Gesù inizia il suo discorso di addio che culminerà con il testamento spirituale (16,33) e la grande preghiera al Padre. All’inizio del capitolo, Giovanni ci ricorda che Gesù: “avendo amato i suoi, li amò fino alla fine” (13,1). Un amore significato dal gesto rivoluzionario della lavanda dei piedi. Tutto si compie, non perché Giuda tradisce, ma perché Gesù ama; non perché Pietro rinnega ma perché Gesù ama. La nostra vita si compie perché Gesù ci vuole bene.

Pubblica resistenza

Gv 13,31-35

L’episodio narrato in Giovanni, 13, 31-35 si svolge in un momento di crisi. Giuda è appena uscito per tradire Gesù. La comunità è fragile. C’è paura nell’aria. E tuttavia Gesù non reagisce con un avvertimento o con un piano strategico, ma dà un comandamento: «Che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri». Non è un linguaggio sentimentale. È chiarezza morale in mezzo al crollo.

Nel mondo attuale vediamo diversi tessuti sociali sfilacciarsi. L’instabilità geopolitica — da Gaza all’Ucraina, al Sudan — ha trasformato i civili in pedine e gli astanti in profughi. Le istituzioni democratiche in molti paesi, compresi gli Stati Uniti, affrontano disinformazione, erosione della fiducia pubblica e una crescente retorica autoritaria. Il progresso tecnologico — specialmente l’intelligenza artificiale e i social media — ha aumentato tribalismo, sorveglianza e ansia. I disastri climatici stanno causando la dislocazione di comunità, mentre attori potenti rimandano i cambiamenti strutturali. La tendenza generale è la frammentazione, sia relazionale sia ideologica ed ecologica.

Su questo sfondo, il comandamento di Gesù sembra quasi sovversivo: amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato. Questo amore non è né ingenuo né ironico. Gesù pronuncia quelle parole sapendo che il tradimento sta avvenendo in tempo reale. Ciò che offre qui è un’alternativa etica alla logica a somma zero che oggi manda avanti buona parte del mondo. Mentre le ideologie politiche esigono lealtà, vendetta o purezza, Gesù pretende qualcosa di più difficile: un amore che rimane impegnato nella frattura.

Quando le società perdono la capacità di attenzione, empatia e responsabilità reciproca, il totalitarismo prospera. Il comandamento di Gesù non è soltanto pietà privata; è pubblica resistenza. Dice: non permettere che il tradimento definisca i termini della tua vita. Non lasciare che la paura ti renda crudele. Non consentire alla tua cultura di insegnarti a odiare.

In termini pratici, ciò potrebbe significare rifiutarsi di disumanizzare quanti hanno vedute politiche diverse, anche nella legittima rabbia. Potrebbe assumere l’aspetto di conversazioni difficili sostenute in comunità polarizzate, o di solidarietà scelta al posto del proprio interesse quando le politiche spogliano i vulnerabili dei diritti. Il costo è elevato. Non è di tendenza. Ma rappresenta un tipo diverso di potere: un potere che non replica la violenza né sgancia dalla realtà. Gesù conclude: «Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli». Non dalla correttezza teologica. Non dal dominio culturale. Ma dal vostro rifiuto di abbandonare l’amore quando l’amore sembra impossibile da trovare.
Jonathan Safran Foer - L'Osservatore Romano

L'amore fraterno:
forza esplosiva, contagiosa, missionaria

Atti 14,21-27; Salmo 144; Apocalisse 21,1-5; Giovanni 13,31-33a.34-35

Riflessioni
Tradimento e glorificazione: il Vangelo presenta due momenti contrastanti, umanamente inconciliabili. Durante l’ultima Cena, Giuda esce dal Cenacolo portando in cuore il suo mistero: in quella tragica notte (v. 30) consuma il tradimento. Eppure, Gesù parla con insistenza della sua ‘glorificazione’: ne parla ben cinque volte (v. 31-32). Il contrasto è paradossale: mancano appena poche ore alla cattura e alla morte in croce, eppure Gesù si ostina a parlare di glorificazione. La sua gloria è il momento stesso della morte-risurrezione, come il chicco di grano che cade in terra e muore per dare molto frutto (cfr. Gv 12,24.20-21). Essere chicco di grano è la sua carta d’identità. Strana gloria che si esprime nella folle umiliazione della croce! Con la sua morte-risurrezione Gesù rivela quanto è grande l’amore di Dio che salva tutti.

