Roma, 26 aprile 2009
La vita di consacrazione è una dimensione del carisma originario, che si realizza nella comunità mediante la professione dei consigli evangelici e sfocia nel servizio missionario. Un apporto formativo in vista del XVII Capitolo Generale. [Vedi allegato: Consacrazione_missione_e_Professione. Di Carmelo Casile]

 

Per cogliere la relazione tra consacrazione, comunità ed evangelizzazione secondo la Regola di Vita, facciamo un excursus in essa, dal Preambolo fino alla Parte Terza, Sezione prima.
Scopriremo che la vita di consacrazione è una dimensione del carisma originario, che si realizza nella comunità mediante la professione dei consigli evangelici e sfocia nel servizio missionario, che l’Istituto è chiamato a realizzare nella Chiesa.

PREAMBOLO
Il tema della consacrazione e della vita comunitaria appaiono nella RV fin dal Preambolo, che possiamo considerare come il «Credo missionario comboniano», cioè, l’atto di fede della Congregazione nella missione che la Chiesa riceve da Cristo, e che l’Istituto è chiamo a realizzare mediante il servizio missionario all’uomo e la testimonianza della sua consacrazione e vita comunitaria.
Consacrazione, vita comunitaria e servizio missionario costituiscono una triade che serve di base all’articolazione dei contenuti della Regola di Vita in quanto espressione qualificata della vita dell’Istituto.

PARTE PRIMA
La Sezione prima, nn. 1-9, sottolinea che questi tre elementi basici - consacrazione, vita comunitaria e servizio missionario - devono essere vissuti secondo il carisma di san Daniele Comboni, da cui l’Istituto Comboniano desume la sua identità e il suo modo specifico di seguire Cristo, n.1.
La Sezione seconda, nn. 10-19, descrive la vita dell’Istituto come comunità di fratelli, consacrati a Dio mediante i consigli evangelici per il servizio missionario, frutto di una maggiore comprensione e realizzazione della ispirazione originaria.
Infatti, l’Istituto Comboniano, nella “comunità di fratelli” incarna l’ispirazione di Comboni, da cui ebbe origine il «Cenacolo di Apostoli», cioè l’Istituto per le Missioni dell’Africa, fondato da Daniele Comboni a Verona il 10 giugno del 1867(1) e che fu trasformato in Congregazione religiosa nel 1885.
In partenza si trattava di un Istituto di diritto diocesano, composto di Sacerdoti e “Fratelli Coadiutori” di diversa nazionalità, senza voti religiosi, ma vincolati da un giuramento di appartenenza e di fedeltà all’Istituto, la cui finalità era l’evangelizzazione dell’Africa. Le prime Regole risalgono al 1871, e in esse l’Istituto è definito «Cenacolo di Apostoli» (Cap. I).
Per cogliere il significato di questa fondazione, bisogna tener presente che Comboni, pur non avendo dato fin dal principio al suo Istituto una struttura religiosa, in realtà la consacrazione missionaria che egli viveva e proponeva, era inclusiva di quella legata ai voti religiosi e nello stesso tempo più radicale per via di quella disponibilità, nello spirito della croce, a morire a ogni istante «per la salvezza degli africani»: infatti «quelli che ne fanno parte — precisava — devono avere tutte le virtù dei religiosi e quella di essere ad ogni istante disposti alla morte per la salvezza degli africani» (S 5984)..
Questa forma di vita missionaria consacrata proposta dal Comboni, che fin dall’inizio era ben definita nella sua dimensione spirituale e nel suo obiettivo apostolico, aveva bisogno di esprimersi e crescere in una forma istituzionale stabile, in modo da assicurare la possibilità di vivere pienamente la consacrazione per la missione nella duplice dimensione della vita spirituale e della funzione apostolica.
Una prima fase verso questa stabilità furono le Regole che Comboni si prodigò di dare al suo Istituto, corroborandole con un giuramento per missionari sacerdoti e laici (S 5824), ma era certamente nel desiderio di Comboni che questa prima fase fondazionale potesse concludersi col «mettersi in mani di padri scelti della Compagnia di Gesù, i quali pure, perché pratici di Missioni, avrebbero da comporne la costituzione alla quale ogni membro avrebbe da legarsi con voto semplice e formare così una Congregazione di Missionari per l'Africa Centrale»(2).
Questa è la testimonianza che ci proviene da Dichtl, missionario del Comboni, scrivendo al Card. Simeoni da Graz, il 29 giugno 1884, e da Strassgang, il 5 novembre 1887. Probabilmente questo desiderio del Comboni, Dichtl lo trasmise al Card. Simeone, questi ne parlò a Leone XIII nel contesto del momento che stava vivendo l’Istituto di Verona dopo la morte del Comboni e dopo che le missioni furono distrutte durante la rivolta mahdista. Fu così che Leone XIII ha dato a Sogaro il mandato di trasformare “L’Istituto dei Missionari per la Nigrizia” in Congregazione religiosa, secondo il desiderio di Mons. Daniele Comboni.
Allora si può pensare che la trasformazione dell’Istituto in Congregazione Religiosa, avvenuta nel 1885 col nome di «Figli del Sacro Cuore di Gesù», è stato un evento che va colto non come un semplice fatto giuridico imposto dall’esterno, ma come un evento in una storia che si sviluppa: un evento che ci allaccia all’esperienza di consacrazione missionaria vissuta e proposta da Comboni, e che oggi ci coinvolge nel rinnovamento della vita consacrata promosso dal Concilio Vat. II e dal successivo Magistero ecclesiale e dai nostri Capitoli Generali.
Il 23 luglio 1927 l’Istituto si divise in due Congregazioni, di cui una composta in gran parte di membri italiani, mantenne il nome originario di «Figli del Sacro Cuore di Gesù» e l’altra, con membri in maggiorana di lingua tedesca, prese il nome di «Missionari Figli del Sacro Cuore di Gesù».
Il 22 giugno 1979 fu sancita ufficialmente la riunione delle due Congregazioni in un unico Istituto col nome di «Missionari Comboniani del Cuore di Gesù».
Il 3 dicembre 1987 fu approvata in forma definitiva la Regola di Vita, che il nuovo Istituto aveva elaborato nel Capitolo straordinario del 1979.
Così, in virtù della trasformazione dell’Istituto per le Missioni dell’Africa in Congregazione religiosa e del rinnovamento della Vita consacrata promosso dal concilio Vat. II, i Missionari Comboniani realizzano in modo nuovo la loro fedeltà all’ispirazione originaria del Fondatore. La vita comunitaria dell’Istituto progettato da Daniele Comboni, affonda le sue radici nelle esigenze della consacrazione religiosa, che dà la forma alla attività missionaria di ogni membro dell’Istituto, nn. 1.3, 10.
A partire da questi fatti fondamentali e dalla edizione definitiva della Regola di Vita, l’Istituto si presenta con le seguenti caratteristiche:

