In Pace Christi

Selis Michele

Selis Michele
Data de nascimento : 20/10/1911
Local de nascimento : Siniscola NU/I
Votos temporários : 07/10/1936
Votos perpétuos : 07/10/1939
Data de ordenação : 22/05/1937
Data da morte : 30/06/1991
Local da morte : Verona/I

P. Selis è sempre stato ricordato da tutti, confratelli ed esterni, come l'uomo dell'amicizia, del facile rapporto umano, del dialogo scorrevole e sdrammatizzante. Ciò contribuì a farsi benvolere da tutti, indistintamente. Essendo, inoltre, un uomo di profonda cultura, specie nel campo religioso, grazie all'assidua lettura dei teologi antichi e moderni, i suoi argomenti erano sempre attuali e interessanti.

Accompagnava il suo dire con svelti gesti delle mani, sottolineando le frasi più significative con un sorriso o con un'espressione di ammirazione a seconda delle circostanze, in modo che l'interlocutore afferrasse il senso del discorso.

Lui, così piccolo di statura e mingherlino, aveva un cuore grande per cui molti, laici e confratelli, si servivano del suo ministero per la confessione. Quest'ultima non si riduceva alla solita filza di peccati buttati giù in quattro e quattr'otto, perché il Padre aiutava il penitente a riflettere, a considerare le cose alla luce della sana dottrina, in modo che quel prezioso sacramento fosse ricevuto con il maggior frutto possibile.

Dal momento dell'accoglienza nella sua stanza al saluto finale - era solito far sedere l'ospite e poi accompagnarlo alla porta - si notava in p. Selis uno straordinario zelo per la salute delle anime, una piena disponibilità verso chi gli si trovava davanti (infatti chiudeva subito o spingeva da parte il libro che stava leggendo) e un grande interesse per quanto gli si andava dicendo.

Per questo suo bel modo di fare, senza fretta, con la massima delicatezza e comprensione verso il penitente al quale dava l'impressione che egli stesso si trovava nella stessa barca, era estremamente ricercato.

Un vescovo secondo il cuore di Dio

Quando il chierico Michele Selis chiese al suo vescovo il permesso di farsi missionario, questi gli rispose con una lettera che fa veramente onore a quel degno successore degli Apostoli:

"Non ho nessun motivo particolare di oppormi. Ho avuto sempre l'opinione che il Signore tante più vocazioni ci manda, quante più gliene diamo. Anche se la diocesi di Nuoro è un vero luogo di missione - senza andare, perciò, in Asia o in Africa - pure confido che il Signore mi manderà qualche buon missionario. Per i nostri luoghi non basta il semplice animo sacerdotale, ci vuole l'animo missionario.

Disponi pure, perciò, le tue cose, che quanto a me non voglio ostacolare in nessun modo la tua vocazione. Continua a pregare perché sempre più il Signore t'illumini". Ti benedico. Giuseppe vescovo.

Il rettore, in data 16 maggio 1934, scrisse: "Attesto con giuramento che Michele Selis, alunno del secondo corso di teologia in detto pontificio seminario maggiore sardo di Cuglieri, Nuoro, nato da legittimo matrimonio, ha per ingegno e carattere le doti morali ed intellettuali che si richiedono da chi entra in religione. Per quanto mi risulta, la famiglia non ha strettamente bisogno di lui.

Il chierico non è stato dimesso dal seminario, ed il suo ecc.mo Vescovo si rassegna a cederlo ad un istituto missionario solo per non ledere il diritto del giovane alla libera scelta del suo stato. P. Alfonso Maria Martin S.J.".

Dalla lettera del vescovo abbiamo visto che le cose non stavano esattamente come il gesuita rettore le dipingeva. Erano altri, e più nobili, i motivi che avevano spinto il vescovo a concedere il permesso al giovane chierico. In un bigliettino, il rettore, tuttavia scrisse: "Confermo che l'Istituto farà un ottimo acquisto nel chierico Selis".