Alla luce di questo amore divino che oltrepassa ogni misura, si percepisce la grandezza del comandamento nuovo (v. 34), che Gesù lascia ai suoi ‘figlioli-discepoli’ come distintivo di riconoscimento: “come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli” (v. 34-35). Gesù insiste sull’amore vicendevole  -lo ripete tre volte in due versetti-  ne fa il suo testamento spirituale, è un comando che Egli, a ragione, definisce “nuovo”. È il progetto di vita, che Gesù lascia ai discepoli; l’unico loro distintivo!

L’Antico Testamento prescriveva: “amerai il tuo prossimo come te stesso” (Lv 19,18). Gesù va oltre.

1. Anzitutto, la Sua misura non è più solo il “come te stesso”, con le incertezze e gli errori propri dell’egoismo, ma il “come io ho amato voi”; con la certezza e la misura senza misura dell’amore divino. Amare “come”, al modo di Gesù: questa è la novità, l’originalità del cristiano. Gesù non dice quanto dobbiamo amare, ma ci propone il suo stile, il modo come Lui ha amato: il suo amore è servizio, misericordia, tenerezza, perdono… Di questi esempi sono pieni i Vangeli.

2. L’amore che Gesù propone è nuovo, perché è completamente gratuito: non va in cerca di motivi per amare, ama anche chi non lo merita o non può ricambiare, ama anche chi ti fa del male...

3. È nuovo, perché Gesù non dice solo “amatevi”, ma “amatevi gli uni gli altri”. Per Gesù l’amore è relazione, reciprocità; l’amore non è solo dare, ma anche saper ricevere, ascoltare, lasciarsi amare.

4. Si tratta di un comandamento nuovo, perché “nessuno prima di Gesù ha mai tentato di costruire una società basata su un amore come il suo. La comunità cristiana è posta così come alternativa, come proposta nuova a tutte le società vecchie del mondo, a quelle basate sulla competizione, sulla meritocrazia, sul denaro, sul potere. È questo amore che deve ‘glorificare’ i discepoli di Cristo” (F. Armellini). È un nuovo principio associativo, una forza speciale di aggregazione. “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli...” (v. 35). Gesù non ha detto di portare una divisa particolare o un distintivo; ha detto semplicemente: vi riconosceranno da come vi amate. L’amore vicendevole e gratuito ha una irresistibile, contagiosa ed esplosiva forza di irradiazione missionaria. L’amore vicendevole si alimenta nel perdono, riconciliazione, sopportazione, donazione di sé, opzione per gli ultimi, rifiuto della violenza, opera di pace… Dei primi cristiani la gente diceva: “Guarda come si amano”!

Solo l’amore è capace di ispirare e tessere rapporti nuovi e vitalizzanti fra le persone; solo la rivoluzione dell’amore è capace di trasformare le persone e, quindi, le istituzioni. Lo insegnava così anche Raoul Follereau, ‘apostolo dei lebbrosi e vagabondo della carità’: «Il mondo ha solo due possibili destini: amarsi o scomparire. Noi abbiamo scelto l’amore. Non un amore che si accontenti di piagnucolare sui mali degli altri, ma un amore da combattimento, un amore-rivolta. Per il suo avvento, per il suo regno, noi lotteremo senza posa e senza sosta. Bisogna aiutare il giorno a spuntare». È questo il senso profondo di una vita donata nel sacerdozio, la consacrazione religiosa, la vita missionaria. (*)

Chi fa sua questa sfida accetta l’utopia di “un cielo nuovo e una terra nuova” (II lettura), entra nella nuova “tenda di Dio con gli uomini” (v. 3), dove saranno bandite le lacrime, la morte, gli affanni (v. 4), per la fede in Colui che ha la forza di far “nuove tutte le cose” (v. 5). Inclusa una società nuova che si basa e ha come obiettivo la civiltà dell’amore. Anche il viaggio missionario di Paolo e Barnaba (I lettura) aveva questo obiettivo: aprire “ai pagani la porta della fede” (v. 27), esortare i discepoli a “restare saldi nella fede, perché dobbiamo entrare nel Regno di Dio attraverso molte tribolazioni” (v. 22). Questo viaggio (Atti 13-14) è una pagina intensa e stimolante di metodologia missionaria: per il modo come la comunità cristiana di Antiochia sceglie i missionari da inviare, per il coraggio (parresía) di Paolo e Barnaba nel dare il primo annuncio del Vangelo di Gesù a giudei e a pagani, per la costituzione di nuove comunità ecclesiali e la designazione di alcuni presbiteri come loro guide, per le nuove frontiere geografiche di evangelizzazione oltre i territori usuali dell’Antico Testamento e dei Vangeli, per il confronto con la comunità di Antiochia al loro rientro... In sintesi, un modello di prassi missionaria!

