In Pace Christi

Pozzati Aurelio

Pozzati Aurelio
Data de nascimento : 03/10/1910
Local de nascimento : Rivà di Ariano RO/I
Votos temporários : 08/05/1929
Votos perpétuos : 07/10/1933
Data de ordenação : 31/03/1934
Data da morte : 19/01/1985
Local da morte : Verona/I

“Lei ricorderà le pratiche fatte con la S.V. per lettera e per mezzo del nostro Padre Todesco per far accogliere costì un giovane chierico del nostro seminario di Rovigo. Si chiama Pozzati Aurelio, di quinta ginnasiale, di anni 18. Tutte le speranze e le pratiche erano inceppate dalla difficoltà di avere il consenso dei genitori e specialmente della mamma che s'opponeva risolutamente. Ora tutto è appianato e i genitori hanno fatto una dichiarazione scritta di consenso. Ora il giovane Pozzati m'incarica di scriverle subito, chiedendole di entrare anche tra pochi giorni essendo risoluto di farsi missionario, Don Giuseppe Pavani, seminario di Rovigo 4 dicembre 1926”. Con questa lettera il rettore del seminario concludeva la storia della vocazione missionaria di Aurelio. Una vocazione sofferta e combattuta soprattutto per l'opposizione dei familiari. Nove giorni dopo, un'altra lettera assicurava che “Pozzati Aurelio, da cinque anni convittore in questo seminario, è un giovane di cui non posso dire che bene sotto tutti gli aspetti”. E il 3 gennaio 1927, entrando in noviziato, Aurelio portava con sé una lettera nella quale don Pavani aveva scritto ai superiori: “Non dico nulla delle sue doti e dei suoi difetti che potrete certo conoscere in breve tempo, perché tra le buone qualità di Aurelio c'è una grande schiettezza”. L'undici febbraio 1927 Aurelio fece la vestizione e iniziò il periodo di noviziato. Il giovane intraprendeva un cammino che lo avrebbe impegnato a fondo per smussare il suo carattere piuttosto duro. La cartella rilasciata da padre Corbelli, maestro dei novizi, non è eccessivamente lusinghiera: “Si sforza di fare bene e veramente ha fatto molto, ma gli rimane tanto ancora specialmente riguardo alla docilità e al carattere difficile che è lunatico, permaloso, fisso nelle sue idee e qualche volta si è mostrato duretto”. Fatta la professione 1'8 maggio 1929, venne ordinato sacerdote a Verona il 31 marzo 1934.