  • la dedicazione totale al servizio missionario;
    la consacrazione a tale servizio mediante la professione pubblica dei consigli evangelici;
  • la vita comunitaria come testimonianza della nuova fraternità nello Spirito, che è la finalità dell’attività missionaria;
  • la complementarietà delle vocazioni-servizio nell’Istituto: Sacerdoti e Fratelli;
  • la disponibilità a partire;
  • l’apertura ai segni dei tempi e la capacità di adattamento;
  • l’internazionalità.

    PARTE SECONDA
    La Parte Seconda della Regola di Vita, nn. 20-55, è continuazione, complemento e approfondimento della definizione e della descrizione dell’Istituto Comboniano come comunità di fratelli consacrati a Dio per il servizio missionario mediante la professione dei consigli evangelici. Il suo titolo, «L’Istituto comunione di fratelli consacrati al servizio missionario», si aggancia chiaramente al n. 10, «Comunità di fratelli», e così ci mette subito in questa prospettiva.
    Degli elementi che costituiscono questa comunione, la Parte seconda della RV riprende e sviluppa la Vita consacrata (Sezione prima), la Vita comunitaria che proviene dal carisma originario e si consolida nella consacrazione (Sezione seconda), e la Vita di preghiera che trasforma la “comunità di fratelli” in “una comunità orante” (Sezione terza).

