La missione come rigenerazione in Africa

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di fr. Alberto Parise, mccj

Questa riflessione ha lo scopo di spiegare la dimensione politica del Piano per la rigenerazione dell’Africa di Daniel Comboni, e si soffermerà sulla particolare interpretazione e sul contributo che i Fratelli possono dare alla realizzazione del ministero della rigenerazione .

Roma, 27.05.2009
Traduzione Elena Scaramuzza


Ciò non significa esclusivamente coinvolgimento nei movimenti che operano per la giustizia sociale, la globalizzazione della solidarietà e simili. Questioni quali partecipazione, responsabilizzazione, creazione di comunità e presa di coscienza hanno tradizionalmente una valenza politica. Tutti i Missionari Comboniani, in ragione del loro Carisma, hanno ricevuto il mandato di contribuire alla rigenerazione dell’Africa a opera dell’Africa, ma qui partiamo dal presupposto che il contributo specifico di Padri, Fratelli, Sorelle e missionari laici possa essere anche molto diverso e complementare.

Il carattere politico della Rigenerazione
Un tema che necessita di ulteriore indagine e studio è l’influenza che il Risorgimento italiano ha avuto su Comboni. Mentre è risaputo che il motto Nigrizia o morte ricalca il grido di Garibaldi O Roma o morte (indicando una dedizione e una consacrazione assolute e risolute alla Missione), sembra esservi scarsa consapevolezza del fatto che anche il concetto chiave di Rigenerazione presenta alcune affinità con lo spirito della lotta politica italiana per l’indipendenza.

In realtà, tale idea costituiva uno dei valori chiave del movimento e si ritrova sostanzialmente nella filosofia politica di Giuseppe Mazzini. Al tempo di Comboni, il termine “rigenerazione” indicava una rinascita del popolo, della sua dignità e libertà, la sua vittoria sull’oppressione e l’alienazione. Un tale programma è politico sotto due diversi aspetti. Innanzitutto nella sua accezione di liberazione e indipendenza. Vale la pena notare che persino il movimento antischiavista inglese parlava della Rigenerazione dell’Africa, da conseguire attraverso l’abolizione della tratta degli schiavi e la promozione di legittimi scambi commerciali. Inoltre (aspetto non meno importante), sotto un profilo politico la Rigenerazione è caratterizzata dalla crescita all’interno della popolazione di una nuova consapevolezza (libertà, fraternità, uguaglianza), di un forte senso di partecipazione, di appartenenza e di orgoglio per la propria identità. Ciò significava — anche nella filosofia del Risorgimento — scoprire la vocazione storica di una nazione, la sua posizione esclusiva e il suo contributo unico all’umanità.

In breve, il concetto di rigenerazione è politico nel senso che, da un punto di vista socio-economico, esso implica una liberazione e ricostruzione della società, mentre sotto un profilo culturale crea un ricongiungimento con la più profonda identità e dignità di un popolo e la consapevolezza della sua vocazione, di un ruolo da giocare nella storia. In Comboni queste idee vengono certamente rivisitate alla luce della fede; ne consegue che una completa liberazione, una reale ricostruzione e trasformazione della coscienza richiedono anche un incontro “trasformante” con Cristo. In un’epoca in cui fare missione significava perlopiù “salvare anime”, è straordinario scoprire che in Comboni alla rinascita del battesimo si affianca un’uguale rinascita della società, dell’Africa come realtà socio-culturale, implicita nel concetto di rigenerazione. In effetti, Comboni parla della Rigenerazione dell’Africa piuttosto che degli Africani, e questo oggi suggerisce l’idea che tale concetto abbracci tutte le risorse africane, siano esse popoli, culture, spiritualità, risorse materiali, ecc.

Il cambio di paradigma nella teologia della Missione e il ruolo dei Fratelli
Nel corso degli anni si è verificato un cambio di paradigma nel concetto di Missione, che è passato da una visione prevalentemente incentrata sulla missione religiosa della Chiesa — o sulla crescita della Chiesa nel mondo — a una visione ispirata alla Gaudium et spes (1965), al documento del Sinodo Vescovile del 1971, la Justitia in mundo (1971), e alla Evangelii nuntiandi (1975), più orientati verso la crescita del Regno di Dio nel mondo, nel cui ambito viene preservato anche l’aspetto di crescita della Chiesa.

