Morire ucciso è la conclusione logica di una vita donata a Dio e alla gente, nella semplicità di cuore.


Mereto di Tomba (Udine – Italia)
Rungu (RDCongo)

La lettera che scrisse da Rungu 1'8 luglio 1964 rispecchia mirabilmente la sua serenità e lo spirito da cui fu sempre animato: “Quello che mi meraviglia è la popolarità già acquistata qui. Dovreste vedere come mi salutano e mi accolgono festosamente ai loro villaggi. Sono veramente contento di trovarmi qui e non cambierei la mia condizione di missionario neppure col Presidente degli Stati Uniti”.
Aveva lasciato per la prima volta il suo paesetto di Tomba di Mereto (Udine), dove era nato il 26 ottobre 1922, per entrare nel seminario diocesano. Quel giorno la mamma lo condusse davanti alla Madonna della camerata e gli disse: “Evaristo, d'ora in poi questa Madonna sarà la tua mamma”.
Nel 1940 aveva già manifestato al Rettore il desiderio di entrare nell’Istituto dei missionari comboniani. Fu consigliato ad attendere dopo l'ordinazione sacerdotale, ma nel 1942 decise di non ritardare più l'attuazione del suo desiderio. Lo determinarono alcune conferenze che un comboniano tenne nel suo Seminario nella festa di Pentecoste. Si procurò la vita di Mons. Comboni “per leggerla e meditarla attentamente e acquistare quello spirito di eroismo necessario a chi si consacra alle missioni” e si presentò di persona in Casa Madre a ona. Quanto appariva timido ed impacciato con persone di riguardo, altrettanto era fermo nelle sue decisioni.
Entrò nel Noviziato di Vengono (VA) in quell'anno, al termine della seconda classe di liceo. Gli fu particolarmente duro il distacco dalla sua buona mamma, ma egli l'offrì volentieri al Signore, “aspettando da Lui una degna e abbondante ricompensa”. Finito il Noviziato completò gli studi a Verona, e fu ordinato sacerdote nel 1948.
Nell'ottobre di quello stesso anno partì per l'Asmara (Eritrea) dove insegnò per cinque anni nel Collegio Comboni. Imparò il tigrino e anche il ghe'ez, la lingua liturgica, e fu in grado di celebrare la S. Messa in rito copto. Esercitò tutto quel ministero che gli era permesso. La domenica partiva in bicicletta, raggiungendo centri lontani, senza temere gli sciftà (banditi) che infestavano le strade mettendo in pericolo la vita dei passanti.
Quel modesto ministero non lo appagava; e nel 1953, dopo lunga riflessione e molte preghiere, si permise di rinnovare umilmente la domanda di essere inviato in un campo di maggiore apostolato. “Sento in me un prepotente bisogno di vivere di più di Gesù, di farlo conoscere ed amare, di vivere più intensamente la mia vocazione religioso-missionaria... Ho ormai 30 anni; aspettando ancora mi riuscirebbe difficile imparare una nuova lingua”.
I Superiori accolsero la sua domanda; ed egli alla fine del 1953 raggiungeva la Prefettura di Mupoi (Sudan). In dieci anni di apostolato (interrotto solo da una breve vacanza in Italia nel 1958) svolse un fruttuoso lavoro di conversioni a Rimenze, Naandi, Maringindo, Ezo e nuovamente a Naandi, dove fu superiore fino al giorno dell'espulsione dal Sudan.
Il 15 novembre 1962 venne chiamato in tribunale sotto l'accusa di avere rifatto due cappelle di paglia e fango senza il permesso delle autorità e fu confinato per un mese nella missione di Tombora, in attesa del giudizio. In quel mese scalpitava per l'impossibilità di tornare a Naandi dove l'attendeva una mole di lavoro. Pochi giorni prima del giudizio il governo decretò l'espulsione sua, di P. Piazza e di altri confratelli. Ma prima di lasciarlo partire le autorità lo condannarono a trenta sterline di multa; e gli sarebbe toccato di peggio se non fosse stata già decretata la sua espulsione.
Rientrato in Italia espresse ai superiori il desiderio di partire per la nuova missione del Congo (paese confinante con il Sudan), per assistere i profughi sudanesi che fuggivano dalla guerra. E intanto fece qualche mese da missionario al suo paese, sostituendo il vecchio parroco ammalato; e con la generosa collaborazione dei compaesani fece applicare la suoneria elettrica alle campane.
Partì per il Congo nel febbraio del 1964, e fu destinato a Rungu. Non mancò però di fare presto una visita a Ndedu per mettere a profitto di quei suoi confratelli la sua qualità di rabdomante e indicare loro alcuni posti dove potevano trovare acqua.
A Rungu imparò abbastanza presto il bangala e cominciò le sue escursioni apostoliche. Nel mese di luglio era già in piena attività, passando da un villaggio all'altro in auto o in bicicletta, sotto il caldo equatoriale. Al ministero nei villaggi univa la cura dei registri parrocchiali; e il tempo non gli bastava per arrivare a tutto. «Siamo qui in due a lavorare nei villaggi fuori missione. Sono più di 70, e non riusciamo a tenere dietro al movimento cominciato con la nostra venuta». Proprio nulla faceva prevedere la tragica giornata del 1 dicembre!
Di carattere semplice e buono, P. Migotti lavorò sempre con sottomissione e generosità, e si comportò da religioso esemplare.
Prima di abbracciarlo per l'ultima volta la mamma gli disse: «P. Evaristo, perché dopo essere uscito dal pericolo di morire nel Sudan vuoi andare nel Congo dove continuano ad uccidere i bianchi? ». «Mamma - fu la risposta del figlio - penso che se il Signore mi chiedesse di morire martire sarei indegno di tale grazia».
Il Signore invece l'ha ritenuto degno di questa grazia, alla quale P. Migotti si era disposto fin da quando aveva domandato di essere ammesso alla professione perpetua, dichiarando al Superiore Generale:
«Liberamente, con piena avvertenza mi consegno a Lei e ai suoi successori perché dispongano di me per qualunque ufficio credessero opportuno affidarmi anche per quelli che richiedessero un atto eroico».
L'atto eroico il Signore glielo chiese il 10 dicembre 1964, ed egli non esitò a compierlo.

Rungu (Congo) 1 dicembre 1964 - anni 42