamo perché il flusso degli aspiranti continui e si incrementi”.
Lavorò intensamente per due anni consolidando le basi del seminario, in attesa di due sacerdoti della diocesi di Vittorio Veneto, che sarebbero venuti a prendere il suo posto.
Il 22 settembre 1964, scrisse una lunga lettera al p. Generale, nella quale delineò con delicatezza e oggettività la situazione.: “Io continuo nel mio lavoro in Comunità e in Seminario. Sono soddisfatto e mi sforzo di compiere meglio possibile gli obblighi delicati della mia missione. La Comunità è composta da p. Carlo Bussola, p. Zanotto Giovanni, Pietro Fossi (diocesano), io e i Fratelli Xillo Adolfo, Giovanni Caliari, Morandini Aldo e Bruno Provasi. Questi due ultimi dipendono direttamente dal Vescovo per i lavori.
Onestamente mi pare di dover dire che in Comunità regna la carità e la regolarità, e anche i Voti sono osservati da tutti come pure le pratiche di pietà...”.
Amava i Fratelli
Nel prosieguo della lettera appare la stima e l’amore che p. Luigi nutriva per i Fratelli che lavoravano per il seminario e per le opere di quella missione. E’ noto che il cane di due padroni sovente se la passa male, come dice il proverbio. A San Matteo c’era il Vescovo che tirava l’acqua al suo mulino, cioè alle opere diocesane, poi c’era la missione che dipendeva dai superiori della Congregazione. Non fa meraviglia che, di tanto in tanto, si verificasse qualche incomprensione. Ed ecco che p. Roncador scrive:
“Mi permetta di spezzare una lancia in favore dei nostri Fratelli che, trovandosi tra due fuochi, non sempre si sono trovati bene. Il Vescovo l’anno scorso ne ha allontanato qualcuno. Attualmente vuole fare altrettanto con qualche altro. Sono certo, reverendissimo p. Generale, che questi nostri Fratelli hanno lavorato e lavorano magnificamente, per il bene della Diocesi. Penso proprio che Sua Eccellenza non dovrebbe calcare troppo sulla sottomissione a scapito della loro personalità e specializzazione”.
Fa piacere questa difesa dei Fratelli da parte del superiore della Comunità. Poi p. Luigi fa un accenno alla vita del seminario:
“Quest’anno siamo ancora in tre e i ragazzi, grazie a Dio, hanno raggiunto la cifra di 88 e si prevede che per l’anno prossimo saranno ancora di più per cui bisognerà allargare i locali. Speriamo che con l’arrivo dei due sacerdoti di Vittorio Veneto le cose migliorino. Prenderanno loro le redini del seminario, così noi saremo liberi per altri ministeri”.
L’uomo jolly
Dopo aver instradato i nuovi venuti nel lavoro del Seminario, p. Roncador si dichiarò disponibile ad andare dove ci fosse bisogno.
“Una cosa le chiederei - scrisse al superiore Generale - mi eviti per quanto le sarà possibile di affidarmi la responsabilità di una parrocchia e anche quella di superiore di comunità. Io sono disponibile ad aiutare tutti e in ogni luogo, ma le responsabilità mi mettono in crisi. La ringrazio se mi potrà ascoltare”.
Questa disponibilità da parte di p. Luigi, che lo fece una specie di uomo-jolly, spiega i continui cambiamenti che ha dovuto affrontare, come possiamo vedere dalle susseguenti tappe del suo ministero.
Dal 1964 al 1966 fu a Nova Venecia come vice parroco; passò poi un anno a Montenopolis con lo stesso incarico. Fu anche a San Jose do Rio Preto per alcuni mesi, quindi a san Gabriel da Palha come insegnante (1967-1969).
Ma intanto era scoccata l’ora delle vacanze in Italia. P. Roncador ne approfittò per il Corso di aggiornamento a Roma. Alla fine del 1969 era nuovamente a Mantenopolis come vice parroco, per passare, dal 1970 al 1979, a Nova Venecia, sempre vice parroco. Con lo stesso incarico trascorse cinque anni ad Aguia Branca (1979-1984) e altri sei (1984-1990) di nuovo a San Gabriel da Palha con un piccolo intermezzo a Nova Venecia.
