Martedì 12 giugno 2018
Incominciamo la nostra riflessione con tre premesse riguardanti la Regola di Vita (RdV). La prima premessa è per dire che si dà per scontato che la RdV sia letta, studiata, meditata, assimilata… La seconda riguarda il modo di mettersi davanti alla RdV, come a un “sistema aperto”… Finalmente, cosa entendiamo quando parliamo di “metodologia comboniana per l’evangelizzazione nella RdV”… [P. Venanzio Milani, nella foto].

La metodologia comboniana dell’evangelizzazione
nella Regola di Vita
P. Venanzio Milani

A. PREMESSE

Incominciamo la nostra riflessione con tre premesse riguardanti la Regola di Vita (in seguito RdV):

1. La prima premessa è per dire che si dà per scontato che la RdV sia letta, studiata, meditata, assimilata, sia personalmente che comunitariamente, dai confratelli. Questo presupposto però non sempre si avvera. Nei confronti della RdV ci sembra esistano diversi atteggiamenti. Per esempio:

a) Una specie di “reazione viscerale” contro tutto ciò che è ‘regola’, vedendovi una imposizione dall’esterno, una limitazione alla creatività e autonomia personali, una costrizione dentro schemi prestabiliti, di vita, azioni, ecc.

b) Una specie d’indifferenza: la Regola c’è, sarà fatta anche bene, la si potrà anche prendere in mano in certi momenti; ma essa non è “regola di vita”, non nasce dalla vita, o è vita passata e non produce vita. E’ un libro che rimane sullo scaffale, di cui non si ha bisogno per confronto, ispirazione, per trovare una carica carismatica;

c) C’è chi dice che la Regola rappresenta un ideale bello, ma troppo alto; non serve però per i problemi in cui ci troviamo: meglio riferirsi al ‘buon senso’, perché “l’ideale troppo altro non ha mai risolto nessun problema”;

d) Il confronto con la RdV viene fatto con la “lettera della Legge”; la RdV è una legge esterna, che dice cosa fare e cosa non fare; l’importante è essere a posto con la lettera delle legge.

2. La seconda premessa riguarda il modo di mettersi davanti alla RdV, come a un “sistema aperto”:

a) La nostra RdV attuale ha una prospettiva diversa dalla precedenti. È meno norma e più indicazione di atteggiamenti di vita. Essa dà forma alla “legge scritta nel cuore”, cioè il carisma, dono dello Spirito capace di dinamicizzare e vitalizzare tutte le azioni, di rinnovare ancora prima la persona, i suoi atteggiamenti e comportamenti, suscitando la fedeltà e la creatività.

La RdV, come carisma scritto nel cuore, ci fa vivere in uno stato permanente di fondazione, rivivendo la ‘ispirazione originaria’ ( = fedeltà) nell’oggi della storia e nell’apertura al futuro che già cominciamo a preparare ( = incarnazione e creatività/sviluppo).

Questo impegno nel presente e l’apertura al futuro, a servizio del Regno nel mondo e nella storia, esigono capacità di ascoltare e di scrutare i segni dei tempi; e in questo la RdV – incarnazione autentica nella storia di oggi del Vangelo di Gesù Cristo – diventa criterio, luce, fonte di discernimento.

Così la fedeltà non è né archeologismo né letteralismo della norma, ma fare memoria (nel senso di rendere presente, attuale); e la incarnazione e la creatività non sono tanto frutto del “sono libero di fare ciò che voglio, ciò che mi pare giusto e mi piace”, ma dell’atteggiamento dell’accogliere, scoprire, attualizzare. Fedeltà e creatività vanno insieme: la fedeltà è la radice della creatività, ne diventa la sorgente inesauribile, lo stimolo continuo. E l’incarnazione-creatività è ciò che dà corpo oggi, in questa situazione, alla fedeltà alla primigenia inspiratio.

Vogliamo esprimere in questo modo ciò che Comboni stesso diceva nella prefazione delle Regole del 1971, che è qualcosa di suo, originale rispetto alle altre Regole. (Vedi RdV ed. italiana, p. 182).

b) Possiamo così anche pensare al ‘come’ leggere la RdV con un metodo di lettura sapienziale.

c) E per quanto riguarda il nostro tema: alla domanda se nella RdV esiste una metodologia comboniana dell’evangelizzazione, crediamo che si debba rispondere affermativa­mente; dove per ‘metodologia’ non si intendono tecniche, programmi già fatti, ma scelte prioritarie, stili di vita, atteggiamenti, stili di azione; e questo, sia a livello personale che comunitario, sia di comunità locale che provinciale e di istituto.

