Mercoledì 18 luglio 2018
I Congressi Missionari dell’America Latina (COMLA) sono stati ispirati e promossi dalle Pontificie Opere Missionarie (POM), in collaborazione con le Conferenze episcopali e con la partecipazione attiva delle Chiese particolari e di tutte le forze missionarie. I COMLA sono nati con uno scopo preciso: approfondire le responsabilità missionarie delle Chiese locali perché si aprano alla missione ad gentes e coordinare le iniziative e le attività missionarie continentali.

V Congresso missionario latinoamericano
Santa Cruz de la Sierra, Bolivia
10-14 luglio 2018

Il primo Congresso Missionario latinoamericano, si è tenuto a Torreón, in Messico, dal 20 al 30 novembre 1977, con il tema “La Chiesa, Sacramento universale della Salvezza”: la riflessione era incentrata sui contenuti dell’esortazione apostolica di Paolo VI ‘Evangelii Nuntiandi’ che aveva dato un forte impulso missionario.

Il CAM (Congreso Misionero Americano) è in realtà il successore del COMLA. L’idea che il Continente americano fosse da considerare come un’unica realtà dall’Alaska alla Terra del Fuoco ottemperava al desiderio di Papa Giovanni Paolo II espresso durante l’Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi per l’America, tenutasi in Vaticano dal 16 novembre al 12 dicembre 1997. Il COMLA-6, programmato a Paranà (Argentina), infatti, si è trasformato in CAM1 celebrato nel contesto dell’Assemblea sinodale per l’America e del grande giubileo della Redenzione: per la prima volta tutti i missionari del Continente si sono riuniti per celebrare questo grande evento missionario continentale.

Il CAM5 in Bolivia:
‘America in Missione, il Vangelo è Gioia’

Card. Fernando Filoni, prefetto della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli.

Il CAM-COMLA ha una scadenza quinquennale e si è tenuto quest’anno a Santa Cruz de la Sierra (Bolivia), dal 10 al 14 luglio, ospitato nel Collegio Don Bosco. Il CAM è giunto alla sua quinta edizione (la nona del COMLA). Il tema del presente CAM rifletteva il messaggio dell’Esortazione Evangelii gaudium: la gioia del Vangelo, cuore della missione profetica, fonte di riconciliazione e di comunione. Lo slogan del Congresso, infatti, è stato: ‘America in Missione, il Vangelo è Gioia’. L’obiettivo principale – come si legge nella presentazione ufficiale del Congresso – “rafforzare l’identità e l’impegno missionario Ad Gentes della Chiesa nelle Americhe, per annunciare la gioia del Vangelo a tutti i popoli con particolare attenzione alle periferie del mondo di oggi e al servizio di una società più giusta, solidale e fraterna”.

La scelta del luogo è stata significativa. A qualche ora d’auto da Santa Cruz si trovano alcune missioni fondate dai gesuiti, le famose reducciones, villaggi cristiani che raccoglievano popolazioni indigene per difenderle dallo sfruttamento coloniale e dar loro un’educazione cristiana. Non sono rovine di edifici come altre reducciones: sono, invece, comunità cristiane ancora vive.

L’organizzazione delle giornate seguita in questo CAM non è stata diversa dagli incontri precedenti: esposizione di tematiche missionarie da parte di alcuni relatori, discussioni a gruppi seguendo alcuni percorsi tematici e approfondimenti dei temi. Il tutto, seguendo il metodo ormai classico del vedere-giudicare-agire.

Quattro sono state le linee tematiche di questo CAM-5: il Vangelo, la gioia missionaria, missione e riconciliazione, missione e profetismo.

La giornata dell’11, iniziata con una parola di benvenuto da parte dell’Arcivescovo di Santa Cruz, Mons. Sergio Gualberti, è proseguita con altri interventi tra cui quello del card. Fernando Filoni, prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli. “Questo Congresso Missionario” ha sottolineato il cardinale “raccoglie la visione di Papa Francesco per farla sua e adeguarla alla ricca varietà del continente americano”. Ma, al di là delle parole di circostanza, Papa Francesco sa molto bene che il continente latinoamericano si dibatte tra enormi problemi sociali, economici, politici ed ecclesiali.

