In Pace Christi

Molti ricordano fr. Spreafico nel giorno del funerale di suo fratello p. Emilio, morto il 24 ottobre 1977. Si era nella cappella di Casa Madre. Dopo l'omelia del celebrante, fr. Francesco andò sulla balaustra e cominciò rimproverare suo fratello che, trovandosi nella cassa, non poteva ovviamente ribattere.

"Eravamo dieci fratelli, eravamo poveri contadini con campi in affitto e tu, Emilio, sei voluto andare in seminario per diventare prete. Anch'io volevo andarci, ma non c'erano i soldi della retta per tutti e due, per cui uno doveva stare a casa e lavorare il doppio per mantenere l'altro.

Lavorare è toccato a me, il penultimo della squadra, che ha fatto solo la terza elementare; studiare è toccato a te. E intanto gli anni passavano per cui, ad un certo punto, per consacrarmi al Signore, ho dovuto attendere che tu abbandonassi il seminario ed entrassi tra i Comboniani, dove non c'era più la retta da pagare. Io, però, ho potuto solo farmi fratello e tu, per consolarmi, mi hai detto:

'Tu, Francesco, farai le chiese e io le riempirò di cristiani; tu farai gli altari e io celebrerò la messa, tu diventerai il mio braccio destro nella conversione dei Neri'. Scarsa consolazione che non ti ho mai perdonato".

Il discorso si protrasse a lungo tra la commozione generale. Alla fine della mesta cerimonia, qualcuno che era stato con loro in missione ha commentato: "Quei due hanno sempre litigato in vita, dovevano litigare anche in morte".

E' vero, erano due caratteri focosi, dotati di forte personalità per cui, quando non condividevano le idee se lo dicevano senza tanti sottintesi. Tra fratelli certe licenze erano permesse.

La fuga

Il papà Annibale, e la mamma, Gironi Maria, erano profondamente cristiani e devotissimi della Madonna. Il santo rosario non è mai mancato, neanche un giorno, nella loro povera casa. Da qui la grande devozione alla Madonna che caratterizzò l'attività missionaria di p. Emilio e di fr. Francesco.

Francesco, Cichìn per i familiari, da piccolo era estroverso, vivace e alquanto autoritario. Aiutava il papà in campagna, dato che i fratelli maggiori andavano a lavorare in un cementificio a Calusco d'Adda presso Bergamo.

Accudiva le mucche cantando le canzoni che aveva imparato in chiesa. Il suo giorno più caro era la domenica perché poteva frequentare la chiesa. Era solito dire che alla domenica "si sentiva grande" perché poteva parlare col Signore presente nel tabernacolo.

Leggeva moltissimo riviste e libri missionari, specialmente d'inverno durante i lunghi "filò" nella stalla. E i presenti dovevano ascoltarlo.

La sua partenza per il noviziato, a 19 anni (23 agosto 1927), aveva costituito un gran dispiacere per il papà che, di Francesco, aveva effettivamente bisogno, anche perché soffriva molto a una gamba. Ma poi il sant'uomo si rassegnò al volere del Signore. Si rassegnò quando Francesco era già fuggito di casa "per seguire la chiamata del Signore, perché bisogna obbedire prima a Dio e poi agli uomini". Parola di Dio ma che ben s'intona con lo stile e il temperamento di fr. Francesco.

Dopo dieci giorni dalla sua entrata, arrivò anche la lettera col consenso scritta dai genitori: "Stanchi delle suppliche e delle insistenze, addolorati, diamo il consenso affinché nostro figlio Francesco vada dove il Signore lo chiama. Crescenzago 2 settembre 1927".

In seguito anche la figlia, suor Stefania (oggi missionaria in Egitto), volle entrare tra le Pie Madri della Nigrizia.

Lotta continua

Francesco era entrato in noviziato a Venegono giusto in tempo per assistere alla professione religiosa del fratello Emilio (che professò in quel 1927).

