Nato e battezzato nella parrocchia di Loreto, a Fossano (Cuneo), Giorgio Ferrero entrò da bambino nel seminario diocesano per diventare sacerdote. Proprio in seminario, grazie alla lettura delle riviste missionarie e al clima intensamente impregnato di missionarietà che si viveva, attecchì e sbocciò la vocazione alla vita missionaria.
La prima lettera che parla della sua vocazione risale al 3 settembre 1930. In essa, rivolgendosi ai superiori dei Comboniani, il giovane seminarista dice: "Col permesso del mio Vescovo mons. Quirico Travaini e dei miei genitori Giovanni Battista e Margherita Cagliero, rendo noto a Vostra Paternità il desiderio di consacrarmi alle missioni africane. Chiedo, pertanto, di essere ammesso al noviziato onde predispormi convenientemente a sì grande apostolato. Ho compiuto il corso liceale...".
Il Vescovo in persona fece pervenire ai superiori dei Comboniani una lettera nella quale è detto: "Considerate le ripetute ed insistenti domande del chierico Ferrero Giorgio del nostro seminario di entrare in una Congregazione missionaria, per quanto ci riguarda gli accordiamo il desiderato permesso di lasciare questo nostro seminario per entrare nella Congregazione dei Padri Bianchi (sic) delle Missioni Africane con sede a Verona. Dichiariamo che il suddetto chierico Ferrero ha compiuto regolarmente nel nostro seminario i corsi ginnasiale e liceale, che è giovane di mediocre ingegno ma di ottima condotta, di ferma volontà e dà affidamento di riuscire un ottimo missionario. Dal Vescovado di Fossano 15 settembre 1930".
Come abbia fatto a dire che era di mediocre ingegno è un po' un mistero visto che la pagella di terza liceo, annessa ai documenti, riporta solo due 6 e tutti 7, 8 e 10.
Il rettore del seminario chiamò il giovane Ferrero: "Uno spirito inclinato al bene che in questi ultimi anni di seminario ha camminato sulla via della perfezione. Suo assistente era P. Severino Peano il quale potrà dare ulteriori informazioni.
Entrato in noviziato a Venegono Superiore il 12 settembre 1932, emise i voti il 7 ottobre 1932, poi passò a Verona per la teologia e venne ordinato sacerdote da mons. Girolamo Cardinale il 7 luglio 1935.
Nella sua scheda personale i superiori avevano scritto: "Si è sempre comportato da buon religioso e chierico, amante della preghiera e dello studio, sollecito nella recita del divino ufficio, docile e desideroso di giungere al sacerdozio. Nulla da eccepire riguardo alla castità, la temperanza e l'ortodossia della fede. Tanto confermano anche gli altri Padri che dimorarono nella stessa casa, i quali tutti lo ritengono veramente chiamato allo stato sacerdotale missionario".
12 anni in Sudan meridionale
Per un anno (1935-1936) fu insegnante nella scuola apostolica dei Comboniani a Riccione, un lavoro che, sinceramente, andava stretto a un uomo della taglia di P. Giorgio tutto proteso alla missione. Ma allora c'era la famosa regola 72 che diceva di "frenare il desiderio della missione". L'anno dopo, fortunatamente, i superiori mollarono il freno e P. Giorgio ebbe via libera.
Imbarcatosi a Genova il 5 novembre 1936 per il Sudan meridionale, allora dominio anglo-egiziano, giunse nel Bahr el Gebel. Andò come vice parroco a Loa (1936-1938) e ad Isoke (1938-1940), quindi nuovamente a Isoke come superiore locale (1940-1948).
La vita missionaria di prima linea tra le etnie Madi e Lotuco, anche se dura per l'estrema povertà che spesso rasentava la miseria, lasciò nel cuore di P. Giorgio una nostalgia tale che, perfino negli ultimi mesi della sua vita, ricordava ancora quegli anni.
Superiore regionale per 10 anni
Dopo una parentesi in Portogallo dal 1949 al 1954 come formatore nel seminario minore comboniano di Viseu, partì nuovamente per il Mozambico con destinazione Mossuril.
Dal 1954 al 1964 fu superiore regionale con sede a Carapira dove c'era una parrocchia ben sviluppata e la scuola tecnica.
Per il Capitolo Generale del 1959 P. Giorgio scrisse: "Le missioni in Mozambico sono solo 6 perché il nuovo vescovo non ci permette di aprirne delle altre. Già ci sono 8 Suore Comboniane che lavorano nell'ambito femminile. Le nostre scuole di missione sono 132 con 16.000 alunni". Da queste poche parole si comprendono le difficoltà che i primi Comboniani dovettero incontrare proprio da parte di alcuni vescovi che erano filo-governativi (tutti portoghesi), quindi fortemente colonialisti. Essi ostacolavano l'istruzione dei ragazzi mozambicani, oltre la terza elementare.
Altri vescovi, come mons. Vieria Pinto, erano di tutt'altra pasta e aperti ai segni dei tempi e al soffio dello Spirito”.
Non è male inserire a questo punto uno specchietto delle date e dei luoghi della nostra presenza in Mozambico: 1946, P. Giuseppe Zambonardi arriva a Nampula (3 luglio); 1947, arrivano cinque Comboniani, e il Vescovo di Nampula erige la missione. Sorge la missione di Carapira. 1948, vengono aperte le missioni di Mueria e Memba; 1951, nasce la missione di Nacaroa; 1954, le prime 4 Suore Comboniane arrivano a Mossuril; 1957-1960, nuove missioni a Lunga, Matibane, Lurio e Netia; 1965-1967, si apre la zona di Tete con Marara, Estima e Boroma, dove P. Eusebio Pozzi muore tragicamente nello Zambesi; 1967-1070, fondazione della scuola normale a Beira, e missioni a Nuova Lusitania e ad Alto da Manga. Nella diocesi di Nampula si aggiungono i centri di Alua, Mirrote, Namapa e Cavà; 1974, tredici Comboniani sono espulsi dal governo portoghese insieme al Vescovo di Nampula, Mons. Manuel Vieira Pinto il quale, poco prima, aveva affidato ai Comboniani la cura pastorale di Nacala e della missione di San Pietro nei sobborghi di Nampula. Li aveva voluti presenti nel Centro Paolo VI per la formazione dei catechisti e nella direzione del Collegio diocesano Vasco de Gama. In questo ambiente nascono le prime vocazioni comboniane.
