In Pace Christi

Avi Angelo

Avi Angelo
Data de nascimento : 21/02/1916
Local de nascimento : Lases TN/I
Votos temporários : 07/10/1937
Votos perpétuos : 07/10/1943
Data da morte : 24/04/1991
Local da morte : Verona/I

Anticipando le sue vacanze in conseguenza dello stato di estrema debolezza e dimagrimento notevole, arrivava urgentemente a Verona fr. Avi per l'immediato ricovero al reparto Medicina di Negrar. Egli proveniva dalla sede provincializia di Kampala (Uganda) dove svolgeva le mansioni di fratello addetto alla casa.

La vocazione di fr. Angelo Avi ha trovato l'humus per svilupparsi in quell'ampio movimento di animazione missionaria portato avanti nel Trentino fin dall'inizio del secolo da un gruppo di laici tra i quali va ricordato Valeriano Frizzera che lavorò a tale scopo per trent'anni con ottimi risultati e poi fu premiato con la vocazione missionaria di un suo figlio.

Con la fondazione del seminario missionario di Muralta (1926) tale animazione divenne ancor più capillare e, per il settore ragazzi, fu validamente coadiuvata dalla stampa, in particolare dal Piccolo Missionario, fondato nel 1927 da p. Negri, superiore a Trento e animatore di primissima qualità. Non c'è stato paese del Trentino che non abbia visto la presenza di questo missionario zelante, simpatico, vivace ed entusiasta della vocazione missionaria. I segni del suo passaggio non tardarono a farsi notare con una stupenda fioritura di vocazioni. I suoi successori alla direzione della comunità comboniana di Trento, non furono da meno, per cui l'appello missionario era continuo, ben motivato e validamente sostenuto. L'elezione a vescovo di Gulu di mons. Negri non fece che rendere ancora più pressante questo appello.

Angelo Avi, un ragazzo - a detta del suo parroco - generosissimo, un po' ingenuo e di una bontà eccezionale, non poteva sottrarsi agli influssi di questa ondata di animazione missionaria per cui, terminate le elementari, salutò papà Domenico e partì per la scuola apostolica di Muralta. La mamma, Enrica Micheli, era già andata in paradiso e da lassù guidava i passi del figlio per una strada sicura.

Angelo entrò in seminario il 28 settembre 1929 e si mise subito di buona lena ma, dopo qualche mese, si rese conto che lo studio non era per lui. Preferiva dedicarsi ai tanti piccoli lavori che pur occorrevano per dare una mano in casa.

"Mi piace tanto fare il missionario, purché non ci sia da studiare", disse un giorno al superiore.

"Me ne sto accorgendo anch'io - gli rispose - tuttavia non devi impressionarti o pensare che tu non sia chiamato alla vita missionaria. No, no! Il posto per te c'è bello e preparato. Là potrai prepararti per diventare Fratello. E' una vocazione bellissima anche questa, direi più meritoria davanti a Dio di quella dei sacerdoti stessi". E giù a snocciolare una lunga fila di nomi di ottimi missionari che, pur non celebrando messa, evangelizzavano gli Africani con il lavoro delle loro mani.

"Questa è proprio la vocazione che fa per me", concluse Angelo.

Sono contento di essere fratello

P. Simone Zanoner, a proposito del cambiamento di rotta di Avi, ha mandato una interessante testimonianza: "Ogni volta che incontravo fr. Avi mi diceva con grande soddisfazione: 'Sono contento di essere fratello e sento di essere pienamente realizzato nella mia vocazione missionaria. Ti dico questo con riconoscenza perché, se sono diventato fratello, lo devo a te'. E a questo punto raccontava il fatto di quella sera del 1929 a Trento quando, avvicinandomi in un angolo buio del cortile (io ero due anni più avanti di lui), mi confidò che si sentiva spinto a lasciare gli studi ecclesiastici per diventare fratello. Ma qualche compagno, cui aveva confidato la stessa cosa, gli aveva detto che il fratello è una specie di domestico di casa a servizio dei Padri.

'Non credere a chi ti dissuade di diventare fratello - gli risposi - perché la vocazione del fratello è bellissima. E poi ricorda che, stando a ciò che ha detto il Signore, servire è regnare'.

'Cosa diranno i superiori, quando ne parlerò? Forse mi manderanno a casa!', rispose Avi.

'Ti capiranno. Anzi, ti aiuteranno a realizzare la tua vocazione per cui ti troverai contento per tutta la vita'.

Prendendo il coraggio a due mani, andò dal superiore e ne parlò con il risultato che, dopo qualche giorno, partì per Thiene e fu sempre veramente contento".

Rimase a Thiene per cinque anni senza calare neppure di mezzo tono rispetto alla carica di entusiasmo che lo aveva caratterizzato al momento della partenza da casa.