Parola del Papa
(*)
«La parola “vocazione” non va intesa in senso restrittivo, riferendola solo a coloro che seguono il Signore sulla via di una particolare consacrazione. Tutti siamo chiamati a partecipare della missione di Cristo di riunire l’umanità dispersa e di riconciliarla con Dio. Più in generale, ogni persona umana, prima ancora di vivere l’incontro con Cristo e abbracciare la fede cristiana, riceve con il dono della vita una chiamata fondamentale: ciascuno di noi è una creatura voluta e amata da Dio, per la quale Egli ha avuto un pensiero unico e speciale, e questa scintilla divina, che abita il cuore di ogni uomo e di ogni donna, siamo chiamati a svilupparla nel corso della nostra vita, contribuendo a far crescere un’umanità animata dall’amore e dall’accoglienza reciproca. Siamo chiamati a essere custodi gli uni degli altri, a costruire legami di concordia e di condivisione, a curare le ferite del creato perché non venga distrutta la sua bellezza. Insomma, a diventare un’unica famiglia nella meravigliosa casa comune del creato».
Papa Francesco
Messaggio per la Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni, 2022

P. Romeo Ballan, MCCJ

Il comandamento dell’amore

La testimonianza più viva della nostra fede in Cristo

At 14,21-27; Salmo 144; Ap 21,1-5; Gv 13,31-33.34-35

Eccoci alla quinta domenica di Pasqua. Siamo nuovamente invitati a meditare sull'evento centrale della nostra fede: la Risurrezione di Cristo e le sue conseguenze per la nostra vita.

Nella prima lettura, tratta dal libro degli Atti, Luca ci racconta la conclusione del primo viaggio missionario compiuto da Paolo e dal suo compagno Barnaba, al termine del quale diedero vita alle prime comunità cristiane tra i pagani. Ritornano a Gerusalemme per raccontarlo agli Apostoli. Lo zelo apostolico di Paolo e Barnaba nell'annunciare il Vangelo ai Gentili è notevole. Ci spinge a partecipare agli sforzi missionari della Chiesa e a cercare oggi, a nostra volta, i modi per far conoscere Gesù Cristo ai non credenti e alle persone che ci circondano. 

Nella seconda lettura, tratta dal libro dell’Apocalisse, Giovanni descrive la condizione futura dell’umanità, partendo dalla visione della Gerusalemme celeste. Questa Gerusalemme rinnovata è simbolo dell'aldilà. È il Signore Gesù, l'Agnello immolato, che fa nuove tutte le cose in lei. Si scopre che non siamo destinati a rimanere per sempre su questa terra, al contrario, arriveranno un nuovo cielo e una nuova terra dove Dio sarà in perfetta e intima comunione con i suoi; dove ogni sofferenza scomparirà: egli asciugherà ogni lacrima dai nostri occhi e non ci sarà più la morte, né pianto, né grido. Questa visione di Giovanni non è un semplice sogno, e tanto meno un'utopia per confortare gli esseri umani ansiosi nel loro cammino storico. Ma è un annuncio bellissimo: l'annuncio di una speranza autentica che ha la sua garanzia nella risurrezione di Cristo, fonte di felicità senza fine. 

Come un padre morente, Gesù formula quindi le sue ultime e più solenni volontà. Egli affida ai suoi discepoli il comandamento nuovo, che costituirà il loro segno distintivo: «Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri». Questo comandamento della carità fraterna e dell’amore reciproco è veramente nuovo. Perché è nuovo? Perché è la fonte e il modello dell'amore che Gesù ha esemplificato verso i suoi. Il suo amore folle per gli esseri umani appare come il paradigma che dovrebbe permeare le nostre relazioni interpersonali. In realtà, il suo amore per noi è gratuito: non gli ha risparmiato né i dolori, né le sofferenze, e neppure la vita. È amando in questo modo che adempiamo il precetto di Cristo: amare non per calcolo, cupidigia o autocompiacimento, ma per amore di Dio; si tratta, infatti, di amare liberamente, non solo a parole, ma nei fatti, e, se necessario, unilateralmente e fino al sacrificio della propria vita. 