Nel Sudan meridionale

Dopo alcuni mesi di rodaggio sacerdotale a Brescia, padre Pozzati partì per il Sudan meridionale. Kayango, Mboro, Bussere, Mbili furono le tappe della sua attività missionaria. Coprì più volte gli incarichi di insegnante e di superiore. Quella dell'insegnamento e dello studio fu una passione che si portò dentro per tutta la vita. E con buoni risultati, perché preparava la lezione con scrupolo e con quella cocciutaggine propria del suo temperamento. Ma insieme a queste doti portava con sé anche... il temperamento. A questo punto è giusto inserire una testimonianza di padre Santandrea che fu suo compagno di missione. È una testimonianza che, almeno inizialmente, sa di amaro. Ce n'è per padre Pozzati e anche per chi scrive i necrologi dei confratelli sul Bollettino. “Confesso una mia impressione - scrive Santandrea - piuttosto sfavorevole riguardo ai necrologi del Bollettino. Assomigliano troppo alle lapidi dei cimiteri: tutti buoni, onesti, esemplari, rimpianti a calde lacrime...”. (Vuol dire che quando verrà il turno del simpatico Padre si farà in modo di togliergli questa impressione piuttosto sfavorevole n.d.r.). “Sono stato con padre Pozzati per alcuni mesi - prosegue padre Santandrea - un po' a Kayango nel 1935 e, saltuariamente, in altri luoghi e periodi. Che tipo era? Provate a chiederlo, qui in Italia, a chi è vissuto con lui. Se risponde con sincerità, non ne sarà certo entusiasta. Perché? C'erano, sono tentato di dire, due personalità in lui, quella naturale - spontanea-rude, di poche parole, a volte urtante; un'altra che non saprei come definire e che io personalmente, solo più tardi, sono riuscito a scoprire. E con molto piacere. A Kayango, il po' di tempo che si stava insieme, si riduceva quasi tutto alla ricreazione dopo cena. Ebbene, spessissimo diceva poche parole o anche niente. Leggeva giornali, riviste, libri. Caso mai, alzatici per la preghiera della sera (ore 9 p.m.) incominciava allora un lungo discorso, non gradito, che si cercava di troncare per recitare le preghiere e andare a dormire, perché al mattino la levata era alle 5. Passò un anno a Mboro, di cui parlerò altrove. Vi andò come in esilio. Ma più tardi quante volte benedisse Dio d'avergli data quell'occasione per imparare lo Ndogo parlato assai in Wau e dintorni dove più tardi esercitò il ministero. Da Kayango passò a Bussere, centro di studi con seminario, scuola media e magistrale, con insegnanti anglofoni. L'insegnamento era stato un po' il segno della sua “giovane” vita, e vi si applicò con impegno continuando, nei tempi liberi, ad approfondire lo studio del Giur e dello Ndogo. Intanto esercitava il ministero tra le popolazioni vicine. Quel soggiorno deve aver modificato in bene il suo carattere. M'ha sempre fatto impressione l'amicizia contratta con alcuni degli insegnanti esteri, specialmente con un americano, fino al punto che quando questi, ritornato in America, ebbe un nipotino da una figlia sposata a un ufficiale di marina, volle che padre Pozzati andasse a battezzarlo pagandogli il viaggio e il resto. Certo, tale era stato anche il desiderio della mamma che padre Pozzati aveva preparato da piccola, a ricevere i sacramenti. Terminato il suo compito a Bussere, tra cui, importante, l'insegnamento di teologia e morale ad alcuni seminaristi che si preparavano all'ordinazione, tornò definitivamente a Kayango tra i “suoi” Giur. Questa volta, e per molti anni, solo come Padre. S'immerse in pieno nell'apostolato parrocchiale contattando tutta la sua gente: piccoli e grandi, uomini e donne, visitandoli con una piccola auto e in bici. Contatto lungo e quotidiano che condusse gradualmente ad un dialogo sempre più pieno e a una sempre più mutua comprensione tra il Pozzati piuttosto duro e i Giur non certo teneri”.

O quam mutatus ab illo!

Padre Santandrea continua: “Gli risultò più facile la comunione di sentimenti con i piccoli e con le donne che passavano alla stazione il periodo del catecumenato in preparazione al battesimo. Attraverso loro, numerosissime famiglie furono messe in relazione con il missionario. Con gli uomini, specie catechisti e operai, mostrò molta comprensione e, giustamente, aumentò i loro salari secondo le esigenze dei tempi. Si spianarono così le vecchie difficoltà, anche se alcune stentarono a cancellarsi. L'addio ai Giur per l'espulsione fu sentito profondamente dall'intera popolazione. Anche in Italia seppe stringere vere amicizie con non poche persone. Quando era a Verona venivano amici da Gozzano e da Gordola dove era stato dopo il suo definitivo rientro dall'Africa”.

Parlò bene di tutti

La vicenda umana di padre Pozzati è stata indubbiamente una continua battaglia contro il suo carattere. La sua durezza, però, era nelle parole, nel modo di agire immediato. Quando scriveva, e quindi quando rifletteva prima di esprimersi, era un altro uomo. Nella sua cartella personale ci sono poche lettere, ma sono sufficienti per provare la sua bontà d'animo e la sua comprensione quando parlava dei confratelli ai superiori. “Ho il piacere di dirle che il padre... in tutto il tempo che fu a Kayango fu esemplare per il suo attaccamento ai suoi doveri spirituali e la sua fedeltà ai medesimi. Obbediente in ogni cosa e alle volte anche con notevole sacrificio. Zelante e capace di faticare per le anime. Religioso esemplare nella povertà e dipendente anche nelle piccole cose. La sua presenza fu di edificazione”. “Quello però che voglio dirle è che il Fratello fu sempre ottimo religioso, amante dei suoi doveri spirituali, laborioso nonostante non stesse bene, obbediente”. In missione c'era un po' di maretta. “E allora, chi è la pecora nera in stazione? - proseguiva padre Pozzati -. Chi le scrive. Non occorre che le faccia il mio elogio perché mi conosce. Salute buona, tolte le gambe che non si sentono di biciclettare e mi portano poco lontano. Non ho nessuna voglia di ritornare in Italia. I Giur ormai non mi chiamano più "abuna", mi chiamano "ukic" (stregone). Sono proprio un ukic macoon. Finché c'è fiato c'è fiducia in Dio”. È commovente constatare come questo missionario che ne ha sentite tante da tutti, sia così propenso a parlare bene degli altri e ad attribuirsi la colpa per ciò che non funziona. Nei momenti liberi dal ministero si dedicava allo studio della lingua Giur. In una lettera a padre Briani (Generale) parla del dizionario di 6.000 parole che ha preparato e al quale dovrebbe ancora dedicare un po' di tempo. Durante le sue prime vacanze, nel 1947, quindi dopo 12 anni di missione, fu confessore a San Tomio e poi venne inviato a Londra prima come studente e poi come insegnante nel noviziato di Sunningdale. Nel 1949 era di nuovo nelle sue missioni del Sudan meridionale. E là rimase fino all'espulsione di tutti i missionari nel 1964. “A Kayango sono solo e vecio, ma fa niente. Io resto qui finché mi lasciano, senza paure” aveva scritto poco prima al padre Generale.