S'impegnò a fondo soprattutto per vincere il suo temperamento focoso, quasi irascibile, che lo caratterizzava e che lo fece tribolare fino alla morte.

Non vi riuscì, ma la buona volontà ce la mise tutta, ed è appunto questa che conta davanti al Signore.

Fece la professione l'8 dicembre 1929, solennità dell'Immacolata Concezione "di cui è devotissimo - scrisse il p. maestro - e proprio per questa devozione se la caverà e sarà anzi un bravo missionario sempre nella lotta continua contro i suoi difetti".

Falegname

Durante il noviziato aveva fatto pratica come falegname e come muratore. Riuscì meglio in quest'ultimo mestiere. Ma ecco che, appena fatti i Voti, fu inviato a Verona e poi a Brescia (1929-1933) come falegname.

Era un terremoto, ma quando scoccava l'ora delle pratiche di pietà, fr. Spreafico era il primo. "Sono un peccatore - diceva riferendosi al suo carattere - devo andare a chiedere perdono al Padre eterno".

"Ma non ti converti mai!", gli disse un giorno un confratello.

"Si vede che il Signore vuole mantenermi in umiltà", si giustificò.

Il 14 luglio 1929 suo fratello, p. Emilio, venne ordinato sacerdote. Fu una festa per tutti, anche se a Francesco l'avvenimento rinnovò l'amarezza mai sopita nel cuore.

In Africa con la cazzuola

Nel marzo del 1934 era a Loa nel Sudan meridionale. Era il tempo delle grandi costruzioni e Spreafico, che aveva la forza di un torello, ci diede dentro con entusiasmo.

Dopo le prime esperienze come "datore di lavoro agli operai africani", cominciò a scalpitare perché i suoi collaboratori non riuscivano a mantenere il suo ritmo, eppure faceva il proposito di essere paziente tutte le mattine.

Una lettera scritta nel settembre del 1935 ci dà il "la" della vita di fr. Spreafico: "In questi quasi due anni di vita di missione, di grandi difficoltà non ne ho trovate. Io sto benissimo di anima e di corpo. Anche p. Baj e p. Simonelli stanno benissimo e andiamo d'accordo che è un piacere. Non avrei mai pensato che la vita missionaria fosse così bella e piena di intimità.

Come lavoro ne ho da vendere, perché fervono i preparativi per la nuova chiesa. Spero che lei, p. generale, mi mandi un bravo muratore ad aiutarmi o meglio, a fabbricare la chiesa perché io di muratura ne so ben poco...".

P. Baj aggiunse: "Tutto è andato bene. Noto nel fratello sodezza di pietà, amore al lavoro, passione per il bene della missione. Con l'aiuto di Dio eseguirà bene il suo compito".

Quando tutto andava per il meglio, fr. Spreafico dovette tornare in Italia. I documenti non ci danno una spiegazione di questo rientro dopo solo quattro anni di missione, dato che a quel tempo si lasciavano trascorrere anche 10 o 15 anni prima di rientrare in patria.

La guerra e poi in Africa

Venegono, Verona, Thiene, Crema, Bologna furono le case dove passò il nostro Fratello dedicandosi a tutti quei lavori di cui c'era bisogno.

Quando la Casa Madre venne occupata dai tedeschi, il fratello era presente, e anche quando cominciarono i bombardamenti americani sopra la città.

Per lungo tempo fu ricordato il coraggio e la generosità di Spreafico che sfidò le bombe che piovevano dal cielo per soccorrere i feriti e toglierli dalle macerie.

Nel 1946 fu uno dei primi a ritornare in missione, dopo il periodo della guerra che aveva bloccato i mari.

Per 9 anni, fino al 1955, fu a Lerwa, Isoke, Okaru, Talì sempre lavorando con il suo stile. E' rimasta famosa, tra le sue opere, la strada che scavò nella montagna per raggiungere il seminario di Okaru facendosi aiutare anche dai prigionieri. Fu un lavoro che egli definì, un po' pomposamente, "titanico".

