In Pace Christi

Pazzaglia Augusto

Pazzaglia Augusto
Data de nascimento : 31/07/1906
Local de nascimento : Apecchio PS/I
Votos temporários : 07/10/1932
Votos perpétuos : 07/10/1935
Data de ordenação : 18/12/1932
Data da morte : 17/11/1981
Local da morte : Verona/I

Martedì 17 novembre, alle ore 7.30, si è spento serenamente a Negrar presso Verona p. Augusto Pazzaglia, all'età di 75 anni, cinquanta dei quali spesi a servizio delle popolazioni del Sudan e dell'Uganda. In agosto, a villa Baratoff, sede dei Missionari Comboniani di Pesaro, si era festeggiata l'eccezionale ricorrenza dei 50 anni di vita missionaria con la presenza del cardinale Pietro Palazzini, che da sempre era legato a P. Pazzaglia da una grande amicizia. Il 18 novembre, nella chiesa parrocchiale di Cristo Re, si è celebrata la Messa esequiale, presieduta dal vescovo Mons. Michetti, con la partecipazione dei due nipoti comboniani di P. Pazzaglia, Andrea e Tarcisio, missionari l'uno in Brasile e l'altro in Uganda, e di p. Paolino, frate francescano. Numerosa e sentita la partecipazione della gente, legata a p. Augusto e alla famiglia comboniana di Pesaro.

P. Augusto Pazzaglia era nato nella parrocchia di Serravalle di Carda, comune di Apecchio, provincia di Pesaro, diocesi di Cagli, il 31 luglio 1906. Fece gli studi liceali e teologici nel Pontificio Seminario di Fano con grande profitto, conseguendo la promozione al IV corso teologico. È interessante l'attestazione che di lui fa l'allora vescovo di Cagli, mons. Giuseppe Venturi, veronese, carissimo amico del nostro Istituto che il 17 settembre 1930 scriveva a p. Vianello, per tanti anni suo confessore a Verona: «(Pazzaglia) è un chierico di pietà, di discreta intelligenza, di condotta intemerata e obbediente. Coltiva il desiderio di farsi missionario da tempo, voleva anzi entrare fin dall'anno scorso... Vista la sua persistenza, gli dò ben volentieri il consenso, quantunque mi dolga di perdere un elemento sul quale contavo non poco». Il rettore del seminario aggiungeva: «Ha conservato sempre condotta esemplare e si è occupato con molto fervore, tenacia e perseveranza, del movimento missionario durante l'anno scolastico e nel periodo delle vacanze».

Entrò in noviziato a Venegono nel 1930 e fece i primi voti il 7 ottobre 1932. Fu ordinato sacerdote a Verona il 18 dicembre dello stesso anno, e dal 1933 fu insegnante a Padova e Brescia, finché nel febbraio 1936 partì per il Sudan meridionale.

Destinato prima a Torit e Isoke, nel 1939 passò a Kapoeta. Nel 1940, causa la guerra, si ritirò con altri missionari del Bahr el Gebel ad Okaru, ma nel luglio del 1942 ritornò a Torit. Nel 1946 ritornò in Italia e rimase un anno a Padova, prestandosi volentieri al ministero sacerdotale e alle giornate missionarie. Nel 1948 poté ritornare tra i suoi Toposa a Kapoeta, dove fu superiore fino al 1956, e poi a Torit. Dopo un periodo di riposo in patria, durante il quale fu anche superiore della scuola apostolica di Carraia, nel 1959 fu destinato a Lirya, dove svolse un intensissimo e fruttuoso lavoro, che gli procurò grattacapi dalle autorità e la conseguente espulsione dal Sudan nel dicembre 1962, due anni prima di quella degli altri missionari nel 1964.