    Consacrazione-comunità-missione ci sono presentati come una triade di elementi fondanti e strutturali su cui è basata la vita missionaria comboniana. I voti che professiamo assumono il loro pieno significato correlati a questi tre elementi. La professione dei consigli evangelici, infatti, esprime esistenzialmente la consacrazione a Dio per la missione nella comunità comboniana con il radicalismo della sequela di Cristo, n. 21, «il quale, vergine e povero, redense e santificò gli uomini con la sua obbedienza fino alla morte», nn. 22, 23 (cfr. PC 1c).
    La Regola di Vita, per tanto, in sintonia con l’insegnamento del Concilio Vat. II, supera la dimensione puramente giuridica e funzionale della professione religiosa in favore della sua dimensione teologale (cristologico-trinitaria), ecclesiale e missionaria. In questa ottica, la vita religiosa non è tanto una vita disciplinata mediante i voti per garantire l’efficienza delle opere apostoliche, ma una esistenza in compagnia di Qualcuno, RV 21.2; cf Lc 24, 13-35, con cui si condividono la vita e la missione.
    La professione dei consigli evangelici è il segno visibile della consacrazione missionaria (=votum missionis), in quanto impegno di dedizione totale al Signore Gesù per la causa missionaria. I voti con cui i missionari si impegnano a vivere i consigli evangelici, conferiscono tutta la loro radicalità alla risposta vocazionale, perché aiutano a custodire e favorire l’amore per il Signore in piena docilità alla sua volontà, e dilatano il cuore sulla misura del Cuore di Gesù, rendendolo capace di amare come Lui ha amato (cf RdC, 22). La stabilità che la professione dei consigli evangelici offre al missionario per crescere nella sua vita di consacrazione, n. 10.1, è frutto anzitutto di questo impegno di risposta radicale al dono della vocazione ratificato per l’intera esistenza con il vincolo pubblico dei voti. Ci si lega con i voti per lo stesso motivo per cui si legò all'albero della nave Ulisse, antico navigatore che voleva giungere assolutamente a rivedere la sua patria e la sua sposa, sapendo che doveva passare attraverso il luogo delle Sirene e temendo di fare naufragio come tanti altri prima di lui...
    Questa impostazione che mette in rapporto consacrazione-comunità-missione e professione dei consigli evangelici, ci offre la possibilità di ottenere una visione completa degli elementi costitutivi della vita interna dell’Istituto Comboniano (Chi siamo e da dove siamo?) prima di passare a trattare dell’attività (Che cosa facciamo e come lo facciamo? = Parte Terza, Servizio missionario).
    In questo itinerario la vita comunitaria è lo spazio, la “casa”, in cui si vive la consacrazione, che fonda l’ “essere”, la struttura esistenziale del Comboniano; la comunità è nello stesso tempo la “officina” in cui si mette a punto il “fare” del Comboniano in ordine al servizio missionario. Si intuisce così che la comunità comboniana è una comunità di consacrati a Dio per la missione continuamente interpellata e provocata dalla missione. Nella comunità il dono di Dio si fa risposta nell’oggi della storia, nn. 20, 16. Nella comunità si vive la consacrazione e la preghiera, che sfociano e si alimentano nel servizio missionario.
    Questa interazione consacrazione-servizio missionario nella comunità “casa” e “officina”, è attiva e si approfondisce nella misura in cui è vivo e cresce nei membri della comunità il senso di appartenenza, n. 23, 23.1-2, 13.2, da cui prende forma il nostro modo di evangelizzare, cioè in comunità, 23.
    La Sezione seconda, nn. 36-45, riprende il tema della comunità fraterna già oggetto dei nn. 10, 23, lo chiarisce e lo approfondisce, mettendone in evidenza le ragioni e la dinamica della vita comunitaria.
    È centrale il n. 36, che mette a fuoco le ragioni della vita comunitaria; attribuisce l’origine della nostra vita comunitaria all’iniziativa dello Spirito Santo attraverso l’ispirazione originaria del Fondatore e la considera non come un’aggiunta parallela al carisma della vita missionaria comboniana, ma come una dimensione essenziale di questa stessa vita.
    In quest’ottica non trova consistenza la perplessità di coloro che pensano che il fondamentale della vita dell’Istituto è l’attività missionaria e che la vita comunitaria può e deve essere sacrificata in beneficio delle esigenze della attività apostolica. In realtà la vita comunitaria è una esigenza dell’apostolato ed è già in se stessa attività apostolica.
    Infatti, ogni persona è chiamata a disimpegnare una missione particolare nella società (GS 24-25; Populorum Progressio, 15-17). È Dio stesso che determina la missione, il luogo e la modalità secondo la quale ognuno deve attuare la sua missione nella Chiesa. Il cristiano riceve una missione nella Chiesa e per la Chiesa a servizio del Regno di Dio. Un Istituto nasce da queste esigenze e come mediazione divina, e perciò costituisce un dono che Dio fa alla Chiesa (LG 43).
    Per tanto, una vocazione di speciale consacrazione è autentica quando coincide con la missione o carisma di una determinata Congregazione, gruppo o comunità ecclesiale nella quale un cristiano si sente chiamato a viverla.
    Dal momento che io verifico questa coincidenza, la mia vocazione personale diviene comunitaria, cioè, condivisa e vissuta in comunione, partecipazione e corresponsabilità con molti altri, ugualmente chiamati e consacrati da Dio per la stessa missione.
    La presa di coscienza di questa coincidenza è segno dell’autenticità della mia vocazione specifica che, per tanto, mi apre alla vita comunitaria.
    Per questo il n. 36 considera la vita comunitaria un dono fatto al missionario dallo Spirito del Signore per mezzo dell’ispirazione originaria del Fondatore, che convocò i chiamati alla Missione per l’Africa, fondando l’Istituto.
    È a partire da questa Sezione e soprattutto da questo numero che si giustifica tutto lo sforzo che si sta facendo per creare condizioni di vita comunitaria nelle case di formazione e nelle missioni.
    Gli altri numeri presentano distinti aspetti, che delineano il vissuto e lo stile della vita comunitaria comboniana e bisogna integrarli con i numeri e sezioni della Parte quarta, dedicata al «Servizio dell’autorità nell’Istituto» e con la Parte quinta dedicata a « La amministrazione dei beni nell’Istituto».
    La Sezione terza della Parte seconda, nn. 46-55, dedicata alla «Vita di preghiera», indica nella preghiera il luogo privilegiato dove si esprime e si alimenta la vita comunitaria. Essa è infatti vita di un «Cenacolo di Apostoli», di discepoli del Signore Gesù, e perciò è, anzitutto, comunità orante, n. 46; cfr. Mt 18, 19-20; At 1, 14 e 4, 32.
    Così praticamente si arriva individualmente e comunitariamente alla soglia dell’attività missionaria, che è la preghiera; essa è la fonte prossima della evangelizzazione, n. 46, più ancora è la prima attività missionaria: «Prima di ogni altro programma deve esserci l’adorazione, che ci rende davvero liberi e dà i criteri del nostro agire»(3).

