In Pace Christi

Zancanaro Augusto

Zancanaro Augusto
Data de nascimento : 12/12/1919
Local de nascimento : Arsiè PD/I
Votos temporários : 07/10/1941
Votos perpétuos : 07/10/1944
Data de ordenação : 29/06/1945
Data da morte : 29/05/1991
Local da morte : Afanya/TGO

Ultimo di otto, 5 maschi e 3 femmine, Augusto era figlio di Giovanni e di Zancanaro Maria. Il papà girava per i paesi del feltrino con un carro trainato dal cavallo trasportando burro, grano e vino per conto d'un parente commerciante. La vita era difficile e ben presto i figli decisero di incamminarsi per la strada già tentata da molti abitanti della zona, quella dell'emigrazione. Partirono per l'Argentina Tarcisio, Ciriaco, Mario; poi le sorelle Antonia, Olga e Imelda; e infine, Mondo. Il papà morì nel 1930, anno in cui Augusto ricevette la cresima - 8novembre - da Mons. Elia Dalla Costa (Arsiè è sotto la diocesi di Padova).Nella vecchia casa, oggi lambita dall'acqua del lago artificiale creatosi con la diga del Corlo (1954), rimasero solo la mamma e Augusto. In America i figli non fecero fortuna- molta fatica ma pochi soldi – per cui la mamma cercò un lavoro come domestica. Augusto manifestò assai presto il desiderio di diventare sacerdote. Per sua fortuna c'era uno zio prete, don Giacomo Zancanaro, parroco di Gorgo di Cartura (Padova)che si impegnò a dargli una mano e gli facilitò l'entrata nel seminario di Bologna quando i superiori di quello di Padova invitarono il ragazzo a interrompere gli studi per motivi di salute.