Lettere edificanti

L'ingresso in Congregazione di Selis è accompagnato da una serie di lettere che fotografano l'animo di chi le ha scritte, per cui ci sembra doveroso citarne qualche brano.

"Sempre belle e misteriose sono le vie del Signore il quale, con la sua mano invisibile, ci conduce dove vuole, come vuole e quando vuole. Io non avrei mai creduto che un giorno il Signore mi avrebbe chiamato a far parte della Congregazione dei Figli del Comboni, non avrei mai pensato che un giorno sarei stato missionario della Nigrizia, di quella Nigrizia che faceva esclamare al servo di Dio Daniele Comboni :'O Nigrizia o morte!'.

Sono tanti anni che io sento in me come una voce arcana e misteriosa che mi dice: 'Tu devi farti missionario; devi abbandonare tutto: la tua Sardegna, la tua famiglia, e tutto ciò che hai di più caro. Io lo voglio'.

Questa voce, fattasi sentire in modo vago negli anni giovanili del ginnasio, si è fatta più chiara e imperiosa negli anni del liceo e continua ogni giorno negli anni di teologia".

Più avanti il chierico Selis afferma che fin dal liceo aveva manifestato al rettore e al vescovo la sua idea di farsi missionario, ma trovò sempre una ferma opposizione. Finalmente, quando la sua vocazione fu chiara, acconsentirono. "E mi dissero - prosegue Michele - 'Coraggio, figliolo, è proprio il Signore che ti chiama alle Missioni'. Ma ci vollero tre anni di continue insistenze presso il mio vescovo. Forse voleva provarmi. Ed ora bramo di essere ammesso tra i Figli del Sacro Cuore di Verona, tra questi intrepidi evangelizzatori dell'Africa tenebrosa. Voglia accettarmi, rev.mo Padre, sono tanti anni che aspetto questo giorno fortunato.

Alla mia famiglia non ho ancora manifestato il mio segreto. Tuttavia da essa non ho niente da temere poiché ho già i miei 22 anni e posso, quindi, fare ciò che voglio. Vorrei soltanto separarmi da essa in buona maniera senza far loro sentire troppo violento il distacco" (28 marzo 1934).

"Ho letto e meditato il libretto che mi ha mandato e ho constatato che la Congregazione dei Figli del Sacro Cuore fa per le mie esigenze e per le mie inclinazioni: santificazione personale e salvezza delle anime più abbandonate" (19 aprile 1934).

L'origine della vocazione

Il chierico Selis stesso spiega l'origine della sua vocazione missionaria. "Il primo barlume della mia vocazione trova l'origine in una conversazione con un compagno quand'era ancora in quarta ginnasiale negli ultimi mesi del 1927. Questo mio compagno, che aveva intenzione di farsi domenicano, mi confidò la sua inclinazione e mi descrisse a vivi colori tutta la grandezza dello stato religioso. Lo fece con tanta convinzione che io, da quel giorno, ho sentito delle speciali attrattive verso la vita religiosa. Pregai il Signore che mi facesse conoscere ciò che voleva da me, dichiarandomi pronto ad eseguirlo. Parlai col preside del seminario di Nuoro di questa mia vocazione, ma ne fui dissuaso. Questa è l'origine remota.

L'origine prossima in cui la voce del Signore si fece più manifesta e più esplicita risale al novembre del 1931, quando due chierici del seminario regionale di Cuglieri lasciarono il seminario per andare missionari. Si risvegliò in me il desiderio della vita religiosa e inoltre il pensiero dello stato miserrimo  di tanti popoli che ancora non conoscono Gesù, la scarsità degli operai evangelici, gli inviti insistenti di soccorso da parte degli istituti missionari mi commossero talmente da farmi prendere la decisione di partire. E rivolsi al Signore la bella preghiera: 'Ecce me, mitte me'; la ripetei mille volte e sempre con lo stesso fervore. Il desiderio delle missioni è andato sempre più radicandosi nel mio cuore. La grandezza dello stato religioso-missionario mi conquistava con indicibile attrattiva il cuore. Le missioni del Comboni, che io conoscevo già da anni, si affacciavano alla mia mente e mi sembrava di vedere il luogo dove il Signore mi chiamava e mi collocava. Manifestai sempre ai superiori questi miei desideri e sentimenti, per non cadere in abbagli o in illusioni.