Dal 1965 al 1968 P. Giorgio fu superiore locale a Marara e dal 1968 al 1969 venne nominato rappresentante del superiore Generale con sede a Boroma.
È interessante la descrizione che P. Giorgio fa del suo ingresso a Marara. "Siamo arrivati, P. Dinis ed io, il 13 gennaio 1965 via aerea. All’aeroporto di Tete era ad aspettarci il segretario del Vescovo, il quale nel pomeriggio voleva portarci a Marara, distante 50 chilometri. Ma dopo una ventina di chilometri trovammo un fiume in piena, mentre dall'altra sponda c'erano ad aspettarci il vicario generale e il vecchio superiore di Marara. Rimanemmo a guardarci in faccia per più di due ore poi, con l'aiuto di un europeo tentammo il guado che ci andò bene. Il 3 febbraio è arrivato anche il caro Fr. Morganti e adesso con lui stiamo facendo i nostri piani per sistemare meglio la missione, soprattutto per riparare la cappella. La casa è discreta e il clima è caldo e asciutto. I raccolti, quest'anno, saranno abbondanti. Siamo tra magnifiche colline coperte di verde, tanto da sembrare di essere in un luogo di villeggiatura. L'orto, con 500 piante di aranci è ricco di ogni ben di Dio.
Nella scuola abbiamo una sessantina di alunni interni che si comportano come novizi. Spero che escano ottimi catechisti e anche qualche sacerdote".
Come si vede, nel piano pastorale di P. Giorgio c'erano anche i catechisti, sui quali aveva sempre puntato, e sui possibili sacerdoti.
Nel 1966 Fr. Andrea Luigi Morganti, utilizzando alcune casette di legno che l'impresa che studiava la possibilità di una diga sullo Zambesi gli aveva donato, creò la nuova missione di Estima, a 70 chilometri da Marara. A 50 chilometri da Estima, a Chicoa, P. Denis restaurò un'altra casetta ceduta dalla delegazione sanitaria.
Il vescovo poi volle che si spingessero fino a Tete. Intanto P. Peano, P. Eusebio Pozzi e P. Renato Rosanelli incrementavano il personale, e la presenza dei missionari si diffondeva sempre più.
P. Giorgio mirava anche ad una scuola superiore e ad un'altra di arti e mestieri perché nell'istruzione e nella formazione al lavoro vedeva la possibilità di dare un futuro dignitoso alle giovani generazioni. "Stiamo anche preparando la casa per le suore e per l'internato femminile. Il Vescovo viene a trovarci spesso e ci incoraggia, e mi dice di chiedere ai superiori di Roma altro personale". Si sentiva anche l'esigenza della falegnameria e dell'officina meccanica dirette da nostri Fratelli.
Dal 1969 al 1976 P. Giorgio fu superiore locale della parrocchia di Estima e dal 1976 al 1979 coprì il ruolo di superiore e parroco a Songo.
Espulso
Nel 1979 P. Giorgio venne espulso dal Paese dalle autorità civili. Erano gli anni terribili in cui il governo, formato da elementi che nel 1975 avevano conquistato l'indipendenza dal Portogallo, seguiva la dottrina marxista-leninista.
P. Giorgio, data la sua autorità morale, cercava di fare da intermediario tra i missionari perseguitati e le autorità che praticavano una vera persecuzione nei confronti della Chiesa cattolica. Ma venne espulso con una certa brutalità. Fu un colpo che lo tramortì, la sua fede in Dio, tuttavia, e la fiducia nella Provvidenza lo sostennero e gli consentirono di parare il colpo.
Il Padre Generale, Tarcisio Agostoni, gli scrisse una bella lettera che contribuì a lenire una ferita così profonda.
"La mia solidarietà per te, caro P. Giorgio è totale. Solo il Signore sa quanti meriti ti sei acquistato in questa situazione e quanto luminosa è la tua innocenza. Davvero non hai fatto nulla per essere espulso, anzi sei sempre stato artefice di concordia e di pacificazione tra i missionari e le autorità.
Certamente questa sofferenza entra nei piani del Signore perché torni a salvezza del buon popolo mozambicano che soffre. Io intanto ti ringrazio di quanto hai fatto nei diversi posti dove hai svolto il tuo ministero, lasciando al Signore darti la meritata ricompensa. Sappi che ti sono vicino insieme a tutta la Direzione Generale e i confratelli. La Chiesa del Mozambico, che è Chiesa di martiri, coinvolge anche te e i confratelli che soffrono e lavorano, e ci invita a una preghiera più sentita e più profonda...".
P. Giorgio andò in Portogallo per un servizio nella pastorale vocazionale. Fece molto bene, tanto che vi rimase dal 1979 al 1993. Nella lettera al Superiore Generale aveva scritto: "Le dichiaro tutta la mia disponibilità al servizio della Congregazione nella provincia portoghese".
In quel periodo Mons. Ferrazzetta, francescano, chiedeva i Comboniani per la Guinea Bissau. P. Giorgio ci sarebbe andato più che volentieri, ma i superiori maggiori, pure contattati dal Vescovo, dovettero declinare l'invito per mancanza di personale.
Gli anni in Portogallo per P. Giorgio furono sempre "funestati" dall'intenso desiderio di tornare in missione. Nel 1981 scriveva a P. Salvatore Calvia, nuovo Superiore Generale: "La mia gamba destra va meglio per cui, anche se ho 73 anni, anzi appunto perché ne ho 73, le chiedo di poter tornare in missione per lasciarvi almeno le mie ossa. Se non è ancora possibile il Mozambico per me, mi accontento del Malawi o di qualsiasi altro posto, purché sia Africa".