Confessore

Gozzano, Gordola, Crema e San Tomio lo ebbero come addetto al ministero, e confessore. Nel cuore, però, aveva sempre la missione e la segreta speranza di poterci tornare. Quando la salute cominciò a declinare, dovette abbandonare San Tomio. E si ritirò in Casa Madre. Non fece mai parte del Centro Assistenza Malati anche se si “appoggiava” per le pratiche di pietà, la santa messa, il rosario e i pasti. Il motivo del suo ritiro fu un problema di ordine neurologico che lo portava, a volte, ad assumere un atteggiamento depresso ed un po' passivo, peggiorato dal difetto di deambulazione. Quasi tutti i giorni faceva una visita ai malati che stavano peggio di lui e s'intratteneva volentieri ricordando i vecchi tempi della missione o dibattendo i problemi della Chiesa e della società oggi, sui quali si teneva aggiornato. Quando gli si chiedeva di celebrare per la comunità degli ammalati si prestava volentieri e preparava con impegno la breve omelia che teneva in maniera chiara e piacevole. Conservò fino all'ultimo una memoria di ferro e riferiva in sunto quanto aveva letto durante il giorno. “Il padre Pozzati incontrato a Verona in questi ultimi anni - scrive padre Santandrea - sembra non aver più niente in comune con quello con cui vissi in missione. Dimostrava amore incondizionato alla congregazione e alle missioni, dolore per certe deviazioni, gratitudine - sovente espressa - per tutti coloro che in seminario a Rovigo e a Verona, in noviziato e in scolasticato, lo avevano formato al sacerdozio e alla vita missionaria. Ringraziava poi Iddio di avergli concesso la buona salute questi ultimi anni. Ripeteva, come padre Briani, che ogni giorno era un dono del Signore, ed egli era pronto a presentarsi a Lui quando fosse venuto a chiamarlo. Davvero si poteva dire di lui: o quam mutatus ab illo. Due volte alla settimana, dopo il telegiornale della sera, avevamo stabilito di trovarci insieme per conversare un po'. Egli era sempre brillante e il primo a prendere l'iniziativa. La sera del 19 gennaio, verso le ore 9.30 p.m. mentre stavamo seduti uno accanto all'altro, mi accorsi con meraviglia che stentava a iniziare i discorsi e rispondeva brevemente alle mie domande. Durante una risposta un po' più lunghetta si fermò, ansimò e in dieci minuti spirò”. Padre Pozzati aveva terminato il suo cammino reso difficile dal carattere volitivo, anzi duro, che lo ha sempre caratterizzato. Tuttavia riuscì a lavorarsi, a togliere gli spigoli, ad addolcirsi. E questo gli costò non poco sforzo. Chi andava a confessarsi da lui usciva dalla sua stanza confortato e con la consapevolezza che era amato da Dio. Il ritornello divenuto consueto per il Padre era questo: “Ricordati che Dio ti ama; Se Dio ha un debole, lo ha per i suoi sacerdoti”. Ora anche padre Aurelio, sacerdote di Dio, è entrato definitivamente nell'amore del Padre.       P. Lorenzo Gaiga

Da Mccj Bulletin n. 146 luglio 1985, pp.63-66