Nel corso dei lavori dovette stanare un pitone che aveva preso come sua dimora il crepaccio di una roccia e che gli africani veneravano come il loro totem.

La dinamite ebbe la meglio sul rettile e i temuti fulmini dall'alto furono attesi invano. Il gesto, oltre che liberare la strada da un incomodo abitatore, costituì un'ottima lezione di catechesi contro le superstizioni.

Dal 1955 al 1958 il Fratello fu nuovamente in Italia (Rebbio e Roma) e nel 1958 raggiunse suo fratello p. Emilio ad Anaka in Uganda e rimase con lui circa due anni.

P. Emilio impose al fratello di costruire cappelle nei villaggi, mentre la missione era costituita dalla piccola vecchia casetta dove alloggiava il padre durante i safari. Francesco voleva sistemare anche l'abitazione dei missionari, ma non ci fu niente da fare. Altro motivo di battibeccho era il comportamento del Padre nei confronti dei catechisti e dei maestri, con i quali era generoso, mentre per le vettovaglie dei missionari era sempre venerdì santo. Francesco, che lavorava come un asino, citava il noto passo della Scrittura del bue che lavora. Ma il fratello sacerdote non si lasciava commuovere.

 "Abbiamo il frigo - protestava Francesco - ma dentro c'è solo acqua fresca". Dopo due anni di difficile convivenza si separarono.

Passò ad Aber e ad Aboke dal 1960 al 1963 e poi fu chiamato a Roma a sistemare il giardino della Curia presso l'Eur. Vi rimase fino al 1965 per passare poi a Gordola e a Verona e nuovamente Roma fino al 1970.

Dal 1970 al 1975 fu a Gulu e dal 1976 al 1978 a Verona come addetto al parco.

Siccome c'era anche p. Cesare Pellegrini che faceva lo stesso mestiere e tra i due c'erano diversità di vedute in quanto uno si basava sulla pratica contadina, l'altro sulla teoria studiata sui libri specializzati, il superiore credette bene di dividere la proprietà. A Pellegrini il giardino davanti al monumento di san Giuseppe con annessi, a Spreafico il parco attorno al monumento.

La gara tra i due "specialisti" era motivo di allegre risate per i membri della comunità i quali, ora andavano da uno a parlar male del lavoro dell'altro, e poi facevano altrettanto col secondo provocando amene scenette.

Scrittore e contestatore

Fr. Spreafico aveva una certa propensione allo scrivere e, curandosi in questo settore durante gli anni di formazione, riuscì a scrivere bene.

Nigrizia pubblicò alcuni suoi articoli che già nel titolo esprimono, più che la realtà del fatto, la personalità dello scrivente. "Contrabbandieri eroici e la medaglia della Madonna", scrisse nel 1941. "Sulla via degli schiavi" e "In cerca del ponte di Dio e della valle della morte", e poi ancora "Apostolato del Fratello coadiutore" nel 1942. "La torre di Babele nella tradizione dei Madi" nel 1944.

Il Piccolo Missionario fu anche più generoso nel pubblicare le avventure di fr. Francesco, lavoratore instancabile, cacciatore spericolato "ma solo per le necessità alimentari delle missioni e non per sport".

Inoltre il Fratello ha lasciato altri scritti che sono rimasti tali e che rispecchiano il suo desiderio di far conoscere la vita missionaria. In genere i suoi lavori sono caratterizzati da entusiasmo, ottimismo, concretezza per le cose e idealità per i principi.

Date le nuove direttive della Redazione del Bollettino, che chiede necrologi più brevi, siamo costretti a soprassedere a tante avventure che resero veramente eclatante la vita missionaria di questo confratello.

