Lunedì 21 novembre 2022
“C’è un punto mai smentito nella ‘politica missionaria’ di Propaganda Fide: La pari dignità di ogni cultura, l’obbligo di usare le lingue locali e di non imporre la propria. La necessità di portare nel mondo la fede e non la cultura occidentale”, ha detto lo storico Gianpaolo Romanato, in occasione del IV Centenario dell’istituzione di Propaganda Fide. [Foto comboni.org; testo:
Fides]

Portare al mondo la fede in Cristo e non la cultura occidentale
Questo è il vero tesoro di Propaganda Fide

“C’è un punto mai smentito nella ‘politica missionaria’ di Propaganda Fide: La pari dignità di ogni cultura, l’obbligo di usare le lingue locali e di non imporre la propria. La necessità di portare nel mondo la fede e non la cultura occidentale”. E questo uno dei tratti distintivi richiamato dallo storico Gianpaolo Romanato tra i “connotati genetici” che hanno segnato la vicenda storica della Sacra Congregazione “de Propaganda Fide” fin dalla sua istituzione, avvenuta 400 anni fa. Allo storico veneto, professore di storia della Chiesa moderna e contemporanea presso l’Università di Padova, è toccato il compito di tirare le conclusioni del Convegno internazionale “Euntes in mundum universum”, svoltosi presso la Pontificia Università Urbaniana dal 16 al 18 novembre, in occasione del IV Centenario dell’istituzione di Propaganda Fide (vedi Fides 15 e 17/11/2022). Nel suo intervento, articolato in 4 punti, Romanato ha offerto spunti preziosi per confermare che non conviene liquidare la vicenda storica di Propaganda Fide come un reperto del passato, e che tante intuizioni emerse in epoche passate nell’alveo di Propaganda Fide possono suggerire approcci attualissimi per il presente e il futuro della missione affidata alla Chiesa. Per molti versi – ha sottolineato Romanato – l’approccio e la visione esercitati in passato dal Palazzo di Propaganda rappresentano un tesoro prezioso per ispirare concretamente l’operato del Dicastero per l’evangelizzazione, chiamato a raccogliere l’eredità della grande avventura di Propaganda Fide.

Nei secoli in cui il colonialismo europeo invadeva il mondo e esportava dovunque anche l’idea di superiorità dell’Europa, esemplificata con il famoso stereotipo culturale del “fardello dell’uomo bianco”, a Propaganda Fide – ha ricordato Romanato “si seguiva la strada opposta. Non la superiorità di qualcuno – del bianco, dell’europeo, dell’occidentale – ma l’uguaglianza e la pari dignità di tutti”. Di questo approccio ha dato testimonianza anche il principio sempre affermato da Propaganda Fide, “quasi come un dogma”, che il missionario “deve imparare la lingua locale, per quanto difficile e lontana essa sia”. Perché “parlare la lingua dell’interlocutore è la via maestra affinché egli si senta trattato alla pari”, e non debba sentirsi ridotto a una condizione di sudditanza.

Propaganda Fide – ha sottolineato Romanato in apertura del suo intervento – può essere considerata anche come la prima istituzione ‘globale’. “Anche la Chiesa cattolica e il Papato lo erano” - ha riconosciuto il professore, membro dal 2007 del Pontificio Comitato di Scienze Storiche - ma proprio perché la Santa Sede aveva dovuto cedere ai governi iberici il controllo e la gestione della “plantatio Ecclesiae” nei Continenti nuovi (i cosiddetti diritti di Patronato”), si ricorse alla creazione di una nuova istituzione romana, che provvedesse a sostenere la crescita delle nuove Chiese “scavalcando il “Patronato” ceduto ai Poteri europei.

Nello svolgere la sua funzione, - ha ricordato Romanato - Propaganda Fide è diventata “il terminale di uno straordinario flusso informativo mondiale, che ha mantenuto un ruolo centrale a Roma”. Un flusso di informazioni legate anche alle dinamiche politiche e culturali che condizionano lo ‘stato del mondo’, e tutto questo iniziò a accadere ben prima che analoghi processi venissero attivati nelle grandi Capitali degli Imperi coloniali (Parigi Lisbona Madrid Londra) o nei grandi Organismi internazionali come la Società delle Nazioni o l’Onu. Inoltre – ha notato il professore – anche oggi le istituzioni sovranazionali mettono in contatto i vertici politici delle diverse nazioni, mentre i flussi di scambio informativo attivatosi da secoli intorno a Propaganda Fide era finalizzato non a gestire non la “politica alta”, ma a affrontare questioni legate alla vita di tutti i giorni, l’esistenza quotidiana di persone e comunità.

Propaganda Fide, nello svolgimento delle sue funzioni, si è confrontata subito anche con l’enorme questione di far incontrare l’unità cattolica di dottrina, fede, liturgia (e anche delle norme del diritto canonico) con la diversità delle culture, delle forme politiche, delle civiltà, delle lingue, in un tempo in cui anche le distanze e i pericoli nei viaggi rendevano precario lo scambio delle informazioni. Ancora nel Settecento – ha ricordato Romanato - i missionari destinati alle terre del Paraguay impiegavano circa un anno per arrivare a destinazione: Eppure, in tutte le difficoltà dei tempi e i limiti degli strumenti, “a Roma si leggeva tutto, si era informati di tutto, si dava risposta magari con grave ritardo a ogni quesito”. I missionari arrivati in Estremo Oriente, o spintisi nelle regioni americane più impervie, come le Ande o l’Amazzonia, avvicinavano popolazioni “radicalmente diverse, con forme di civiltà e lingue fra loro sconosciute”. I quesiti che ponevano rendevano evidente che “la verità del cattolicesimo romano era chiamata a confrontarsi con queste radicali diversità Bisognava trovare soluzioni in grado di conciliare unità della stessa fede e teologia che la esprimeva con la diversità delle lingue, e la molteplicità delle sensibilità”. Salvare unità abbracciando la molteplicità fu il compito spesso gravoso posto a Propaganda Fide, che fu chiamata sempre a esercitare una grande disponibilità all’adattamento. Un lavoro enorme che “incise anche su Diritto canonico”, con l’emergere di una nuova, specifica branca, quella del “Diritto missionario” che “divenne una sorta di regno dell’eccezione e della tolleranza rispetto alla normativa vigente nella Chiesa latina”.

Romanato ha anche ricordato le decine, e forse centinaia di migliaia di giovani che Propaganda Fide ha portato a Roma da Paesi lontani, senza stravolgere le loro culture, per sostenere la loro formazione e poi farli tornare alle loro comunità di provenienza. Fenomeno che può essere considerato anche come uno straordinario esperimento, “un contributo alla comprensione reciproca e al rispetto tra popoli e culture”, iniziato secoli prima degli scambi e dei programmi “Erasmus” ora attivati dalle moderne istituzioni accademiche e universitarie. Il Professore ha anche smentito i luoghi comuni secondo cui le disposizioni provenienti da Propaganda Fide venissero sempre prese sulla base di un unanimismo istituzionale imposto dall’alto. A volte, le decisioni di Propaganda passavano anche per discussioni “furiose” e lunghe tra persone chiamate a esprimersi su questioni emerse in Paesi lontani. “La questione dei Riti Cinesi” ha ricordato a titolo di esempio Romanato “rimane su tappeto per un secolo. Nel 1939 Pio XII la riprende, e rovescia decisioni assunte a metà del Settecento. In pratica, tale questione è durata tre secoli, e forse dura ancora…”.
[Gianni Valente – Fides]