Lunedì 23 gennaio 2017
Era molto strano per P. Jesús Aranda Nava [nella foto], il nuovo parroco della parrocchia del Sacro Cuore di Kajo keji, in Sud Sudan, vedere un flusso continuo di persone, che si portavano appresso le loro poche cose, dirigersi verso il confine ugandese. Questo accadeva il 3 Dicembre 2016, il primo giorno del suo arrivo nella parrocchia, e la processione proseguì nei giorni seguenti. Perché 50.000 persone o più della popolazione del Distretto di Kajo keji avevano abbandonato le loro case, dove avevano vissuto in un ambiente tranquillo e avevano sperimentato un discreto sviluppo?

Una delle ragioni per abbandonare le loro case e andare come profughi in Uganda era la loro situazione di insicurezza dopo le voci che sarebbero stati attaccati da gruppi armati che si opponevano al governo del Sud Sudan – con tutte le terribili conseguenze che tali conflitti portano alla popolazione. Questo tipo di tattica era stata usata nelle zone circostanti della città di Yei, costringendo le persone a lasciare la loro casa fino a che le piccole città e i villaggi rimasero vuoti.

La comunità comboniana di Kajo keji decise di formare un’equipe e di andare a fare visita ai nuovi campi profughi in Uganda per accertarsi personalmente dei fatti e per una visita pastorale. P. Mosè li accolse e li portò in giro, dal momento che la maggior parte delle persone provenienti da Kajo keji si erano stabiliti nella sua zona. Nei campi profughi i bambini e i giovani venivano registrati per la scuola materna, primaria e le scuole superiori. In pochi giorni erano già stati registrati circa 4.000 studenti, anche se vi erano ancora molti altri non ancora registrati. L’equipe in visita, con l’autorizzazione e il supporto delle persone responsabili per i profughi, ottennero il permesso di organizzare le celebrazioni religiose nei vari campi profughi.

L’equipe pastorale scoprì che la realtà dei rifugiati sudanesi nei campi del nord Uganda era difficile e frustrante. Le persone stavano cercando di stabilirsi nella zona. A loro si provvedeva del cibo, come il mais, sorgo, fagioli e olio da cucina, ma in quantità appena sufficiente per sopravvivere. Naturalmente vivevano ancora in pessime condizioni.

La comunità comboniana di Lomin Kajo keji ha deciso di provvedere l’assistenza spirituale ai rifugiati, in particolare, di organizzare un’equipe che, con l’aiuto di alcuni catechisti profughi, potesse regolarmente attraversare la frontiera per il lavoro pastorale.


P. Aranda tra i profughi, in Uganda.