  • La visione religiosa della missione: questo paradigma non esclude una dimensione sociale della missione. Anzi, tradizionalmente ne presenta tre aspetti fondamentali, ossia la proclamazione (la Parola), il ministero sacramentale (diffusione della Chiesa, insegnamento del catechismo, ecc.), e la carità, con cui venivano designate le opere sociali in quanto espressione di amore cristiano e testimonianza di fede. Nell’ambito di tale paradigma, c’era la tendenza a riconoscere un solo ministro (quello ordinato), mentre Fratelli, Sorelle e laici venivano visti come coadiutori del sacerdote. Ai Fratelli, in particolare, erano affidati l’intero sistema di supporto della missione (edilizia, agricoltura, manutenzione, ecc.), la cosiddetta “pre-evangelizzazione” attraverso le attività manuali, nonché in alcuni casi la catechesi e l’accompagnamento della vita cristiana dei lavoratori di cui erano responsabili.

  • La missione orientata verso l’operato di Dio nella storia: come afferma la Ad gentes (2,9), l’attività missionaria “non è nient’altro e niente di meno che la manifestazione del progetto di Dio, la sua epifania e realizzazione nel mondo e nella storia”. Bosch (1996, 391) spiega che in questo paradigma “scopo primario [delle attività missionarie della chiesa] non può quindi semplicemente essere creare nuove chiese o salvare anime, ma piuttosto servire la missio Dei”. Nella Gaudium et spes —aggiunge Bosch— “la storia del mondo non è solo una storia di male ma anche di amore, una storia in cui la costruzione del regno di Dio viene portata avanti attraverso il lavoro dello Spirito. Quindi, nella sua attività missionaria, la chiesa incontra un’umanità e un mondo in cui la salvezza di Dio è già segretamente all’opera attraverso lo Spirito. Con la grazia di Dio, ciò può tradursi in un mondo più umano che tuttavia potrebbe non essere mai visto come puro prodotto dell’uomo: il vero autore di questa storia umanizzata è lo Spirito Santo”. Fra la Chiesa e il mondo esiste uno scambio bidirezionale, in quanto la presenza del regno di Dio non è confinata alla Chiesa stessa. Attraverso i segni del tempo, ad esempio, la Chiesa arriva a capire e ad apprezzare la presenza e l’operato di Dio nella storia.

    Sulla base di questa interpretazione possiamo identificare un elemento profetico nella visione dell’Africa come “Perla Bruna” della Chiesa di cui parla Comboni. Ben lungi dal concepire l’Africa come una conquista o un trofeo (atteggiamento prevalente fra le potenze europee all’epoca di Comboni), noi vediamo l’Africa come portatrice di qualcosa che ancora manca alla Chiesa, che dall’Africa ha molto da ricevere. In ultima analisi, la missione non si limita a portare il dono della fede ai “pagani”, ma è un viaggio alla scoperta della presenza di Dio e dei volti sempre nuovi del Cristo risorto nella storia dei popoli attraverso un dialogo autentico, la condivisione della fede e una genuina, sincera ricerca portata avanti insieme ai popoli.

    Di conseguenza la missione sociale della Chiesa non è semplicemente un’espressione di carità cristiana e una testimonianza di fede cristiana, ma appare piuttosto come un viaggio (condiviso dalla comunità missionaria con il popolo) verso un incontro più profondo e trasformante con il Cristo risorto nella storia. I missionari si inseriscono nel viaggio storico di un popolo in cui lo Spirito è già all’opera, e procedono al fianco di quel popolo verso un incontro trasformante, trasfigurante con il Cristo risorto. Nella vocazione missionaria c’é una chiamata a incontrare Dio attraverso il genio, la storia, le lotte dei popoli e ad indicare Dio al mondo, rendendo testimonianza “alla pienezza della promessa del regno di Dio” (Bosch 1996, 391).