    PARTE TERZA
    La Parte terza della RV, dedicata al «Servizio missionario dell’Istituto», nella Sezione prima, dedicata all’«Evangelizzazione», nn. 56-71, riafferma ed esplicita la ragione dell’esistenza dell’Istituto Comboniano, che è precisamente l’evangelizzazione, primo servizio che la Chiesa deve all’umanità.
    L’Istituto Comboniano esiste perché ci sono «popoli o gruppi umani non ancora o non sufficientemente evangelizzati», n. 13, ed è l’Istituto che «attua il suo fine inviando i suoi membri, dove si richiede un’attività missionaria conforme al carisma del Fondatore», n. 14, che si incentra sui «più poveri e abbandonati… specialmente riguardo alla fede», n. 5.
    Il missionario comboniano fa dell’evangelizzazione la ragione della propria vita ed è inviato dalla Chiesa mediante l’Istituto in cui è inserito, nn. 56 e 14. Ma non è inviato solo, giacché «i missionari comboniani vivono in comunità locali rette da un superiore locale», n. 103, perciò «ogni missionario è assegnato a una comunità locale dalla competente autorità », n. 110.
    Per tanto, il legame con la comunità non si spezza al momento dell’invio in missione, al contrario, trova il suo prolungamento naturale. Il missionario comboniano infatti evangelizza a partire dalla comunità religiosa, nn. 13.2; 14; 103; 110, dalla sua appartenenza all’Istituto in vista di formare comunità di credenti, n. 62: dalla comunità religiosa per formare comunità di cristiani.
    Questo piano sarà realizzabile nella misura in cui il missionario comboniano vive nella consapevolezza che è chiamato ad assumere la missione della Chiesa ispirandosi alla testimonianza di vita di Daniele Comboni, n. 1, e unendosi al modo di viverla «di quei missionari la cui vita ha offerto la migliore esemplificazione del carisma originario», n. 1.4, e dei Comboniani di oggi, nn. 13; 13.1.2; e così vive la sua appartenenza all’Istituto non solo giuridicamente, ma anche e soprattutto, affettivamente, come una vera mistica missionaria.
    Prima di tracciare le linee fondamentali della mistica missionaria, è opportuno chiarire il termine.
    In effetti, il termine "mistica", come del resto quello di “missione”, non ha un significato preciso, univoco, con esso si indicano esperienze umane differenti. Oggi con estrema facilità si abbina il vocabolo a infinite specificazioni e si sente parlare di "mistica della scienza", "mistica filosofica", "mistica del tempo libero", "mistica del mercato", "mistica del lavoro", ecc. Quando il termine “mistica” è abbinato ad una attività umana come il lavoro, indica uno sforzo applicato con costanza per ottenere un determinato risultato, superando gli ostacoli che vi si frappongono.
    In senso cristiano, la mistica viene definita come "l'esperienza diretta e passiva della presenza di Dio" (Albert Deblaere).
    C’è subito da notare che «essere passivi sotto l'energica azione di Dio non significa diventare degli inattivi». Il mistico cristiano è una persona che vive con la testa in cielo e i piedi per terra, vive nella consapevolezza di ricevere tutto da un Altro e questa passività genera in lui un'attività incontenibile nella logica della gioia della condivisione del dono ricevuto; perciò la sua esistenza è “pendolare”, cioè costantemente oscillante tra il dono ricevuto e l’impegno nella storia. Proprio come avvenne in Comboni e in tanti altri missionari che hanno vissuto la loro vocazione seguendo le sue orme.
    Per tanto, la mistica è essenzialmente esperienza dell’unione personale con Dio attraverso Cristo, sotto l’azione e la guida dello Spirito Santo, percepita nella fede come una realtà che tutto pervade e che spinge alla conversione e all’azione. La conversione è il primo passo nella via della mistica ed «è il decidersi per Cristo in risposta a una chiamata e all’annuncio della Parola. Non è un’azione umana ma un evento di grazia, di elezione, una risposta di obbedienza a una parola contestatrice, una parola detta nella storia di una persona».
    Questa visione, che ci richiama l’esperienza carismatica di san Daniele Comboni (S 2742), possiamo scorgerla alla base dei nn. 20, 46, 56-57 e 99 della Regola di Vita. Da notare che nel n. 99 il missionario appare come costante destinatario dell’annuncio della Parola, per mantenersi fedele alla sua iniziale conversione e quindi alla missione, n. 99.
    Per tanto, con il termine “mistica missionaria” indichiamo una intensa vita interiore marcata dall’esperienza di Dio in Cristo ispirata al carisma del Fondatore, da cui nascono convinzioni condivise dai membri della comunità, che modellano la vita dei singoli e della comunità e motivano a fare insieme scelte prioritarie per realizzare determinati obiettivi nell’ambito della vita e della finalità dell’Istituto Comboniano “alla luce dei segni dei tempi” (cfr. RV 1).