"E' entrato nella nostra scuola apostolica il 15 maggio 1930 - scrisse il superiore di Thiene. - E' di ottima famiglia e gode buona salute. Si è diportato sempre bene. Carattere aperto e franco fino all'ingenuità, ama le pratiche di pietà e il suo lavoro con spirito di attaccamento all'Istituto.

Nei cinque anni che è stato qui ha imparato a fare il falegname e anche il cuoco. Dà piena speranza di riuscita a detta di tutti della casa. Per perfezionarsi nelle virtù, pratica anche la mortificazione. Ha sempre sentito al vivo la sua vocazione e l'ha amata fino all'entusiasmo. Dovrebbe essere uno dei migliori".

Con queste credenziali, Angelo Avi, 19 anni di età, entrava nel noviziato di Venegono. Era il 2 luglio 1935.

I suoi compagni lo ricordano come un gran lavoratore, incapace di dire di no a chicchessia, sempre disponibile e sorridente, e soprattutto di grande preghiera e spirito di carità.

Il p. maestro usò per lui le espressioni più lusinghiere: "E' anche un bell'elemento che tiene alto il morale e viva l'allegria nella comunità", aggiunse.

Il 7 ottobre 1937 emise i primi Voti che egli aveva chiesti con espressioni veramente fervorose.

12 anni di attesa

Subito dopo fu inviato a Padova come "fratello ad omnia". Ciò voleva dire che gran parte del peso dell'andamento della casa gravava sulle sue spalle. Ortolano, idraulico, falegname, spenditore, aiutante in cucina e, all'occorrenza, assistente dei ragazzi. Si direbbe che in quest'ultimo ufficio avrebbe fatto un gran successo perché con i ragazzi ci sapeva veramente fare. Quanto ad entusiasmo, allegria e giovialità era uno di loro, anche se in lui si aggiungeva la maturità e l'esperienza dell'adulto. Sapeva inventare giochi e raccontare belle storie con il suo parlare sciolto e interessante. Egli scherzosamente scrisse: "Fui per nove anni sguattero a Padova".

I ragazzi gli ricambiavano il bene che lui nutriva per loro. Quando avevano bisogno di qualche cosa, fosse pure aggiustare la palla bucata, sapevano che Avi era sempre pronto a trovare il rimedio giusto e non diceva mai: "Adesso non ho tempo", ma lasciava tutto per accontentarli.

Intanto scoppiò la guerra e la casa comboniana, abbastanza vicina alla stazione ferroviaria, passò dei momenti piuttosto brutti. Fortunatamente si trattò solamente di paura.

Nel 1946 i superiori inviarono il Fratello a Londra, sia per imparare la lingua in vista di un più qualificato servizio in missione, sia per fare l'economo nella casa provincializia. Durante i duri anni di Padova, duri per via della guerra, il Fratello aveva imparato ad amministrare molto bene i pochi soldi che c'erano in cassa in modo da farli bastare per le notevoli necessità che una grossa comunità richiedeva. Lavorò così bene, che rimase a Londra per tre anni, dal 1946 al 1949.

Intanto le vie dell'Africa si erano aperte. Già molti confratelli erano partiti per sostituire coloro che avevano provato l'isolamento e i disagi della guerra in una terra chiusa per anni sia quanto ad aiuti, sia quanto a personale. Così arrivò anche l'ora tanto desiderata da fr. Angelo.

A Kalongo

Nel 1949 approdò alla missione di Kalongo in Uganda. Fondata dai padri Fiocco Angelo, Giuseppe Calegari e fr. Luigi Calderola nel 1934 tra gli Acioli, fu duramente provata nei suoi inizi, sia per la perdita simultanea di due giovani missionari, il p. Arturo Chiozza e sr. Lucidia Vidali, sia per l'isolamento in cui venne a trovarsi a causa di un'immensa palude che per parecchi mesi all'anno isolava la missione dal resto del mondo. Costruito poi un terrapieno, anche questo centro riprese vita e si sviluppò arricchendosi, nel 1943, di un modesto dispensario portato avanti dalla suora comboniana Eletta Mantiero.

Nel 1949, proprio con l'aiuto di fr. Avi, questo ambulatorio improvvisato si trasferì in un nuovo grande dispensario cui fu aggiunto, l'anno seguente, il reparto maternità.

La fama di Kalongo si diffuse presto ovunque e andavano a farsi curare da sr. Eletta ammalati da Lira, Kitgum, Gulu, Soroti e Mbale. Si dovette organizzare un servizio di corriere per trasportare gli ammalati a Kalongo.

S'imponeva, quindi, un grande ospedale generale ed il progetto poté essere realizzato grazie al dinamismo e allo spirito di iniziativa dell'allora superiore di Kalongo, p. Alfredo Malandra, assecondato in quest'opera umanitaria da valenti medici, quali il comboniano p. Giuseppe Ambrosoli, primario dell'ospedale, il dottor Pietro Tozzi ed il dottor don Palmiro Donini.