Quanto alla mia vita spirituale le dirò che quanto a carità e obbedienza ho avuto sempre speciale amore e ho cercato in questo di fare sempre dei progressi a costo di tanti sacrifici non esclusi, specie negli anni passati, anche gli scrupoli. Lo zelo per le anime è stato ed è tuttora oggetto delle mie cure. Quanto non posso fare materialmente, cerco di farlo con la preghiera che ogni giorno rivolgo al Signore. Sento, poi, grande amore alla preghiera e allo spirito di perfezione. La purezza ha, per me, una particolarissima attrattiva. Per essa ho sempre avuto grande amore e ho sempre cercato di mantenermi puro nonostante i continui assalti del demonio e della carne. Grazie alla comunione quotidiana e la devozione alla Madonna non ho constatato cadute. Con questo non voglio dire di essere un santo, tutt'altro! Voglio soltanto dirle che ho una volontà risoluta di farmi santo e di acquistare la perfezione per essere un sacerdote esemplare, degno della sua vocazione. In tutto spero nel Signore e da lui aspetto quella forza vitale che è tanto necessaria al sacerdote missionario.

Quanto agli studi posso affermare di riuscire benino, anzi quest'anno frequento il corso accademico di teologia anche se non mi presenterò all'esame di grado. La mia salute, poi, è floridissima come fa testimonianza il certificato del medico del seminario. In Africa certamente ci saranno difficoltà, ma io sono pronto a sopportare tutto nella certezza che quando il Signore vuole una cosa, questa bisogna farla a costo di ogni sacrificio. Tutto si può nel Signore e col Signore. Ho già ingaggiato la lotta con la famiglia. Confido nelle sue preghiere" (19 aprile 1934).

A titolo di cronaca ricordiamo che Selis è stato il primo comboniano uscito dal seminario di Cuglieri. Tra gli ex seminaristi ci fu anche p. Silvio Serri, martire in Uganda.

Il 3 giugno 1934 poteva scrivere: "Aspetto con ansia il giorno in cui potrò lasciare la Sardegna per essere tutto e per sempre Figlio del Sacro Cuore. Il Sacro Cuore illumini la mia famiglia perché capisca cosa vuol dire avere un figlio religioso-missionario. Io mi sento invadere il cuore di gioia al pensiero di aver trionfato nella lotta che ho dovuto sostenere con la famiglia per la mia vocazione. Deo Gratias!

So che la famiglia e i parenti stanno preparandomi un ultimo assalto per le vacanze, ma io sono sicuro di ottenere piena vittoria poiché ho affidato tutto al Sacro Cuore e alla Madonna. Sento già i novizi come fratelli".

Il 27 giugno scriveva: "Sembra che la famiglia abbia mutato sentimenti: sono contenti della mia decisione perché, dicono, non si vogliono opporre alla volontà di Dio".

Il primo luglio 1934 affidava la sua vocazione alla Madonna. 'Quid retribuam Domino?' Io mi affido al Cuore di Gesù e alla cara Madre Celeste. A loro affido tutta la mia vocazione e l'esito di essa. Sono molto, molto contento di fare il mio ingresso nella Congregazione proprio alla vigilia dell'Assunta. I giorni che sto passando in famiglia mi sembrano lunghi e noiosi. Mi occupo dei fanciulli cattolici e degli aspiranti ai quali faccio ogni giorno un po' di catechismo e un po' di canto".