    MISTICA MISSIONARIA COMBONIANA
    Le linee fondamentali della mistica missionaria a partire dall’appartenenza affettiva all’Istituto si possono raggruppare nelle seguenti:

    I. Assumere gli atteggiamenti del Cuore Trafitto di Cristo Buon Pastore
    Si tratta dell’aspetto cristologico-trinitario del carisma di san Daniele Comboni, che ci porta a vivere tenendo sempre gli occhi fissi sul Cuore trafitto di Cristo e quindi ad assumere(4):
  • 1-. la sua donazione incondizionata al Padre, nn. 3.2; 46;
  • 2-. l’universalità del suo amore per il mondo, nn. 3.2; 5; 60; 61;
  • 3-. il suo coinvolgimento nel dolore e nella povertà degli uomini, nn. 3.2; 57; 60.
  • 4-. sotto l’azione dello Spirito Santo, agente principale dell’evangelizzazione. Egli è l’ispiratore dei piani, delle iniziative, dell’attività evangelizzatrice; senza la sua azione l’evangelizzazione non sarà mai possibile, nn. 56; 56.2; EN 75. In effetti:
  • lo Spirito del Signore fermenta e trasforma i popoli, n. 56;
  • li conduce a incontrarsi con la persona di Gesù Cristo e il suo messaggio, e a entrare nella Chiesa n. 56;
  • opera in ogni evangelizzatore che si lasci possedere e condurre da lui, gli rivela il mistero di Cristo e il suo insegnamento e lo spinge ad annunciare il Vangelo, n. 56.2; EN 75;
  • agisce nell’ascoltatore e lo predispone ad essere aperto e ricettivo alla notizia del Regno che viene proclamato, n. 56.2; EN 75;
  • dà la varietà dei servizi e i doni a ogni missionario per rispondere alle esigenze dell’evangelizzazione, n. 56.4;
  • è anche il termine dell’evangelizzazione: egli solo suscita la nuova creazione, la nuova umanità, a cui l’evangelizzazione deve mirare, EN 75.
  • Niente può rimpiazzare l’azione dello Spirito Santo:
    + né la preparazione più raffinata dell’evangelizzatore,
    + né le tecniche più perfezionate dell’evangelizzazione, EN 75.

    Riprendendo questa prospettiva, i vari Capitoli Generali continuano ad invitarci a adottare una spiritualità missionaria che metta in evidenza la fiducia nell’azione dello Spirito Santo, e che sappia riconoscere la Sua presenza nella storia, nelle sofferenze e nelle ansie dei popoli. Ci ricordano anche che la capacità di percepire la presenza dello Spirito Santo non può prescindere dalla preghiera che ci porti al discernimento.

    II. Assumere la missione “ad gentes”
    L’Istituto ha la finalità di portare a compimento la missione evangelizzatrice della Chiesa, n. 13; 13.1:
    1. con la testimonianza della vita, n. 58; EN 21, che è:
    1. 1. testimonianza di vita comunitaria: nn. 10-11; 58; 58.4; 59.1.
    La vita comunitaria diviene annuncio concreto di Gesù Cristo, n. 36; si articola nella comunione fraterna, 23, 36, che include la convivenza tra i Sacerdoti e i Fratelli, nn. 11, 11.1-2, 56.5, e tra membri che procedono da differenti nazioni e culture, n. 18, la condivisione dei beni spirituali e materiali, 27.3, l’apostolato in comunione con i confratelli, 36.4, 40, 40.1-4, 110, la preghiera, n. 46; permette attività interdipendenti: nn. 10.3, 11, 11.1-2, e varietà di servizi, nn. 56.5; AC ’85 31.
    1. 2. testimonianza personale e comunitaria per mezzo della pratica dei consigli evangelici, nn. 22, 58, di
    - castità, nn. 25, 25.3, S 2229
    - povertà, nn. 27; 29; 61.3
    - obbedienza, nn. 33.1.3, 35.4.
    1. 3. testimonianza per mezzo di uno stile di vita semplice, nn. 29.1, 58.1.
    1. 4. testimonianza per mezzo della pratica della carità fraterna, 3.3, 38.5, 41.2, 54, 55.3, 161.
    1. 5. testimonianza per mezzo della paziente e fiduciosa attesa dell’ora di Dio, n. 58, EN 21.
    1. 6. testimonianza per mezzo della promozione del dialogo ecumenico, n. 67, EN 77.

