Era nato il 7 ottobre 1917 a Bàlbido di Bleggio (Trento), dove la famiglia era sfollata da Agrone per la guerra. Quanto era vivace in casa, altrettanto era timido in Seminario e nei primi anni di sacerdozio. Fu ordinato sacerdote a Trento il 29 giugno 1941 e prestò la sua opera in diocesi fino al 1948, come cappellano a Grigno e a Riva, e come parroco a Campi di Riva e Carisolo. Qui maturò la sua vocazione missionaria, determinata dal desiderio di un vasto campo di azione. Poté entrare nel Noviziato di Gozzano nell'agosto del 1948, ed emise la professione religiosa il 4 giugno 1950. Alla fine di novembre dello stesso anno era già nella missione di Yubu, tra gli azande, incaricato della sorveglianza dei catecumeni. Trovò sempre difficoltà nelle lingue, e anche lo zande gli riuscì difficile, all’inizio, ma poi lo imparò dalla viva voce della gente. Fu trasferito a Naandi nel febbraio del 1952, e a Tombora un anno dopo, ma solo per pochi mesi, perché fu presto nominato superiore di Rimenze, una missione che cominciava a svilupparsi. Fu a Rimenze che durante la rivolta del 1955 salvò un arabo nascondendolo per parecchio tempo. Per questo gesto, ricevette un ringraziamento ufficiale dal Primo Ministro sudanese. Aiutava i Fratelli nei lavori, tanto da sembrare uno di loro; ma preferì dedicarsi al ministero. Aveva una cura speciale dei catechisti, dei catecumeni e dei malati.
L'apostolato era la sua passione. Visitava i villaggi per andare a trovare i cristiani ed era amato da tutti. Era sempre gioviale e sapeva infondere allegria: perciò la sua conversazione era gradita. Ma sapeva anche essere energico. Attività, prudenza, criterio e buono spirito indussero la Consulta Generale a nominarlo Superiore della Regione di Mupoi nel 1956, dopo soli sei anni di professione religiosa. Accettò con riluttanza l'ufficio, ma lo esercitò con soddisfazione generale. In conseguenza della nomina si trasferì a Tombora. Tornò in Italia nel 1959 per il Capitolo Generale e per un periodo di vacanze. Ne volle approfittare per andare in Inghilterra a studiare l'inglese. Nel marzo del 1960 era a Yambio, dove la delicatezza del momento richiedeva una persona attiva e prudente. Al principio dell'anno seguente riportò la frattura del braccio destro in una caduta. L'incidente lo costrinse all'inattività per parecchi mesi. Dovette arrivare fino a Khartoum per le cure, ma portò sempre le conseguenze di un intervento mal riuscito. A Yambio non esitò a compiere il suo dovere anche quando il governo emanò le ultime limitazioni all'attività missionaria. Fu proprio per avere amministrato il battesimo a minorenni che fu imprigionato per una notte e poi multato. Fu ufficialmente incriminato di contravvenzione alla Legge sulle Missioni: fu il riconoscimento supremo della sua fedeltà al dovere. Con grande dolore suo e dei suoi cari azande dovette lasciare il Sudan alla fine del 1962. Nel riposo forzato del 1963 trovò modo di dedicarsi al ministero per parecchi mesi a Fai (Trento) come vicario parrocchiale. Forse, furono i mesi più tranquilli della sua vita, ma P. Remo non vedeva l'ora di tornare in Africa. Salutati i vecchi genitori, che sapeva di non rivedere più, partì da Venezia per il Congo il 13 febbraio 1964, come Rappresentante del Superiore Generale. Il suo entusiasmo era leggermente attenuato dal pensiero di andare a proseguire un lavoro cominciato da altri.
I confratelli dicono di lui: «Era un vero missionario. Lo vidi dedicarsi sempre con giovanile entusiasmo e senza mai risparmiarsi al bene dei nostri cari azande. Non badava a sacrifici quando si trattava di aiutare i confratelli e la gente. Non l'ho mai visto indietreggiare di fronte a nessuna difficoltà e il suo esempio generoso trascinava». La sua vita missionaria tanto movimentata, nel Sudan e nel Congo, si è conclusa col dono totale di sé, che è il grado supremo della carità: è stato ucciso dai ribelli Simba (Congo) il 24 novembre 1964 a Paulis (Isiro).
Da Bollettino n. 72, gennaio 1965, p. 51-52
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Terzo di cinque fratelli, inizia il ginnasio nel seminario diocesano di Trento. È ordinato sacerdote il 29 giugno 1941. Fino al 1948, è cappellano a Grigno e a Riva, poi parroco a Carisolo e a Campi di Riva. È benvoluto, specialmente dagli uomini: ha un carattere gioviale e sa prenderli per il giusto verso.
Godeva della simpatia e confidenza della gente semplice.