Per non pesare sulla famiglia, Selis ha venduto i libri di scuola e con il ricavato si è pagato il viaggio. Il giorno 14 agosto 1934, come programmato, era a Venegono Superiore.

Gondar-Azozò

Selis fece la vestizione il 28 ottobre 1934. Sorvoliamo il periodo del noviziato e del terzo e quarto anno di teologia, affrontati con fervore ed entusiasmo alle stelle per venire alla professione religiosa temporanea che ebbe luogo il 7 ottobre 1936, e all'ordinazione sacerdotale avvenuta a Milano il 22 maggio 1937.

Le visite al seminario di Cuglieri e al paese costituirono motivo di festa grande, tanto più che con il profumo dell'olio della consacrazione sacerdotale, p. Selis portava anche la notizia che in settembre sarebbe partito per l'Etiopia.

Ed eccolo, dal 1937 al 1943, a Gondar-Azozò insieme al gruppo di Comboniani recatisi in quella nazione un po' come cappellani militari (era il tempo in cui l'Italia di Mussolini andava a cercarsi un posto al sole) e soprattutto come missionari.

I primi sei ad arrivare nell'ottobre del 1936 erano stati i padri Giulio Rizzi, superiore, Leone Zanni, Amleto Accorsi, Giovanni Audisio, Giovanni Giordani e Giovanni Nannetti. "Il Governo italiano concesse loro il trattamento economico di cappellani militari, lasciandoli però liberi di attendere al lavoro apostolico". Questa era la dizione esatta del loro "contratto".

P. Selis, arrivato l'anno seguente, fece parte del gruppo prettamente missionario.

"Arrivammo a Massaua il 18 settembre 1937 - annota il diario. - Il caldo era soffocante. Il giorno dopo partimmo per Asmara. Con mons. Villa andammo a cena dal Governatore. Il 19, di buon mattino, dopo aver preso un po' di caffè, ci mettemmo in viaggio raggiungendo altezze di oltre 3.000 metri. Panorami stupendi... Così fino alle ore 17, con lo stomaco vuoto, sazia solo la mente e il cuore di belle vedute. Era solo un antipasto, perché a Kerker, dove finalmente arrivammo, si pativa letteralmente la fame. E per crudele ironia c'era un'aria così fine che avrebbe fatto venir fame anche ad un morto".

In occasione della festa del Santo Rosario p. Selis rinnovò i Voti temporanei, mentre fr. Antoniazzi emetteva la professione perpetua. La cerimonia ebbe luogo nella chiesetta di pali e fango con tetto in paglia di Kerker. Appena cominciò a masticare l'amarico fu dirottato alla missione di Azozò, a una quindicina di chilometri da Gondar. Ad Azozò non c'erano truppe militari come a Gondar per cui i missionari dovevano affrontare una vita più dura da un punto di vista umano, ma si sentivano più liberi di accostare la gente.

La missione di Azozò dove in un primo tempo il governo italiano voleva costruire la città militare (poi realizzata a Gondar), consisteva in qualche baracca dalla quale si vedevano le stelle, e che poco riparava dal vento, dalla polvere e dalla pioggia. Per preparare il cibo bastavano due sassi all'aperto. Insomma si viveva come in un accampamento. Eppure tra i missionari vigeva una gioia vera, genuina che suppliva largamente all'estrema povertà di cose materiali.

Abbiamo già descritto la situazione religiosa, politica, militare ed economica parlando del martirio di p. De Lai, ucciso a Socotà nel 1941, di fr. Lamberto Agostini che fece il viaggio verso l'Etiopia proprio nel settembre del 1937, insieme a p. Selis, dei pp. Giulio Rizzi, Valentino Sosio e di qualche altro.

