Mercoledì 11 ottobre 2017
Ieri le comunità della Curia generalizia a Roma hanno celebrato la festa di san Daniele Comboni. Momento culminante della giornata è stata la concelebrazione eucaristica, presieduta dal comboniano Mons. Menghesteab Tesfamariam, Arcieparca di Asmara, alla quale hanno partecipato alcune Suore Missionarie Comboniane e numerosi amici e benefattori. “San Daniele Comboni – ha detto Mons. Menghesteab nell’omelia – è stato un uomo, prima di tutto, coraggioso nella fede, nel suo optare per l’Africa, credere negli africani, combattere la schiavitù, non cedere nei momenti più duri. Secondo, è stato imbattibile nella speranza, anche nel momento più critico: ‘Io muoio ma la mia opera non morirà’. Terzo, è stato generoso nella carità cristiana: ha dato tutto se stesso, tutto il suo tempo, tutta l’energia e tutta la vita per la causa della missione. (...) Oggi troviamo le “situazioni Africa” un po’ dappertutto: rifugiati, migranti, oppressi, emarginati…”.
Pubblichiamo una sintesi dell’omelia di Mons. Menghesteab Tesfamariam, Arci- eparca di Asmara.
Oggi troviamo le “situazioni Africa” un po’ dappertutto: rifugiati, migranti, oppressi, emarginati…
Quest’anno la festa di san Daniele Comboni ha un significato speciale perché la celebriamo nel contesto del 150° anniversario della fondazione dei Missionari Comboniani del Cuore di Gesù.
Nella prima Lettura (Is 61, 1-3), Isaia ci dice che il Messia atteso dal popolo eletto doveva essere portatore di un lieto annuncio. Questo lieto annuncio non era una filosofia, un’idea, ma una concreta e tangibile esperienza di gioia, liberazione e vita piena. San Luca ci dice che questo annuncio si è realizzato in Gesù e con Gesù.
Nella seconda lettura (Gal 6, 14-18) san Paolo, come sempre, è molto schietto nelle sue espressioni: non vuole vantarsi di niente altro che nella croce del Signore Gesù Cristo. Lui è crocifisso per il mondo e il mondo per lui. Gesù è diventato per san Paolo quello che dovrebbe essere anche per i Galati e per noi, il principio fondante della vita e della missione. Anche se non le vogliamo, ci sarà sempre chi ci procura le stigmate e le cicatrici e, a volte, è qualcuno che pensavamo fosse un amico fidato. Già Gesù aveva detto: “se lo hanno fatto a me lo faranno anche a voi”.
Nel Vangelo, la figura di Gesù Buon Pastore è molto bella, anche se oggi nessuno di noi vuole essere paragonato ad una pecora; forse avremmo preferito un altro animale. Daniele Comboni parlava anche dell’asino. Gesù Buon Pastore conosce le sue pecore e loro conoscono il loro pastore e ascoltano la sua voce. Lui dà la vita per le sue pecore. Il mercenario è diverso, è opportunista, usa le pecore finché gli interessano, ma le abbandona appena vede un pericolo.
San Daniele Comboni è stato un uomo, prima di tutto, coraggioso nella fede, nell’optare per l’Africa, nel credere negli africani, combattere la schiavitù, non cedere nei momenti più duri. Secondo, è stato imbattibile nella speranza, anche nel momento più critico: “Io muoio ma la mia opera non morirà”. Terzo, è stato generoso nella carità cristiana: ha dato tutto se stesso, tutto il suo tempo, tutta l’energia e tutta la vita per la causa della missione.
Celebrando i 150 anni di fondazione, siamo davanti ad una grande sfida e ottima occasione: una crisi che paralizza o un rinnovato slancio che dà la vita nuova. Vorrei ricordare che come Comboniani dovremmo essere degli esperti della nuova evangelizzazione. Papa Benedetto XVI è stato geniale nell’invitare o meglio, sfidare la Chiesa a mettersi al servizio della nuova evangelizzazione. Il Vangelo, come sappiamo, è sempre quello, ma i modi, i mezzi, le persone, gli ambienti sono cambiati e cambiano continuamente. Bisogna essere creativi e solleciti nel trovare i mezzi giusti in ogni luogo, in ogni situazione e in ogni tempo. I Comboniani e le Comboniane sono chiamati ad essere all’avanguardia come lo era Comboni 150 anni fa. Lui sì che era molto avanti, per il suo tempo, originale nelle sue iniziative e nei suoi piani.
La missione è allo stesso tempo una chiamata-consacrazione e un mandato che ci fa partire, lasciare tutto. Chiamati da Cristo e mandati a tutte le genti. Oggi, forse, la missione ad gentes è in Italia, in Europa, in America, Australia. Le chiese sono vuote, i matrimoni sono pochissimi, ecc. Che cosa vogliono dire oggi rigenerazione dell’Africa, salvare l’Africa con gli Africani, o Africa o morte? Queste parole devono essere vive e attuali ancora oggi, ma forse in un modo molto diverso dal significato che avevano 150 o 100 o 50 anni fa! Oggi troviamo le “situazioni Africa” un po’ dappertutto: rifugiati, migranti, oppressi, emarginati…
P. Juan Climent Vilaplana, superiore della comunità della Curia.
P. Bernasconi Fermo, P. Sindjalim Essognimam Elias, e P. Ciuciulla Pietro.