Rimase per un periodo di tempo ad Arco di Trento come malato perché l'ischemia alla gamba non migliorava, ma poi: "Qui c'è il pericolo di cadere nella professione malato, cosa che assolutamente non voglio", scrisse. E preferì tornare in Portogallo anche se il suo lavoro necessariamente doveva essere limitato.
Niente viaggi turistici
Nel 1985 P. Giorgio celebrava il suo 50° di Messa. Per l'occasione i confratelli gli proposero un viaggio turistico in Mozambico. "È vero che la nostalgia e il desiderio impellente di tornare in missione non mi danno pace. Ma il viaggio turistico che mi hanno proposto è inaccettabile. Se vado in missione sarà per starci e per morirvi. Se questo è un capriccio di un vecchio, mi rimetto alla sua volontà, caro Superiore Generale. L'obbedienza è la sola cosa che mi dà sicurezza e tranquillità", scrisse.
Nel 1989 P. Francesco Pierli, Superiore Generale, gli scrisse. "Il tuo desiderio di tornare in Mozambico è un dono e un segno del Cuore di Cristo Buon Pastore, ma la situazione politica non è ancora tranquilla in quella nazione. Si vive in un clima di incertezza e gli spostamenti sono quasi impossibili. Non parliamo della situazione medica che non esiste. Apprezzo molto la tua idea di promuovere nelle case dei Comboniani anziani l'adorazione quotidiana. Farò pubblicare nel Bollettino questa tua lettera in modo da lanciare l'idea che trovo sana e illuminante".
Come Mosè
In Mozambico, intanto, coloro che avevano cacciato P. Giorgio erano stati cambiati, la fede religiosa poteva esprimersi liberamente e la vita sociale cominciava a muoversi con una certa regolarità per cui P. Giorgio sarebbe potuto tornare se non ci fosse stato l'handicap della salute.
Ma se un missionario vuole morire nella sua terra di elezione, chi glielo può impedire? Anzi questo diventa un gesto pieno di profezia. E il nuovo Superiore Generale, David Glenday, accolse finalmente le istanze del vecchio missionario che, citando un proverbio aveva detto. "Il leone, quando sente la morte che si avvicina, vuole raggiungere la sua tana. Quel vecchio leone vorrei essere io; la mia tana è l'Africa".
"La tua opzione è stata accolta con ammirazione sia in Portogallo, sia in Mozambico, e anche dalla Direzione Generale, per cui dal 1 gennaio 1994 appartieni alla provincia del Mozambico. Ti auguriamo multos annos per poter stare a fianco di mozambicani con la tua testimonianza di amore fedele al popolo di Dio", gli scrisse il Superiore Generale.
Nell'agosto del 1993 P. Giorgio tornò in Mozambico. Andò a Matola per dare la sua collaborazione missionaria e, soprattutto, data la veneranda età, per cercare di mettere in pratica ciò che il Signore aveva detto all'anziano Mosè: "Tu devi stare davanti a me per intercedere per il mio popolo".
Nelle lettere che P. Giorgio ha scritto in questi anni manifesta tutta la sua gioia per la ripresa dell'evangelizzazione nel Mozambico (anche se non era mai stata interrotta, neppure nella persecuzione) e soprattutto la sua soddisfazione per il grande numero di vocazioni che nascevano in quella comunità e il suo entusiasmo nel dare una mano alla loro formazione.
In una lettera del 30 ottobre 1993 scrisse: "Ieri si sono riunite le comunità di Matola e di Maputo per festeggiare i miei 85 anni. Il provinciale mi ha letto la lettera che lei, caro Superiore Generale, ha voluto scrivermi. Mi ha tranquillizzato perché avevo lasciato il Portogallo quasi come un'evasione. Dopo 14 anni sentivo la necessità di cambiare e, visto che per i vecchi non c'è più rotazione, mi sono preso l'iniziativa di rotolarmi per conto mio. Sembra una stupidata tornare in Africa a 85 anni ma... 'O Africa o morte?. Per me adesso è 'Africa e morte'. Sono qui per offrire la mia vita al Signore perché questa Chiesa cresca e perché il Mozambico possa vivere in pace".
A Matola, dove viveva P. Giorgio era sorto il seminario filosofico con 180 alunni, e c'era pure il postulato. Sempre dalle lettere vediamo un P. Giorgio lieto di vivere per gli altri perché "chi non vive per servire, non serve per vivere", scrisse. E ricordava spesso il problema numero uno in quegli anni per il Mozambico: la fame. In uno dei suoi ultimi scritti leggiamo: "Facendo qui a Matola molto il contemplativo nell'attesa della chiamata, ripenso spesso alla mia lunga vita. Se sapeste quanto è bello l'ideale missionario! Se io potessi tornare a vivere un'altra volta, percorrerei la stessa via". Il suo ministero speciale a Matola, dunque, era quello delle confessioni e della preghiera.
Animatore missionario
P. Giorgio fu un missionario che seppe coinvolgere nelle problematiche missionarie la sua vecchia Chiesa di origine. Egli si sentiva molto legato al suo paese natale e a Fossano, particolarmente al monastero di Via Annunziata e a Madre Mariancilla Vico che su "La Fedeltà" del 26 giugno ne ha dato una toccante testimonianza. La riportiamo. “Caro P. Giorgio, ci siamo conosciuti giovani nel pieno fervore del nostro ideale missionario. 1934: siamo al Cesiolo, Verona, novizie - suor Michelangela ed io. - Capita un missionario che vuole salutarci. Chi è costui? Si presenta: è P. Giorgio. Ha fatto gli studi nel seminario di Fossano. È entrato dai Comboniani ed in partenza per le missioni. Ha anche la barba perché, per essere missionari, bisogna avere la barba!!!
Vent’anni di silenzio. Poi, un giorno, mi capita in Cairo un missionario stanco, cagionevole di salute, direi cadente. Non lo riconosco. S’inginocchia ai piedi dell’altare per servire la Messa al cappellano. Non sta in piedi. Lo chiamo: “Senta, si sieda e prenda un buon caffé; alla Messa ci penseranno le suore”. Allora mi accorgo che è P. Giorgio! In che stato! Va in Italia per ritemprarsi le forze e tornare in Mozambico dove diventa provinciale.
