In Pace Christi

Fanti Simone

Fanti Simone
Data de nascimento : 20/11/1875
Local de nascimento : Rumo TN/I
Votos temporários : 08/12/1902
Votos perpétuos : 08/12/1902
Data da morte : 16/08/1953
Local da morte : Lodonga/UG

Nato a Rumo (Trento) il 20.11.1875, era uno dei Fratelli più anziani. Entrato a Verona il 1° ottobre 1900, vi faceva la professione l’8.12.1902, e partiva per l'Africa nel 1903, raggiungendo Lul. Nel settembre 1904 passava a Mbili nel Bahr-el Ghazal, e dal 1906 al 1912 fu addetto al battello REDEMPTOR, compiendo regolarmente ogni anno vari viaggi in servizio delle missioni. Nel maggio 1912 rimpatriava per ripartire il 28.12.1912, e dall'inizio del 1913 rimase sempre in missione, per 40 anni continui.

Addetto nel 1913 alla incipiente Stazione di Gulu, ove iniziò la scuola di arti e me­stieri, nel 1916 passava a Kitgum, e poi a Moyo e di nuovo a Gulu. Nel 1919 veniva inviato a Regiàf per l'apertura di quella stazione e nel 1920 ad iniziare le stazioni di Torit e Loa, nel Bahr-el-Gebel. Nel 1922 ritornò in Uganda per la costruzione della chiesa di Kitgum, e dal '23 al '27 ad Arua, per la costruzione della casa e chiesa. Ritornò nel Bahr-el-Gebel nel 1927, addetto alla Procura di Giuba. Nel 1938 ritornava in Uganda, alla scuola tecnica di Gulu e quindi a quella di Ombacì (Arua). Quando nel 1952, causa la progressiva diminuzione della vista e l'indebolimento delle forze, dovette lasciare la scuola, restò sempre fedele a tutte le pratiche della vita religiosa, dolente di non po­ter essere più di aiuto, ma riconoscentissimo per le premure che i confratelli gli pre­starono successivamente a Kalongo, War e Lodonga, dove moriva quasi improvvisamente per emorragia cerebrale il 16.8.1953.

Lavoratore intelligente e versatile, Fr. Simone Fanti resterà la figura leggendaria del Fratello che sa fare di tutto. Era fabbro quando entrò da noi, ma con la pratica e con lo studio imparò e insegnò tutti i mestieri: meccanico (biciclette, caldaie a va­pore, motori a scoppio, seghe e macchine d'ogni genere), costruttore, autista, orologiaio, dentista, ecc. Con le sue belle maniere e prestazioni seppe accaparrarsi la benevolenza degli esterni e delle autorità, divenendo così un elemento prezioso per la sua indu­striosa operosità. Religioso convinto e conscio della sua vocazione, era soprattutto e sem­pre missionario, mirando, anche col lavoro materiale, ad attirare anime alla Chiesa, aiu­ti alla missione, e a formare collaboratori del missionario. Fu dovunque maestro di arti e mestieri e, appena poteva, anche di catechismo. Veramente benemerito dell'aposto­lato missionario in Africa, lascia numerosi operai da lui avviati al lavoro e alla vita cri­stiana, che lo ricorderanno assieme ai confratelli nelle generazioni future.

Da Bollettino n.41, novembre 1953, p.531

 

Un «factotum» d'eccezione

Come si vede dai brevi profili di questi pionieri della missione africana, ogni personaggio ha una storia che meriterebbe di essere raccontata a fondo. Dobbiamo necessariamente limitar ci alle note più tipiche, anche perché è ormai ben delineata l'identità del fratello comboniano, che alla tensione interiore propria dei consacrati, unisce intelligenza, iniziativa, versatilità, capacità e impegno ad alto livello.

Qui parliamo di Simone Fanti, uno specialista del «tutto fare». Generalmente, chi pretende di essere esperto in tutto finisce per rivelarsi mediocre in tutto. Il Fanti è una delle eccezioni che confermano la regola. In ogni attività, infatti, si comportò sempre da vero specialista. Succede ad alcuni individui particolarmente dotati, poliedrici. Viene in mente Don Bosco e quella famosa frase di Pio XI su di lui: «Qualsiasi cosa avesse fatto nella vita, sarebbe stato un numero uno».