3. Quando noi parliamo di “metodologia comboniana per l’evangelizzazione nella RdV”:

a) Non intendiamo riferirsi solo ai numeri specifici delle Costituzioni e del Direttorio Generale che parlano di questo, ma alla RdV nel suo insieme. (Questo anche se non citiamo tutti i numeri). Possiamo – e dobbiamo – leggere tutta la RdV da questa angolatura, soprattutto perché essa è nata dalla missione e per la missione. Quindi formazione, governo, economia, vita di preghiera e problemi come quello della distribuzione del personale, ecc… vanno visti nella loro origine e finalità che è la missione, perché da essa e per essa siamo caratterizzati.

b) Vogliamo sottolineare perciò anche l’unità delle tre parti della sessione terza della RdV sul servizio missionario dell’Istituto: evangelizzazione – animazione – formazione di base e permanente (RdV 14).

B. METODO DI RICERCA

Nella nostra riflessione siamo arrivati a trovare delle ‘parole-chiave’ che ci sembrano ‘riassumere’ la metodologia comboniana dell’evangelizzazione. Attorno ad esse abbiamo fatto rotare altre ‘parole’: indicazioni, atteggiamenti, aperture, stile…

Sono queste delle parole concatenate, che si rimandano l’una all’altra, si richiamano a vicenda, di cui l’una suppone l’altra. Esse vanno lette perciò globalmente e non a compartimenti stagni. Per questo alcune ‘parole’ che abbiamo fatto ruotare sotto una certa ‘parola-chiave’ potevano entrare anche sotto altre parole-chiave.

Abbiamo cercato di fare anche emergere la ‘continuità’ tra la metodologia che la RdV di vita ci propone oggi e la primigenia inspiratio, non in termini di ripetizione statica, ma di creatività nella fedeltà. Incominciamo la nostra ricerca con una riflessione di fondo: la Missione è la ragione d’essere del nostro istituto.

C. MISSIONE RAGIONE D’ESSERE

1. Dice la RdV che l’Istituto “ha come fine di attuare la missione evangelizzatrice della Chiesa” (RdV 13); e sottolinea che solo chi ha questo dono particolare dello Spirito ed è disposto a viverlo e ad agire guidato da questo carisma può essere membro dell’Istituto comboniano. Il comboniano perciò “consacra l’esistenza a collaborare” all’azione dello Spirito di rivelare agli uomini in Gesù di Nazaret, il Figlio di Dio, il Cristo salvatore (cfr. Giov. 20, 31), “e fa della evangelizzazione la ragione della propria vita” (RdV 56).

Per questo, l’Istituto si dedica totalmente al servizio missionario, dal quale sono determinate le sue attività, il suo stile di vita, la sua organizzazione, come pure la preparazione dei suoi candidati, ed il rinnovamento dei suoi membri (RdV 2.1).

Questo è il cuore del nostro carisma: è così che Comboni ha vissuto il suo impegno per la missione: per essa “parlò, lavorò, visse e morì” (RdV 2) Qui si potrebbero citare infiniti fatti e scritti e detti del Comboni.

2. Non si tratta di una attività fine a se stessa o che trae origini e ispirazione da una scelta “umana”. Per Comboni ed il comboniano essa ha senso e trova forza perché inserita nel dinamismo dell’amore del Cuore trafitto del Buon Pastore, di cui il comboniano contempla ed assume gli atteggia­menti (RdV 3). Per questo la prima metodologia comboniana della evangelizzazione è la metodologia della croce, come ‘luogo’ della manifestazione più piena dell’amore di Dio per l’uomo. Vivendo tale metodologia, il comboniano accoglie ogni persona ed ogni situazione, anche di sofferenza (RdV 4).

La vita consacrata non è perciò per il comboniano un’aggiunta o addirittura un peso/ostacolo per l’evangelizzazione; la sequela Christi è la sorgente e la possibilità dell’opera stessa dell’evangelizzazione. (RdV 21,1-2).