Passano gli anni e viene in Italia per festeggiare il suo 50° di sacerdozio. ‘Sa - mi dice - è l’ultima volta che rimpatrio, perché ormai sono vecchio e temo di cadere in trappola’. Vuole tornare nella sua missione perché là vuole morire. I superiori lo accontentano. Confessa e prega tutto il giorno. Giorni fa, manda una fotografia a suo nipote. Si dice ormai vecchio e vicino al paradiso. Gli scrivo una lettera umoristica: ‘Vecchio lui? Senza occhiali, a 88 anni, capelli solo grigi, aspetto... in gamba. Sembra un giovanotto!’.
Non so se l’ha ricevuta. Oggi, la notizia del suo trapasso. Caro P. Giorgio, eri di fuoco. Vero figlio del Comboni, sprizzavi ardore apostolico da tutti i pori. Con te aumenta la lista dei Comboniani santi. Volevi tanto bene al nostro Monastero. Prega per noi e per il tuo seminario. E ottienici da Dio la grazia di rassomigliarti almeno un poco per essere, come sei stato tu, ardente conquistatore di anime”.
Ultimamente P. Giorgio aveva intessuto un intenso dialogo con "Saper dividere", foglio di collegamento del Centro Missionario Diocesano e della Caritas, perché si sentiva ancora partecipe dello spirito missionario della diocesi di Fossano che ha dato alla Chiesa e all’Istituto comboniana fior di missionari. Essendo stato per 10 anni alunno del seminario diocesano, conosceva bene i sacerdoti fossanesi attorno agli anni ottanta e con alcuni di essi teneva una corrispondenza. Il tutto serviva al bene della missione e delle anime alle quali P. Giorgio si sentiva inviato anche come rappresentante della sua Chiesa locale.
Riportiamo alcuni brani dell'ultima lettera scritta ai suoi parrocchiani di Loreto nella quale risaltano i sentimenti del Padre. "Carissimi Loretesi, nel tempo della mia vecchiaia non mi abbandonare, Signore", preghiamo in un salmo. Una prova che il Signore non mi abbandona è il vostro ricordo spirituale e anche materiale con la generosa offerta che ho ricevuto nei giorni scorsi. Giorni fa, nella cappella dove di solito passo gran parte del mio tempo, ho sentito un impulso interiore a scrivere il mio addio al mondo. Così, seduto al mio piccolo altare, ho scritto tre pagine nel mio quaderno diario. C'è l'addio al Portogallo dove ho passato 20 anni, al Sudan dove ho evangelizzato per 12 anni, all'Italia dove ho passato 30 anni della mia vita. E in particolare addio al mio paese dove sono nato e dove sono stato battezzato, al seminario di Fossano, ai miei nipoti e pronipoti... Io resterò qui in Mozambico dove ho trascorso gli altri anni della mia vita sperando di essere sepolto sotto il baobab che ho indicato qualche tempo fa. Scrivendo sono stato preso da un sentimento di tristezza, ma subito mi sono venute in mente le parole del canto mariano: 'Andrò a vederla un dì' e, pensando al cielo ho visto voi tutti riuniti come in una grande famiglia attorno a Dio Padre. Il mio appuntamento ora è là. la vita non finisce ma si trasforma e un'esistenza migliore ci aspetta".
Dai frutti si conosce l'albero
P. Giorgio viveva intensamente la vita dell’Istituto. Lo testimoniano le numerose lettere scritte al Superiore Generale nelle quali dava opportuni consigli, frutto di esperienza, di amore all'Africa e alla missione, e di fede intensamente vissuta.
In una Messa concelebrata a Maputo durante la recente visita del Superiore Generale, fece un'intenzione di preghiera "perché il Superiore Generale provvedesse a mandare il personale necessario per riempire le case e dar vigore al nostro servizio missionario".
In occasione del Capitolo, confessando la sua incapacità a rispondere a tutte le domande del questionario individuale, sottolineò alcuni valori dei quali bisognerebbe tener conto in Capitolo. Il Superiore Generale ne parlò nella Messa celebrata con la Commissione precapitolare e disse: "Se dobbiamo tener conto dell'albero dai suoi frutti, credo che ci converrà prestare un'attenzione speciale alle raccomandazioni di P. Giorgio".
Citiamo anche qui alcuni di questi suggerimenti: "Siamo vecchi, diceva Comboni a 50 anni. Che dovrei dire io che ne ho presto il doppio?... Leggendo i vostri documenti vedo che siete preoccupati per gli anziani in Istituto. Ciò mi dà un certo fastidio. Lasciateli morire in pace dove hanno lavorato e non parcheggiateli - come dice Milani - in modo che più hanno più vorrebbero avere. Il vecchio alle volte è capriccioso, è rebugento, dicono i portoghesi. La mia preghiera è questa: 'O Maria, alla sera della mia vita preservami da un'esistenza egoista, triste, irascibile, brontolona e dai rimpianti inutili, dai ricordi che turbano, dalle angosce che affliggono', e così dormo in pace.
È inutile anche parlare di vita contemplativa, perché tutta la vita dell'anziano deve essere contemplazione e preghiera, così, come Maria, si genera Cristo nelle anime.
Quanto alle assemblee continentali o intercontinentali, con un po' di malizia dico che i Comboniani di oggi sono una specie di turisti. Per questo da vecchi hanno bisogno di parcheggio, dopo tanto movimento.
Ed ora vado a concelebrare con la comunità. Introibo ad altare Dei, ad Deum qui laetificat iuventutem meam. Sì, mi sento ancora giovane e, grazie a Dio, a Johannesburg nel 1994 mi hanno rimesso a nuovo gli occhi così presto potrò vedere bene Gesù e Comboni faccia a faccia. Quando poderei ver a face do meus Deus? Ne ho un intenso desiderio".
