Giovedì 31 agosto 2023
Già San Paolo diceva: “Ci sono diversi tipi di doni spirituali, ma è lo stesso Spirito che li dà. Ci sono modi diversi di servire, ma è lo stesso Signore che serviamo. Ci sono modi diversi di fare le cose, ma è lo stesso Dio che opera tutto in tutti. In ogni persona lo Spirito Santo si manifesta come dono per il bene di tutti” (1 Cor 12, 4-7). [A cura di Jpic-jp.org]

Papa Francesco chiede alle Chiese locali di includere le altre Chiese nella preparazione del Sinodo mondiale a tutti i livelli. Nella loro storia, queste Chiese hanno spesso conservato il carattere sinodale della Chiesa meglio della Chiesa cattolica, che ha insistito soprattutto sulla struttura gerarchica. Possiamo imparare molto dalla loro ricchezza ed anche dalle loro debolezze.

1-. Nelle Chiese ortodosse, la pratica sinodale è continuata secondo la tradizione dei Padri della Chiesa ed è viva ancora oggi, ad esempio attraverso la pratica d’un sinodo permanente per chiarire questioni liturgiche, giuridiche e pratiche. Un punto debole dell’Ortodossia è lo stretto legame tra la Chiesa e lo Stato che esercita un’influenza sulla vita della Chiesa.

2-. Nella Comunione anglicana la pratica sinodale è rimasta una realtà a tutti i livelli: locale, nazionale e sovranazionale. Essa crea una sinergia tra l’autorità legislativa dei sinodi, a cui partecipano tutti i membri del popolo di Dio, ed il potere esecutivo dei vescovi.

3-. Un fattore scatenante della Riforma fu l’abuso d’autorità nella Chiesa. All’epoca si trattava della vendita d’indulgenze e della corruzione del clero; oggi si tratta degli abusi sessuali. I riformatori hanno giustamente insistito sul sacerdozio universale di tutti i battezzati e sulla responsabilità dei laici nel processo decisionale. Ma l’assenza di un’autorità definitiva e l’enfasi unilaterale sulla libertà cristiana hanno portato alla frammentazione del protestantesimo.

4-. La rapida espansione delle chiese carismatiche, soprattutto nei Paesi del Sud, dimostra che la cura pastorale delle chiese tradizionali non soddisfa più i bisogni religiosi di molti cristiani. Ciò che attrae, soprattutto i giovani, è una forma di culto nel linguaggio e nella musica della cultura odierna, l’esperienza d’una comunità viva e la libertà per gli individui di contribuire con i loro carismi.

La sinodalità della Chiesa e “il principio della pari importanza dei doni gerarchici e carismatici nella Chiesa” sono stati riscoperti nel Concilio Vaticano II ed ancorati in nuove strutture pastorali a tutti i livelli: sinodi episcopali regolari, conferenze episcopali nazionali e regionali, consigli pastorali diocesani e parrocchiali. Il processo sinodale ha diversi obiettivi:

- Infondere uno spirito missionario in questi processi esistenti, in modo che non si occupino solo di questioni interne alla Chiesa, ma si riconoscano come i primi responsabili della missione della Chiesa nel mondo.

- Coinvolgere i laici nel processo decisionale non solo come consulenti, ma anche come corresponsabili.

- Non vedere il processo decisionale come una disputa tra opinioni diverse, ma come una ricerca comune della volontà di Dio per noi oggi.

Un proverbio africano, “Ba alu pamvu siri ru” (Lugbara - Uganda), dice: "L'impronta d’una sola persona è sempre debole”.

La proposta di un decalogo

Per questo, Bruno Forte, teologo ed arcivescovo di Chieti-Vasto (Italia), offre per un vero sinodo: La proposta di un decalogo -The Proposal of a Decalogue-. Se "dialogo" significa "incontro con la parola" (dia-logos), il dialogo è necessario per camminare insieme, per vivere, cioè, questo stile di "sinodalità" (sinodo significa cammino fatto insieme), con cui Papa Francesco chiama la Chiesa ad affrontare le sfide e le promesse del nostro tempo.

