Martedì 9 luglio 2019
I Missionari Comboniani stanno dedicando l’anno 2019 alla riflessione sull’interculturalità. Per approfondire questo tema i superiori provinciali e i membri dei segretariati della missione delle sei circoscrizioni comboniane europee hanno organizzato un laboratorio sull’interculturalità che si è tenuto dal 1 al 6 luglio presso la Casa Madre delle Suore Comboniane a Verona (Italia). Hanno partecipato circa quaranta missionari, tra cui anche due suore, una secolare e una laica missionaria comboniana.

Il tema del laboratorio, che quest’anno ha sostituito il Simposio di Limone, è stato “Interculturalità e missione. La prassi interculturale come sfida missionaria”.

L’evento, promosso dal Consiglio europeo della missione, aveva come obiettivi fornire ai missionari degli strumenti per la dimensione interculturale nelle loro comunità e nel loro servizio missionario, riprendere e concretizzare i contenuti del Simposio di Limone 2018 su “Missione e interculturalità”, combinando la riflessione con proposte pratiche e infine abbinando le ministerialità presenti nei segretariati della missione, cioè animazione missionaria, migranti, giustizia e pace e integrità del creato (GPIC), laici, e comunicazione.

Il programma del laboratorio ha privilegiato una metodologia molto partecipativa e collaborativa a livello razionale ed emozionale, dando perciò il dovuto tempo alla riflessione personale, all’ascolto attivo e alla condivisione nei lavori di gruppo.

Il primo giorno di riflessione, 2 luglio, è stato dedicato alla condivisione, in piccoli gruppi, delle esperienze concrete di ciascun partecipante cercando di scoprire e imparare le dinamiche interculturali emergenti da queste storie personali. Quindi, partendo dal cuore della missione, dall’incontro profondo, sfidante e fecondo con l’altro, i comboniani hanno cercato di rielaborare esperienze che portano nel cuore, che vengono dal basso, dalla loro vita. “Dal ricevere due uova da una donna poverissima di una capanna di Bukavu, in Repubblica Democratica del Congo. Lasciandomi così trasformare dentro da un gesto inatteso e incomprensibile per me” racconta uno dei partecipanti. Contribuendo all’intreccio di condivisioni che ricordano come la palestra della vita ha smosso convinzioni e stereotipi profondamente incagliati dentro certezze pietrificate dal tempo.

Per risalire così ad alcune sintesi che vanno al cuore della missione interculturale. Una vera e propria bussola per il lavoro dei comboniani in Europa e nel mondo: l’incontro nella reciprocità, il rispetto e la cura della diversità, lo stare e il camminare con gli altri, il riconoscimento dell’altro.

Le soluzioni restano soltanto all’orizzonte, davanti ai missionari. Ma la strada per arrivarci è quella di promuovere l’ascolto, la fiducia e la comprensione, la ricerca di un comune terreno d’incontro e il dialogo nella speranza. Il tutto dentro una spiritualità che accoglie il disagio e la sofferenza di aprirsi all’inatteso e imprevedibile di Dio.

Il terzo giorno è stato guidato dalla riflessione di don Paolo Boschini, sacerdote di frontiera in una parrocchia di Modena e professore di filosofia all’Università di Bologna, che ha presentato alcuni spunti teologici e biblici per una spiritualità missionaria in contesti molto interculturali. “Nelle realtà che attraversiamo non esistono le culture ma le misture, non esiste identità ma ibrido. Abbiamo non tanto culture ma mondi che si attorcigliano, tanti orizzonti che si intrecciano, nessuno autosufficiente. L’ondata di sovranismo che invade l’Europa è dettata da una distorsione cognitiva. Pensiamo che esistano le culture ma sono costruzioni, spesso a posteriori”, ha provocato così il pubblico don Paolo.

I comboniani d’Europa lo hanno ascoltato con profondo interesse perché la sua riflessione sgorga dalla vita di strada, sulla soglia tra parrocchia e quartieri di periferia. Tra chiesa e moschea. Tra intrecci di lingue, volti, sogni, sguardi che hanno il sapore dell’umanità in movimento verso un orizzonte altro.

Anche la mediatrice culturale Devisri Nambiar – nella seconda giornata – e lo psicologo comboniano padre Giuseppe Crea – nella quarta giornata – hanno contribuito all’approfondimento dei processi e delle relazioni interpersonali e interculturali e hanno fornito alcuni strumenti per muoversi dentro questo intersecarsi di mondi e persone diversi.

Attraverso la modalità di rappresentazione teatrale di conflitti quotidiani e lavori di gruppo, i comboniani hanno cercato di cogliere le strategie da mettere in atto per dare soluzioni concrete a conflitti tra persone di diverse provenienze, tenendo conto dei contesti, della presenza di mediatori e dei feeling dei protagonisti. Di fronte al rifiuto dell’ospite ugandese di mangiare carne di pecora, il padrone di casa si adatta e prepara pasta in bianco. Senza troppe storie. Ma quando i conflitti riguardano aspetti e modalità che minacciano la pace della vita comune allora i nodi vengono a galla. Se gli abitanti di un condominio la sera parlano ad alta voce, con musica a tutto volume e danze improvvisate prima o poi qualcuno reagisce.

Che fare allora? Certamente restare vigilanti sulla nostra comunicazione con gli altri avendo a cuore di capire nel linguaggio fatto di gesti, parole e segni qual è il contenuto della comunicazione, cosa la persona rivela di sé, cosa chiede agli altri e come cambia la relazione. Per poi allargare lo spazio privato raccontando di sé e lasciando che gli altri possano darci dei feedback preziosissimi per una maggiore consapevolezza dei pregiudizi e degli stereotipi culturali che ci abitano.