Fu di nuovo a Padova per assistere gli studenti africani. Nel 1965-66 frequentò il corso di aggiornamento a Roma, e in luglio partì per l'Uganda. Fu parroco a Nabilatuk fino al 1972, passando poi a Matany nel 1974, finché gli fu consigliato di rimpatriare per curare la salute. Partì il 30 ottobre 1980 col presentimento che non sarebbe ritornato, e al confratello che lo accompagnava disse: «Dio ci ha mandati in missione e siamo venuti; Dio ci richiama in Italia ed ora torniamo. Sia fatta la Sua volontà». Sapeva che il suo male era forse senza rimedio, ma non voleva disperare. Un cenno sul suo carattere. P. Patroni, suo superiore regionale nel Bahr el Gebel, nel 1953 specificava che P. Pazzaglia andava soggetto ad alti e bassi, dato il suo carattere sensibile e nervoso; ma era lodevole per il suo impegno nell'apostolato e nello studio delle lingue locali. Notava anche il suo interesse per l'etnologia, studio e ricerca che continuò per anni, prima con i Lotuxo e poi con i Toposa e i Karimojong. Lo studio e la conoscenza del popolo tra cui lavorava, insieme allo zelo apostolico, erano la sua nota caratteristica. Fino all'ultimo, a Verona e a Negrar, aveva sempre tra le mani le sue note, nel desiderio di aggiornarle e completarle, per poterle poi pubblicare a vantaggio specialmente dei confratelli. Nel 1975 poté far stampare dall'Editrice Nigrizia il suo studio: «I Karimojong - Note storiche - Iniziazione », pp. 130. Le sue note sui Lotuxo sono servite ad altri confratelli per i loro studi; ma egli ha lasciato molti altri testi dattiloscritti e manoscritti, che restano a disposizione degli studiosi. Il suo slancio, sia nell'apostolato che nella raccolta di informazioni dalla bocca stessa della gente, come pure nel venire in aiuto ai profughi e studenti africani in Europa, non aveva posa. Ricorreva e interessava anche alte personalità della Chiesa, del foro e della politica, senza complessi e con audacia. La sua corrispondenza è stata copiosissima, e sempre animata da quello spirito apostolico che lo spingeva, come S. Paolo, a donarsi e ad impegnarsi sempre di più a favore degli africani. Mi pare che questo si inquadri molto bene con quanto ricordava un suo confratello nella commemorazione comunitaria a Roma e che torna a sua massima lode: «Il suo amore si manifestava nello studio della lingua e dei costumi dei popoli ai quali venne inviato. In Karamoja erano note a tutti le continue ricerche che lo portavano a conoscere sempre meglio le tradizioni e i valori religiosi dei Karimojong. Il suo dialogare con gli anziani più rappresentativi all'ombra di una pianta aveva lo scopo di penetrare e scoprire sempre più profondamente la loro mentalità religiosa e i loro valori buoni da rispettare e gli altri da completare con il messaggio di salvezza. Dagli anziani era stimato e ricercato. Non c'era festa in cui la sua presenza non fosse richiesta. L'elogio più grande che un Africano possa fare ad un bianco è questo: tu sei proprio uno di noi, tu sai tutto di noi, tu sei come noi. Questo i Karimojong lo dicevano a P. Augusto. La sua presenza era ricercata e ambita nei loro sacrifici, nell’iniziazione, nelle festività del villaggio, matrimoni, fidanzamenti, di cui egli era sempre pronto a cogliere gli aspetti positivi. Aveva il suo posto riservato nei raduni, anche lui era considerato un anziano alla pari degli altri. Penso che sia stato l'unico a godere di questo privilegio. Tutte le sue conoscenze poi le metteva a disposizione dei confratelli; tutti lo trovavano pronto a dare il suo consiglio, la sua parola chiarificatrice. Nel suo campo era un'enciclopedia vivente».

Ed ora spulciamo dalle sue lettere al Superiore Generale in vari periodi. Il 23 gennaio 1960, quando i tempi difficili per la missione del Sudan meridionale erano già cominciati, scrive: «Il lavoro apostolico a Lirya procede abbastanza bene. Cristiani 7.000 e abbiamo le masse degli adulti che stanno entrando nella Chiesa cattolica». E nel 1968 quando aveva 62 anni, da Nabilatuk, Uganda: «In tre mesi ho viaggiato, sempre a piedi, circa 26 giorni fra la gente. Ho viaggiato col sole cocente e anche con la pioggia, lungo sentieri coperti di fango, fra cespugli spinosi. Ho visitato ogni villaggio e capanna della zona. Ho dormito nelle capanne che la gente mi prestava per uno o più giorni dietro un modico emolumento. Per entrarvi bisogna strisciare carponi per terra, facendo delle acrobazie per entrare nello stretto pertugio. Dentro, poca luce e molto caldo e insetti di svariate qualità che ti tormentano di giorno e di notte. Il mio cuoco prepara là dentro i miei pasti, come sa fare lui, con quello di cui si può disporre nel bosco... La gente Karimojong è cordiale, ma ha troppa stima e fiducia del missionario, ed è sempre lì a chiedere. Quando si è stanchi, codeste richieste riescono fastidiose, ma bisogna aver pazienza e fare buon viso. Dopo aver ordinato un po' le cose nella capanna, m'intrattengo con la gente del villaggio, vado a far visita ai villaggetti vicini, raduno i cristiani e i catecumeni per la preghiera e l'istruzione. Più oltre, qualche chiacchierata, le preghiere della sera e dispersione ai loro villaggi, mentre io mi raccolgo nella capanna da solo. Al mattino, cristiani e catecumeni vengono alla messa: istruzione, confessioni, poi messa, comunione ai cristiani, battesimi, registrazione, distribuzione di medicine, incontro personale col catechista, soluzione di casi particolari, forti e soavi raccomandazioni... È una giornata piena. Consolazioni, casi incresciosi, incomprensioni, insulti, sofferenze fisiche e morali... e così si semina la Parola di Dio, si pianta la Chiesa». A conclusione, citiamo quello che il cardinale Palazzini disse nella ricorrenza del cinquantesimo di vita missionaria di p. Augusto: «Dovrei vivificare questi tuoi cinquant'anni di dedizione al lavoro missionario narrando particolari, episodi, atti di coraggio, fatica portata fino al limite della capacità umana, ansia di non poter fare tutto quello che il cuore detta di fronte alla miseria materiale e morale, alla fame e all'infanzia abbandonata. Ma anche se questo può sembrare tema d'obbligo, nella circostanza presente, non intendo far torto ai tuoi sentimenti di umiltà, né turbare la tua meditazione interiore, forse e senza forse, incentrata ora nel testo classico: Solo a Dio onore e gloria. Questi episodi che forse nessuna rivista missionaria riporterà mai, li ritroverai scritti in cielo nel libro della vita, quando a farti corona troverai tutte le anime che hai diretto al cielo»                        (a cura di P. L. Bano).

Da Mccj Bulletin n. 134, gennaio 1982, pp.77-80