A Bologna

Terminata la II liceo, Augusto decide di entrare tra i comboniani. Fa domanda di ammissione a P. A. Capovilla, che naturalmente chiede informazioni ai superiori del seminario bolognese. Riceve, com'egli stesso afferma, 'ottime referenze'. Ecco il testo della lettera: "Bologna, 31 luglio 1939. Pontificio Seminario Interdiocesano BenedettoXV. Augusto Zancanaro, per quanto sia padovano, da due anni appartiene alla diocesi di Bologna, che loha accolto per desiderio dello zio sacerdote. Le informazioni forniteci dal seminario minore di Padova furono ottime ed anche noi lo abbiamo esperimentato giovane pio e costumato, sì che fa sperare della vocazione. Come semplice rilievo, noto che è molto impulsivo, ma che fa grandi sforzi per correggersi e certamente, con la buona volontà, arriverà a dominarsi interamente. Circa la famiglia non posso dare minute informazioni: so che è orfano di padre, che ha la mamma presso un parroco di Piemonte, un fratello in America, un altro già alunno del seminario di Padova e che fu consigliato a fare il soldato per provare la vocazione dubbia. Ma non so se egli abbia già terminato tale servizio e se è già tornato in seminario. Il nostro giovane durante le vacanze dimora presso uno zio, che mi pare, dai brevi contatti, buon sacerdote, parroco a Cartura. Le ragioni per cui lo zio sacerdote chiese ed ottenne che il nipote fosse accettato nella diocesi di Bologna, furono queste: i superiori di Padova, in seguito alla visita medica che lo trovò debole e per il numero esuberante delle vocazioni, gli proposero un anno di riposo, senza studiare. Lo zio allora, perché non avesse a ritardare gli studi, pensò di mandarlo a Bologna, dove dal nostro medico fu trovato sano e dove ha sempre goduto salute. Questi motivi furono confermati dallo stesso vescovo di Padova al nostro cardinale. Qualora il giovane venisse accolto nelle Missioni, conviene chiedere il benestare, che non mancherà, all'arcivescovo di Bologna, che ormai lo considera suo". Don Gustavo Serracchioli, Rettore. Anche lo zio scrive alcune righe di appoggio. "Che il nipote Zancanaro Augusto abbia fatto domanda di entrare nell'Istituto delle Missioni Africane mi recò, non glielo nascondo, un dispiacere; ma se il Signore chiama, chino la fronte e accetto il sacrificio. Per informazioni sul nipote, io sarei il meno indicato; ad ogni modo a sua richiesta posso dirle che è di buona condotta. Ha un carattere pronto e vivace. E' disciplinato, dedito alla pietà e premuroso per le opere di apostolato. Affido la sua vocazione alla Bontà divina, da cui attendo il conforto per me, e gli aiuti necessari alla vocazione di missionario per il nipote"(9.8.39). "Sbarazzino ma docile" Entrato in noviziato a Venegono il 3.9.1939, vi emette i primi voti il7.10.1941. E' a Rebbio che fa la professione perpetua (7.10.1944), alla vigilia del suddiaconato. In calce alla domanda per l'ammissione a quest'ordine, P. Capovilla scrive: "Di sentita pietà, di buona capacità e diligenza, buon criterio, costumi illibati, carattere un po’ sbarazzino, ma docile". A Como è ordinato sacerdote il 29.6.45. Nota nel suo diario, la sera stessa: "Sono tutto felice. La funzione è riuscita veramente commovente. L'ho seguita con amore e con commozione forte. E ho pianto più volte. Mio Dio, che grazia!". Dall'agosto seguente fino al luglio del '48 lo troviamo nella scuola apostolica di Trento, come insegnante di latino e matematica. Il 20giugno del '47 muore la mamma. "Alle tre di stamane - scrive - è morta mia madre. Sia fatta la volontà di Dio. Una scossa salutare per il mio spirito perché mi metta con più impegno nella vita spirituale. Non mi sento abbattuto perché spero nella misericordia divina. E' morta di venerdì, è stata sepolta di domenica. Il S. Cuore che ella tanto amava, la Madonna che fin da piccoli ci ha insegnato ad amare, l'avranno accolta fra le loro braccia". Nell'estate del '48 può partire per l'Inghilterra e vi rimane fino a settembre dell'anno seguente. In Sudan, dove arriva nel novembre del '49, l'attende la scuola: dapprima a Port Sudan (nov. '49 - sett.'53), poi a Khartoum, Comboni College, fino al giugno '62. Anni di lavoro intenso, che egli ha così riassunti ai suoi compagni di classe: "Fui lanciato in orbita a Port Sudan, dove passai notti insonni in cerca dell'aria che non c'era, e giornate lunghissime di insegnamento d'inglese 'et omnia' ad una scolaresca mista in tutti i sensi. Me la cavai più o meno bene per vari anni, senza troppe noie da parte di una gioventù già in pieno fermento". Il 14 gennaio del '55 è giorno di grande festa al Comboni College: discorsi, saggi ginnici e canti sottolineano l'importanza di questa istituzione scolastica, frequentata da 800 alunni, di 18 nazionalità, giunta al traguardo dei 25 anni. Nella foto-ricordo che fissa i componenti il corpo accademico, c'è pure P. Augusto. Egli però non si trova a suo agio in quella struttura fatta di molte ore di scuola, correzione di compiti, sorveglianza degli alunni. Anche se al termine del suo servizio il superiore provinciale scriverà: "P. Augusto è buon professore e capace, benché un po’ duro. Retto. Ha doti per la direzione di una scuola, tende un poco alla severità, qualche volta forse eccessiva", c'è qualcosa nel sistema che lui fa fatica ad accettare. E' la crisi del 'rigetto', per cui sono passati alcuni di coloro che la missione l'avevano immaginata diversa, non dietro una cattedra, in un ambiente spesso ostile, in un lavoro per il quale non c'è stata una preparazione specifica. Attraversa momenti di sconforto, che tuttavia supera. Scrive nei propositi che fa durante un corso di esercizi nel '57: "Grande comprensione con i superiori, con i padri, con i ragazzi e con tutte le persone con cui tratterò. La calma, il controllo dei nervi mi farà evitare tanti spiacevoli incidenti".

