In Pace Christi

De Grandis Dino

De Grandis  Dino
Data de nascimento : 08/09/1914
Local de nascimento : Castagnaro VR/I
Votos temporários : 07/10/1934
Votos perpétuos : 07/10/1939
Data de ordenação : 09/03/1940
Data da morte : 12/10/1990
Local da morte : La Jolla/USA

Mancava qualche mese al compimento del diciottesimo anno di età quando Dino De Grandis, proveniente dal seminario diocesano di Verona, entrò nel noviziato comboniano di Venegono Superiore.

Aveva sentito la chiamata di Dio alle missioni fin dalle medie. Questa voce si fece più nitida durante il ginnasio ma, in un primo tempo, cercò di non farci troppo caso. Finalmente "dopo aver molto pregato ed essermi consigliato con il direttore spirituale, sento che devo rompere gli indugi e seguire la chiamata del Signore. I genitori, ai quali ho manifestato la mia decisione, non si oppongono. Ho passato cinque anni in seminario e mi sono sempre trovato bene. Quest'anno ho superato felicemente gli esami di quinta ginnasio ed ora penso che sia arrivato il momento di intraprendere questa nuova strada che spero mi porterà nel centro dell'Africa a predicare e a battezzare, come ha detto Gesù" (Castagnaro 11 luglio 1932).

Le testimonianze del parroco e del rettore del seminario sulla condotta e il comportamento del giovane erano più che favorevoli. I genitori, con grafia incerta, segno di mani più abituate alla zappa che alla penna, diedero il loro consenso con queste parole: "Noi sottoscritti permettiamo che nostro figlio Dino segua la voce di Dio ed entri nell'Istituto dei Figli del Sacro Cuore. Daniele e Sordo Angela. 22 luglio 1932".

La famiglia di Dino era costituita da gente onesta, animata da sentimenti cristiani, lavoratrice, ma povera. La povertà, come di solito accade, s'accompagna anche a qualche umiliazione. Nella lettera del rettore del seminario, mons. Lugoboni, dopo il parere positivo sulla serietà del seminarista, si legge: "Questa mattina è stato qui suo fratello a dirmi che non può pagare la retta di quest'anno perché la stagione non è stata favorevole. Gli ho risposto che faccia firmare una cambiale dai genitori, con promessa di pagarla quanto prima. A queste condizioni potrò rilasciare il certificato perché Dino possa entrare nell'Istituto delle Missioni".

Come si vede, a quei tempi i soldi... valevano più di oggi, specialmente quando non ce n'erano. La famiglia, anche per dimostrare che la vocazione missionaria del figlio non aveva nessun legame con il debito contratto col seminario, chiese in prestito il denaro e pagò il dovuto. Così Dino poté partire con le carte in regola... e con un po' di amarezza in cuore. Era il prezzo della sua vocazione.

Salvare le anime

Nella cartella personale di p. De Grandis mancano del tutto i giudizi del p. maestro sul suo modo di affrontare e vivere il noviziato. Ci restano, però, numerose lettere di questo periodo. Da esse possiamo dedurre che la prima e più importante preoccupazione del futuro missionario era quella di "salvare le anime". Questa espressione, tanto comune nell'ascetica di qualche decennio fa, equivale a quella più comune in uso oggi "salvare l'uomo". Il Signore, prima di salire al cielo, non ha mandato i suoi discepoli a salvare anime, ma "a portare il messaggio del Vangelo a tutti gli uomini, battezzandoli e insegnando loro a obbedire a tutto ciò che vi ho comandato".

"Sono contento di seguire questa santa vocazione che mi dà la possibilità di salvare la mia anima e anche quella di molti altri...". "Non ringrazierò mai abbastanza il Signore di appartenere a questa Congregazione che amo tanto, perché è tutta protesa alla salvezza delle anime". "Ogni giorno ringrazio quanto posso il Signore per la grazia inestimabile di avermi chiamato alla vita missionaria, che è vita di salvezza per me e per gli altri...". "La mia principale preoccupazione è quella di santificare me stesso per essere in grado di santificare gli altri...". "Desidero ardentemente di appartenere a questa Congregazione non per altro fine che quello di poter lavorare più efficacemente per la salute delle anime. E sia anche questa lettera un nuovo impegno per me a continuare nella mia vocazione con il massimo fervore possibile...". "Il Sacro Cuore, che mi ha chiamato a questa Congregazione, mi conceda la sua santa grazia per diventare un vero missionario, e far del bene a molti...".