Prima di intraprendere un lavoro, fratel Simone, studiava a fondo anche i più minuti particolari, non lasciando mai nulla al caso. Anche quando le circostanze richiedevano l'improvvisazione, la sua era un'improvvisazione «ragionata». Fu anch'egli capitano del leggendario «Redemptor», dedicandosi poi alla costruzione di chiese, scuole e case e all'insegnamento nelle scuole professionali di Ombaci (Uganda). Ma soprattutto fu un eccellente catechista (quanti battesimi ebbero la sua firma!).

Leggiamo nel Bollettino della Congregazione che ne annunciò la scomparsa: «Religioso convinto e conscio della sua vocazione era soprattutto e sempre missionario, mirando, anche col lavoro materiale ad attirare anime alla chiesa, aiuti alle missioni e a formare collaboratori del missionario». Evangelizzazione e promozione umana andavano in lui di pari passo.

Il nome di Fanti è particolarmente legato alla costruzione della chiesa di Arua, su disegno di un architetto italiano. Fu un'impresa notevole, dati i tempi. Il trasporto del materiale - ad esempio - impegnò carovane di oltre cento portatori: di villaggio in villaggio si mandavano staffette per reclutare uomini che dessero il cambio ai compagni esausti. Non sempre se ne trovavano. Un ufficiale inglese, che aveva assoldato tutti i neri della zona per la costruzione di una strada, quasi litigò con un capo tribù che gliene aveva chiesto un centinaio per il missionario. Non ne voleva assolutamente sapere: «Chi è - diceva - questo Fanti che ha bisogno di cento portatori? In questo dannato paese conta più lui o il governo?». Naturalmente Fanti alla fine ottenne quello che voleva.

Per capire meglio lo «stile» di questo trentino dalla testa dura, citiamo, da «Nigrizia» del novembre 1967, la testimonianza di un confratello, il p. Cotta: «In quel periodo, si era nei primi anni del 1900, anch'io mi trovavo a Khartoum. Stavo poco bene a causa della malaria e il medico mi aveva raccomandato di prendere dei ricostituenti a base di ferro. Un giorno però fratel Fanti mi disse: 'Il ferro è meglio prenderlo con le mani. Venga con me. Le faccio fare una cura in officina e dopo non occorreranno altre iniezioni. Vedrà'.

Qui c'è tutto fratel Fanti. Coriaceo, un po' spigoloso, incapace di complimenti, lavoratore instancabile. Non esiste un biografo ufficiale di Simone Fanti il quale, del resto, non era tipo da imporsi all' attenzione per particolari atteggiamenti esteriori. Di poche parole, schivo, quasi scostante, preferiva far parlare i fatti, da quel formidabile realizzatore che era. Ottimo meccanico, diede frequenti cambi a fratel Giori alla guida del «Redemptor». Ma è nell'edilizia che egli realizzò le imprese più clamorose. Cominciò col fabbricare mattoni ... Dio solo sa quanti! Ma non bastandogli i mattoni, bisognava fare anche le tegole. E si fecero anche queste. A migliaia, grazie alla tenacia di fratel Simone, che poté così dare il via ai primi grandi edifici in mura tura del nord Uganda.

Ma ascoltiamo dal suo racconto alcuni «flash» della sua esperienza in quella regione d'Africa: «La nostra scuola tecnica, conosciuta come Collegio S. Giuseppe, sta realizzando le sue aspirazioni con la costruzione della bella chiesetta. Non è finita ma la costruzione e già avanzata ... e le mura laterali abbisognano di poche aggiunte per dirsi complete. E' dal 1915 che fu iniziata questa «scuola artigiani», ma solo ora essa possiede locali ed officine attrezzate per 120 allievi ... la sezione muratori di questa scuola è incaricata dei lavori, ed i venti giovani componenti tale sezione sono coadiuvati dalla sezione falegnami per il lavoro del tetto e serramenti, e dal ramo meccanici per gli strumenti necessari: cerniere, legature delle capriate. lo, nonno della scuola, mi consolo assai nel vedere il progresso di questi neri affidati a noi per l'istruzione operaia e tecnica. E penso ai miei primi anni di missione (1904) quando si andava a visitare alcuni villaggi dove il colore della nostra pelle era ancora sconosciuto e penso alle risposte che gli abitanti del villaggio davano a mons. Vicario Apostolico ch'io accompagnavo. Ci dissero che non avevano bisogno di noi, che andassimo via. Altrove, avendoli assicurati che venivamo per istruirli e difenderli, ci risposero che sarebbero stati ben contenti se non fossimo più tornati, e le lance impugnate ci facevano comprendere la loro decisione. I nostri primi tempi di missione sono noti come «età del fango». Abbiamo vissuto in capanne di fango come quelle dei neri: i muri sostenuti da pali e protetti da foglie e fango, ci davano il senso di sicurezza e di protezione. Si passarono alcuni anni in quelle condizioni, poi a qualcuno venne la bella idea di fabbricare mattoni, di farli essiccare al sole e di usarli come materiale edilizio adoperando il fango come malta ed intonaco. Nonostante il materiale primitivo questa scoperta permise la costruzione di fabbricati più decenti e funzionali, sino a pervenire alla realizzazione di opere più importanti. Ma quanti sforzi per arrivare a questo! Quanta pazienza ad insegnare cose che a noi paiono ovvie, ma non lo sono per chi non ha la minima nozione di nulla!