Quando poi all'ospedale fu aggiunta la scuola per infermiere e ostetriche, arrivarono a Kalongo anche le dottoresse Mc Shane e Doeg. Nel decennio 1952-1962 ben 8.061 cittadini ugandesi nacquero nel reparto maternità dell'ospedale di Kalongo.

Questo periodo di enorme espansione dell'ospedale, coincise con la presenza di fr. Avi. Ognuno può immaginare quanto abbia avuto da lavorare. Con il grosso camion per il trasporto di materiale percorreva quelle piste sempre accompagnato da alcuni africani che lo aiutavano per le operazioni di carico e scarico.

A Kalongo c'era anche la scuola tecnica. Avi ebbe l'incarico di gestirla. Cosa che fece dimostrando una grande competenza e un'altrettanto notevole capacità di entrare in dialogo con i giovani che la frequentavano.

"Avi non era solo l'istruttore - ha detto un confratello - era anche il missionario che tra una dimostrazione e l'altra di come si lavorava, si eseguiva un disegno, si tracciava un progetto, sapeva dire la parola giusta che contribuiva a formare l'uomo".

P. Ambrosoli disse di lui: "Avi era un vero amico, oltre che confratello, pareva che avesse un intuito particolare per prevenire i desideri e per capire le necessità degli altri. Senza che alcuno glieli esprimesse, egli si dava d'attorno per risolvere i singoli casi. Anche come missionario si vedeva un uomo perfettamente identificato e sereno".

I giudizi dei superiori in questo periodo sono buoni. "E' un fratello capace", scrisse p. Santi. "Un buon fratello che lavora molto, osserva le regole ed è abile in tutto", aggiunse p. Urbani.

Parentesi italiana

Dopo 17 anni di vita missionaria, Avi sentiva il bisogno di un po' di vacanza. Dopo qualche mese trascorso in famiglia e nella Casa Madre di Verona, fu inviato a Pordenone come istruttore nel reparto falegnameria.

I suoi "alunni" lo ricordano franco, deciso, disinvolto e preoccupato che tutti avessero da imparare nel migliore dei modi, sapendo quanto importante fosse la professionalità anche nelle arti e nei mestieri nell'Africa di oggi.

Ma Avi a Pordenone fu anche di esempio come religioso-missionario convinto, entusiasta della sua vocazione e uomo di preghiera.

"Al primo approccio - dice un confratello che fu suo discepolo - incuteva una certa soggezione, non fosse altro per la sua alta statura e per i modi piuttosto sbrigativi che usava, ma poi, accostandolo e parlandogli ci si accorgeva che aveva ancora l'anima del ragazzo gioioso di potersi rendere utile, di insegnare qualche cosa di nuovo. E se uno non capiva subito, allora assumeva l'atteggiamento del maestro che si ferma, abbassa il tono della voce e comincia la spiegazione daccapo, con calma, fermandosi ogni tanto per riassumere quanto ha detto e per ascoltare se l'altro ha capito, senza atteggiamenti di superiorità ma come un buon fratello preoccupato che l'altro impari. Anche di fronte agli errori che causavano una perdita di legname, egli non si inquietava, ma diceva: 'si impara sbagliando. Ringraziamo Dio che qui in Italia il materiale abbonda. In missione, invece, bisogna pensarci due volte prima di sbagliare'".

Dopo due anni di quella vita (1966-1968) fr. Avi poté nuovamente tornare in missione. Questa volta venne destinato alla scuola tecnica di Laybi, sempre come istruttore.

Espulso

Per il primo anno, tuttavia, si dedicò alle costruzioni e a far mattoni. Poi passò all'insegnamento vero e proprio. Ma intanto i tempi si facevano brutti anche in Uganda. Nel 1969, uscendo da un grande raduno dei membri del Congress a Kampala, il presidente Obote fu vittima di un attentato che lo colpì in faccia senza conseguenze gravi. Furono arrestati gli uomini politici più in vista, tra cui il presidente del partito democratico, il cattolico Benedicto Kiwanuka; vennero aboliti tutti i partiti, eccetto quello del Congress al potere. Ma le cose non finirono lì.

Mentre il presidente Obote partecipava alla conferenza dei capi di stato del Commonwealth a Singapore nel gennaio del 1971, un gruppo di militari, guidati dal generale Idi Amin Dada, il 25 gennaio fece un colpo di stato deponendo Obote, abolendo il parlamento e sospendendo ogni attività dei partiti. Il nuovo capo dell'Uganda, di religione musulmana, cominciò una sorda persecuzione contro i cattolici arrivando fino all'espulsione di alcuni missionari. Nel 1975 fu la volta di fr. Avi. "Hai sofferto tu, abbiamo sofferto noi, come ha sofferto la popolazione che ti ha perso - gli scrisse il p. generale. - Ma tu sei innocente, non hai commesso nessuna colpa, nessuna imprudenza. Sei stato espulso perché sei stato leale al tuo dovere, fedele al tuo lavoro".