    2. , n. 59; EV 22; 23; 32.
    3. con la partecipazione nella liberazione integrale dell’uomo, n. 61.
    In questo campo la presenza del Fratello offre un apporto speciale, nn.11.2; 58.4; 61.

    III. Assumere la metodologia propria dell’Istituto
    L’adesione e fedeltà alla metodologia dell’Istituto è garanzia dell’autenticità e della continuità dell’attività missionaria, n. 56.1.
    Questa metodologia è un’eredità di Daniele Comboni e si può riassumere in tre principi basici: «salvare l’Africa con l’Africa, n. 7; vivere e agire all’insegna della cattolicità, n. 8; fare attenzione all’ora di Dio, n. 6.

    A - Salvare l’Africa con l’Africa, n. 7.
    Questo principio strategico dell’attività missionaria di Daniele Comboni, per i Comboniani di oggi può significare:
  • 1. Avere fiducia nell’uomo al quale il missionario è inviato, n. 58.1.
    Quest’uomo, fino ad oggi dipendente, è capace di autonomia religiosa, politica ed economica, n. 60.2, 61.2.
    Aver fiducia in lui significa avere la certezza che è capace di convertirsi in figlio dell’unico Padre e in fratello degli altri uomini e donne e di creare comunione per mezzo della conversione del cuore, EN 36.
  • 2. Farsi solidale con la vita, il lavoro e il cammino del popolo, condividendo le vicende, nn. 60, 60.1, 11.2, GS 1.
  • 3. Promuovere il dialogo, n. 57.
    Il dialogo, instaurato dal Verbo di Dio, nn. 57, 57.2, deve essere accompagnato da:
    - rispetto, nn. 57, 57.5, 58.1;
    - comprensione e conoscenza, n. 57.1.3.5, S 4131;
    - stima, nn. 57, 57.1, 59.1, 60.2;
    - dialogo con le religioni, n. 57.2.
    Nell’ambito del dialogo, il missionario pone un’attenzione particolare nel promuovere il dialogo ecumenico in comunione con la Chiesa locale, n. 67, 67.1.
  • 4. Formare comunità cristiane, n. 62
    - comunità parrocchiali, nn. 59, 62, 62.1.2.3;
    - piccole comunità ecclesiali di base, nn. 62, EN 58;
    - comunità evangelizzatrici, n. 60;
    - comunità autosufficienti, n. 70.
  • 5. Promuovere i ministeri, n. 64
    L’evangelizzazione richiede attività interdipendenti e complementari, 56.3.
    Il missionario comboniano si dedica soprattutto alla promozione:
    - del clero locale, n. 64, AG 18;
    - della vita consacrata, n. 64.2; AG 18;
    - dei differenti ministeri, nn. 64, 64.1, EN 73.
  • 6. Collaborare con la Chiesa locale, n. 65:
    - sentendosi parte di essa, n. 65.1
    - accettando le sue priorità, nn. 65.1, 30.1;
    - collaborando con tutti gli agenti di pastorale, n. 65.1;
    - impegnandosi nella pastorale d’insieme, n. 66.2;
    - stimolandola a denunciare le ingiustizie, n. 61.5.6.
  • 7 Formare comunità apostoliche, n. 68.
    Sono comunità di preghiera, di riflessione e di lavoro tra tutte le forze che si dedicano all’evangelizzazione nello stesso territorio: missionari, missionarie, laici, ecc….
    La comunità apostolica è un validissimo mezzo di evangelizzazione se rispetta le seguenti condizioni sottolineate nel n. 68.1:
    - che ci sia corresponsabilità nella programmazione, esecuzione e revisione del lavoro;
    - che ci siano incontri regolari di riflessione e di preghiera, una certa comunione di beni, mutua fiducia e una chiara identificazione da parte dell’individuo con la propria vocazione e con l’Istituto.

    B – La cattolicità, n. 8
    La cattolicità dell’Istituto e dei suoi membri si esprime:
  • 1. nell’obbedienza ecclesiale, n. 66.
    Tale obbedienza è comune a tutta la Chiesa, n. 8, 14.2. Infatti, il missionario è inviato dalla Chiesa, nn. 56, 56.1 e, come membro della Chiesa, è segno della solidarietà fraterna della Chiesa, n. 17, 17.1.2. Per questo promuove le direttive della Sede Apostolica, nn. 66, 12.1; obbedisce al Papa, nn. 33.3, 66, 9.1, S 1071, 2634-2635, 2637; obbedisce ai Vescovi, nn. 66, 9.1; vive in comunione con il clero locale, n. 66.
  • 2. nell’universalismo, cioè, nell’unire e coinvolgere tutte le forze religiose e civili a collaborare nell’opera dell’evangelizzazione, nn. 8, 8.3, 61.3.
  • 3. nella collaborazione con altri agenti e organismi di evangelizzazione, n. 19, a cominciare dagli altri Istituti Comboniani, 19.1, e con altre Chiese non cattoliche, 67.1.
  • 4. in spirito di solidarietà fraterna: tutto ciò bisogna portarlo a compimento in spirito di solidarietà fraterna nelle relazioni interecclesiali e all’interno dell’Istituto composto di membri di differenti nazionalità e culture, nn. 17, 18, con la gente e nell’apostolato, nn. 45, 48, 61, 66.2, 73.2, 84, 84.1.