Ma un po' alla volta hanno imparato ed ora sono proprio questi nostri vecchi apprendisti che mandano i loro figli a studiare da noi. Ai novelli apprendisti consegniamo la pialla e la sega, ma pochi di loro imitano i loro padri che la tiravano invece di spingerla! Siamo arrivati ad un livello che a quei tempi sembrava follia solo il pensarlo. I muratori, falegnami, meccanici, nei cinque anni di lavoro del loro corso frequentano scuole di disegno, aritmetica, ed arti manuali diverse. I muratori, oltre che erigere murature, imparano a fare archi di dimensioni discrete, i falegnami preparano serramenti e riescono a produrre anche mobili di lusso, i meccanici hanno compreso il segreto dei motori e riparano, smontano e rimontano macchine abbastanza complicate. La formazione tecnica è migliorata; resta da formare la vera vita cristiana, cosicché, oltre a tecnici esperti, la scuola possa imprimere il vero senso cristiano nel cuore degli allievi, e possa produrre operai coscienziosi, esemplari di onestà e rettitudine, come i sinceri e stimati operai d'Europa che onorano se stessi e il loro paese».

Fratel Simone, pur schivo nel parlare, aveva un debole per un'opera che amava ricordare spesso: la costruzione della chiesa di Arua. L'impresa era stata un'autentica sfida contro tutto. Particolarmente impegnativa la costruzione del campanile, alto venticinque metri, in mattoni legati con fango. Per dare fondamenta adeguate a quella mole fu scavata un' enorme buca che poi venne riempita con lastre di pietra incrociate, raccolte nei letti dei fiumi e dei torrenti intorno alla missione. A lavoro ultimato, un professore belga che aveva compiuto un ampio giro attraverso il Congo e i territori confinanti ebbe a commentare: «Questa è senz' alto la più bella chiesa che io abbia visto nella traversata africana».

Ci fu un'occasione in cui fratel Fanti si vedrà costretto a dare una «lezione» ad un prelato. Si trattava di mons. Archi, vescovo di Como, che era in visita alle missioni e viaggiava a bordo del «Redemptor». Calata la sera, era stata approntata per lui una zanzariera per proteggerlo dall' assalto notturno degli insetti. Ma il prelato, nato nel Polesine, rispose con una punta di spavalderia che lui le zanzare le conosceva bene e che non sapeva che farsene della zanzariera. E non la volle.

I passeggeri che dormivano sotto coperta - a monsignore era stata riservata l'unica cabina in coperta - lo sentirono però camminare su e giù per diverse ore. Qualcuno - per la verità - aveva invitato fratel Fanti, che a quell'epoca fungeva da capitano del battello, a fare qualcosa. La sua risposta fu: «Gli abbiamo detto di mettere la zanzariera: non l'ha voluta. Ebbene, impari a sue spese che a certe latitudini i complimenti è meglio lasciarli da parte». E non si mosse.

Il mattino dopo Sua Eccellenza si presentò con la pelle tutta punzecchiata e la veste impiastrata di cera, avendo girato sul ponte durante buona parte della notte con una candela accesa, attirandosi così addosso interi sciami di insetti. Fratel Fanti, fra il serio e il faceto gli fece notare la sua imprudenza e, implicitamente, la sua presunzione. Monsignore incassò il colpo e la notte successiva dormì ben riparato dalla zanzariera.

Su fratel Simone sappiamo che, negli ultimi 40 anni di vita missionaria, non si concesse mai una vacanza in Italia. La riteneva tempo perso. Mal d'Africa? Certo anche questo, ma alla base c'era un amore grande per la propria vocazione e il desiderio di onorarla in totale fedeltà.

Morì il 16 agosto 1953 a Lodonga, dove si era ritirato dedicandosi alla preghiera, dopo mezzo secolo d'Africa.

Da Angelo Montonati, Due volte Fratello, pp. 88-93, EMI 1989