Un sondaggio condotto sulle risposte al questionario contenuto nell’Instrumentum Laboris ha evidenziato che le preoccupazioni maggiori dei cattolici del continente sono la crisi della famiglia, il disprezzo e la violenza contro la vita e la dignità umana, e il mancato rispetto per i diritti umani, ma anche l’aumento delle ‘sette religiose’. Ad una mia domanda sul perché molti cattolici in Brasile avessero lasciato la Chiesa cattolica per confluire nelle chiese pentecostali, un sacerdote diocesano brasiliano ha risposto che la causa non è solo nelle promesse di prosperità terrena che queste chiese offrono, ma anche per una mancanza di evangelizzazione in profondità. Forse, ha proseguito il sacerdote, una cattiva interpretazione della teologia della liberazione che ha ridotto la persona alla sola dimensione sociale e politica non è esente da colpe. Ma la crisi della Chiesa nel continente americano tocca anche la vita sacerdotale e religiosa. Un religioso missionario che ha lavorato in Bolivia per molti anni mi diceva che, dall’inizio del 2000, i candidati al sacerdozio sono calati del 50% nella diocesi in cui lavora. Una crisi profonda, quindi, per un continente che era considerato cattolico nella stragrande maggioranza e che aveva dato alla Chiesa un gran numero di sacerdoti, religiosi e missionari. Piero Schiavazzi, nell’edizione italiana dell’Huffington Post online (21/1/2108), sottolineava come “L’America Latina [si sia trasformata] da zoccolo duro a tallone d’Achille del pontificato [di Papa Francesco]. Il presagio di una débâcle incombe sulle sorti del cattolicesimo latinoamericano e si condensa in pianto negli occhi di Bergoglio”. Parole dure ma che colgono la drammaticità della situazione. Stranamente, secondo il sondaggio, gli scandali sessuali che offuscano la testimonianza della Chiesa sono percepiti come un vero problema dal 60% dei sacerdoti e religiosi, dal 40% dei laici impegnati nelle parrocchie, ma solo dal 30% della gente che frequenta la chiesa: un risultato sorprendente se visto nella prospettiva della polemica che ha infiammato recentemente la Chiesa cilena.

Il primo giorno di congresso è stato incentrato sulla gioia del Vangelo, cioè, riprendendo le parole dell’Instrumentum Laboris, sulla “gioia dei discepoli e dei missionari [che] ha la sua motivazione più profonda nell’incontro personale con Cristo risorto”. Infatti, la relazione di Mons. Guido Charbonneau, vescovo di Choluteca (Honduras) era sulla gioia appassionante del Vangelo. Nel pomeriggio i partecipanti si sono riuniti nei vari laboratori, mini-assemblee, incontri teologici. Ho partecipato ad una mini-assemblea; ciò che mi ha colpito è stata la testimonianza di un sacerdote diocesano messicano che, parlando della violenza in Messico, ha condiviso il suo dolore per un nipote rapito e mai più ritrovato: “non sappiamo nemmeno se sia morto e dove andare a piangerlo, se fosse morto”. Proclamare la gioia del Vangelo in questo contesto è eroico e, chi lo fa, testimonia la speranza cristiana in modo coraggioso.

Il secondo giorno, il 12, si sono avute due conferenze al mattino: sull’annuncio del Vangelo al mondo d’oggi (Mons. Santiago Silva Retamales, vescovo castrense cileno) e sui discepoli, testimoni di comunione e riconciliazione (P. Sergio Monte Rondón, s.j. boliviano). Il missionario, ha sottolineato il primo relatore, nasce dalla tomba vuota ed è testimone del Cristo Risorto; appartenere al Regno è essere una persona nuova, assumere una nuova identità, ‘cristificarsi’ cioè assumere l’identità di Cristo sia come individuo che come comunità, con tutto ciò che questo comporta nelle scelte radicali di vita. Impressionanti i dati sulla condizione sociale dell’America Latina presentata dal secondo relatore: il continente è il luogo dove la violenza contro le donne è maggiore (soprattutto l’America Centrale e il Messico): il 28% delle donne ha subito violenza da uno dei membri della famiglia; 42 città su 50 dove vi è violenza sociale si trovano in America Latina; la povertà estrema nel 2014 era al 8.2%, nel 2016 è salita al 10%, senza contare i problemi con il narcotraffico, il traffico umano, la crisi ambientale, la deforestazione e l’instabilità politica di molte nazioni. “In questa situazione, si domandava il conferenziere, quale Vangelo stiamo comunicando? Il nostro cattolicesimo è solo di facciata?”. È urgente, allora, che i discepoli diventino testimoni credibili della vita di Gesù, costruttori di comunione e riconciliazione.

Il pomeriggio, come il giorno precedente, ognuno ha partecipato alle mini-assemblee, ai laboratori oppure agli incontri teologici, secondo il posto assegnato a ciascuno. Ho partecipato al laboratorio sulla missione ad gentes. Mi ha colpito l’entusiasmo dei giovani per la missione al di là dei confini dell’America e la testimonianza di una laica dell’Argentina che ha speso due anni in Senegal. Questo entusiasmo rappresenta chiaramente ciò che dice Papa Francesco parlando dei giovani e della missione: “I giovani sono la speranza della missione”.