Ormai rifuggiva anche dall’incarico di vice parroco per cui preferiva dedicarsi al ministero, così con semplicità, “ovunque ci fosse bisogno di un tappabuchi” diceva lui. Come addetto al ministero trascorse un anno e mezzo a San Matteo (1990-1991) e a Nova Venecia dal 1992 al suo rientro in Italia per morire.
Un profetismo a modo suo
Conosciamo la situazione sociale e religiosa del Brasile. Abbiamo avuto, e abbiamo, confratelli che, assecondando lo Spirito che è in loro, esercitano un profetismo che, possiamo chiamare, “di punta”. Si oppongono alle palesi ingiustizie perpetrate contro i poveri mettendo a repentaglio la loro vita. Qualcuno, per questo, ha versato il suo sangue.
Anche p. Luigi Roncador aveva una sua forma di profetismo. Non era quello di punta, quello di contestazione, di opposizione, di lotta, bensì quello che si ispirava al detto scritturistico: “Siate sottomessi ai vostri capi anche se discoli”.
Più che lottare con la gente, p. Luigi soffriva con la gente, condivideva le difficoltà e la aiutava a trovare nella Parola di Dio, che spiegava volentieri, motivi per andare avanti “nonostante tutto”, sicuri che il Vangelo, un poco alla volta, avrebbe cambiato i cuori dei capi e perciò avrebbe risolto certe situazioni di ingiustizia percorrendo la via della pazienza e della fiducia in Dio.
Il suo profetismo consisteva nel far vedere come nella parola di Dio, si trovava la soluzione o almeno una risposta, a tutti i problemi che affliggono l’umanità. Il suo profetismo consisteva nel pregare e nel far pregare, specie mediante la recita del rosario, piccoli e grandi.
Nei confronti della Madonna nutriva una devozione tutta particolare che cercava di inculcare anche negli altri. Il suo profetismo, insomma, più che sulla piazza, lo portava a trascorrere lunghe ore in chiesa sempre disponibile alle confessioni, sempre pronto all’accoglienza con l’immancabile sorriso sulle labbra.
“La cosa più importante è che la gente viva in grazia di Dio, il resto conta poco o niente”, disse un giorno.
Mulo da tiro
Padre Carlo Furbetta scrive dal Brasile: “P. Luigi Roncador non ha mai avuto fretta in nulla. Solamente nel morire ci ha sorpresi tutti per la velocità nell’evolversi degli avvenimenti. Appena un mese prima della morte, ha cominciato a sentire qualche cosa di differente e ce lo ha manifestato. Non credevamo fosse cosa seria, anche perché aveva appena passato una brutta influenza dalla quale non si era totalmente ristabilito, ma tutti abbiamo voluto che facesse gli esami clinici.
Sono stati fatti nell’ospedale San Marco di Nova Venecia. Il consiglio del medico fu che sarebbe stato meglio chiarire la situazione e cercare un eventuale trattamento a Verona, dove era stato curato 5 anni prima. É partito sereno con il biglietto di ritorno in tasca.
Oggi, 27 agosto 1999, a mezzogiorno, ci telefona da S. Paolo il padre Provinciale e ci annuncia: ‘Padre Luigi è morto’. Cinque minuti dopo, arriva un’altra telefonata direttamente da Verona. È padre Elio Savoia: ‘Padre Luigi è morto oggi alle 7.30 del mattino, ora locale’. Appena ripresi dalla notizia che ci ha sconcertati, abbiamo provveduto a dare l’avviso per radio ai confratelli.
Mi sono fermato a pensare… Il 7 ottobre 1935 avevo visto per la prima volta il futuro padre Luigi, ragazzo di 18 anni. Ho preso parte alla sua consacrazione a Dio con la professione religiosa: egli era due anni davanti a me a Venegono. Il 29 giugno 1940 ricevette l’Ordinazione sacerdotale. Il 9 giugno 1952 tutti e due riceviamo la destinazione per il Brasile. Lui é arrivato due anni dopo. Nel febbraio del 1955 eccolo al nord dello Stato dello Spirito Santo e si ferma un anno in S. Mateus con padre Dalvit, il futuro vescovo, e primo della diocesi…
Egli non è mai è stato parroco, ma sempre aiutante! Trent’anni fa, io, davanti a uno che lo criticava per il fatto che era lento nelle cose e di poca iniziativa, ebbi l’opportunità di difenderlo con questo paragone: ‘Non lasciarti ingannare dalle apparenze; padre Luigi non sarà un cavallo da corsa, ma è un potente e infaticabile mulo da tiro’.