3. L’Istituto svolge la sua attività “tra quei popoli o gruppi umani non ancora o non sufficientemente evangelizzati” (RdV 13). Si continua così la via aperta dal Fondatore che, nella scelta dei popoli dell’Africa, scelse coloro “che in quel momento storico gli apparivano i più necessitosi e derelitti dell’Universo, specialmente riguardo alla fede” (RdV 5); una via questa, continuata dalla storia dell’Istituto (RdV 1.4; 14.1).

Chi sono oggi “i più necessitosi e derelitti”? L’Istituto rinnova il suo impegno per l’Africa e le Americhe, ma riconosce che è frutto della fedeltà al carisma essere disponibile a tutte le nuove “situazioni di frontiera – o situazioni-Nigrizia”, purché si tratti di lavoro veramente missionario (RdV 14.1).

Per questo l’Istituto ricerca, in una azione di discernimento e in dialogo con varie forze, le situazioni missionarie di oggi (RdV 14.2). E periodicamente rivede i suoi impegni e le attività dei suoi membri (RdV 14.3).

Dalla Regola ci vengono indicati i criteri di discernimento: non si tratta infatti di operare scelte ideologiche o di interesse; o scelte guidate da una visione ristretta della realtà (es. campanilismo); o da un atteggiamento di immobilismo che uccide ogni profezia insita nell’essere carismatico del nostro istituto. Ma “il carisma del Fondatore e la tradizione storica dell’Istituto” (RdV 14.2) sono i criteri fondamentali. Si scelgono cioè “i più poveri e abbandonati” scoprendoli alla luce degli atteggiamenti del Cuore trafitto, così come sono stati incarnati da Comboni e dall’Istituto nella storia del suo servizio missionario.

E’ da sottolineare che non si tratta t anto di ripetere obbligatoriamente le scelte fatte prima di noi, ma di desumere da queste scelte i criteri che le hanno guidate e, alla luce di questi criteri, e secondo le situazioni attuali, operare una revisione e riqualificazione degli impegni.

4. Metodologicamente, questo avviene:

  • attraverso il discernimento personale e comunitario, fatto da tutti i missionari comboniani;
  • un discernimento fatto alla luce dei criteri di fede, quali il carisma;
  • discernimento fatto in dialogo con la Santa Sede e con le chiese locali (RdV 14.2);
  • discernimento che può “richiedere il ricorso alle scienze umane” (RdV 16.1);
  • e che avviene attraverso la mediazione dell’Istituto ed esige il servizio dell’autorità (RdV 33 e 33.4). Qui si può toccare il problema del servizio del Consiglio Generale e Consiglio Provinciale.

D. PAROLE CHIAVE DI METODOLOGIA

1. DISCERNIMENTO.

Di questo argomento abbiamo appena parlato in un contesto particolare: discernere chi sono oggi per noi “i più necessitosi e derelitti”, per determinare i nostri ‘campi’ di evangelizzazione.

Crediamo comunque che questo argomento meriti un titolo a parte come metodologia dell’evangelizzazione, per vari motivi, tra cui:

Non si sa quanto siamo preparati spiritualmente e tecnicamente per compiere un’azione di discernimento;

Si ha l’impressione che molte volte il discernimento non è vissuto come un vero cammino, che comporta tappe, soste e anche tempi a volte lunghi; e non sempre esso coinvolge tutte le persone che sono e che potranno essere interessate, e non sempre esso coinvolge tutta la persona; e forse è per questo che tanti impegni presi (dove per impegni si intende sia un campo d’azione, per esempio parrocchia o centro, ecc…, sia uno stile, delle priorità, un programma) vengono relativamente in fretta lasciati, cambiati con altri, ecc. Può darsi che alla base di questo fenomeno ci sia la mancanza di un certo discernimento o il non coinvolgimento di tutti nel cammino di discernimento;

Un discernimento fatto bene è un mezzo per combattere ‘l’improvvisazionismo’ e l’arbitrarietà, sia di persone singole, sia di gruppi (comunità, consigli provinciali, ‘gruppi di pressione’…), messe in atto sia per la scelta o l’abbandono di campi d’azione, di metodi apostolici, ecc.