Poiché questo precetto dell'amore reciproco dei discepoli è il comandamento stesso di Cristo, ne consegue che è da questo segno che si riconosceranno chi sono i suoi veri discepoli, quelli che lo sono di fatto e non solo esteriormente o di nome: che vi avrete l'uno per l'altro. Il segno distintivo del cristiano, il suo segno distintivo, il suo segno di riconoscimento, il suo motto è dunque l’amore. Un cristiano è, essenzialmente, qualcuno che ama. L'amore è il messaggio fondamentale che dobbiamo trasmettere quotidianamente, un amore senza limiti.

In effetti, l’amore e la carità hanno sempre identificato i veri discepoli di Cristo. I primi cristiani avevano un solo cuore e una sola anima; tutto ciò che possedevano apparteneva loro in comune. Di loro si diceva: "Guardate come si amano e come sono pronti a dare la vita l'uno per l'altro". Anche oggi, la carità cristiana è ciò che più dolcemente attrae le anime alla Chiesa, è la più efficace delle apologetiche. Più del ragionamento, l'amore, il calore del cuore sono più convincenti. Dopotutto, cosa sarebbe l'umanità senza amore e calore? Sarebbe una splendida cantante. Ci aspettiamo quindi di trovare, nella Chiesa e tra i cristiani, lo splendore dell'amore di Gesù. 

Sforziamoci dunque, ogni giorno, di poter dire delle nostre famiglie e delle nostre comunità cristiane: «Guardate come si amano!». Agli occhi degli uomini, è l'unica testimonianza degna e valida del nostro essere cristiani e della nostra appartenenza a Cristo. Senza dimenticare che saremo giudicati sull’amore: «Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, ero malato… Ogni volta che fate anche una sola di queste cose più piccole, fratelli, l’avete fatta a me» (Mt 25,35-40).
Don Joseph Ndoum

Tutto si compie nell’Amore

Gesù inizia il suo discorso di addio che culminerà con il testamento spirituale (16,33) e la grande preghiera al Padre. All’inizio del capitolo, Giovanni ci ricorda che Gesù: “avendo amato i suoi, li amò fino alla fine” (13,1). Un amore significato dal gesto rivoluzionario della lavanda dei piedi. Tutto si compie, non perché Giuda tradisce, ma perché Gesù ama; non perché Pietro rinnega ma perché Gesù ama. La nostra vita si compie perché Gesù ci vuole bene.

La “novità” del comandamento è questo Amore che si lascia vincere, si lascia prendere, si lascia usare, e in questo modo illumina le tenebre di ogni notte e di ogni cuore. Così anche si manifesta la Gloria di Dio. Essa non proviene dalla sofferenza in croce, ma dalla sofferenza per amore che dà valore alla croce.

Il Padre “lo glorificherà subito”. La Chiesa prega questo brano nel Tempo di Pasqua perché nel vangelo di Giovanni la sofferenza per amore è già Gloria. Lo sappiano tutti quelli, che soffrono per amore; tutti coloro che, schiacciati dalla vita, non smettono di amare; l’Amore non dipende dalle circostanze, ma dal nostro rapporto indissolubile con Dio che è Amore. La croce è un “luogo” di sofferenza per amore, dove Dio parla, si rivela e compie la storia della nostra salvezza.

Anche noi sull’esempio di Gesù, siamo chiamati per vocazione a percorrere la stessa strada, a vivere così la vita. E in questo modo: «Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri». Lo saprà il mondo intero, che aspetta questo da noi; un mondo che in parte ha smarrito Dio, ma non è contro Dio, anzi lo cerca e ha diritto di aspettarsi da noi la testimonianza di Amore che ci ha trasmesso Gesù. Lo saprà anche il Padre. Noi saremo riconosciuti da Lui, non se abbiamo vissuto una fede forte, dura, che non ha mai dubitato; non saremo riconosciuti neanche se avremo vissuto una Speranza incrollabile. Al contrario saremo riconosciuti nella fragilità di una fede che ha saputo amare anche nel dubbio; saremo riconosciuti nella disperazione di tanti giorni che non hanno mai smesso di lasciarsi amare.

Gesù Cristo ci ha rivelato un Padre misericordioso che ci vuole più felici che fedeli, deboli ma che amano con la fede che c’è uno Spirito che ci previene, ci sostiene e ci guida verso la verità tutta intera. Gesù vide squarciarsi i cieli e lo Spirito discendere come una colomba. Da questo cielo aperto per sempre, e non chiuso dentro nessuna legge o dottrina, noi attendiamo ancora una volta il dono dello Spirito che continua ad agire, a volerci bene e parla in molte lingue e in molti modi. Chiediamo al Signore di saperlo ascoltare e alla Madonna di saperlo custodire. Nell’attesa di poterlo incontrare.
Francesco Pesce – L’Osservatore Romano