Terzo e ultimo giorno di incontri. Siamo all’ultima fase del metodo, quella dell’agire. Dopo la preghiera, ci sono state due conferenze: una, di Mons. Luis Augusto Castro Q., arcivescovo di Tunja in Colombia, e l’altra, di Mons. Vittorino Girardi, comboniano, vescovo emerito di Tilarán-Liberia in Costa Rica. Mons. Castro ha ribadito, tra gli altri punti, la necessità che il profeta combatta l’idolatria, sia contro i rivali di Dio che possono avere diversa forma – il potere, il capitalismo selvaggio, l’idolatria della razza ecc. – che contro la tentazione della manipolazione di Dio, di un Dio, cioè, fatto a nostra immagine e somiglianza. Mons. Girardi, invece, ha parlato della missione ad gentes dentro e fuori l’America. Un intervento prettamente missionario, che ha sottolineato la necessità che la Chiesa continentale si apra alla missione ad gentes perché, nelle parole di Papa Francesco, “l’attività di evangelizzazione [è] paradigma di ogni opera della Chiesa. La missionarietà è paradigma di ogni opera della Chiesa”. Mons. Girardi ha ricordato che anche “nel continente americano abbiamo ampi spazi di missione” e, provocatoriamente, ha ribadito che “una Chiesa amerindia, una Chiesa dei popoli indigeni non è mai nata”.

Il pomeriggio, lavori di gruppo e assemblee, come i giorni precedenti. Il tutto, però, concentrato sull’agire e, quindi, su proposte concrete. Il gruppo al quale ho partecipato, come il giorno precedente, quello sulla missione ad gentes, molto attivo, era formato nella stragrande maggioranza di giovani. Un sacerdote salesiano dell’Uruguay, che ha lavorato per molti anni in Guinea Bissau, ha condiviso la sua esperienza e ha rimarcato come i missionari ad gentes latinoamericani, dopo 500 anni di evangelizzazione nel continente, siano relativamente pochi; ha evidenziato che le chiese d’Africa e d’Indonesia (quest’ultima a stragrande maggioranza musulmana), siano molto più sensibili per una missione ad gentes al di fuori dei propri confini. Il gruppo, come proposta concreta, ha suggerito che in tutte le diocesi si formino centri di animazione missionaria; un desiderio, quello dei giovani, che si spera sia assecondato perché esprime un’aspirazione profondamente sentita.

Le proposte finali del CAM-5 in Bolivia

Mons. Vittorino Girardi, missionario comboniano, ha parlato della missione ad gentes dentro e fuori l’America.

Prima della messa di conclusione, il giorno 14, sono state lette le conclusioni del CAM-5. “Siamo consapevoli” si afferma nelle conclusioni “dei grandi cambiamenti rapidi e profondi che scuotono le culture e le società in questa era postmoderna. […] Tra queste sfide la nostra Chiesa è particolarmente preoccupata per i seguenti grandi fenomeni del nostro continente: la crisi della famiglia con tutti i suoi problemi, il disprezzo e la violenza contro la vita e la dignità umana, la violazione dei diritti umani, il dominio economico di pochi che genera disoccupazione e povertà, il panorama dell’ingiustizia e della mancanza di solidarietà che trascura l’essere umano nell’era del secolarismo, la necessità di prendersi cura della Madre Terra, la preoccupante situazione di disuguaglianza e violenza a cui sono sottoposte le donne, le migrazioni, la popolazione indigena, gli aspetti oscuri della Chiesa stessa, colpita soprattutto dagli scandali di abusi sessuali, il declino delle vocazioni sacerdotali, la modernità debole e relativista così come la negatività e l’immoralità inerenti alla modernità”.

Tra le proposte di conversione missionaria per la Chiesa latinoamericana, vorrei ricordarne tre che erano già state presentate come ‘proposte emblematiche’ a seguito del lavoro sull’Instrumentum Laboris:

a) Incoraggiare la comunione di beni nella Chiesa e con i poveri. “In particolare, deve essere appoggiata la proposta emblematica dell’istituzione della Koinonia eucaristica con i Poveri per condividere con loro, con criteri evangelici ed evangelizzanti e con il carattere universale di Ad Gentes, i contributi di ogni Eucaristia”.

b) Sostenere una Chiesa missionaria più ministeriale e laicale. “Su questa linea si appoggia la proposta emblematica della creazione di un ministero riconosciuto, laico e femminile, attraverso il quale si riconosce lo straordinario servizio delle donne all’evangelizzazione come una realtà vivente”.

c) Promuovere la consapevolezza della missione profetica e liberatrice in tutte gli ambiti sociali. “Si appoggia perciò, la creazione dell’Osservatorio Ecclesiastico Americano dei Diritti Umani con l’obiettivo di fare rapporti profetici sulle situazioni di esclusione, emarginazione, oppressione, ingiustizia, corruzione ed estorsione dei diritti umani, sociali, politici ed economici in tutti i paesi dell’America”.