Finora, parlando del discernimento, l’abbiamo limitato alla scoperta dei ‘campi’ d’azione missionaria. Si è detto come scegliere le priorità, in dialogo con chi, nella lettura delle situazioni missionarie di oggi, secondo il carisma del Fondatore, e come esso è apparso nella tradizione storica dell’Istituto, tenendo conto delle esigenze della vita religiosa e comunitaria (RdV 14.2).

Si è detto che il discernimento si svolge tra due poli: nella dialettica tra fedeltà all’ispirazione originale e la creatività per rispondere ai bisogni, alle sfide di oggi in modo adeguato.

Si dice che esso viene operato con criterio di fede, facendo ricorso alle scienze umane (RdV 16.1) e che nel discernimento è essenziale la mediazione dell’Istituto e il servizio dell’autorità (RdV 33; 33.4). Ma il discernimento va al di là della scelta dei campi d’azione evangelizzatrice. È tutta la vita che costituisce l’oggetto (se si può parlare di ‘oggetto’) del cammino di discernimento.

Come si era parlato di una struttura dialogica della vita e di tutto l’Istituto, così si può parlare del discernimento come di una struttura della vita e dell’azione dell’Istituto. La RdV ne parla spesso:

16.1 – Il perché e il come del discernimento.

23.2 – La persona aiutata dalla comunità nel discernimento.

29.3 – Discernimento per esperienze speciali di povertà.

33 – (tutto il numero, anche direttoriale): Discernimento e obbedienza.

41.2 – Discernimento dei doni di ciascuno.

45.2 – Discernimento per iniziative di partecipazione e di testimonianza pubblica.

56.4 – Discernere la vocazione e i doni di ciascuno in vista dell’evangelizzazione; questo è compito dell’Istituto.

69.1 – Discernimento e inculturazione.

78.4 – Discernimento riguardo pubblicazioni e mass-media.

87.2 – I formatori, persone capaci di discernimento.

87.3 – Collaborazione nel discernimento della vocazione e dei fattori di formazione.

97.2 – Discernimento durante il periodo di professione temporanea.

111.1 – Discernimento come compito particolare del consiglio di comunità: esso viene fatto “confrontandosi con la Parola di Dio e riflettendo sui documenti della chiesa e dell’Istituto” per ricercare la volontà di Dio.

153.3 – Il Capitolo generale ha un compito particolare nel discernimento, e lo fa in periodi intensa riflessione. Il discernimento qui è chiamato “spirituale”.

Alcune note comuni a questi numeri della RdV e che ci possono aiutare a capire la funzione del discernimento per l’evangelizzazione sono:

Il discernimento è un cammino, e non un gesto unico;

Questo cammino deve essere compiuto sia dalla persona singola, sia dalla comunità, ai vari livelli e secondo compiti specifici;

La persona stessa e la comunità non sono solo soggetto di discernimento, ma anche ‘oggetto’ di questo cammino.

Se si usa il termine ‘oggetto’ è per indicare che la persona e la comunità hanno, oltre ad un ruolo attivo, anche un ruolo passivo nel discernimento; altri fanno discernimento su di noi: i superiori, la comunità, il consiglio provinciale, i vescovi, la comunità cristiana, ecc.

Alcune volte, nel processo di discernimento, succede che:

  • Le motivazioni delle scelte sono più o meno di opportunità o di opportunismo, sia nel prendere che nel lasciare impegni, sia nel decidere con quale stile, portare avanti scelte precise e programmatiche . Si tratta di motivazioni del tipo: prestigio (personale o del gruppo), del ‘fanno tutti così’, o sfiducia, o non coraggio nel fare delle scelte controcorrente, eccetera.
  • Le motivazioni sono inesistenti: si è giudicati più dalle emozioni – reazioni – sentimenti – emotività… Perché ci sia discernimento è necessario prendere coscienza delle ‘emozioni-reazioni’ che sono nel nostro spirito, per spogliarci di queste e lasciare operare i veri criteri-modelli ispiratori.
  • Le motivazioni sono di tipo ideologico: esse sono legate alla ‘moda’ del momento, o/e alle persone individuali e/o a gruppi di pressione; per cui, passata la moda, o cambiata la persona o il gruppo, cadono le motivazioni e sembra che non ci sia più motivo per le scelte fatte! Oppure anche delle motivazioni autentiche possono essere vissute e recepite secondo il modello ideologico e non secondo il modello di ‘cammino di fede’ che chiamiamo discernimento spirituale.