Il lavoro pastorale gli piace, ma desidera fare il missionario. Lo ha confidato anche alla madre. Dopo gli esercizi spirituali del 1948, il 30 agosto si presenta alla Casa Madre dei comboniani di Verona ed entra nel noviziato a Gozzano (Novara). Dopo la professione religiosa, nel 1950 parte per il Sudan meridionale.
Il 24 ottobre, è a Mupoi per lo studio della lingua azande. Lavora nelle missioni di Yubu, Naandi, Tombora, Rimenze e Yambio. Sono centri in sviluppo, sparsi nella foresta e p. Remo vi trascorre anni di intensa vita missionaria.
Come superiore del gruppo comboniano, aiuta i confratelli nelle difficoltà, nei lavori materiali e nella costruzione di scuole. Preferisce però dedicarsi alla formazione dei catechisti e dei catecumeni e alla cura pastorale degli anziani e dei malati.
Nell’agosto 1955 nel Sudan meridionale scoppia la rivolta contro le persone arabe del nord. In gennaio si celebra l’indipendenza dalla Gran Bretagna. Si forma un governo arabo, che esclude dalla vita politica le popolazioni del sud (in prevalenza seguaci delle religioni tradizionali e, in minoranza, cristiane).
La situazione diviene presto insostenibile: scontri, eccidi, minacce per tutti, sia per la gente che per i missionari. P. Remo si prodiga anche per salvare vite umane, sia di arabi del nord che gente del sud. La morsa delle restrizioni per le attività dei missionari si stringe: vengono loro tolte le scuole, ristretto il diritto di celebrare la messa, di predicare e di battezzare (anche i figli di genitori cattolici), di distribuire medicinali. Nel 1964 ci sarà l’espulsione di tutti i missionari dal Sud Sudan.
Proprio per avere amministrato il battesimo a minorenni, nel dicembre 1962 p. Remo è arrestato assieme a un confratello, imprigionato, multato ed espulso dal paese.
Ha 46 anni. Trascorre il 1963 nel ministero parrocchiale, poi si reca a Parigi per studiare il francese: i superiori lo hanno destinato alle missioni da poco aperte dai comboniani nella Repubblica democratica del Congo. Nel febbraio 1964 è nella sua nuova missione.
P. Remo è il responsabile di otto comboniani (tutti “veterani” del Sudan) impegnati in due missioni del nord-est del Congo: Rungu e Ndedu, nella diocesi di Niangara, al confine con il Sudan meridionale. Lavorano accanto ad alcuni preti locali e ai domenicani belgi.
P. Remo si stabilisce a Ndedu. Il centro più vicino è Paulis (diventerà Isiro).
È un inizio carico di speranze, che dura però pochi mesi. Rigurgiti di ribellione sconvolgono le fondamenta del giovane stato africano: insurrezioni contro il malgoverno centrale di Leopoldville (oggi Kinshasa), rivendicazioni territoriali; truppe armate di ribelli mulelisti (seguaci di Mulele) e simba (parola kiswahili che significa leoni) cominciano a circolare nella zona, con slogan comunisti, antibianchi e antimperialisti, terrorizzando la gente e seminando ovunque stragi e morti.
La seconda metà del 1964 è un crescendo di disordini e pericoli. Alla fine di ottobre, p. Remo va a Paulis, per ritirare le paghe dei maestri. Le autorità militari gli sequestrano la macchina, carica di medicine, vestiti e viveri per la sua gente. Si ferma presso la procura dei domenicani belgi.
È consapevole del pericolo ormai imminente. È arrestato dai ribelli simba e imprigionato assieme ad altri missionari e civili europei. Risultano fallimentari i tentativi di amici e gruppi azande (la sua gente di Ndedu) di liberarlo.
Mentre l’esercito regolare avanzava verso Stanleyville (oggi Kisangani), capitale della regione nord-orientale, i ribelli trucidano un gran numero di persone sospettate di fedeltà al governo. Alla notizia della discesa su Stanleyville dei paracadutisti belgi, il 23 novembre, i dirigenti della rivolta danno l’ordine di uccidere tutti gli ostaggi. P. Remo, unico italiano nel gruppo, spera di poter essere risparmiato; ma non sarà così. I missionari sono pronti al sacrificio: si sono confessati a vicenda e hanno pregato insieme. Quando sono fatti uscire dalla prigione per l’esecuzione, si dicono l’un l’altro: «Arrivederci in paradiso». In pochi minuti cadono uccisi. Il colonnello dei simba spara su p. Remo. Colpito alla testa, il missionario muore sul colpo. Non aveva ancora compiuto un anno in Congo. Ma già amava intensamente la sua nuova gente.
(Dalla serie “I Martiri” preparata a Verona da P. Romeo Ballan, 14.9.2010)