    Tutto ciò richiede una metodologia adeguata che mantenga unite la dimensione politica e quella spirituale della missione, come nell’immagine simbolica della rigenerazione. La metodologia del ciclo pastorale opera in effetti tale integrazione. Attraverso l’inserimento (prima fase), un missionario entra nel contesto sociale e culturale di una comunità e ne condivide il viaggio storico (facendo causa comune con essa). La seconda fase consiste nel favorire l’analisi sociale e culturale all’interno della comunità, il che significa ponderare, studiare e comprendere quella realtà, la sua complessità e i suoi aspetti contraddittori in modo scientifico. La riflessione teologica e ministeriale che ne consegue porta la comunità a individuare la presenza di Dio e del male nella storia e a discernere con fede e saggezza gli aspetti nebulosi e contraddittori della realtà, nonché il ruolo e la chiamata della comunità all’interno di tale situazione. La quarta fase, ossia il processo d’azione (pianificazione, realizzazione, valutazione, celebrazione), al termine della quale il ciclo ricomincia da capo, è quella in cui la comunità prende iniziative concrete per influire sul processo di trasformazione sociale, in linea con i valori e la presenza del regno di Dio.

    Questa metodologia presuppone la comprensione di una pluralità di ministeri complementari portati avanti da diversi agenti pastorali. Ma ciò non equivale a dire semplicemente che certi ministeri appartengono a ministri ordinati, altri a ministri consacrati e altri ancora a ministri laici. Sebbene sia vero che in ministeri diversi agenti specifici svolgono un ruolo speciale, ciò non deve essere interpretato come un’esclusione o una negazione del ruolo specifico di altri. Ad esempio, non possiamo affermare che il ministero di Giustizia, Pace e Integrità del Creato sia di pertinenza dei laici, dei religiosi o dei sacerdoti ordinati. In realtà una parte tanto fondamentale della missione evangelizzante della Chiesa (Giustizia nel Mondo, 6) è di pertinenza di tutti. Ciò nonostante, la vocazione e il ruolo specifico dei vari ministeri possono sicuramente essere diversi, caratteristici e complementari.

    I Fratelli e il ministero della Rigenerazione
    In una certa misura i Padri Missionari Comboniani hanno sempre avuto un ruolo nel processo di rigenerazione dell’Africa. Ma quale è stato il loro ruolo nella dimensione politica di tale rigenerazione? La caratteristica saliente sembra essere sempre stata il senso di fraternità, che è anche la modalità con cui essi contribuiscono alla presa di coscienza e alla trasformazione sociale di un popolo.

    Ad esempio, soprattutto all’epoca in cui l’accento veniva posto principalmente sulla missione religiosa della Chiesa, i Fratelli hanno dato un contributo straordinario all’affermazione delle popolazioni locali, favorendone la crescita del rispetto e della fiducia in se stessi, divenendo fonti di ispirazione attraverso l’attenzione e il dialogo con la popolazione, la propria testimonianza di vita, il proprio lavoro e la formazione giovanile. Inoltre, sin dagli inizi i Fratelli hanno influito sul processo di trasformazione sociale attraverso il loro contributo al sistema scolastico, a progetti, socio-economici e alla formazione professionale, per citare solo alcune iniziative. Tutto questo è, in un certo senso, molto più “politico” di quanto possa sembrare, poiché implica l’affermazione di una certa idea o modello di società.

    Con la sensibilità odierna, possiamo riesaminare (senza per questo dare anacronisticamente alcun giudizio storico) l’adeguatezza di quel modello in determinati casi. In effetti, lo stesso Comboni fu assalito dal dubbio quando la sua esperienza nel Dar Nuba (1876-77) mise in discussione le sue idee sulla “civiltà”. Purtroppo egli non visse abbastanza a lungo da digerire alcune delle sue intuizioni più profonde e da riflettere sulle loro implicazioni. Ciò nonostante, riuscì ad ammettere che la sua concezione dell’organizzazione sociale, della povertà e della miseria africane non era applicabile a quel gruppo di individui, e che per la rigenerazione delle popolazioni del Dar Nuba serviva un atteggiamento diverso (cfr. Scritti 4057-4059; S. 4131-4139; S. 4574-4575; S. 5693-5699). Verso la fine, Comboni sembra cominciare a valutare diversamente l’impatto sociale della sua idea di comunità cristiana sulle popolazioni locali.