In Togo

Al suo desiderio di cambiare, i superiori rispondono affermativamente. Dopo un anno come insegnante nella scuola apostolica di Sulmona e un corso di francese a Parigi, parte per il Togo, dove arriva il 21.1.'65. Dal maggio dello stesso anno al giugno del '66 è nella parrocchia della capitale, come coadiutore. In luglio è nominato superiore e parroco di Vogan. Si getta con entusiasmo nelle attività pastorali. "Da quasi quattro anni - scrive nel '69 – mi trovo a Vogan, centro di un movimento feticista organizzato, dove vengono offerti anche sacrifici umani. Contro questi sto alzando la voce in questi giorni e spero, con l'aiuto di Dio, che simile obbrobrio cessi quanto prima, anche a costo della mia vita". A dire il vero, la voce non gli manca. Se la gente gli perdona certe ripassate che non teme di fare anche dal pulpito, è perché lo riconosce onesto, uomo d'una sola parola. Il 17 settembre '69 è nominato rappresentante del Sup. generale. Da Vogan gli scrive (10.11.'69): "Se fosse andata per il peggio ieri avrebbero dovuto fare i miei funerali o almeno dovrei trovarmi all'ospedale con il collo rotto. Venerdi sera, primo venerdì del mese, tornavo alle nove da Akumape, un grosso centro a 20 km da Vogan. Vi ero stato per la messa serale, non avendo alcuna possibilità di celebrare il mattino, e mi ero trattenuto qualche tempo con i cristiani del posto per alcune questioni. Aveva piovuto tuttala giornata e la strada non era in condizioni tanto buone in certi tratti. Andando avevo fatta molta attenzione specie in un punto dove il fango era sdrucciolevole. Al ritorno, disgraziatamente non mi accorsi d'essere arrivato al punto pericoloso, pensando non so a che cosa e la macchina ha cominciato a fare zigzag. Sono andato a finire in una cunetta abbastanza profonda, fracassando il frontale destro della macchina, la ruota destra e il parabrezza. Fortunatamente mi tenni con forza al volante. Dopo uno shock momentaneo, feci marcia indietro per portare la macchina in istrada. Dietro a me sentii voci e vidi degli uomini che stavano spingendo fuori da un campo una camionetta. Anche a loro era capitato un incidente, ma se l'erano cavata con pochi guasti, finendo nel campo. Più tardi arrivarono P. Campochiaro con dei giovani venuti a vedere, a causa del mio ritardo inusuale. Un camion che si trovava a poca distanza e che si era fermato per aiutare l'altra macchina, trasportò la mia auto a Lomé. Scusi se le ho dato tanti dettagli. Devo ringraziare il buon Dio d'esser uscito sano e salvo, con solo qualche graffiatura.... Quanto ai padri che si trovano in Francia per la lingua. Coll'esperienza avuta a Kartoum e qui in Togo, direi che non si abbia sempre una maledetta fretta di far venire in missione dei padri che non sanno sufficientemente la lingua ufficiale del posto. Si faranno compatire, e poi sul posto non faranno nessun progresso, dovendosi mettere a studiare la lingua locale già molto difficile. Quindi si abbia pazienza. Se devono stare in Francia anche cinque o sei mesi, ci stiano, non li si faccia venire dopo due o tre mesi. Altrimenti a che cosa sono valse tutte le parole spese prima del capitolo e durante il capitolo sulla necessità di sapere la lingua ufficiale, nonché quella locale? A proposito di questa, vorrei dire che i reverendi Padri giovani o mezzo-giovani hanno speso molte parole nel criticare i vecchi, ma poi mostrano una fretta matta per mettersi nel lavoro, e la lingua la accantonano; e dopo un anno quasi non hanno il coraggio di fare l'esame per le confessioni e dire la messa nella lingua locale, rischiando così dimettersi in rottura con l'arcivescovo che esige l'uso della lingua locale nella messa. Però il francese, un francese pulito, è indispensabile".