La Provvidenza Divina ha voluto che nel febbraio del 1999 noi due ci riunissimo a Nova Venecia: appena per sei mesi! Ma sono stati sufficienti per verificare quanto profonde radici il nostro caro amico ha lasciato nel cuore del popolo di Dio. Dico radici, perché le amicizie di padre Luigi erano profonde e da lui coltivate con zelo.
Lo vedo ancora, mentre sale e scende per queste strade, in visita a questa o quella famiglia. Apostolato capillare il suo, apostolato efficace, che lasciava impronte profonde e durature! Era invitato con tenerezza dalle famiglie, ed egli accettava con piacere. E la gente veniva a prenderlo con la macchina! Beh! con i suoi 82 anni, 47 dei quali spesi a favore del popolo di Dio... se lo meritava pure, non è vero?
Le sue attenzioni con tutti, bambini, giovani e adulti, diventarono la sua testimonianza di tenerezza e affetto del Padre con i suoi figli. Le sue parole senza retorica, ma dettate dal cuore, restituivano voglia di vivere e di ricominciare a coloro che passavano per momenti di sfiducia. Avrebbe desiderato essere sepolto in Nova Venecia, dove ha vissuto lunghi anni della sua vita: resterà vivo nei cuori di quanti lo conobbero.
Ora, Luigi, tu sei morto lontano dalla tua gente e tanto in fretta. Tu che mai hai avuto fretta in nulla! Oggi, alle 19.00, come sempre, noi celebreremo la Messa nella Chiesa parrocchiale di S. Marco, e io celebrerò questa messa per te. E parlerò al popolo di te. E il popolo piangerà per te e io pure piangerò. Ciao, padre Luigi, parla al Padre in nostro favore, noi che sempre ti abbiamo voluto bene”.
Sempre pronto ad aiutare
P. Luigi aveva una grande stima della gente, delle usanze del luogo, del modo di vivere delle persone. E vi si adattava con quello spirito di inculturazione che oggi è una caratteristica del missionario.
Stimava la medicina alternativa, molto in uso tra il popolo. Egli fu sempre difensore strenuo di questo metodo terapeutico. Portava sempre con sé dei fogli che lui stesso dattilografava con la spiegazione di come ci si poteva curare con certi prodotti. E distribuiva quelle ricette aggiungendo prolungate spiegazioni. Insomma, era un uomo attento alle persone.
Scrive p. Galimberti: “Non ho cose particolari da segnalare su p. Roncador se non che fu un uomo calmo, tranquillo, molto delicato nel trattare con la gente, sia con i bambini come con gli adulti. Cercava sempre di portare con sé delle caramelle per far contenti i suoi piccoli amici, mentre ai grandi dispensava qualche ricordino come corone, medaglie e immaginette. Aiutava anche i confratelli nei limiti delle sue possibilità. A me, per esempio, ha fornito delle ottime piastrelle per la cucina, alcune artisticamente pitturate con belle immagini della Madonna o di Comboni. Era veramente un Padre delizioso e delicato che seppe farsi amare da tutti.
La sua scomparsa ha lasciato un grande vuoto non solo tra i confratelli, ma soprattutto tra la gente. Anche se ormai era su con gli anni, copriva un ruolo importante con la sua parola di incoraggiamento, di consiglio, con la sua capacità di sdrammatizzare le situazioni difficili aiutando tutti a confidare nella Provvidenza divina che non abbandona mai nessuno”.
Testimoniava la tenerezza di Dio
La segretaria della diocesi di San Matteo scrive:
“Avevo 16 anni quando ho visto per la prima volta padre Luigi Roncador. Piccoli occhi azzurri nascosti dai grossi occhiali, fare sereno...
Ricordo la sua prima domanda:
‘Come si chiamano il tuo papà e la tua mamma?’. La risposta è stata pronta. Cominciò lì un’amicizia che pochi hanno avuto l’onore di vivere. Io l’ho avuto... Padre Luigi era una figura ammirabile. E, per quel che ricordo, è sempre stato presente nei buoni e nei cattivi momenti che ho vissuto, se non fosse altro per telefono o lettera.