Orazione al tramonto della vita missionaria
Prima dell’ultima malattia, quella che lo avrebbe portato alla tomba, P. Giorgio scrisse una preghiera intitolata “Orazione al tramonto della vita missionaria”. In essa sono riportati i sentimenti che racchiudeva nel suo cuore: “Maria, al tramonto della mia vita, aiutami a ringraziare il Signore per tutte le grazie che mi ha concesso. Ottienimi la certezza che i miei peccati sono stati perdonati, che le mie sofferenze e la mia solitudine, insieme al sentimento della mia miseria, sono una riparazione che danno un motivo alla mia vita. Aiutami a lavorare secondo le mie forze, a offrire sempre e a tutti un sorriso di ringraziamento, di incoraggiamento e di confidenza. Concedimi di accettare il mondo così com’è e i miei giorni come vengono. Dammi un amore di comprensione verso coloro che mi stanno vicino.
Preservami da atteggiamenti egoistici, dalla tristezza e dall’irascibilità, dalle lamentele inutili, dai ricordi che turbano.
Dammi confidenza sicura, l’amore che dura nel Signore il quale mi aspetta per tendermi la mano, per stringermi al cuore e farmi entrare nella sua gloria eterna”.
L'ultimo pioniere
Ormai la circolazione del sangue, specie nella gamba destra, si era quasi bloccata per cui, il 23 maggio 1997, dopo essere stato visitato dal medico a Maputo si pensò di ricoverarlo in ospedale a Johannesburg, in Sudafrica. Si partì lo stesso giorno, in macchina. P. Giorgio era accompagnato da P. Giacomo Palagi e da Fr. Abilio, membro della sua comunità. Giunti a Johannesburg venne immediatamente ricoverato in ospedale.
Fu operato due volte: nel primo intervento, 4 giugno, gli venne praticato un by-pass per salvare la gamba. Tre giorni dopo, nonostante l'operazione, la gamba minacciava di andare in cancrena per cui i medici dissero che era necessario amputarla. P. Giorgio diede il suo permesso e si procedette all'operazione (11 giugno).
Il 12 giugno il provinciale arrivava a Johannesburg per essere vicino a P. Giorgio e rendersi conto della sua situazione di salute.
Il 15, domenica, P. Giorgio parlò serenamente con i confratelli che lo assistevano. Anche gli altri Comboniani residenti in Sudafrica andavano spesso a trovarlo. Verso sera, mentre stavano conversando, P. Giorgio cominciò ad agitarsi e a sentire forti dolori. Siccome era seduto, venne disteso sul letto. Il medico, viste le condizioni, lo trasferì in sala di rianimazione.
La mattina del 16 la situazione era sempre grave, peggiorata dall'insufficienza cardiaca. Alle due del pomeriggio gli venne amministrata nuovamente l'Unzione degli infermi e, in un clima di intensa preghiera, P. Giorgio si spense. Gli erano accanto il suo provinciale, P. Jeremias dos Santos, Fr. Abilio Pasqual e P. Enrico Redaelli.
"È morto serenamente – ha detto il provinciale. La sua faccia era quella di una persona che riposa. Sia prima che dopo l'amputazione non si è mai lamentato, anzi si è dimostrato sempre sereno, allegro e di buon umore, qualità che da sempre lo avevano caratterizzato. L'unico argomento dei suoi discorsi era il ritorno in Mozambico dove sperava di morire e di essere sepolto sotto un grosso baobab che lui stesso aveva piantato anni prima.
Rispettando la sua volontà, la salma è stata trasportata in Mozambico ed è stata tumulata nel cimitero della capitale, Maputo, accanto ai tanti missionari e missionarie comboniani che hanno dato la loro vita per l'evangelizzazione dell'Africa.
Alla Messa funebre, il 20 giugno, erano presenti sua eminenza il Cardinale di Maputo, il Nunzio apostolico, un altro vescovo che conosceva P. Giorgio, i missionari e le missionarie, moltissimi sacerdoti e religiosi e tantissima gente che amava P. Giorgio e che lo considerava come un "padre fondatore della fede".
Con la morte di P. Giorgio, avvenuta 10 giorni dopo quella di P. Busi, la provincia del Mozambico è stata privata in poco tempo di due pionieri. Bisogna pregare perché il loro posto sia preso da nuove vocazioni missionarie dotate di simile grinta e uguale fedeltà.
Poco prima di morire aveva scritto: "Io sono qui a chiedere al padrone della messe che, per Maria, mandi molti e santi missionari e che i giovani non perdano l'entusiasmo che animava Comboni". Siamo sicuri che in Cielo, insieme a Comboni e a tanti altri confratelli intercederà perché questo suo ultimo desiderio si avveri. P. Lorenzo Gaiga, mccj
Da Mccj Bulletin n. 198, gennaio 1998, pp. 65-74
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Born and baptized in the parish of Loreto at Fossano (Cuneo), Giorgio Ferrero entered the diocesan seminary at an early age to become a priest. And it was in the seminary, influenced by reading missionary magazines and the strong missionary outlook that prevailed in the seminary, that his vocation to the missionary life took hold and developed.
The first letter in which he mentions this is dated 3 September 1930, in which he tells the Comboni superior: "With the permission of my Ordinary, Bishop Quirico Travaini and of my parents, John Baptist and Margherita (Cagliero), I inform you, father, of my desire to consecrate myself to the African missions. I ask, therefore, to be admitted to the Novitiate, where I can make a suitable preparation for such a great apostolate. I have completed my secondary education..."
The Bishop wrote his own letter to the superiors, remarking: "In view of the repeated and insistent requests of the cleric Ferrero Giorgio, who is in our seminary, to enter a missionary Congregation, as far as concerns us, we grant him the desired permission to leave our seminary and enter the Congregation of the White Fathers (sic) for the African Missions whose headquarters are in Verona. We declare that the above-mentioned cleric Ferrero has completed the regular academic curriculum in our seminary. He is a young man of about average intelligence, but of excellent conduct and determination, and gives every sign that he will become a very good missionary. Given from the Bishop's House at Fossano, 15 September 1930". The remark about the level of intelligence is puzzling, since the school report for that year shows very creditable results.