Un altro aspetto di fr. Spreafico è la sua contestazione in difesa del ruolo del fratello. Sosteneva che i fratelli coadiutori "dovevano emanciparsi, che non erano un'appendice economica dell'Istituto, che non sono dei deportati perché cambiati da un posto all'altro, che dovevano avere la loro voce attiva in congregazione".

Diceva queste cose all'inizio degli anni Cinquanta quando la contestazione era inimmaginabile.

Qualche decennio prima di morire fece un'altra contestazione a proposito dei fratelli. Gli pareva che, dedicandosi agli studi teologici, i futuri fratelli non riuscissero né teologi né lavoratori. E questo gli bruciava.

La quattordicesima stazione

Una dolorosa forma di artrosi alle gambe si manifestò abbastanza presto. Ma l'indomito lavoratore non mollava. Zoppicando, spingeva ancora la carriola e maneggiava la zappa. Pareva che nel lavoro trovasse un po' di conforto ai suoi dolori.

Considerandosi ammalato ma ancora abile, nel 1978 andò a Gordola come addetto all'orto. Vi rimase fino al 1984 intensificando la sua preghiera e servendo i confratelli aiutandoli in mille modi.

In una lettera del 1981, scritta a p. Marchetti, svela un pochino il suo animo delicato e sensibile e anche la sua spiritualità.

"Arrivato ormai a quella che io chiamo la quattordicesima stazione della mia via crucis, mi permetto di venire a disturbarla con questo mio scritto per dirle che io le sono vicino con il mio affetto e con la mia comprensione per il grave e delicato compito che la Provvidenza le ha affidato (era p. spirituale nel Collegio di Propaganda Fide n.d.r.).

Perciò le assicuro che lei è entrato nel numero dei miei 'carissimi' per il quali prego e soffro in modo tutto particolare.

Lo Spirito Santo le dia tutta quella luce di cui ha bisogno per essere guida sicura a quelle anime giovanili che provengono da tutte le parti del mondo e che un domani saranno le guide dei loro fratelli.

La Vergine Madre, che formò il corpo fisico di Cristo salvatore, l'aiuti con la sua materna protezione e consiglio.

Venendo a me, mi permetto di farle sapere che prima di lasciare Arco ho voluto far visitare il mio ginocchio dal professore Furioli di Malcesine. Mi ha detto che il mio è un ginocchio perso. Data la mia età non è neanche possibile una protesi.

Quindi, dato l'esito negativo dell'operazione di tre anni fa che mi ha bloccato il ginocchio, ho deciso di tenere questa mia gamba destra come una miniera di uranio per fare la bomba atomica spirituale, in modo da poter vivere con la mia preghiera potenziata dalla sofferenza. Naturalmente i miei 'carissimi' sono nel mirino dei miei bersagli preferiti.

Maria coma razzo vettore, il sangue di Cristo come potenza atomica e le mie preghiere e sofferenze come detonatore. Ecco il mio missile intercontinentale che rende ancora utile la mia esistenza mettendo le ali al mio spirito, ora che con gran fatica riesco a camminare per poche centinaia di metri con l'aiuto del bastone".

Poi fa una carrellata sulle varie missioni citando i nomi dei confratelli che lo tengono costantemente informato. Infine aggiunge: "Ho fatto pubblicare sul periodico degli amici della medaglia miracolosa un SOS chiedendo aiuti per tanta povera gente raccolta nei campi profughi".

Insomma, il pensiero della missione e dei missionari non lo abbandonava mai e dava un senso al suo soffrire e uno scopo alla sua preghiera.

Verso la meta

Dal 1984 al 1993 fu ad Arco. Nei primi tempi aveva ancora la forza di muoversi e di fare qualcosa nell'orto. Poi dovette cedere e passare lunghe ore a letto.

A chi lo andava a trovare infondeva coraggio e diceva: "Sono un cavallo azzoppato che riesce solo a pregare e a soffrire".

"E ti pare poco?".