E nella stessa lettera del 13 agosto 1975 p. Agostoni assegnava ad Avi l'incarico di spenditore nella comunità della Curia dell'EUR.

"Cercherò di fare quel che potrò, anche se non credo di essere l'uomo più adatto per quel lavoro. Vuol dire che qualcuno supplirà fino a quando non si apriranno altri spiragli per la missione".

Lavorò a Roma, e bene, col solito entusiasmo, con la solita disponibilità, con la capacità di fare di tutto, accompagnando il suo lavoro con una battuta allegra. Ciò fino al 1985, anno in cui scoccò nuovamente l'ora per la missione. "In questi anni hai lavorato molto forte e con grande impegno. Sono certo che, nonostante le difficoltà provenienti dall'età, il lavoro in Africa sarà di tua piena soddisfazione e di soddisfazione per tutti. Tu sai che ho tanti motivi particolari per ringraziarti del bene che hai fatto qui a Roma e del bene che hai fatto a me personalmente. Questo è garanzia che anche il tuo lavoro futuro sarà certamente un beneficio molto grande per la missione", così p. Calvia, superiore generale.

La malattia

Giunto a Kampala, fu incaricato dell'ospitalità a Mbuya. Scrisse p. Vittorino Cona, superiore provinciale: "Non è stato un lavoro facile quello che hai fatto, ma lo hai svolto sempre con responsabilità e competenza. Ti ringrazio quindi a nome di tutti i confratelli che sono passati da Mbuya e dei membri della nostra comunità".

Il p. provinciale aveva scritto queste parole dando l'addio al Fratello che, nel marzo del 1991, doveva lasciare la missione. Da mesi le forze diminuivano sempre più, accompagnandosi con un dimagrimento generale. Tuttavia non accusava dolori. I dottori, più volte interpellati, non riuscivano a trovare la causa di quella generale debilitazione anche se il sospetto di un tumore era serio.

I superiori pensarono bene, quindi, di mandarlo in Italia. "Spero di cuore che a Verona - gli scrisse p. Cona - trovino presto la causa del male e che con una cura adeguata possa riacquistare abbastanza in fretta le forze. Speriamo proprio che non si tratti di un brutto male, anche se sono certo che sei pronto ad accettare dal Signore quello che lui vorrà".

Ricoverato all'ospedale di Negrar, il suo stato presentava fasi alterne di ripresa e di abbattimento a seconda della gravità dell'emorragia intestinale che non permetteva alle varie analisi di stabilire l'origine del suo male. Pertanto veniva trattato con medicamenti antiemorragici.

Chi andava a trovarlo in quei giorni, trovava un fr. Avi sempre contento, sempre sorridente, anche perché il suo male non era accompagnato da particolari dolori.

A seguito dell'inutilità del trattamento, venne trasferito in chirurgia per tentare di fermare il male con un'operazione. Purtroppo la situazione precipitò per l'aggravarsi delle condizioni cardiologiche che impedivano l'intervento chirurgico.

Nella notte del 25 aprile 1991, alle ore 0,15 serenamente rese la sua sorridente anima a Dio.

I funerali si sono svolti in Casa Madre e poi la salma fu traslata al suo paese natio di Lases ove è stato sepolto.

E' stato il missionario del sorriso, della risata allegra, del servizio pronto e senza predicozzi, del brio che accompagnava ogni sua azione, del buon umore tipico di chi ama la propria scelta di vita, il prossimo e Dio. Uomo schietto anche nell'esprimere il suo parere, era rimasto giovanile pure nell'aspetto fisico.

Chi ha tenuto l'omelia alla messa funebre ha detto: "Gli Ugandesi hanno trovato in fr. Avi un protettore e uno stimolo. La gente di Laybi, specialmente i giovani della sua falegnameria, i ragazzetti del villaggio attorno alla scuola, i vecchi, gli storpi e gli ammalati che l'attendevano al varco sotto la veranda quando ritornava alla sua stanza dopo una giornata di lavoro intenso, o dopo la preghiera in chiesa, lo ricorderanno a lungo perché hanno sempre percepito di essere da lui amati".

Avi è stato il Fratello pienamente identificato nella sua vocazione, per questo ha saputo spargere bontà e allegrezza lungo il cammino della sua esistenza terrena.                     P. Lorenzo Gaiga.

Da Mccj Bulletrin n. 172, ottobre 1991, pp. 62-67