The Rector of the Seminary called Ferrero "A spirit inclined towards goodness, who has made good progress along the way of perfection. The one who followed him more closely was Fr. Peano, who can supply other information".
Ferrero entered the Novitiate at Venegono on 12 September 1930, made his first Vows on 7 October 1932 and went on to Verona for Theology, being ordained by Bishop Girolamo Cardinale of Verona on 7 July 1935.
His superiors gave him a warm report, and the fathers in the community, who met him less formally, and on a day-to-day basis, also held him and his qualities in high regard.
12 years in Southern Sudan
He taught for one year (1935-6) in our junior seminary at Riccione. It was a post which was rather stifling for a man of Fr. Rovelli's type, longing for missionary activity. But in those days there was the famous Rule 72, which stated that the "desire to go to the mission should be held in check. Fortunately, the superiors relented after one academic year, and he was pointed towards Africa.
Setting sail from Genova on 5 November 1936, he headed towards Southern Sudan (part of the then Anglo-Egyptian Sudan), and was assigned to Bahr el Gebel. His first posting was as assistant priest at Loa (1936-38), then at Isoke (38-40), where he became local superior and continued until 1948.
Missionary life on the front line, among the Madi and Lotuko people, was very hard: the missionaries' circumstances were marked by extreme poverty. But the experience left such a feeling in his heart that, right up to the end of his life, he would talk about those years with intense longing.
Regional Superior for 10 years
After a break in Portugal from 1949 to 1954 as formator in the junior seminary at Viseu, he left for Mozambique, where he was appointed to Mossuril.
From 1954 to 1964 he was Regional Superior, with his residence at Carapira, which was a well-developed parish with a technical school.
In his report to the 1959 General Chapter, Fr. Ferrero wrote: "We have only 6 missions in Mozambique, because the new bishop will not allow us to open any more. There are already 8 Comboni Sisters working with women and girls. We have 132 mission schools, with 16,000 pupils". These few words indicate one of the problems the first Comboni Missionaries had with some of the bishops who, for the most part, supported the government (they were all Portuguese) with strong colonialist attitudes. They did not like to see Mozambicans being educated beyond the third year of primary school.
However, other Bishops such as BP. Vieira Pinto, were much more aware and open to the signs of the times - which are often the breath of the Spirit. Maybe here it is a good idea to put in a short chronology of our presence in Mozambique:
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1946 Fr. Giuseppe Zambonardi arrives at Nampula (3 July)
1947 Five Combonis arrive, and the Bishop of Nampula erects the mission. The mission of Carapira is founded.
1948 The missions of Nueria and Memba are opened.
1951 Nacaroa mission is started.
1954 Arrival of the first four Comboni Sisters at Mossuril.
1957-60 New missions at Lunga, Matibane, Lurio & Netia.
1965-67 The Tete area is opened, with Marara, Estima and Boroma - where Fr. Eusebio Pozzi drowns in the Zambesi.
1967-70 Founding of a school at Beira, and missions at Nova Lusitania and Alto da Manga. In the diocese of Nampula, the missions of Alua, Mirrote, Namapa and Cavà are added.
1974 Thirteen Comboni Missionaries are expelled by the colonial government, along with Bishop Manuel Vieira Pinto of Nampula. Not long before that, he had entrusted our missionaries with the pastoral care of Nacala and of the parish of St. Peter on the outskirts of Nampula. He also wanted them in the Paul VI Centre for the training of catechists and put them in charge of the Vasco da Gama College. It is in this climate that the first Comboni vocations appear in Mozambique.
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From 1965 to 1968 Fr. Ferrero was local superior at Marara during 1968-9 he was representative of the Superior General, resident at Boroma.
His description of his arrival at Marara is interesting. "We (Fr. Dinis and myself) arrived by air on 13 January 1965. At the airport the Bishop's secretary met us, and wanted to take us to Marara, about 30 miles away, that same afternoon. After a dozen miles we found a river in flood, and on the other bank there was the Vicar General and the old superior of Marara, who had come to meet us. We spent two hours just looking at each other, then managed to get across, with the help of a European. On 3 February Bro. Morganti arrived, and now we are making plans together to get the mission set up, and above all to repair the church. The house is decent and the climate is hot and dry. There will be good crops this year. We are living among magnificent hills covered in vegetation; it is like a holiday area. The plantation has 500 orange trees, and all kinds of vegetables.
There are 60 boarders in the school who behave like novices. I hope they will become first class catechists, and maybe we'll get a priest or two." His pastoral plans always included catechists and vocations to the priesthood.
The firm studying the Zambesi Dam project gave Bro. Morganti a pile of wooden packing cases. In 1966 he used them to build the new mission of Estima, about 70 km. away. Meanwhile Fr. Dinis repaired a house left by a health delegation at Chicola, a further 50 km. beyond Estima. Then the Bishop asked them if they could go as far as Tete.
Meanwhile, Frs. Peano, Pozzi and Rosanelli came to swell the ranks, so the missionary presence spread. Fr. Ferrero's idea was to add a secondary school and a school to teach trades and crafts. "We are also building a house for the Sisters and a dormitory for girls. The Bishop calls in often and encourages us; he keeps telling me to ask Rome for more personnel!" It was felt that there should also be a carpentry workshop and a garage, directed by our Brothers.
From 1969 to 1976, Fr. Ferrero lived at Estima as PP and superior, and moved on to Songo in the same role, until 1979.
Expulsion
In 1979 he was expelled by the civil authorities. This was during the difficult years under the rule of those who had won independence from Portugal in 1975, and followed extreme left-wing doctrines. Given his moral authority, the father tried to act as intermediary between the missionaries and the authorities, who were putting all kinds of pressure on the Catholic church, amounting practically to a persecution. The reaction was a rather brutal expulsion, and he reached Italy in a state of shock. But his faith and his trust in Providence enabled him to get over the blow. A kind letter of solidarity from Fr. Tarcisio Agostoni, Superior General, also helped to soothe the wound.