Nel 1993 volle tornare a Verona in Casa Madre dove aveva vissuto gli anni ardenti della sua giovinezza. Forse s'illudeva di riprendere le forze di una volta. Ma troppo tempo era passato e anch'egli era troppo cambiato.

Trascorse al secondo piano, in carrozzina, i suoi ultimi mesi di vita. L'inattività costituì una croce non piccola per un uomo dinamico come lui. Ma il Signore lo stava preparando al grande incontro.

Il Notiziario del dicembre 1993 dice: "Fr. Spreafico Francesco venne ricoverato d'urgenza per scompenso cardiaco in 4^ geriatria a Borgo Trento. Rimessosi bene, ora si trova al CAA".

Prima di morire passò anche attraverso un periodo di sconforto, di depressione. Forse erano gli ultimi tocchi del Signore al suo ardente, irrequieto e fedele operaio.

Nel 1994 ebbe un'occlusione acuta dell'arteria femorale sinistra per una embolia. Fu operato d'urgenza presso la Chirurgia vascolare del Policlinico di Borgo Roma. Ebbe poi edema polmonare per scompenso cardiocircolatorio.

Venne trasferito nell'ospedale geriatrico di Negrar dove fu curato per i problemi cardio-circolatori e per le lesioni provocate dall'ischemia.

Con l'instaurarsi della necrosi profonda dell'arto ammalato, venne decisa l'amputazione. Il decadimento fisico lo portò ad un progressivo aggravamento fino al decesso avvenuto per cedimento cardiocircolatorio.

Dopo i funerali in Casa Madre, fu portato a Rovagnate, suo paese natale per l'ultimo riposo. A giudicare dalla grande folla di gente presente alla messa funebre, si può dire che il Fratello era molto stimato ed amato.

Di lui ci resta il ricordo di un vero fratello che contribuì a costruire la Chiesa con il lavoro indefesso delle proprie mani. Ci resta il suo entusiasmo, il suo ottimismo, il suo amore all'Africa e alla vocazione missionaria. Con i suoi 24 anni di missione e i 40 trascorsi in Italia ci dice che si può essere missionari ovunque il Signore chiami, attraverso il lavoro e attraverso la sofferenza accettata con fede.                    P. Lorenzo Gaiga, mccj

Da Mccj Bulletin n. 184, ottobre 1994, pp. 81-87

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Many remember Bro Spreafico at the funeral of his brother, Fr Emilio, who died on 27th October 1977. It was in the chapel of the Mother House. After the homily, Bro Francesco went up and stood at the altar-rail, and began berating his brother who, from the coffin, was obviously unable to answer back.

"There were ten of us, poor peasants with rented fields, and you, Emilio, wanted to go to the seminary to be a priest. I wanted to go too, but there wasn't enough money to pay the fees for two, so one of us had to stay at home and work double to keep the other.

I was the one who had to work, the last but one of the gang, who managed to finish only three years of primary school. You were the one who studied. Meanwhile the years went by and I had to keep waiting to consecrate myself to the Lord until, one day, you left the seminary and entered the Comboni Missionaries, where there were no fees to pay. But I could only become a Brother, and you, to comfort me, told me:

`Francis, you will build churches and I will fill them with faithful; you will make altars, and I will celebrate Mass on them; you will be my right hand in the conversion of the Africans.' What a comfort! I have never forgiven you!"

He went on in similar vein for a long time, leaving everyone moved. After the funeral ceremony, somebody who had been with them in the Missions said: "Well, they always quarrelled in life; they were bound to quarrel in death too!"

True, they were both fiery characters and strong-willed, so that when they did not agree, they said so in no uncertain terms. Maybe brothers have to be allowed a certain leeway...

Flight

Their father Annibale and their mother, Maria Gironi, were deeply Christian, and devoted to Our Lady. They never missed a day in their poor home without saying the Rosary. This is at the root of the great devotion to Mary that characterised the missionary activity of Fr Emilio and Bro Francesco.