Assistente dei ragazzi a Trento

Emise i primi Voti il 7 ottobre 1934 e venne subito inviato a Trento per frequentare il liceo e per fare, contemporaneamente, l'assistente dei piccoli seminaristi della Scuola Apostolica di Muralta. Ciò è segno che i superiori avevano molta stima del giovane, ne apprezzavano la serietà, l'impegno e la capacità sia di stare con i ragazzi formandoli alla vita missionaria, sia di affrontare gli studi dividendo il suo tempo tra scuola in seminario (al mattino) e assistenza dei ragazzi nel pomeriggio e alla sera. Per lo studio bisognava utilizzare qualche ora notturna quando tutti dormivano.

Dino si dimostrò un esperto formatore dei piccoli seminaristi. Sapeva coniugare molto bene la bontà indispensabile per un lavoro così delicato con la giusta severità perché il suo gruppo non si trasformasse in una baraonda. Dava una mano ai più fragili, incoraggiava i timidi, smorzava gli eccessi di esuberanza nei tipi un po' troppo intraprendenti.

Per animare "la camerata" e rompere la monotonia delle giornate sempre uguali, organizzava intrattenimenti e teatri ai quali i ragazzi partecipavano con entusiasmo. La passeggiata settimanale, il più delle volte al forte abbandonato che si trova sopra Muralta, si trasformava in misteriose caccie al tesoro, in animatissime partite a numeri, in scatenate gare a bandiera. In quei momenti Dino diventava un ragazzo, sempre, però, con l'occhio e il cuore dell'educatore.

Padre spirituale

Da Fai della Paganella, l'8 luglio 1939, scriveva al p. generale: "Dando principio quest'anno all'ultimo corso di teologia, le chiedo di essere ammesso ai santi Voti perpetui in questa santa Congregazione, di cui in lei venero il capo.

Non è un onore che io rendo alla Congregazione con l'ascrivermi definitivamente ad essa, che anzi molto più grande è l'onore e il beneficio che mi fa accettandomi tra i suoi membri.

Fino ad ora essa ha continuato a dare per me: ma vedo con piacere avvicinarsi il tempo in cui potrò ricambiare questi grandi e continui benefici. Il Signore benedica il mio proposito di mostrare la mia riconoscenza con una vita esemplare e obbediente alla santa Regola e ai superiori".

P. Capovilla aggiunse in calce alla lettera: "Do volentieri il mio voto per l'ammissione ai Voti perpetui".

Venne ordinato sacerdote il 3 marzo 1940 dal vescovo di Trento, mons. Celestino Endrizzi. Intanto scoppiò la guerra che rese difficoltosa la partenza dei missionari per l'Africa. P. Dino venne fermato a Trento per altri due anni con l'incarico, oltre che di assistente, anche di insegnante dei ragazzi. Ci aveva saputo fare, perché cambiarlo?

Dal 1942 al 1948 fu p. spirituale nel seminario comboniano di Sulmona. Questo incarico sta ad indicare il carattere e la spiritualità di p. Dino: uomo estremamente mite, riservato, di poche parole, dolce e di intensa preghiera. I ragazzi andavano a lui con fiducia e confidenza sicuri di trovare un vero amico che li comprendeva e sapeva dire la parola giusta al momento giusto. Il superiore del tempo scrisse: "E' un ottimo religioso e uomo di grande equilibrio. Pur essendo ancora tanto giovane, è anziano per giudizio e ponderatezza. Di lui ci si può fidare e si è sicuri che ciò che dice è frutto di profonda riflessione e di preghiera. Ama molto la gente e da essa è ricambiato. Anche in comunità è stimato e benvoluto da tutti".

Addio Africa

L'interminabile guerra intanto finì e i missionari che si erano assiepati nelle diverse case d'Italia cominciarono ad emigrare verso la loro naturale meta: l'Africa. Dovevano dare il cambio a coloro che durante lunghi anni avevano tirato il carro da soli o che avevano esperimentato la prigionia e la deportazione.

P. Dino pensava che il momento di andare in Africa fosse finalmente arrivato anche per lui. Invece del Continente nero si trovò destinato agli Stati Uniti d'America. Senza riuscire a nascondere del tutto un'ombra di delusione che gli si stendeva sul volto, disse al superiore generale:

"E pensare che ho lasciato il seminario di Verona conquistato dalla prospettiva di andare in mezzo ai Neri".

"Le anime non hanno colore - gli rispose costui. Poi, per addolcirgli la pillola, aggiunse - a Cincinnati stiamo aprendo un seminario che preparerà futuri missionari per l'Africa. Un poco alla volta la nostra piccola Congregazione deve diventare internazionale. Tu sei intelligente e imparerai presto la lingua, così potrai prendere la responsabilità del seminario. Non ti sembra che sia lavorare per l'Africa preparando missionari americani?".