P. Selis con la lingua cominciò ad apprendere gli usi, i costumi e la mentalità del nuovo popolo che il Signore gli aveva affidato. Riuscì bene nel lavoro grazie alla sua capacità di stare con la gente e di condividerne le gioie e i dolori. Radunava i ragazzi per insegnare loro il catechismo e, attraverso loro, raggiungeva le famiglie dove c'erano vecchi e malati da visitare.

Fu un maestro anche quanto a dialogo con i copti e i musulmani, cosa niente affatto facile. Egli ascoltava con molto rispetto e umiltà, apprezzava le loro liturgie, gli interminabili digiuni e, in cuor suo, si augurava che arrivasse il giorno in cui avrebbero capito che la vera casa comune è quella che fa capo al successore di Pietro.

Un poco alla volta la gente cominciò ad apprezzare i nuovi venuti soprattutto perché parlavano il linguaggio della carità. I poveri erano tanti e c'era anche qualche lebbroso del quale il Padre si prese cura.

Il 7 ottobre 1939, fece la professione perpetua a Kerker. Nella domanda per i Voti esprime tutta la sua gioia di essere missionario in quella terra di antichissima tradizione cristiana, santificata dalla presenza dei due santi Edesio e Frumenzio, due fanciulli provenienti dalla Siria e fatti schiavi in seguito ad un naufragio dal re dell'Etiopia di cui seppero ben presto conquistare la fiducia. Frumenzio, consacrato vescovo da sant'Atanasio verso il 330, divenne l'evangelizzatore di quelle vaste regioni.

P. Giulio Rizzi, responsabile dei missionari comboniani d'Etiopia, scrisse in calce alla domanda di p. Selis: "Da parte mia il mio voto è ampiamente favorevole".

Il lavoro andava bene ed era ricco di promesse. Ma p. Selis con altri confratelli non vedevano bene la presenza dei militari.

"Mi sa che questo Impero Italiano d'Etiopia, proclamato con tanta pompa il 9 maggio 1936, durerà poco e ci riserverà delle brutte sorprese", si dicevano i missionari.

Il 10 giugno 1940 l'Italia e la Germania dichiararono guerra alla Francia e all'Inghilterra dando così il via, per l'Italia, alla seconda guerra mondiale. All'inizio le battaglie più sanguinose e feroci si ebbero proprio in Africa. E per l'Impero Italiano fu la fine.

Con la guerra i missionari divennero improvvisamente "nemici" degli inglesi e furono fatti prigionieri. Mentre i pp. Rizzi e Di Francesco  furono mandati come prigionieri in Sudan; i pp. Giordani, Grasselli e Imoli in Kenya; p. Giovanni Audisio in India; p. Cremonesi e fr. Bonfanti a Dessiè; p. Treccani ad Addis Abeba; mons. Villa e tutti gli altri, Selis compreso, furono internati a Saganeiti presso Asmara. Essi, dopo la guerra, daranno inizio al Collegio Comboni e alle altre opere. P. Zanni, gravemente ferito a Celgà, fu trasportato in aereo a Milano. P. Selis, dopo un periodo come insegnante ad Adi-Ugri (Asmara), dovette partire per l'Italia dove arrivò nell'agosto del 1943, in piena guerra.

Mozambico

Dal 1943 al 1946 fu a Carraia e a Verona come addetto al ministero. Dal 1946 al 1947 a Roma con lo stesso incarico. Non solo si sentiva portato per il ministero, che comprendeva la predicazione delle giornate missionarie, ma era anche preparato a farlo. Parlava bene, con voce chiara, portando la sua esperienza di missione. I parroci che lo accoglievano nelle loro parrocchie ammiravano il suo zelo e il suo fervore sacerdotale missionario.

Le giornate missionarie erano faticosissime: lunghi viaggi in treno o in bicicletta con la valigia delle buste e dei libri. Alle volte non mancava la pesante macchina per proiezioni in funzione di una efficace animazione missionaria. Disagi, pericoli, fatiche e modestissimi risultati economici data la situazione, erano i compagni inseparabili di tale ministero. In compenso il Signore benediceva con abbondanti frutti spirituali e con vocazioni.