As a boy, Francesco, called `Chichìn' in the family, was an extrovert, lively and a bit bossy. He helped his father in the fields, since his older brothers went to work in the cement factory at Calusco d'Adda near Bergamo.

He looked after the cows, singing the hymns he had learned in church. Sunday, the day he could go to church, was his favourite day. He used to say that on Sundays "he felt big" - because he was able to talk to the Lord present in the tabernacle.

He read a lot of missionary books, especially in Winter, during the long filò in the stable. And the others had to listen to him.

When he left for the Novitiate at the age of 19 (23rd August 1927) his father was upset: he really could have done with Francesco, with the work and his bad leg. But the saintly man soon resigned himself to the will of God. He had done so even when Francesco had run away from home "to follow the call of the Lord, because you have to obey God first, then men!" The Word of the Lord, yes, but very much in keeping with Francesco's style and temperament!

Ten days after his entry, the letter arrived with his parents' written permission: "Worn down by his begging and his insistence, with sorrow, we give our consent for Francesco to go where the Lord is calling him. Crescenzago, 2nd September 1927".

Later their daughter Stefania (at present a missionary in Egypt) asked to join the Pie Madri della Nigrizia.

Continual struggle

Francesco entered the Novitiate at Venegono just in time for his brother Emilio's First Profession (1927).

He worked hard, especially at trying to overcome the fiery and quick-tempered character that marked him and that caused him a lot of anguish right up to his death. He did not succeed, but he really tried, and it is the effort that counts in God's eyes.

He made his first Vows on 8th December 1929, the Solemnity of the Immaculate Conception "towards whom he has a great devotion," wrote the Novice Master, "and because of this he will succeed, and indeed will be a good missionary, always fighting against his defects".

Carpenter

During the Novitiate he had acquired some skill as a carpenter and bricklayer. He was better at the second. But, straight after his profession, he was sent to Verona and later Brescia (1929-1933) as a carpenter.

He was like and earthquake, but when the time came for prayers, Bro Spreafico was first there. "I am a sinner," he used to say, referring to his character, "and I have to go to ask pardon from the Eternal Father."

One day a confrere exclaimed: "You'll never change!" "It's obvious that the Lord wants to keep me humble." was his reply.

Emilio was ordained priest on 14th July 1929. It was a joyful celebration for all, even though it re-awakened the bitterness that never left Francis completely.

In Africa with a trowel

March 1934 found him at Loa in southern Sudan. It was the heyday of building, and Spreafico, strong as a young ox, threw himself into it with enthusiasm.

After some time as "employer of African workers", he began to get impatient because none of them could keep up with his rhythm. But he swore that he would try to keep his patience every morning. A letter written in September 1935 gives the "tone" of the life of Bro Spreafico:

"In the past two years of missionary life, I have not met with great difficulties. I am very fit, in spirit and in body. Fr Baj and Fr Simoncelli are well too, and we get on wonderfully together. I never imagined that missionary life could be so pleasant and full of fellowship.

"I have enough work, and to spare; we are getting ready to build the new church. I hope that you, Fr General, will send a good bricklayer to help me - or rather, to build the church, because I'm not much of a bricklayer myself...

Fr Baj added: "Everything went fine. I see in the brother a solid piety, love of work and a passion for the well-being of the mission. With God's help, he will carry out his duties well."

Just when everything was going smoothly, Bro Spreafico had to return to Italy. There is nothing to explain this return after only four years in the missions, at a time when 10 or 15 years would normally go by before the first home leave.

The War, then back to Africa

Venegono, Verona, Thiene, Crema, Bologna: the houses where Brother served as factotum and general fixer of whatever needed it.

He was in the Mother house when the German soldiers occupied it, and was still in Verona when the Americans began bombing the city. Indeed, he was remembered for a long time for his courage and generosity, ignoring the bombing to go to help the injured and pull people out of the rubble.