Alcune osservazioni finali

È stata una festa di colori, di musiche, di allegria e soprattutto di incontri informali molto arricchenti. Il fatto che la maggioranza dei paesi latinoamericani parli una sola lingua, lo spagnolo, ha certamente aiutato gli incontri e lo scambio reciproco. Alcuni delegati del Canada mi hanno confidato, però, che non potevano seguire le conferenze. Per i delegati degli Stati Uniti e del Canada la lingua era una barriera che impediva una partecipazione attiva al Congresso. Un problema cui si dovrà far fronte se il CAM deve essere veramente americano dall’Alaska alla Terra del Fuoco.

Vorrei evidenziare qualche nodo problematico che ho rilevato in questo Congresso.

Il susseguirsi di interventi di cardinali e vescovi – opportunamente seduti sul palco del grande ‘coliseum’ del Collegio Salesiano – all’apertura del CAM mi pare abbia dato l’immagine di una Chiesa verticista e clericale. Non un laico, né tantomeno una laica sono intervenuti. Proprio l’opposto di ciò che era ed è nelle intenzioni conclamate del congresso: dare spazio nella Chiesa alle donne e ai laici. Così, le conferenze alle quali sono intervenuti quasi solo i vescovi (con l’eccezione di un sacerdote). Mi sembra che le azioni concrete siano più eloquenti delle parole e veicolino l’immagine più vera di ciò che, di fatto, si è. Sarebbe stato bello vedere i vescovi e i cardinali seduti assieme alla gente e ascoltare i laici parlare, in altre parole dare un’immagine di una Chiesa sinodale dove si cammina insieme, dove ci si ascolta tutti e ci si parla.

Una seconda impressione è che l’America Latina in particolare – troppo marginale la presenza degli Stati Uniti e del Canada – sia ancora una Chiesa che guarda a sé stessa, una Chiesa rivolta ad intra. Quasi tutti gli interventi riguardavano le problematiche dell’America Latina e solo il vescovo comboniano, Mons. Vittorino Girardi, ha parlato di una missione ad gentes in e dal continente. Un’impressione, del resto, suffragata dal sacerdote salesiano di cui ho riportato la testimonianza più sopra. C’è, però, un intenso desiderio da parte dei giovani di aprirsi alla missione ad gentes fuori dai confini continentali, una forte aspirazione alla formazione missionaria. Ecco perché, a mio parere, una delle priorità, oserei dire la priorità dell’America Latina, per noi missionari, è l’animazione missionaria. Lasciarci sfuggire questa opportunità sarebbe deleterio per il futuro missionario del continente e per la sua apertura ad gentes, e, infine, per la vitalità stessa della Chiesa latinoamericana.

Il messaggio finale, letto all’inizio della Messa conclusiva, era grandioso nei piani e ambizioso nelle risoluzioni. Il problema è: a chi è delegata la verifica costante delle risoluzioni? Qual è la strategia per metterle in opera? Sarebbe opportuno riprendere le risoluzioni al prossimo CAM per valutare fino a che punto sono state applicate. Non mi sembra ci sia stato il senso di continuità tra questo CAM e quello che lo ha preceduto e che sia stata presentata una verifica delle risoluzioni precedenti.

Il CAM, bisogna riconoscerlo, è stato preceduto da un grande lavoro, in cui sono intervenuti i gruppi parrocchiali e diocesani delle varie Chiese nazionali, enucleato dal sondaggio nel quale sono state riassunte le risposte alle domande contenute nell’Instrumentum Laboris. Un lavoro veramente capillare. È stato questo il vero successo del CAM, a mio modo di vedere. Il CAM è stato il coronamento di un quinquennio di preparazione intensa.

Per noi Comboniani, per la nostra storia, il COMLA-CAM ha un significato molto particolare. Infatti, la visione e l’impostazione del congresso missionario latinoamericano tenutosi a Lima nel 1991 (COMLA IV), secondo il parere dell’allora Segretario Generale dell’Evangelizzazione, P. Joseph Uhl, ebbe un influsso sul Capitolo Generale dello stesso anno, soprattutto nelle parti riguardanti i campi di lavoro e la metodologia missionaria.
P. Mariano Tibaldo, in Santa Cruz de la Sierra, 14 luglio 2018

Immagini della chiusura del V Congresso missionario latinoamericano
Messa presediuta da Mons. Sergio Gualberti, arcivescovo di Santa Cruz