    C – Attenzione all’ora di Dio, n. 6
    Essere attento all’ora di Dio, per l’Istituto e per il missionario comboniano significa evangelizzare mossi dalla sensibilità storica che si concretizza:
  • 1. nella disponibilità a partire e nella provvisorietà, nn. 15, 71, 71.1, 35.4;
  • 2. nel rispetto del ritmo di crescita umana e religiosa del popolo, nn. 56.3, 58.5, 69.3;
  • 3. nel sapere analizzare la situazione socio-politica del paese, per scoprire i modi concreti e più opportuni per l’evangelizzazione, 61.7, 81.4;
  • 4. nel percepire che è arrivata l’ora della grazia per l’annuncio esplicito del Vangelo, nn 59, 58.5;
  • 5. nell’aprire a tempo opportuno e con coraggio nuovi cammini di evangelizzazione, n. 66.1.

    III. Assumere lo stile di vita e il cammino di santificazione proposti dalla Regola di Vita
    Lo stile di vita e il cammino di santificazione dei missionari comboniani si desumono dagli elementi fondamentali intorno ai quali si articola la Regola di Vita.
    Il primo di questi elementi è l’avvenimento carismatico fondamentale della vita di Daniele Comboni del 15 settembre del 1864, che configura la sua personalità missionaria e la sua donazione incondizionata alla causa missionaria:
    Si tratta dell’esperienza mistica di san Daniele Comboni, che egli stesso ci ha comunicato nel cosiddetto “testo privilegiato” (5). In questo testo Comboni svela nella Trinità le misteriose Sorgenti, che danno origine e sostengono la sua “esperienza martiriale e sponsale”, cioè il suo amore “così tenace e resistente” per l’Africa fino al sacrificio della propria vita. In esso traluce “il Tutto”, che come luce che piove dall’Alto, lo coinvolge nell’amore salvifico del Cuore di Gesù Buon Pastore fino a farlo partecipare del Mistero della sua morte in Croce anche per i popoli oppressi dell’Africa Centrale, nn. 2-5(6).
    Si trova qui il nucleo della Regola di Vita dei MCCJ, che viene poi esplicitato in modo sistematico, sottolineando la vita apostolica comboniana come sequela evangelica "ad vitam" nella consacrazione, vita fraterna e servizio missionario ad Gentes".
    In questo contesto, vanno segnalati i nn. 3.2 e 4.
    Il 3.2 è un numero della Regola di Vita con una intensa carica di ispirazione, in cui il comboniano è invitato a contemplare e ad assume gli atteggiamenti interiori del Cuore di Cristo nella loro espressione più piena. Può essere considerato un punto di arrivo e di partenza, perché contiene l’esplicito invito ad approfondire ulteriormente la spiritualità del Sacro Cuore(7).
    Questi atteggiamenti nella misura in cui vengono assunti, portano il missionario a comportamenti coerenti con gli atteggiamenti del Cuore di Gesù, che diventano «stimolo all’azione missionaria come impegno alla liberazione globale dell’uomo, e a quella carità fraterna che deve essere un segno distintivo della comunità comboniana», n. 3.3. Tali comportamenti si esplicitano in parrhesia (= fiducia e serenità, coraggio, audacia, franchezza, n. 2, 2.1-2, 162), accoglienza, 29.1, 43.3, 44.2, 60.1, umiltà, n. 48.1, zelo, pazienza-perseveranza, 58.5(8).
    Il n. 3.2 raggiunge il suo compimento nel n. 4, dedicato al Mistero della Croce, in cui il missionario è invitato ad assumere la spiritualità della Croce.
    In effetti, la contemplazione degli atteggiamenti interiori del Cuore di Cristo porta e culmina nell’accettare e nel lasciarsi coinvolgere nel Mistero della Croce, in cui trovano il loro culmine e il loro compimento. Lì tutte le parole, tutti gli atteggiamenti del Cuore di Gesù sono raccolti in unità, ricapitolati, pienamente compiuti, espressi e spiegati.
    Per questo la dedizione totale alla causa missionaria nasce e si sostiene "col tener sempre gli occhi fissi in Gesù Cristo, amandolo teneramente, e procurando di intendere ognora meglio cosa vuol dire un Dio morto in Croce per la salvezza delle anime. Se con viva fede contempleranno e gusteranno un mistero di tanto amore, saràn beati a perdere tutto, e morire per Lui, e con Lui" (S 2720-2721).
    Nel mistero della morte in Croce viene rivelata la pienezza dell’amore del Cuore di Gesù. Morendo in Croce, Gesù è il “Sì” totale al Padre e agli uomini, che sigilla la sua vita di Apostolo del Padre. Lì l’immensa carità che Gesù vive perché gli uomini abbiano la vita in abbondanza (Gv 10, 10), raggiunge l’estremo delle sue possibilità (Gv 13, 1). Nell’atto di morire Gesù esprime se stesso come Inviato del Padre, che “vergine e povero, redense e santificò il mondo con la sua obbedienza spinta fino alla morte di croce” (PC 1c). Le sue braccia stese sulla Croce ed il suo Cuore Trafitto sono l'espressione massima del suo amore verginale e sponsale verso il Padre e verso tutti gli uomini.
    “Contemplando e gustando un mistero di tanto amore”, la morte di Gesù viene colta come compimento di una vita donata per amore; essa svela al missionario che Gesù vive la sua solitudine radicale del morire come traguardo finale, in cui il dono di sé nella verginità, povertà ed obbedienza, si apre ad una dimensione universale, divenendo l’offerta agli uomini perché entrino nella Famiglia di Dio. In Gesù che muore casto, povero ed obbediente, c’è la manifestazione visibile della donazione incondizionata di tutto se stesso all’amore del Padre e degli uomini fino al martirio (cf. VC 23).
    Daniele Comboni, proponendoci di “tener sempre gli occhi fissi in Gesù Cristo… procurando di capire ognora meglio cosa vuol dire un Dio morto in croce…”, ci propone la contemplazione di Gesù in croce come mistero d’amore, d’immolazione e dono assoluto di sé. Il missionario contemplando Gesù crocifisso viene raggiunto dalla forza di un Dio dal Cuore aperto sul mondo; da questo coinvolgimento impara ad amarlo teneramente, sarà beato di offrirsi a morire a se stesso, n. 35.3, 36.4, a spogliarsi di ogni pregiudizio, 37.1, 41.1, 60.1, a perdere tutto, a morire con Lui e per Lui in totale generosità fino al martirio, 58.3.