Fr. Ferrero was sent to Portugal to work in the fostering of vocations. He did very well, and in the end stayed on from 1979 until 1993. In his reply to the Superior General, he had written: "I declare my full readiness to serve the Congregation in the Province of Portugal". At one time, the Franciscan Bishop Ferrazzetta asked the Comboni Missionaries for personnel for Guinea Bissau. Fr. Ferrero would have been more than happy to go, but the Major Superiors, having studied the proposal, had to turn it down for lack of sufficient personnel.
We might say that the years in Portugal, despite his willingness, were "saddened" by his longing to return to the missions. In 1973 he wrote to Fr. Calvia, successor of Fr. Agostoni: "My right leg is much better, so even though I am 73 - indeed, because I am 73 - I ask you to let me return to the missions, at least to leave my old bones there. I know it is still impossible for me to go to Mozambique, but I would be happy with Malawi or any other place, as long as it is in Africa."
He spent some time in Arco as a resident, because the bad circulation in his leg showed no improvement. However, he reacted: "Here I am in danger of becoming professionally ill, which is something I absolutely do not want to do!" He preferred to return to Portugal, even though what he could do was rather limited.
Never as a tourist
In 1985 he celebrated the Golden Jubilee of his Priesthood, and the confreres wanted to offer him a trip to Mozambique to mark it. "It's true that nostalgia and the urgent longing to go back to the missions do not give me peace. But I cannot accept to go as a tourist. If I go to the missions, it will be to stay, and to die there. If this is the caprice of an old man, I put myself in your hands, dear Fr. General. Obedience will give me certainty, and leave my mind at rest", he wrote.
In 1989 the then Superior General, Fr. Pierli, wrote to him: "Your desire to return to Mozambique is a gift, a sign of the Heart of Christ the Good Shepherd; but the political situation has not calmed down enough in that country. There is still a climate of uncertainty, and it is almost impossible to move from one place to another. As for medical assistance, it is non-existent. I like your idea of proposing daily adoration in the houses that accommodate the elderly Comboni Missionaries, I will have your letter printed in the Bulletin, to put the idea on the table.".
Like Moses
The time came in Mozambique when those who had expelled him were replaced, religious belief could be practised freely, and social life began to pick up an even tenor. So the way was open for Fr. Ferrero's return, except for the matter of his health.
But if a missionary wants to die in his chosen land, who should stop him? Would it not be a truly prophetic gesture? Fr. David Glenday, successor of Fr. Pierli, took this view, and accepted the umpteenth request of the old missionary, who had written: "It is said that the lion, when it feels death is near, tries to get back to its lair. Well, I would like to be the old lion; and my lair is Africa!"
"Your option has been received with admiration both in Portugal and in Mozambique, and even by the General Council; so from 1st January 1994 you will belong to the Mozambique Province. We wish you multos annos to stay alongside the Mozambicans with your testimony of faithful love for God's People." In August 1993 Fr. Ferrero was already back. He went to Matola to help the mission work in any way he could, especially - given his venerable age - to practise what the Lord had said to Moses in his later years: "You must stand before my face to intercede for my People."
In his letters written during this period, the father expresses his joy that evangelization had started up again so strongly in Mozambique (in fact, it had never really stopped, even at the height of the persecution), and above all his satisfaction at seeing the number of vocations coming from that community, and his enthusiasm at being able to give a hand in their formation.
He wrote to the General on 30 October 1993: "Yesterday the communities of Matola and Maputo joined to celebrate my 85th birthday. The Provincial read out the letter you were so kind as to send me. It gave me peace of mind, because I still felt that I had rather run away from Portugal. I needed a change after 14 years, and since there seems to be no rotation for the old men, I took the initiative to roll somewhere else. Maybe it seems stupid to return to Africa at 85, but... `Africa or Death'? Well, now it is `Africa AND Death' for me. I am here to offer my life to the Lord for the growth of this Church, and so that Mozambique may continue to live in peace."
At Matola there was now a seminary for Philosophy, with 180 students, and a postulancy. In the same letter, he says how happy he is to live for others, because "whoever does not live to serve does not deserve to live..." In once of his last letters, we read: "I am a contemplative here in Matola, waiting for the final call, thinking back over my long life. How wonderful is the missionary ideal! If I could have my life over again, I would follow the same path!"
Missionary Animation
Fr. Ferrero was a missionary who involved his home Church in the missionary endeavour. He was very close to his birthplace, Fossano, and the convent in Via Annunziata. Mother Mariancilla Vinco wrote an article for La Fedeltà that illustrates the effect of his efforts:
"Dear Fr. Giorgio, we met when we were young, full of the fervour of our missionary ideal. In 1934 we were at Cesiolo as Novices - Sr. Michelangela and I. A missionary arrives and wants to greet us. It is Fr. Ferrero, who studied in the seminary at Fossano, then joined the Comboni Missionaries and is now leaving for the missions. He even has a beard - in those days, to be a missionary, you had to have a beard!!
Twenty years of silence. Then, one day in Cairo, a tired, sick missionary comes into church, and kneels at the altar to serve the chaplain's Mass. He can hardly stay upright. I call to him: "Listen, sit down and have a strong coffee; the Sisters will see to the Mass!" Then I recognise him: Fr. Ferrero! He is on his way to Italy for rest and recuperation before returning to Mozambique, where he will be appointed Provincial.
Year later he celebrates his 50 years of Priesthood in Italy. he says, . He wants to get back to the missions and die there. And he gets his wish. He spends his time praying and hearing Confessions. A few days later a photo arrives for one of his nephews. He writes that he is old and close to heaven. I write a few lines, joking that he looks young and strong: no glasses, hair only grey, upright stance...
Maybe he did not receive it. Today, news arrived of his death. Dear Fr. George, you were fiery, a true son of Comboni, with apostolic zeal shining from every pore. With you, the list of Comboni saints has become longer. You loved our convent very much. Pray for us and for your seminary. Obtain for us the grace to be like you, at least a bit, so as to win over many souls, as you did."
In his latter years the father had carried on an intense dialogue with "Sapere dividere", the newsletter of the Diocesan Missionary Centre, and with Caritas. He felt that he was still part of the missionary spirit of his diocese of Fossano. And since he had been in the diocesan seminary for ten years, he knew a good number of the older priests, and kept in close touch with them.
