Intervista di Papa Francesco alla rivista ‘Mundo Negro’: «Africa, un continente da valorizzare non da saccheggiare»

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Venerdì 20 gennaio 2023
Pubblichiamo alcuni stralci — in una traduzione dall’originale spagnolo — dell’intervista a Papa Francesco pubblicata online dalla rivista dei comboniani spagnoli «Mundo Negro». Il colloquio, durato poco più di 30 minuti, si è svolto il 15 dicembre scorso in Vaticano: erano presenti il direttore della rivista, padre Jaume Calvera, il capo redattore, Javier Fariñas Martín, e il cardinale Miguel Ángel Ayuso Guixot, prefetto del Dicastero per il dialogo interreligioso.
[Javier Fariñas Martín – Mundo Negro]

Papa Francesco ha ricevuto in udienza, il 15 dicembre, padre Jaime Calvera, direttore dell'Editorial Mundo Negro e il signor Javier Fariñas, caporedattore della rivista Mundo Negro.
Durante l'intervista sono stati accompagnati dal cardinale comboniano Miguel Ángel Ayuso Guixot, presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso. Foto: Servizio fotografico vaticano.

Papa Francesco intervistato dalla rivista comboniana spagnola «Mundo Negro»
Africa, un continente da valorizzare non da saccheggiare

Santo Padre, lei è diventato gesuita, tra l’altro, per recarsi come missionario in Giappone...

Sì, è vero.

Cosa rimane di quel padre Bergoglio?

Credo di essere sempre stato interessato alle periferie. Guardo le periferie dall’interno, non solo perché mi interessano intellettualmente. Ed è questo che rimane, andare oltre i confini.

Lei ha affermato che «l’Africa non smette mai di sorprendere». Quanto di questa sorpresa può essere attribuita ai missionari che ha incontrato?

Ciò che mi sorprende di più dei missionari è la loro capacità di mettersi sulla terra, rispettare le culture e aiutarle a svilupparsi. Non sradicano il popolo, al contrario. Quando vedo i missionari, e c’è sempre qualcuno che può fallire, constato che la missione cattolica non fa proselitismo, ma annuncia il Vangelo secondo la cultura di ogni luogo. Questo è il cattolicesimo, il rispetto delle culture. Non c’è una cultura cattolica in quanto tale; sì, esiste un pensiero cattolico, ma ogni cultura è radicata in ciò che è cattolico, e questo è già nell’azione stessa dello Spirito Santo la mattina di Pentecoste. Questo è molto chiaro. Il cattolicesimo non è uniformità, è armonia, l’armonia delle differenze. E questa armonia è creata dallo Spirito Santo. Un missionario va, rispetta ciò che si trova in ogni luogo e aiuta a creare armonia, ma non fa proselitismo ideologico o religioso, tanto meno coloniale. Alcune deviazioni che si sono verificate in altri continenti, per esempio il grave problema delle scuole in Canada, dove sono stato e dove ne ho parlato, erano dovute al fatto che l’indipendenza non era molto chiara in quel momento, ma il missionario deve essere lì per rispettare la cultura del suo popolo, per vivere con quella cultura e per svolgere il suo lavoro.

Il concilio Vaticano ii, ormai 60 anni fa, è stato uno straordinario impulso missionario. La missione è cambiata molto da allora?

Grazie a Dio, sì. Gli storici dicono che ci vogliono 100 anni perché un concilio si attui in modo completo, quindi è solo a metà strada. Tante cose sono cambiate nella Chiesa, tante cose in meglio... Ci sono due segni interessanti: la prima imprudente effervescenza del concilio è già scomparsa, penso all’effervescenza liturgica, che è quasi inesistente. E stanno emergendo resistenze anti-conciliari che non si erano mai viste prima, tipiche di ogni processo di maturazione. Ma tante cose sono cambiate... Sul versante missionario, il rispetto per le culture, l’inculturazione del Vangelo, è uno dei valori sbocciati come conseguenza indiretta del concilio. La fede si incultura e il Vangelo assume la cultura del suo popolo, c’è un’evangelizzazione della cultura.