Iniezione

Nella corrispondenza con il Sup. generale torna spesso l'argomento malattie. Dopo aver fatta la lista dei missionari che nel corso dell'anno hanno avuto problemi di salute, conclude: "Il Signore quest'anno ci ha un po’ provati. Ma non vorrei lei dicesse o pensasse che io mi ricordo del P. Generale solo quando si tratta di far rimpatriare i missionari malati, o quando ci si trova in cattive acque finanziarie, o quando si tratta di situazioni delicate. Bisogna bene che anch'io mi uniformi alla gente per bene e che mandi anch'io, sia a nome mio che a nome di tutti i confratelli del Togo, gli auguri più sinceri e filiali di Buon Natale e di Buon Anno" (18.12.'68). Ringraziando P. Briani per un'offerta, scrive: "Debbo esserle veramente grato per una sì buona iniezione endovenosa. Vogan non riceve tante di queste iniezioni ed allora resta un po’anemica; però tira avanti. Siamo riusciti a dare una sacrestia alla chiesa e a mettere a posto, cioè mettere fuori dei piedi, gli altari laterali. Così c'è un po’più di posto. Tanto, la chiesa nuova è di là da venire. Il 26 gennaio fui ricoverato d'urgenza all'ospedale d'Afanya a causa di una puntura alla gamba destra, puntura di non so quale insetto. Vi rimasi 12 giorni bloccato a letto. Poi altri dieci di convalescenza. Anche P. Pazzi è rimasto bloccato per 15 giorni, per la solita infezione alla gamba sinistra ... "(26.2.'69). Al nuovo superiore generale, P. Agostoni, scrive presentando il quadro della delegazione: "Voglia dirci almeno una parola. Se vede che un altro può fare molto meglio di me, non abbia paura di fare il cambio. Io preferisco lavorare nel mio angolo in santa pace ed armonia con me stesso anzitutto e anche con gli altri"(21.12.'70). A Vogan rimane, eccettuata qualche breve interruzione, fino al1981, quando viene nominato parroco a Kodjoviakope. Sarà un altro periodo di notevole impegno pastorale, caratterizzato da un'assidua attenzione alla catechesi e alla formazione cristiana degli adulti. Nell'agosto dell'84 passa in Ghana. Così descrive a un amico questa nuova esperienza: "Dato che conosco l'inglese e l'evè, anche se sono un pò avanzato in età - domani 12 dicembre entro nel 65mo anno – sono stato mandato dai superiori a Sogakope. Dopo 20 anni di Togo, mi è costato un po’, ma sentendomi ancora giovane e in buona salute, ho accettato, evitando così di mettere in difficoltà la Provincia togolese. Per il momento sono solo. La solitudine non è certo piacevole, ma spero che presto venga un Padre che è in Italia. Lui si darà ai progetti che sono da tempo fissati per questa regione e io sarò completamente libero per l'apostolato, che non manca". Purtroppo all'entusiasmo non corrisponde più la salute di un tempo. Gli attacchi di malaria si fanno più frequenti: "La notte è stata pesantissima; a bere continuamente benché non avessi mangiato quasi niente la sera. Le zanzare hanno trovato la via per entrare" (5.11.'84);"Ho avuto un attacco di malaria, da tre giorni. Sono dovuto andare all'ospedale di Weme per un controllo. C'è qualcosa che non funziona nel fegato, e devo lasciare l'alcool"72(25.1.'85). Per un po’ di tempo l'aiuta a combattere lo scarso appetito Fr. Negrin, venuto dal Togo a completare alcuni lavori di muratura, assai abile anche in cucina. Complicazioni dovute a ripetuti attacchi di diabete lo costringono a rientrare in Italia. "Cosa faccio qui?", si chiede appena avverte che le forze sono tornate, e insiste per ripartire. Nell'autunno del '90 è di nuovo in Togo, ad Afanya, dove s'incarica dell'assistenza spirituale ai malati dell'ospedale. "La testa funziona, sono le gambe che mi tradiscono", ripete ogni tanto. In effetti, si sente sempre più debole e il fegato non risponde più alle cure; ma non vuole saperne di ripartire per l'Italia: "Voglio morire ed essere sepolto qui", protesta. E' all'ospedale St. Jean de Dieu d'Afanya, dove è stato ricoverato per l'ennesimo esame, che si è spento serenamente. E' stato sepolto a Vogan, accanto alla tomba dei genitori dell'arcivescovo di Lomé.           P. Neno Contran

Da Mccj Bulletin n. 172, ottobre 1991, pp.67-72