Giovedì 15 maggio 2025
Le riviste affiliate alla Federazione stampa missionaria italiana (Fesmi) uniscono la loro voce per una riflessione sulla ad gentes alla luce dell’elezione di Papa Leone XIV. “Il Papa missionario è una sfida particolare per noi missionari. Ci ricorda l’urgenza della missione, proprio mentre rischiavamo di abituarci all’idea che partire per terre lontane fosse una vocazione del passato. Ci dice la necessità di continuare a guardare lontano”. [Foto Ansa/Sir]

Un missionario che diventa Papa è un’esperienza inedita per la Chiesa cattolica. Ed è una gioia particolare per noi, che raccontiamo la Chiesa e il mondo a partire dagli occhi di chi – come Robert Francis Prevost – ha accolto come ragione di vita la chiamata a far sì che la parola di Gesù possa raggiungere anche la periferia più dimenticata del mondo di oggi. «Dobbiamo cercare insieme come essere una Chiesa missionaria, una Chiesa che costruisce i ponti, il dialogo, sempre aperta a ricevere, come questa piazza con le braccia aperte», ha detto Papa Leone XIV fin dal suo primo discorso dalla loggia della basilica di San Pietro. Chiedendo a ciascuno di farsi a sua volta «ponte» dell’amore di Dio verso tutti.

Il Papa missionario è una sfida particolare per noi missionari. E nella nostra Italia, forse, oggi lo è ancora di più che in altre regioni del mondo. Ci ricorda l’urgenza della missione, proprio mentre rischiavamo di abituarci all’idea che partire per terre lontane fosse una vocazione del passato. Ci dice la necessità di non rinchiudersi nel nostro fortino, ma di continuare a guardare lontano, “ad gentes”, per aprire davvero le nostre comunità al respiro del mondo.

Papa León XIV. Credit photo: © Vatican Media.

Come in tanti hanno sottolineato, il Conclave che ha eletto Leone XIV è stato quello più universale nella storia della Chiesa: grazie alle scelte profetiche di Papa Francesco, ben 71 Paesi erano rappresentati tra i cardinali elettori presenti nella Cappella Sistina. C’erano pastori di piccolissime comunità cattoliche che vivono in città e regioni su cui non si accendono mai i riflettori del mondo. Ebbene: proprio questo Collegio cardinalizio così particolare, con un voto rapido e pare anche molto ampio, ha scelto Leone XIV. Lo ha fatto certamente per le sue doti umane. Ma lo ha votato ben consapevole di scegliere un missionario. Oltre che un uomo a cui affidare il ministero del successore di Pietro, questo Conclave ha indicato una strada per raccogliere quell’invito che tante volte Papa Francesco in questi anni ci ha rivolto chiamandoci ad essere Chiesa “in uscita”.

Dalla missione, parola chiave anche del percorso sinodale, ci chiedono dunque di ripartire il Papa (che in Perù a cavallo raggiungeva le comunità sulle montagne più lontane) e la Chiesa intera. E che insieme oggi ci indicano anche le frontiere più nuove, come quando, motivando il nome prescelto, il nuovo Papa ha tracciato il parallelo tra la prima rivoluzione industriale affrontata da Leone XIII con la Rerum Novarum e le sfide che lo sviluppo dell’intelligenza artificiale pone oggi alla dignità umana, alla giustizia e al lavoro. Perché anche l’economia che uccide e la sete di pace in un mondo dilaniato dai conflitti, oggi, sono terra di missione.

Del missionario Prevost diventato Pontefice colpisce in particolare un tratto. Chiunque lo abbia conosciuto da vicino non ha gesti eclatanti da raccontare, ma ripete una qualità: è un uomo che sa ascoltare. Non è il missionario che ha vissuto le avventure più eroiche, non è quello che ha alzato di più la voce, non è quello che ha costruito più scuole o dispensari, ma ha lasciato il segno aprendo il cuore e la mente a chi incontrava. Perché così davvero, come ha detto nella prima messa con i cardinali nella Cappella Sistina, anche chi ha autorità “sparisce affinché rimanga Cristo”. Oggi lui è Pietro. E anche noi missionari – in Italia e in ogni angolo del mondo – vogliamo proseguire la nostra missione con questo stile discreto, non invadente.

Federazione stampa missionaria italiana – Fesmi