All this was good for the missions and for souls. Fr. Giorgio always felt that he was sent out as a representative of his local Church. Here are some thoughts from one of his last letters to his home parish of Our Lady of Loreto:
" `In my old age, to not abandon me, Lord' we pray in one of the psalms. A proof that the Lord is not forgetting me is your spiritual and material support - I received your generous donation the other day.
A few days ago, in the chapel where I spend a great deal of my time, I had an interior urge to write my goodbye to the world. Sitting at my little altar, I wrote three pages in the copy book I use as a diary. My goodbye to Portugal, where I spent 20 years, to the Sudan where I evangelised for 12 years, to Italy, where I lived for 30 years of my life. And a special goodbye to my birthplace where I was baptised, and to the seminary of Fossano to my nieces and nephews and their children...
I will stay here in Mozambique, where I have spent all the other years of my life, hoping to be buried under the baobab I selected some time ago. As I wrote, I began to feel sad; but then I thought of the words of the hymn that say I will go to see Our Lady one day - and thinking about Heaven I saw all of you reunited like a great family around God the Father. Life does not end; it is transformed, and a better existence awaits us."
The tree is known by its fruits
Fr. Ferrero lived the life of the Institute with intensity, as his many letters to the Superior General show. They contain advice that is the fruit of his experience and of his love for Africa and the Mission, and of his intense faith. At a concelebrated Mass during a visit by Fr. General, he prayed that "Fr. General may provide the necessary personnel to fill our houses and give vigour to our missionary service".
In answering the pre-Chapter questionnaire, he admitted that he could not answer many of the questions, but stressed the values to be kept in mind by the Chapter. Fr. General mentioned them at a Mass celebrated with the Precapitular Commission, commenting: "If we judge a tree by its fruits, then I think we will have to pay special attention to the recommendations of Fr. Ferrero". Here are a few:
"At the age of 50, Comboni said What should I say, since I'm almost twice that age? From your documents I see you are anxious about the elderly. It annoys me a bit. Let them die in peace where they have worked, and don't park them - as Milani says - where they are given so much, they only want more. An old man is sometimes capricious - rebugento as the Portuguese say. My prayer is this:
It is useless to talk about contemplative life, because the whole existence of an old man should be contemplation and prayer; this is how, like Mary, we generate Christ in souls.
As for continental and intercontinental assemblies, I say - a bit maliciously - that Comboni Missionaries today are tourists of a kind. That is why they have to be parked when they are old, after all that travelling!
And now I am off to concelebrate with the community. Introibo ad altare Dei, ad Deum qui laetificat iuventutem meam. Yes, I still feel young, and since they put my eyes right in Johannesburg in 1994, thank God, I will soon be able to see Jesus and Comboni quite clearly, face to face. Quando poderei ver a face do meus Deus? I have an intense desire to do so!
Prayer at the closing of a missionary life
Just before his final illness, the father wrote a prayer he called "Prayer at the sunset of a missionary life". It contains the feelings of his heart.
O Mary, at the sunset of my life, help me to thank the Lord for all the graces he has granted me. Obtain for me the certainty that my sins are forgiven, that my sufferings and loneliness, along with my feeling of unworthiness, are a reparation that give meaning to my life.
Help me to do what my strength permits, always, and to everybody, to offer a smile of gratitude, of encouragement and of trust. Grant that I may accept the world as it is, and my days as they come. Give me love and understanding towards those who are around me.
Preserve me from selfish attitudes, from sadness and bad temper, from useless complaining, from disturbing memories.
Give me a sure hope, love that lasts in the Lord, who is waiting to stretch out his hand to me, to clasp me to his heart, to bring me into his eternal glory."
The last pioneer
The circulation in his legs, especially the right, was almost non-existent. On 23 May 1997, after he was examined by a doctor in Maputo, it was decided to drive him to Johannesburg in South Africa, to go into hospital. He left the same day, accompanied by Fr. Giacomo Palagi and Bro. Abilio, a member of his community. Confreres in Johannesburg had made arrangements, so he was admitted straight to hospital when he got there.
He had two operations: the first, on 4 June, attempted to put in a by-pass, to save the leg. Three days later there were clear signs of gangrene, and it was realised that amputation would be necessary. Fr. Giorgio gave his consent, and the operation took place on 11 June.
The next day the Provincial arrived from Mozambique, to be with Fr. Giorgio and take stock of the situation. On Sunday, 15 June, he was talking quietly to his visitors, who were quite numerous, and confreres in S. Africa also came along to see him. Towards evening he began to feel a lot of pain, and was laid on his bed, and then taken into intensive care. On the 16th there were signs of heart failure. Early in the afternoon he received the Anointing of the Sick once more, and quietly passed away. At his bedside were his Provincial, Fr. Jeremias dos Santos, Bro. Abilio Pasqual and Fr. Enrico Redaelli.
"He died serenely," says the Provincial. "His face was peaceful, like someone resting. He had made no complaint, either before or after the amputation, but remained his serene and cheerful self. All he talked about was his return to Mozambique, where he hoped to die and be buried under a big baobab he himself had planted years before." Respecting his wishes, his body was taken back to Mozambique, but was buried in the cemetery in the capital, Maputo, alongside many other missionaries who had given their lives for the evangelization of Africa.
The Cardinal Archbishop of Maputo was at the Requiem celebrated on 20 June, with the Apostolic Nuncio, another Bishop who had known Fr. Giorgio, missionary men and women, diocesan clergy and religious and a great number of people.
Fr. Ferrero died barely 10 days after Fr. Busi, thus depriving Mozambique of two pioneers in a short time. Let us pray that their place may be taken by new missionary vocations with the same determination and fidelity.
He himself had written, not long before his death: "I am here to ask the Lord of the harvest, through Mary, to send many holy missionaries; and that the young missionaries may not lose the enthusiasm that drove Comboni." We can be sure that in heaven he is interceding for this, along with Comboni and many others.