Nel 1947 p. Selis fu inviato a Lisbona, in Portogallo, per apprendere la lingua in vista di una sua prossima partenza per il Mozambico.

I Comboniani avevano ricevuto l'invito ufficiale di andare in Mozambico dalla Santa Sede nel 1946. Verso la metà di maggio del 1947 p. Zambonardi partì dal Cairo per raggiungere il Mozambico. Doveva cercare il posto più adatto alla futura fondazione. Alla fine di luglio di quello stesso anno p. Selis con p. Nannetti e Caselli lasciarono Lisbona. Dopo 43 giorni di navigazione arrivarono in Mozambico.

"P. Zambonardi - scrisse p. Selis - ringiovanito di parecchi anni, attendeva commosso: non era più solo". Inizialmente i missionari si stabilirono a Mossuril. Dal 1949 al 1954 p. Selis fu dirottato a Cabaceira come superiore. Era, questa, una vecchia missione fatiscente che richiese parecchi mesi di lavoro prima di diventare funzionale. Dice il diario: "P. Selis ne prese possesso aprendo subito una scuola ed affidando alle suore dell'Istituto Leone XIII l'elemento femminile. Quella chiesina veramente devota, che per tanti anni era rimasta senza culto, oggi è testimone delle belle funzioni decorate dalle voci delle bambine dell'asilo".

Lavorarono bene i Comboniani in Mozambico. La circoscrizione si estese lungo il litorale per 200 km di lunghezza e 100 di profondità, con 380.000 anime da curare. I cattolici, fra africani ed europei, erano solo 1.500; i musulmani 140.000, il resto era pagano.

I missionari concentrarono il loro lavoro nelle scuole di missione per africani, dato che il governo coloniale portoghese aveva scuole solo per i figli degli europei. Questo fatto in seguito renderà difficoltosa l'entrata di nuovi missionari in Mozambico temendo, il governo, che la loro opera contribuisse all'emancipazione del popolo africano.

I missionari non si persero d'animo e continuarono il loro lavoro non solo nella scuola, ma preparando catechisti, istruendo catecumeni e fondando laboratori di arti e mestieri.

Nel Capitolo del 1959 p. Ferrero, superiore regionale, scrisse: "Le missioni in Mozambico sono solo sei perché il nuovo vescovo non ci permette di aprirne delle altre. Già ci sono otto suore comboniane che lavorano nell'ambito femminile. Le nostre scuole di missione sono 132 con 16.000 alunni".

P. Selis, dopo sei mesi di vacanza in Italia per rimettersi in salute, tornò nuovamente a Cabaceira come superiore. Fu anche a Nacaroa e a Mueria lasciando ovunque un segno della sua attività e del suo zelo missionario. Il lavoro del Padre fu concentrato soprattutto nella scuola senza tuttavia trascurare il ministero fatto di visite alla gente, di incontri con gli anziani e con i giovani, di assistenza ai malati.