In questo caso, al presentarsi, per esempio, di difficoltà e ostacoli seri, o nel costatare l’insuccesso, si verifica che le motivazioni non coinvolgono più la persona o il gruppo. Questo può portare non solo ad abbandonare impegni presi o uno stile di vita assunto, ma addirittura a crisi di identità vocazionale.

Altre volte può darsi che la valutazione in vista del discernimento è fatta in modo superficiale:

  • Non si hanno, o non si ricercano, o non si danno tutte le informazioni necessarie, che devono essere le più complete possibili, valutabili e verificabili per poter essere analizzate, vagliate, per sentirne il peso e l’importanza…;
  • oppure i criteri di discernimento non sono sufficientemente chiari o non sufficientemente assimilati in modo vitale dalla persona e del gruppo-comunità che deve fare il discernimento.

Si arriva cosi, per es., a discutere e discutere ‘tra noi’, per cercare di mettersi d’accordo; o si inventano i criteri, invece di fare una ricerca-confronto con un progetto globale più vasto che è ‘al di là’ e ‘al di sopra’ di noi.
Esempi:

  • La vita consacrata-missionaria è un progetto di vita al di là e al di sopra di noi;
  • La chiesa locale, i suoi orientamenti e le sue decisioni hanno queste stesse caratteristiche al di là e al di sopra.

Questo vale, più in generale, per la RdV, Direttorio provinciale o particolare, carta della comunità, progetto pastorale comunitario, ecc.

Si vuole così sottolineare che si tratta di un discernimento spirituale, vissuto in una dimensione che è l’obbedienza della fede.

Sarebbe utile programmare, a livello provinciale o di comunità, qualcosa (sessioni, mini-corsi, ecc.) che ci aiuti a conoscere meglio che cosa è il discernimento, quali ne sono gli scopi e le esigenze, quali atteggiamenti spirituali richiede, quale ‘clima’ esige; e anche quali sono le ‘tecniche’ di questo cammino.

2. DIALOGO

Il dialogo non è prima di tutto un mezzo per poter poi evangelizzare. Il dialogo è già evangelizzazione!

Il dialogo non è limitato al campo dell’evangelizzazione. Esso è una ‘forma di vita’: nella chiesa, nell’Istituto e nella vita di ogni giorno. Anche nell’Istituto, sia la formazione, sia il governo, sia la comunità, sia la preghiera sono (e non solo hanno) una struttura di dialogo. Viviamo in una ‘struttura’ dialogica.

L’incarnazione del Verbo di Dio è la forma massima e più riuscita di dialogo. Essa rivela come tutta la storia della salvezza, fin dagli inizi, è la storia di un dialogo tra Dio e l’uomo/umanità. E avendo il Figlio di Dio fatto uomo assunto in sé tutta l’umanità, ci svela come il dialogo non abbia frontiere ma abbraccia ogni uomo, ogni zona dell’umanità. E questo, anche se il dialogo si svolge in centri concentrici (cfr. Ecclesiam Suam). Per questo “il dialogo viene assunto come norma dell’attività evangelizzatrice” (RdV 57).

Metodologicamente dialogo vuol dire prima di tutto atteggiamenti interiori e poi tecniche per poterlo realizzare. Questi atteggiamenti sono:

– “Una profonda comprensione e stima della cultura, lingua, storia e t radi zione del popolo…” (RdV 57.1). La cultura e storia del popolo vengono visti come ‘luogo teologico’ della presenza del Verbo e dell’azione dello Spirito. Ci sono dunque richiesti atteggiamenti di ascolto, di umiltà, di ricerca insieme, di attenzione e apertura, perché possano nascere conoscenza profonda, stima, valorizzazione…, che sono fondamento per una collaborazione feconda. Questi atteggiamenti si contrappongono ad altri quali l’etnocentrismo culturale, il pregiudizio e giudizio, il rifiuto, i sentimenti di superiorità.

