Venerdì 23 giugno 2023
Il Sud Sudan esiste solo dal 2011, quando si separò dal Sudan. Da allora, problemi come violazioni dei diritti umani e conflitti interni non hanno mai cessato di esistere. È un paese a maggioranza cristiana, non per opera di missionari occidentali, ma per iniziativa propria della gente. In un’intervista, raccolta da Renardo Schlegelmilch (cf. KNA, 14 giugno 2023), il Provinciale dei Missionari Comboniani nel Sud Sudan, padre Gregor Schmidt, parla delle sfide, ma anche delle nuove opportunità, in particolare per il ruolo che esercitano i laici.

– Padre Schmidt, lei vive in Sud Sudan dal 2009, in una delle regioni più inaccessibili dell’Africa orientale. Come reagisce la gente vedendo lei straniero ed europeo?

Ci sono effettivamente nel Paese degli stranieri, ma di solito vengono dall’Africa, cioè dal Kenya e dall’Uganda. I bianchi dall’Europa o dall’America sono pochissimi. Praticamente siamo solo noi comboniani e un medico americano che ha qui una clinica. Quando visitiamo i villaggi, troviamo bambini che non hanno mai visto un bianco.

Io sono stato invitato a venire qui 25 anni fa. Quest’anno festeggiamo i 25 anni della presenza della parrocchia. Nel 1998 è venuto un sacerdote italiano. Da allora il rapporto con noi missionari comboniani è molto buono. La gente è molto ospitale e noi ci adattiamo bene, ad esempio, per quanto riguarda il cibo, e impariamo anche la lingua.

C’è anche un sacerdote dell’Uganda. Abbiamo chiesto: “E adesso come andrà?”. Mi hanno risposto: “Nessun problema, voi siete comboniani, noi non guardiamo alla nazionalità”. Qui, tutti insieme siamo Chiesa e il rapporto reciproco è molto buono.

– È un fatto singolare che in Africa ci sia sia un paese, come il Sud Sudan, prevalentemente cattolico. Da che cosa dipende?

In realtà è una Chiesa molto giovane. La prima generazione di cattolici è ancora viva, e sono stati loro a importare la fede. Non è venuto alcun missionario. La gente fu cacciata durante la seconda guerra civile contro Khartum ai tempi del lungo conflitto tra il Nord e il Sud. I Nuer, dal 1983, lasciarono il Paese in gran numero e si diressero verso l’Etiopia, il Kenya, l’Uganda, ma anche verso la periferia di Khartum.

Per questo ci sono molti sud sudanesi nei quartieri poveri della città. I missionari comboniani sono presenti a Khartum. Noi siamo in questo territorio da quasi 150 anni, da quando il Paese fu visitato dal nostro fondatore, Daniele Comboni. I Nuer hanno conosciuto il cristianesimo a Khartum o in Etiopia attraverso i salesiani. Si tratta di adulti che sono stati formati come catechisti e che poi sono tornati nei loro villaggi.

Le prime cappelle sono state erette nella contea di Fangak nel 1990. Questi Nuer hanno creato in questo luogo alcune comunità cristiane con le loro famiglie. Dopo che i cattolici diventarono diverse migliaia – ritengo almeno 10.000 –, negli anni ’90 arrivò il primo missionario ad aprire la parrocchia. Avevano detto al vescovo: “Siamo diverse migliaia di cattolici e ora abbiamo bisogno di un prete”.

I laici, in questo territorio, sono stati dei protagonisti. E anche oggi possiamo parlare di una Chiesa di laici. Noi facciamo solo le visite alle comunità. L’attività parrocchiale è nelle mani dei Nuer. Noi siamo, per così dire, i moderatori o gli animatori.

– Si tratta quindi di una situazione molto più problematica di quella, per esempio, dell’Amazzonia. Il Sinodo amazzonico ha riflettuto sul fatto delle lunghe distanze e sui pochissimi sacerdoti. Qui il problema è ancora più grande.

Si tratta di un’area di 7.600 chilometri quadrati. Ci sono 80 cappelle. Cappella significa preghiera domenicale. Ma questo non vuol dire che ci sia un edificio. Di solito si prega sotto un albero, all’ombra. Ogni cappella, ogni villaggio che organizza la preghiera domenicale, ha un catechista. Noi preti facciamo solo una visita.

Ciò vuol dire che, con 80 cappelle e 2 sacerdoti, si può calcolare quante volte passiamo. Una o due volte all’anno la gente vede un prete nel villaggio. Naturalmente ci sono anche incontri nel centro parrocchiale, dove vengono i principali catechisti, gli animatori giovanili, la leadership femminile. Ogni villaggio ha la sua gestione. Poi ci sono gli incontri e la formazione nel centro parrocchiale.

– Da alcuni mesi si è aggiunto un ulteriore onere dovuto al gran numero di rifugiati che arriva qui in seguito al conflitto in Sudan, e vengono dove ci sono già povertà e oppressione.

I profughi sono sicuramente centinaia di migliaia. Conosco persone che sono fuggite e sono arrivate qui a Juba. Abbiamo anche un ospite di spicco nella nostra casa comboniana: un cardinale del Nord. Finora, credo che il Sudan abbia avuto un solo cardinale, Zubeir Wako. È emerito e ora è nostro ospite. Ha dovuto fuggire dal Nord. Raccontano che gli hanno distrutto e saccheggiato tutte le chiese.

Queste azioni sono deliberatamente mirate contro i cristiani. Se si saccheggia, è perché i cristiani lì sono sempre stati una spina nel fianco degli islamisti. E ora vengono prese di mira in maniera inesorabile anche le case e le istituzioni; tutto viene distrutto o rubato.

– Il Sud Sudan ha un enorme bisogno di pace.

Il Sud Sudan continua vivere in una situazione difficile e ha un enorme bisogno di pace. È ciò che ha detto anche papa Francesco durante il suo viaggio in Sud Sudan assieme a Justin Welby, arcivescovo di Canterbury, primate della Comunione anglicana, lo scorso 3 febbraio.

Parlando a Juba, davanti al Presidente della Repubblica e ai membri del governo, ha affermato: «Abbiamo intrapreso questo pellegrinaggio ecumenico di pace dopo aver ascoltato il grido di un intero popolo che, con grande dignità, piange per la violenza che soffre, per la perenne mancanza di sicurezza, per la povertà che lo colpisce e per i disastri naturali che infieriscono. Anni di guerre e di conflitti non sembrano conoscere fine…

Questa estenuante sofferenza non sia vana; la pazienza e i sacrifici del popolo sud sudanese, di questa gente giovane, umile e coraggiosa, interpellino tutti e, come semi che nella terra danno vita alla pianta, vedano sbocciare germogli di pace che portino frutto. Fratelli e sorelle, è l’ora della pace!».

[A cura di Renardo Schlegelmilch – Settimana News]