A Famalicao e Viseu

Dal 1959 al 1962 fu a Famalicao, come addetto al ministero. Anche lui, come altri confratelli, ebbe la sua piccola lotta per la rivista Nigrizia che, proprio in quegli anni, cominciò a pubblicare servizi contro il colonialismo. Naturalmente anche il Portogallo fu preso di mira. Egli scrisse a p. Battelli, vicario generale della Congregazione: "Come lei sa, io fui il primo  tra i nostri a mettere piede in Portogallo e posso dirle che mi sono sempre trovato bene e che il popolo portoghese ci ha sempre voluto bene e ce ne vuole attualmente. Tra i portoghesi ho tanti cari amici, anche tra persone eminenti. Sono riuscito, tra l'altro, a organizzare un Circolo di cultura cattolica per laureati che mensilmente si radunano per quattro ore di preghiera e per studiare i problemi religiosi. Sono entusiasti di noi e fanno tutto il possibile per venire incontro alle nostre povere risorse economiche. Neanche l'Italia quando eravamo in Abissinia ci ha aiutato come ci aiutano i portoghesi. Inoltre il governo ci lascia lavorare e ci aiuta. Ora, perché Nigrizia, che si dice missionaria, da alcuni mesi dà delle coltellate a sangue freddo, e chissà perché, al Portogallo intero, riferendo notizie incerte, attinte da agenzie di parte? Il giornale 'A VOZ' accusa quanto 'l'organo ufficiale della congregazione' va dicendo. Con quale faccia noi, sorridiamo e chiediamo aiuto a queste gente che insultiamo così pesantemente attribuendo alla gente colpe che, se ci sono e se sono vere, sono di pochi? Ci siamo fatti missionari per salvare le anime, non per fare politica. Chi vuol fare politica vada in parlamento. L'Africa ha bisogno di missionari, non di politici. Di questi ne ha anche troppi...". La lettera prosegue ancora a lungo su questo tono. P. Bartolucci, allora direttore di Nigrizia, salvò la situazione pubblicando degli articoli che mettevano in risalto anche i meriti del popolo lusitano. E tutto finì lì, salvo ricominciare con i direttori che vennero dopo.

Intanto la voglia di missione si faceva strada nel suo animo.

"Reverendissimo p. Generale - scrisse l'8 maggio 1963 da Viseu dove era stato mandato, e dove rimase dal 1963 al 1965 sempre come incaricato del ministero e insegnante nel seminario comboniano - chiedo umilmente di poter ritornare in Mozambico dove il lavoro è sempre più intenso e l'affluenza dei Neri alle missioni continua. Conosco la lingua portoghese e macua, la salute va benino e spero di stare meglio in Mozambico".

"Ammiro i suoi santi desideri ma non deve dirmi che la sua salute è buonina e che spera di star meglio in Mozambico. L'Africa richiede gente robusta e sana. Preghi e mandi offerte per il Mozambico", gli rispose p. Briani, generale.

Coloro che lo hanno avuto come educatore a Viseu hanno un ottimo ricordo di lui per quel suo sapersi fare piccolo con i piccoli, semplice con i semplici. Anche in Portogallo divenne subito ricercato come confessore e direttore delle anime; specialmente i sacerdoti ricorrevano a lui come a uno che sapeva dire la parola giusta.

La lunga giornata a San Tomio

Dal 1965 al 1966 fu a Roma per il Corso di aggiornamento e poi, occorrendo un confessore nella chiesa di San Tomio a Verona, vi fu inviato. Vi rimase fino al 1977.

Nella città scaligera allargò il cerchio delle sue amicizie e conoscenze. Uomo affabile e semplice, accettava volentieri gli inviti ad assistere alle opere in Arena. Ed egli andava proprio sul palco delle autorità, sopra il portale d'ingresso, perché coloro che lo avevano invitato appartenevano a quella categoria.

Il venerdì era il suo giorno libero. Ne approfittava per visitare le famiglie dove c'erano anziani o ammalati che ormai non potevano più recarsi nella chiesa di San Tomio per la confessione e la comunione.

Una volta al mese, immancabilmente, si recava a Negrar per portare il Signore al prof. Stefani (papà del nostro confratello Ferruccio Stefani), uomo benemerito per l'aiuto dato ai Comboniani come chirurgo presso l'ospedale di Lendinara.

La sua visita era attesa perché, con il Signore, portava una ventata di ottimismo, di sana allegria.

Di nuovo in Portogallo

Nel 1977 gli venne fatta la proposta di tornare in Portogallo per diventare rettore del santuario annesso al seminario di Viseu. La morte di p. Zoia aveva lasciato un vuoto che non era stato colmato e la gente cominciò ben presto a diradarsi. Occorreva dar nuova vitalità al ministero delle confessioni e della predicazione.