    CONCLUSIONE
    Come conclusione, appare chiaro che nella Regola di Vita consacrazione, comunità, evangelizzazione non sono realtà parallele o antitetiche nella vita dei MCCJ, ma dimensioni costitutive dell’essere e del fare dei membri della nostra Congregazione nella Chiesa per il mondo.
    A partire dal nucleo centrale della Regola di vita(9), si può tentare di abbozzare un itinerario spirituale comboniano, in cui queste tre dimensioni si integrano e introducono il missionario ad un tipo di spiritualità aderente alla storia.
    Il percorso di questo itinerario che coinvolge tutti i membri della comunità, va: - Dalla visione di fede sui fatti della storia all’impegno missionario.
    Si esplicita nei momenti o tappe seguenti:
    1. Abituarsi a giudicare gli avvenimenti della storia con la luce che viene dalla fede.
    2. Contemplando o leggendo i fatti della storia al puro raggio della fede, prendere coscienza del fatto che: - Dio, attraverso il suo Figlio incarnato, morto e risorto, ascolta il grido del povero e entra con tutto il suo essere nella storia e nel dolore degli ultimi (esperienza del Cristo crocifisso totale; esperienza di Teofania e Cristofania nell’oppressione, Mt 25, 21-46).
    3. Assumere questa stessa storia e questo dolore diventandone parte e facendo “causa comune”, anche con il rischio della propria vita (= disponibilità martiriale), per rigenerarla con l’annuncio esplicito del Vangelo di Gesù Cristo.
    Per entrare ed avanzare in questo itinerario è necessaria una “stretta unione affettiva” con l’Istituto, che è la mediazione per mezzo della quale realizziamo la consacrazione a Dio per la missione come comunità di fratelli. Da questa unione affettiva con l’Istituto nasce e si mantiene vivo in ogni suo membro l’interesse e il desiderio di assumere lo stile di vita e il cammino di santificazione proposti dalla Regola di Vita, sotto la guida di san Daniele Comboni «testimone di santità e maestro di missione».

    di Carmelo Casile

    NOTE

    1 Cf. RV 10, nota 52
    2 Cf. Consiglio Generale, Lettera per il Centenario delle prime professioni religiose 1887-1987, Roma 26 giugno 1987, p. 2
    3 Benedetto XVI, al Convegno di Verona 2006
    4 Il n. 3 della Regola di Vita è approfondito da P. Francesco Pierli nel libro «Il Cuore di Gesù Cristo…», Roma 1983, pp. 65-79.
    5 S 2742, Comboni, Piano per la rigenerazione dell'Africa, Torino 1864 (prima edizione italiana)
    6 Cf. AC ’91, 6-7.2; 9-14.2.
    7 P. Francesco Pierli, «Il Cuore di Gesù Cristo…», Roma 1983, p. 33
    8 P. Francesco Pierli, «Il Cuore di Gesù Cristo…», Roma 1983, p. 73-77
    9 - Cf. S 2742; RV 2-5; AC ’91, 6.1-6.
Regola di vita dei Missionari Comboniani