"Finora, Padre, ho cercato di preparare missionari italiani e, le assicuro, che mi sono sentito a mia volta missionario a pieno diritto. Vado volentieri in America".

Nell'ottobre del 1948 si trovò a Cincinnati con l'incarico di p. spirituale prima, e di superiore del seminario poi. La sua bontà e comprensione fece presto breccia anche nel cuore dei giovani americani tanto che, dal 1950 al 1952, fu incaricato dello scolasticato e poi, dal '52 al '56, ancora p. spirituale per essere, dal '56 al '60, superiore della scuola apostolica.

L'ombra della croce

I giudizi dei superiori su p. De Grandis in questo periodo sono espliciti e sbrigativi. Cito quello di p. Giulio Rizzi, allora rappresentante del p. generale: "Buono sotto ogni aspetto".

Ad un certo punto, però, forse per il super lavoro al quale si era sottoposto, la salute cominciò a risentirne e fu preso da una leggera forma di esaurimento al quale egli, tuttavia, cercava di reagire nel modo migliore possibile. Il motivo della sua "malattia" va ricercato nel fatto che i tempi stavano cambiando velocemente. I ragazzi e i giovani americani erano ben diversi da quelli che il Padre aveva conosciuto a Trento e a Sulmona. Egli, pensando che i metodi antichi funzionassero con la stessa efficacia anche in America, si trovò in un notevole disagio.

Già nel 1952 il suo superiore, pur riconoscendo che era un ottimo elemento, aggiunse: "Ultimamente appare un po' abbattuto e per questo cerca di evitare i contatti con la gente e si tira sempre indietro. Reagisce alla sua situazione tacendo anche troppo".

Nel 1955 scrissero di lui: "Rifugge dalle responsabilità quasi non sentendosi all'altezza, mentre è molto bravo e se la cava egregiamente anche in economia. E' sempre più soggetto a mali di testa e chiede di essere esonerato dai suoi incarichi. Gli scolastici gli vogliono molto bene e lo stimano".

In comunità, invece, non tutti i confratelli compresero la sua situazione, e il vuoto che il Padre si era creato attorno come conseguenza della sua malattia si accentuò di molto. Ciò gli fu motivo di maggior sofferenza.

Altri fatti, intanto, si erano aggiunti per complicare la situazione. Li denuncia il Padre stesso in una lettera a p. Battelli, vicario generale, l'8 agosto 1959: "Per la scuola, con le nuove disposizioni, solo p. Erbisti, p. Manieri e p. Ongaro hanno il permesso di insegnare. P. De Berti ed io possiamo insegnare soltanto religione. Fino all'anno scorso bastava che il Principal avesse dei gradi, ora invece si richiede che ogni insegnante abbia il 'Teacher's Permit'. Se noi insegniamo senza questa licenza rischiamo di rovinare i ragazzi che escono dopo aver compiuto gli studi presso di noi".

Personale preparato non ce n'era ed egli non se la sentiva di correre il pericolo di far studiare invano i ragazzi. Ed anche questo era motivo di sofferenza.

Inoltre era in corso la costruzione del noviziato di Monroe, ma i lavori segnavano il passo per l'insorgere di nuove difficoltà burocratiche. Pure le vocazioni scarseggiavano. In una lettera a p. Accorsi scriveva: "Qui è più facile raccogliere un dollaro che una vocazione". Ma questo non è un problema solo dell'America.

In missione

Nell'agosto del 1960 i superiori, per venire incontro ai suoi desideri, lo mandarono a Pala con l'incarico di superiore e di parroco. Tra gli indiani, gente semplice e cordiale, si sarebbe trovato certamente bene e a suo agio. Anche il mal di testa sparì e il Padre tornò a sorridere e ad essere l'uomo allegro, vivace e gioviale di un tempo.

Quella cuccagna, però, durò solo quattro anni. I superiori lo tenevano d'occhio e, come videro che si era ripreso, lo richiamarono nuovamente a fare il p. spirituale agli Scolastici di Cincinnati. E le sue crisi non tardarono a fare capolino, per cui nel febbraio del 1966 fu inviato a San Diego come animatore e propagandista, un tipo di vita che lo costringeva a non pensare ai suoi guai e ad essere continuamente a contatto con la gente.

Ma ormai la sua malattia aveva scavato dentro. Egli si sentiva incapace di vivere in comunità, di scandalo nei confronti dei confratelli per cui chiese di andare al servizio di qualche vescovo diocesano. La lettera nella quale chiese queste cose, cava il cuore a leggerla. "Lei sa bene che non sono un buon religioso e sono certo che non sarei di aiuto, ma di peso e di cattivo esempio ai confratelli. Le chiedo quindi il permesso di lavorare almeno per qualche anno in qualche diocesi" (1 gennaio 1966). Il generale gli rispose: "Ma cosa dice mai, Padre! Mi fa meraviglia quanto lei mi scrive: "Tutti hanno una grande stima di lei, e i confratelli, per quanto mi è dato sapere, le vogliono bene e la stimano".