Il laboratorio è stato un ricco cantiere di incontri, idee e proposte da valutare sul terreno di una missione che in Europa si fa sempre più fuori dagli ambiti convenzionali. Missione che esce su strade, piazze e periferie dove circolano e si intrecciano vite e speranze per camminare verso la costruzione di quella visione multiversale della vita, che considera superate le culture, che hanno una forte connotazione etnocentrica, per “lasciarci abbracciare – come ricordava don Paolo Boschini – da un orizzonte che tutto abbraccia”.

Pubblichiamo qui di seguito la Lettera che il Consiglio Generale e il Segretariato generale della missione hanno inviato ai partecipanti al Laboratorio sull’interculturalità a Verona.

Laboratorio europeo sull’interculturalità
Verona, 1-6 luglio 2019

«Una rinnovata Pentecoste spalanca le porte della Chiesa affinché nessuna cultura rimanga chiusa in sé stessa e nessun popolo sia isolato ma aperto alla comunione universale della fede. Nessuno rimanga chiuso nel proprio io, nell’autoreferenzialità della propria appartenenza etnica e religiosa. La Pasqua di Gesù rompe gli angusti limiti di mondi, religioni e culture, chiamandoli a crescere nel rispetto per la dignità dell’uomo e della donna, verso una conversione sempre più piena alla Verità del Signore Risorto che dona la vera vita a tutti» (Messaggio di Papa Francesco per la Giornata Missionaria Mondiale 2019)

Cari confratelli partecipanti al laboratorio europeo sull’interculturalità,
pace e forza nel Signore Gesù.

Al tema dell’interculturalità è dedicato l’anno 2019. Infatti, quest’anno si è aperto con un workshop il cui obiettivo era «di attivare … un processo che ci permetta di sviluppare la competenza interculturale, cioè acquisire una maggiore conoscenza, consapevolezza e comprensione in vista di una maggiore abilità, per interagire nel quotidiano della nostra vita comunitaria e nel nostro ministero in modo appropriato ed efficace con persone di culture diverse.» (Lettera di presentazione del workshop sull'interculturalità). Dopo questo workshop diverse circoscrizioni hanno organizzato attività sul tema.

L’interculturalità, lo vogliamo ricordare, non è un argomento recente. La lettera del Consiglio Generale del 1999 introduceva questa tematica, ulteriore specificazione e approfondimento della missione come inculturazione e dialogo, un argomento trattato nel Capitolo del 1997. La lettera, infatti, aveva come titolo ‘L’interculturalità nella comunità comboniana’. Ma è nel Capitolo del 2015 che l’interculturalità è diventata oggetto di riflessione e di studio perchè diventiamo consapevoli degli importanti cambiamenti demografici nell’Istituto. Il futuro della vita comunitaria e della missione, infatti, si gioca sulla costruzione di comunità interculturali. «Siamo chiamati, sottolineava il Capitolo Generale del 2015, a valorizzare, prima di tutto fra di noi, l’interculturalità, l’ospitalità e “la convivialità delle differenze”, convinti che il mondo ha un immenso bisogno di questa testimonianza.» Allo stesso tempo, fare missione oggi è adottare il paradigma interculturale che si fonda sull’importanza della solidarietà, del riconoscimento dell’altro nella sua diversità, della reciprocità del dono e dell’arricchimento vicendevole. 

Vi state riunendo a Verona per il laboratorio ‘Missione e Interculturalità’ che dà seguito al Simposio di Limone del 2018 che aveva come titolo ‘La prassi interculturale come sfida missionaria. Missione e interculturalità’. Infatti, lo scopo di questo laboratorio non è solo comprendere le dinamiche interculturali ma acquisire le competenze e gli strumenti necessari a costruire comunità interculturali ed esercitare un proficuo ministero interculturale.

Nella lettera per introdurre l’anno di riflessione sull’interculturalità, il Consiglio Generale aveva rilevato alcuni punti essenziali: l’interculturalità come dono di Dio perchè siamo creati a immagine di Dio stesso e, perciò, esseri-in-relazione; il desiderio dell’incontro è iscritto nell’essenza stessa della persona ed è, prima di tutto, ‘grazia’. Ma è anche sfida e, dunque, «progetto di vita che richiede che diventiamo delle persone “competenti” per poterlo assumere e realizzare… come comunità e come missionari del Regno, “capaci” di assumere le fatiche, le rinunce, le tensioni e le sfide di questo dono». È su questa sfida che si è organizzato il laboratorio di Verona.

Vi auguriamo che questo incontro vi aiuti a crescere nelle competenze interculturali e che possiate aiutare i confratelli delle vostre comunità e circoscrizioni ad aprirsi al dono dell’incontro, dell’ospitalità, dell’apertura ai doni culturali di cui l’altro-diverso-da-noi è portatore.

Comunità aperte all’incontro e all’arricchimento reciproco, comunità come ‘convivialità delle differenze’ diventano segno profetico che “un altro mondo è possibile”, contro ogni tentazione di costruire muri e barriere.

Vi ringraziamo e vi assicuriamo la nostra preghiera e la nostra stima. Che Gesù nostra pace,
colui che ha abbattuto «il muro di separazione … cioè l'inimicizia, per mezzo della sua carne» (Ef. 2,14) vi fortifichi e vi colmi dei suoi beni.

Nella comune passione per la missione e in S. Daniele Comboni:
La Direzione Generale
Roma 30/6/2019