He was one of the first to return to the Missions in 1945, after the enforced break - the War had closed the shipping lanes. He spent the next nine years at Lerwa, Isoke, Okaru, Talì, always working in his own manner. One of his masterpieces is well known: the road he cut out of the mountainside to Okaru seminary, enrolling the prisoners in the task. He himself defined it, maybe a bit boastfully, maybe tongue in cheek, as "titanic".

At one point, he had to remove a large python that lived in a cleft in the rocks, and was venerated locally. A stick of dynamite put paid to python, cleft and rock - and lightning did not come from the heavens, as many expected. So one might say that the effect was not only to clear the road, but to give a catechetical lesson about superstitions.

Brother was in Italy once more from 1955-58 (Rebbio and Rome); then he joined his brother Emilio at Anaka (Uganda), where he remained about two years.

Fr Emilio ordered his brother to build chapels in the villages. The mission house was an old, dilapidated little building that the father used only in between safaris. Francesco wanted to improve it, but there was nothing doing! Another cause of arguments was the way Fr Emilio treated the catechists and teachers. He was always very generous with them, while the table of the missionaries was always very meagerly furnished: it was like Good Friday every day. Francesco, who worked like an ox, used to quote the Bible passage about not muzzling the beasts that work. But his priest-brother remained unmoved.

"We have a fridge," Francesco would protest, "and all there is in it is cold water!" After two years of this, the two separated.

Francesco moved to Aber and Aboke, and was called to Rome in 1963 to organise the grounds of the Curia near the EUR. He stayed there until 1965, then went on to Gordola and Verona, and back to Rome until 1970.

At Verona, Fr Cesare Pellegrini was also a gardener, and there was a certain difference of views between the one who had come from the soil and had practical experience, and the one who went by the book, having studied the theory carefully. The superior decided to divide the territory, giving Fr Pellegrini the garden around the statue of St Joseph, and to Bro Spreafico the grounds around the garden!

The rivalry between the two "specialists" gave the others a lot of amusement, which some managed to extend by making disparaging remarks to one about the other, and vice-versa. This led to some rather interesting scenes!

Writer and Agitator

Bro. Spreafico had a certain propensity for writing, and had developed this talent during his years of formation, so could write well. Some of his articles were published in Nigrizia, and the titles themselves show the personality of the writer, even more than the actuality of the content. "Heroic Smugglers and the Medal of Our Lady" is one headline in 1941. "Along the Slave Route"; "Searching for God's Bridge and Death Valley" are two others, but also, in 1942: "The Apostolate of the Lay Brother". In 1944: "The Tower of Babel in Madi Tradition".

Piccolo Missionario used even more of his material, recounting the adventures of Bro Francesco, tireless worker and fearless hunter ("but only to feed the mission, never for pleasure").

He has left a lot of other writings, which show his desire to tell about missionary life. Most of them are characterized by enthusiasm, optimism, realism regarding things, and idealism as regards principles.

Editorial requirements of MCCJ BULLETIN prevent me from going further into the many adventures of this Brother, whose missionary life was full of wonders.

Another aspect, however, was his outspokenness on behalf of the role of the Brother. He maintained - paraphrasing his words - that the Brothers (`coadjutors') should emancipate themselves; that they were not a financial appendage of the Institute; not deportees (in the way they were moved from one place to another); that they should have an active voice in the Congregation.

He said these things in the early Fifties, when this kind of agitation was practically unthinkable.

Later on, he protested again regarding the Brothers. This time, it was because he considered that, by doing theological studies, the future Brothers would turn out to be neither theologians nor workers. And this made him angry.

The Fourteenth Station

A painful form of rheumatoid arthritis began to affect his legs rather badly. But the indomitable worker refused to give way. He limped up and down with his wheelbarrow, and still swung a mean hoe. Work helped him to push the pain to the back of his mind.