Con i militari

Nel 1967 troviamo p. De Grandis  cappellano all'ospedale vecchio di Irwindale e dal 1968 al 1981 cappellano a Sepulveda (California), Wite City, Los Angeles. Per venire incontro alle sue esigenze, e per vedere se si rimetteva in salute, i superiori gli concessero un periodo di vita "fuori comunità".

Il suo nuovo ministero consisteva nell'assistere spiritualmente  i militari e i veterani di guerra. In una lettera del gennaio 1977 scrive: "Qui ci sono più di 1.200 veterani. Età media 60 anni. Ogni settimana faccio istruzione religiosa. Finora ne ho battezzati una dozzina. Spero che perseverino. I cappellani protestanti non sono troppo contenti".

P. Busetti, provinciale, scrisse qualche mese più tardi: "I superiori militari di p. De Grandis gli hanno chiesto di rimanere per altri due anni perché sono molto soddisfatti del suo lavoro. Così farebbe altri due anni fuori comunità".

"Però - prosegue in una lettera del 1979 - dove si trova fa un sacco di bene, inoltre si tiene in contatto con le nostre comunità di California rendendo regolarmente conto della paga che percepisce. I superiori militari insistono di lasciarlo, dato il grande bene che fa e la grave carenza di cappellani militari cattolici".

Torna il sereno

Con la comprensione che gli era propria nei confronti dei confratelli, p. Calvia, nuovo generale, in data 19 marzo 1980 risolveva definitivamente la spinosa situazione di p. De Grandis che ormai si protraeva da troppo tempo.

"Rivedendo assieme alla Consulta la sua particolare situazione, ho creduto opportuno suggerire una soluzione che, penso, tornerà gradita a lei e anche ai superiori. Mentre lei continua il lavoro che fa con tanto zelo e con tanta generosità, sia aggregato alla comunità più vicina che, al presente, mi sembra essere quella di Holy Cross a Los Angeles.

Sono convinto che lei fa un lavoro molto utile alla Chiesa e quindi, pur rimanendo nella convinzione che un simile ministero non entra direttamente nel nostro fine specifico e che quindi non è per noi una scelta normale, tuttavia, date le condizioni e la situazione che si è creata nel suo caso particolare, io penso di poter con piena coscienza darle il permesso di dedicarsi a questo lavoro come membro della Congregazione a pieno diritto.

Quello che lei dovrebbe fare e che io le domando è di andare, ogni tanto, a passare qualche giorno nella comunità di Holy Cross, e così auspico che qualche confratello della comunità venga di tanto in tanto a trovarla nel luogo del suo ministero in modo da essere uniti in vera comunione fraterna. Senta il suo lavoro come espressione della comunità stessa. Il valore comunitario, messo in particolare risalto nel recente Capitolo, è molto importante e in esso dobbiamo credere profondamente e su di esso dobbiamo basare la nostra vita, il nostro lavoro, la nostra attività...".

La soluzione di p. Calvia fu una medicina efficace e il cuore di p. De Grandis trovò finalmente quella serenità e quella pace che aveva cercato da tanto tempo. Lavorò bene, con profitto ricavando tanti frutti spirituali. Il suo programma iniziale "la salvezza delle anime" si realizzò in pieno salvando le anime di tanti ex militari, gente spesso sconvolta e stravolta da esperienze traumatizzanti (pensiamo ai reduci del Vietnam) ai quali diede una ragione per vivere e per credere.

Nel 1985, trovato finalmente un successore come cappellano militare, tornò in pieno nella comunità di Pala. Aveva ormai superati i 70 anni di età. Passò quel periodo nella preghiera, nel ministero, nell'aiuto ai confratelli, finché nella sua testa, che spesso gli faceva male e gli faceva passare notti insonni, si svegliò il male che probabilmente sonnecchiava da tanti anni: il tumore al cervello.

Spirò serenamente alle ore 19 del 12 ottobre 1990 nella clinica Nursing Home di La Jolla.

Alle volte noi ci meravigliamo, forse ci arrabbiamo, per certi comportamenti inconsueti di qualche confratello. Solo dopo la sua morte ci accorgiamo che tutto era causato da malattia e allora ci battiamo il petto per non essere stati buoni e comprensivi nei suoi confronti. P. Dino De Grandis ci insegna anche questo.                        P. Lorenzo Gaiga

Da Mccj Bulletin n. 170, aprile 1991, pp.28-34