Quando ho perso la mamma, e subito dopo il papà, ricordo le cartoline di solidarietà che ho ricevuto da lui. Era un conforto leggere quei messaggi sempre ottimisti con una calligrafia tanto decisa. Mi sono ispirata a lui nei molti cambiamenti che ho dovuto affrontare nella vita. Ciò che faceva con me, faceva anche con mille altre persone: era attento a tutti.
Nonostante i suoi 82 anni era sempre vigoroso e con un sorriso accattivante.
‘Sì, sì, sì, come stai ragazzina?’. Alcune sue frasi mi hanno segnata profondamente. Una di quelle che serbo con tenerezza è questa:
‘Tu devi sempre essere il sorriso di Dio’. Era così che si esprimeva quando ci incontravamo. E ora padre Luigi non vive più tra di noi, perché riposa nelle braccia del Padre insieme alla Madonna, verso la quale ha sempre avuto una devozione bella! Condivido con voi il dolore per la perdita dell’amico. Sì, posso affermare che in lui si rifletteva la tenerezza di Dio per gli uomini. Flaviane”.
Scrive la sorella Giulia: “Mio fratello aveva la tempra generosa di Comboni e il suo coraggio indomito, uniti alla semplicità e dolcezza di carattere… Ha lasciato in tutti il ricordo di una persona attenta ad accogliere tutti, a dare una parola di conforto e di incoraggiamento a quanti ne avessero bisogno. Le sue parole senza fronzoli non davano spazio alla retorica, perché uscite dal cuore.
Non ha svolto compiti di particolare rilievo, ma ciò che ha fatto lo ha compiuto con tanto amore per le persone e per le famiglie. Curava i mali del corpo diffondendo terapie alternative, ma mentre curava i mali fisici, si preoccupava di restaurare la salute dello spirito distribuendo, come pillole energetiche, dei foglietti con brevi scritti atti a suscitare la fede e a far praticare i valori evangelici. Ha sempre espresso il desiderio di essere sepolto a Nuova Venecia per restare con i suoi brasiliani. Non è andata così, pazienza”.
Angelo protettore
La notizia del suo improvviso rientro in Italia per curarsi, che ebbe luogo il 10 agosto 1999, ha fatto subito capire che si trattava di una malattia seria. Pochi anni addietro il medico aveva intravisto nel suo male i segni di un tumore, ma poi tutto era passato.
Quella volta era partito dal Brasile con la paura di non ritornare più. Questa volta probabilmente sperava che fosse come la prima volta, ed era partito sereno.
Rientrato a Verona, è stato immediatamente ricoverato all’ospedale di Negrar, ma si è subito capito che il tumore gastrico con plurimetastasi epatiche aveva ormai fatta troppa strada. Dopo 10 giorni di inutili cure, fu dimesso. Spirò serenamente il 27 agosto 1999 in Casa Madre.
Dopo i funerali, la salma è stata portata al suo paese per un secondo funerale e per l’inumazione.
“Dal cielo sarà un angelo protettore e un modello di vita cristiana per molta gente di questa parrocchia e di altri luoghi dove è stato conosciuto - ha scritto il settimanale Vita Trentina. - Una vita donata nella semplicità e dolcezza al popolo del Brasile.
Ha marcato profondamente con la sua serenità, tenerezza e pace del cuore il popolo di varie parrocchie del nord dello stato brasiliano dello Spirito Santo. Sarà sempre ricordato per la sua capacità di accogliere e di dare una parola di conforto e di incoraggiamento a tutti coloro che ne avevano bisogno”. Padre Luigi sarà ricordato a lungo, e sarà anche invocato dalla gente.
Alla Congregazione p. Luigi Roncador lascia l’esempio di un confratello mite, umile, che ha sempre voluto mettersi all’ultimo posto, tuttavia sempre pronto ad aiutare e disponibile per tutte le necessità di ministero in cui le varie comunità fossero venute a trovarsi. Che dal Cielo ottenga pace e giustizia specie per il Brasile che tanto ha amato. P. Lorenzo Gaiga
Da Mccj Bulletin n. 2015, gennaio 2000, pp. 87-96