Considering himself sick but not helpless, he went to Gordola in 1978 to work in the garden. He remained until 1984. He prayed a lot, and helped the other confreres in many little ways.

In a letter to Fr Marchetti in 1981, he showed a little of his interior sensitivity, and a little of his spirituality, too. "I have reached what I call the fourteenth station of my Way of the Cross, so I am imposing on you with this letter of mine to say that I am close to you with my affection and understanding, in the serious and delicate task that Providence has entrusted to you (Spiritual Director in Propaganda Fide College - Ed.). Therefore I have made you one of my `carissimi', for whom I offer my prayers and sufferings in a special way. May the Holy Spirit grant you all the illumination you need to be a sure guide to all those young souls from every part of the world, who will be guides of their own brothers and sisters in a few years' time.

"May Mother Mary, who formed the physical body of Christ the Saviour, help you with her maternal protection and counsel.

"As for myself, I can inform you that before leaving Arco, I went to Professor Furioli of Malcesine so that he could examine my knee. He said that the knee is gone, and that at my age it is not possible to put in an artificial joint.

"So, since the operation I had three years ago had no positive effect, and only locked the knee, I think I'll keep my right leg as it is, and use it as a uranium mine to make a spiritual atom bomb, with my prayer made stronger by my suffering. Naturally, my `carissimi' are among my favorite targets. With Mary as the rocket and the Blood of Christ as the atomic fuel, and my prayers and sufferings as the detonator, I have an intercontinental missile that makes my existence still of some use, and gives wings to my spirit, now that I have a tremendous struggle to walk just a few hundred yards, with the aid of a stick."

He then gives a run-down of various missions, with the names of the confreres who keep him constantly in touch. Finally, he adds:

"I have had an SOS published in the magazine "Friends of the Miraculous Medal" for all the poor people gathered in the refugee camps."

It is obvious that the thought of the Mission never left him, and gave a meaning to his suffering and a purpose to his prayers.

Towards the goal

He stayed at Arco from 1984 to 1993. At first he was still able to move a bit and potter around in the garden. Then he had to give in, and spent long hours in bed.

He would encourage those who went to see him: "I'm a lame horse, only able to pray and to suffer. But does that seem little to you?"

In 1993 he asked to return to the Mother House in Verona, where he had lived the ardent years of his youth. Perhaps he imagined that he might regain some of the strength of those days. But too many years had gone by, and he himself had changed too much.

The last months of his life were spent on the second floor, in a wheelchair. The inactivity was a tremendous trial for someone like him; but the Lord was preparing him for the great encounter.

The Newsletter of December 1993 says: "Bro Francesco Spreafico was rushed to Borgo Trento hospital with heart failure, and was admitted to Geriatric Ward 4. He recovered well, and is now back in the CAA".

He also went through a period of depression and discouragement: it must have been the Lord putting the final touches to his ardent, restless and faithful labourer.

In 1994 he had a blockage in his left femoral artery, caused by a clot. He underwent emergency surgery in the Polyclinic of Borgo Roma. Then he developed pulmonary edema, caused by his failing heart.

He was transferred to the Geriatric Hospital at Negrar, where he was treated for his heart and circulation problems and for the damage caused to the heart.

With the onset of deep gangrene in his bad leg, it was decided to amputate. However, the rapid physical decline cause a worsening of his condition, until he died finally of heart failure.

Following the funeral in the Mother House, he was taken to his last resting place in his home town of Rovagnate, and judging from the crowds that turned up for the funeral Mass, one can say that Brother was both much respected and much love.

We remember him as a real Brother who contributed to the building up of the Church with the tireless work of his hands. We are left with his enthusiasm, his optimism, his love for Africa and his missionary vocation. With 24 years' service in the missions and 40 spent in Italy, he tells us that it is possible to be a missionary anywhere the Lord calls, both through one's work, and through suffering, accepted in faith.