Per vivere un autentico processo sinodale, la Chiesa deve essere sempre più un popolo in dialogo, al suo interno e con gli altri. Il cammino della sinodalità richiede a tutti noi di verificare la nostra capacità di dialogare nella verità. Invito a farlo esaminandoci sulla base di questo decalogo, che ho stilato diversi anni fa e che ho messo alla prova in molte occasioni per insegnarci a dialogare:

1-. Non c'è dialogo senza umiltà. Accettando di ascoltare gli altri, rinunciando ad ogni pretesa nei loro confronti, apriamo la strada alla verità, alla quale tutti dobbiamo obbedienza.

2-. Non c'è dialogo senza ascolto. Bisogna mettere a tacere i pregiudizi e le paure, aprirsi al nuovo, rispettare l'estraneità degli altri, accoglierli con fiducia come ospiti interiori, desiderosi di sperimentare la nostra comune appartenenza alla verità ed all'amore che salva.

3-. Non c'è dialogo senza stupore. Stupirsi, perché si vede il mondo con occhi diversi, si sente di essere una parte in causa e non il tutto. Mettersi in gioco e rischiare disorienta, ma ci libera da false resistenze e ci rende capaci di accogliere la verità da qualsiasi parte venga.

4-. Non c'è dialogo senza un linguaggio comune. Per capire ciò che l'altro dice, dobbiamo ascoltare il suo cuore e rispettare la situazione vitale da cui proviene. Solo così il dialogo può essere un "incontro nella parola" (dia-logos).

5-. Non c'è dialogo senza silenzio. Il silenzio è necessario sia per ascoltare e riflettere su ciò che l'altro propone, sia per esprimere un'autentica vicinanza, spesso trasmessa attraverso gesti piuttosto che con le parole. Non diremo parole vere se prima non abbiamo camminato a lungo sul sentiero del silenzio!

6-. Non c'è dialogo senza libertà. Per essere aperti al dialogo e viverlo, dobbiamo essere liberi da noi stessi, pronti a metterci in discussione; liberi dagli altri, rifiutando i condizionamenti e le paure che a volte ci impongono; liberi di obbedire solo alla verità, che ci rende liberi (cfr. Gv 8,32).

7-. Non c'è dialogo senza perdono reciproco. Chi vuole dialogare deve svuotare la mente ed il cuore da ogni risentimento o ferita per i torti subiti. Ricordando che il cuore deve essere purificato chiedendo ed offrendo perdono.

8-. Non c'è dialogo senza conoscenza reciproca. L'ignoranza dell'altro, della sua cultura, del suo mondo vitale, è alla base di incomprensioni e chiusure. Per dialogare bisogna conoscere l'altro e farsi conoscere da lui.

9-. Non c'è dialogo senza responsabilità. Chi dialoga non deve mai dimenticare la rete di relazioni umane da cui proviene ed a cui deve rendere conto. Il dialogo non elimina, ma aumenta il senso di responsabilità che ciascuno deve avere nei confronti del bene di tutti.

10-. Non c'è dialogo senza verità. Chi non ha la passione per la verità non potrà dialogare. Nel dialogo il cuore si apre a colui che è la verità, il Dio vivente, che viene ad abitare nella persona che -dialogando con lui- accoglie il suo amore per lui.

Il dialogo richiede quindi umiltà, ascolto, capacità di stupirsi, comprensione, silenzio, libertà in relazione a sé stessi, agli altri e alle cose, reciprocità nel perdono e nella conoscenza reciproca, responsabilità nella volontà di fare il bene e obbedienza alla verità.

 

A cura di Jpic-jp.org
Butembo 25.07.2023
Tradotto da: Jpic-jp.org