"Io toto corde accetto, sicuro che questa è la voce del Signore", rispose. E partì con l'entusiasmo di un novellino. Ringraziandolo, p. Agostoni, nuovo generale, sottolineò "la dedizione che ha dimostrato in questi anni nel suo lavoro nella provincia italiana e dell'entusiasmo che ha sempre avuto in un ministero monotono e pesante come quello fatto finora".

Passarono 12 anni, intensissimi, ricchi di frutti spirituali nonostante alcuni attacchi di angina pectoris, la forte diminuzione della vista a un occhio e altri disturbi. Ai vecchi amici dei Comboniani se ne aggiunsero altri, grazie proprio alla sua capacità di approccio con le persone, e ciò tutto a vantaggio, anche materiale, delle nostre opere.

A Verona per passare al Padre

Ma ecco che verso la fine del 1989 dovette tornare a Verona per mettere qualche pezza alla sua salute malandata. Non poté essere operato al cuore causa l'alto rischio che comportava l'operazione stessa. Fu sottoposto a trattamento medico e controlli periodici che resero le sue condizioni accettabili.

Scrivendo a p. Pierli, superiore generale, così si espresse: "Scrivo dalla cappella di Casa Madre, davanti al santo tabernacolo desiderando con ciò di essere illuminato, sincero, e sicuro di quel che dirò. E' la prima volta che le scrivo, perché le mie lettere ai superiori sono state finora rarissime e ciò si deve al mio carattere piuttosto chiuso, almeno in questo campo.

Ho 72 anni di età e 52 di sacerdozio, grazie a Dio. Mi sento un po' acciaccato, anche se tengo tutto in abscondito: vista fiacca (l'occhio sinistro è ormai perso da anni), frequenti attacchi di malaria, tre infarti, fiacchezza generale. Non mi lamento; sono sempre allegro, offro tutto al Signore per i miei peccati e per l'incremento spirituale della Congregazione. In Casa Madre cerco di rendermi utile e faccio tutto quello che l'obbedienza mi chiede di fare. Certo, non faccio più il lavoro intenso di un tempo. E con tutto questo, cosa cerco? Ecco, desidero sapere qual è il mio futuro e che cosa i superiori vogliono che faccia. Nient'altro. Sono disposto a ritornare in Portogallo, in Mozambico oppure restare in Italia. In Italia mi troverei bene in un'attività missionaria di stile profetico e di ministero animatore...".

Col primo gennaio 1990 p. Selis fu assegnato definitivamente alla provincia italiana. Fece ancora ministero, soprattutto celebrando la messa e tenendo un pensiero alla comunità delle Pie Madri in Santa Maria in Organo, recandovisi a piedi ogni mattina e dando qualche volta una mano a San Tomio per le confessioni.

Sostituì p. De Berti come direttore spirituale del Centro ammalati portando avanti questo delicato incarico col suo solito entusiasmo ed esuberanza.

A causa di una ripetuta eruzione cutanea, calo di peso e lombalgia venne ricoverato in geriatria a Borgo Trento da dove, dopo un breve periodo di accertamenti, venne dimesso.

Desiderando chiarire maggiormente il suo male, fu ricoverato in medicina a Negrar per mirate e approfondite indagini; gli venne riscontrato un tumore epatico con metastasi diffuse. Nell'impossibilità di ogni ulteriore trattamento, dato il suo stato generale, fu riportato al Centro malati dove il 30 giugno 1991 improvvisamente e serenamente spirava.

Le esequie furono tenute nella cappella di Casa Madre e la sepoltura ebbe luogo nella tomba stilobate nel cimitero di Verona.

P. Michele Selis ci lascia la testimonianza di un'obbedienza totale, pronta e allegra. Che dal cielo ottenga alla Congregazione tanti missionari della sua tempra.                   P. Lorenzo Gaiga

Da Mccj Bulletin n. 174, aprile 1992, pp. 66-73