    Oggi, alla luce del paradigma della missio Dei, il ministero della rigenerazione richiede anche un ricongiungimento con la presenza dello Spirito nelle situazioni e nella storia dei popoli, nella loro eredità culturale e nella loro spiritualità. Eppure, in varie parti dell’Africa sta prendendo sempre più piede un processo di disgregazione socio-culturale. In questo contesto, i Fratelli sono chiamati a dare il loro contributo alla sfida rappresentata dalla costruzione di comunità fraterne, in continuità con tradizioni che sono la linfa vitale dei popoli. Inoltre, la riconciliazione con se stessi, con la propria storia, con il Creato e il proprio retaggio culturale, con limiti ed eventi traumatizzanti è un passo necessario verso il ricongiungimento con un’identità personale e sociale autentica. Attraverso il loro ministero, quindi, i Fratelli dovranno essere fra coloro che possono favorire:
  • un’atmosfera dove le persone si sentano sicure, fiduciose e possano aprire i loro cuori agli altri, anche mostrando la propria sofferenza e vulnerabilità;
  • comunicazioni oneste, improntate all’autenticità e al rispetto per gli altri;
  • lo sviluppo di rapporti “veri”;
  • impegno all’empatia, soprattutto attraverso il superamento di ogni genere di differenze.

    Tuttavia, ciò è chiaramente insufficiente. Anche la dimensione dell’identità collettiva, dell’eredità culturale o, detto con parole più semplici, delle radici di un popolo è essenziale. E, all’interno di questa dimensione, il ricongiungimento con la memoria personale e collettiva della presenza di Dio nella storia, con l’eredità spirituale di un popolo è particolarmente importante e deve essere favorito non in forma astratta e teorica, ma in relazione all’esperienza di vita e alle situazioni di alienazione di quel popolo. Questo ricongiungimento con la verità su se stessi e con il senso più profondo della vita non è qualcosa che un ministro possa far accadere negli altri; ma una presenza accogliente, fraterna e benevola e certe dinamiche di gruppo possono facilitare l’instaurarsi di condizioni favorevoli allo svolgimento di questo processo.

    La presenza dei Fratelli nel processo di trasformazione sociale deve essere dialogica e favorire la partecipazione (piuttosto che essere il motore del cambiamento); catalizzare l’iniziativa e l’immaginazione delle popolazioni (partendo dal punto in cui si trovano, piuttosto che spingere programmi importanti ma alieni); sfruttare le conoscenze, le risorse e la saggezza locali. I Fratelli sono chiamati ad accompagnare le comunità locali nella loro opera di cambiamento della propria realtà, di trasformazione dei rapporti (all’interno della comunità, nella società, nell’ambiente, nel mondo spirituale, nelle strutture sociali, ecc.). Attraverso azioni e iniziative concrete che affrontino problematiche fortemente sentite, le comunità finiscono con il contribuire alla trasformazione dei rapporti di potere, allo sviluppo di relazioni vitali e alle strutture della società. Ancora una volta, viene alla ribalta la dimensione politica della rigenerazione. Il ruolo dei Fratelli in tutto questo sta nell’aspetto della facilitazione, che deve essere aperta e rispettosa del viaggio della comunità, e non progettare quello stesso viaggio in sua vece. Molto spesso la professione dei Fratelli può essere di grande aiuto nel consentire loro l’ingresso nella comunità e l’offerta di servizi concreti ove necessario, ma non deve determinare o condizionare il viaggio della comunità stessa. E’ comunque chiaro che avere una professione solida rimane una necessità per i Fratelli, in quanto dà loro quella fiducia in se stessi che è la base da cui partire per l’acquisizione di nuove competenze e di un più forte senso di identità e riconoscimento sociale.

    Conclusione
    Il coinvolgimento in movimenti sociali che affrontino pressanti problematiche globali, l’attenzione ai diversi approcci partecipativi e alle metodologie di trasformazione sociale, l’accento sull’avanzamento di specifiche iniziative e uno stile di vita improntato a una profonda fratellanza sono parte integrante e inscindibile del processo di riqualificazione della presenza e dell’opera dei Missionari Comboniani. Per quanto attiene al ministero dei Fratelli, dobbiamo tenere in considerazione funzioni quali l’accompagnamento di popoli e comunità e il contributo (in termini di facilitazione) a una presa di coscienza e alla riconciliazione, il che significa privilegiare un punto di partenza che nasca dalla situazione effettiva in cui un popolo si trova, dalle questioni che quel popolo ha più a cuore. Sono necessarie una collaborazione e un’integrazione fra ministeri diversi. A volte è necessario anche fare opera di propaganda e di sensibilizzazione su questioni che, per varie ragioni, non emergerebbero come prioritarie dalle comunità locali. Sono proprio la consapevolezza e l’accettazione di questi limiti a costituire un punto di forza fondamentale del ministero.

    fr. Alberto Parise, mccj
  • La dimensione politica della missione