Da qui l’importanza di una seria iniziazione alla lingua, cultura, storia e pastorale (RdV 57.3); e l’importanza anche di continuare l’approfondimento della lingua, cultura, tradizione, storia… attraverso una azione costante di formazione permanente (RdV 57.5). È in questo senso che si può capire l’importanza dell’indicazione data a RdV 57.6: “Per un migliore inserimento nell’ambiente, il missionario in comunità usa normalmente la lingua del posto o quella ufficiale del Paese”: la lingua è il ‘veicolo’ di una cultura e, parlarla in modo costante, è un grande aiuto a ‘pensare’ secondo i modelli della cultura locale.

Il dialogo vissuto come atteggiamento di vita aiuta il missionario in “una maggior comprensione del Vangelo. Arricchisce la sua riflessione teologica e la sua stessa vita consacrata” (RdV 57.2).

E nella misura in cui viene vissuto con costanza, come forma di vita e norma dell’evange­lizzazione, il missionario è reso costantemente sempre più capace di praticarlo (RdV 57.2). Il dialogo trasforma le persone che lo vivono.

Anche in questo noi siamo fedeli al carisma: Comboni e i comboniani hanno dato, per es., un contributo notevole e apprezzato nei campi della linguistica, antropologia, geografia, etnologia…

È nel capitolo dialogo che cogliamo l’importanza per l’evangelizzazione di:

  • Inculturazione, come ‘processo’ in cui ‘il mistero di Cristo’ è assimilato e riespresso in modo originale; e da lì tutta la cultura viene reinterpretata e la storia riletta (RdV 69). Il messaggio così non è trapiantato (cfr. RdV 69.1) ma ‘seminato’.
  • Ecumenismo come dialogo tra le varie confessioni cristiane; ma anche in senso più ampio, con tutte le religioni e tutti gli uomini di buona volontà (RdV 67).

NB: Per quanto riguarda “analisi della realtà” e “lettura dei segni dei tempi” e “discernimento”, ho pensato di mettere questo nella prima parte.

3. TESTIMONIANZA ED ANNUNCIO

Sono queste due realtà distinte, ma concatenate, tutte e due necessarie perché Gesù Cristo sia conosciuto e amato.

La testimonianza rende visibile ciò che la parola dell’annuncio esplicita. Altrimenti la parola dell’annuncio potrebbe restare solo spiegazione di una storia lontana; la testimonianza rende questa storia reale, nell’oggi della storia personale e comunitaria. La testimonianza è la speranza che ci abita e dà forma alla nostra vita; la parola dell’annuncio è ciò che rende ragione della speranza che è in noi.

La testimonianza non è un “trucco” per poter poi evangelizzare. È già di per sé evangelizzazione. Se può a volte rimanere la sola for ma di evangelizzazione, quando l’annuncio esplicito non è possibile (RdV 58.5), essa non può però mancare quando l’annuncio e tutte le altre forme dell’evangelizzazione sono possibili.

La testimonianza nella persecuzione, nell’insicurezza (a causa di guerriglie, ecc.), nell’oppo­sizione, è più che mai attuale oggi, in molte zone dove siamo presenti (RdV 58.3).

L’annuncio ha come suo centro e cuore la ‘grazia’ di Dio manifestata e donata agli uomini in Gesù Cristo. Non si tratta di proclamare dei comandamenti e una morale ma, prima di tutto, che la salvezza è offerta in Cristo a tutti coloro che credono. Una attenzione particolare deve essere data al contenuto del messaggio che proclamiamo. Annunziando Cristo, come il Signore del Regno di Dio, colui nel quale e a causa del quale il Regno si è realizzato già nella storia – anche se rimane il non-ancora – annunciamo la possibilità offerta all’uomo di partecipare al Regno e ai suoi valori, assumendoli come criteri di vita nei rapporti con Dio e con i fratelli e le sorelle, nell’impegno personale, familiare, comunitario e sociale, per un mondo in cui abita la giustizia e la fraternità (RdV 59).

L’annuncio è fatto in modo ‘incarnato’, assumendo i valori della cultura locale (e non soltanto le modalità dell’espressione) (RdV 59.1), in modo che il messaggio penetri la vita, non rimanga una dottrina o una semplice ‘vernice’, ma diventi fermento e dia una risposta ai problemi della vita. E’questo un impegno per evangelizzare in profondità la persona come individuo e la cultura.

L’annuncio è fatto in comunione con la Chiesa, seguendo le sue indicazioni.

L’annuncio si realizza attraverso “attività interdipendenti e complementari” (RdV 56.3; 59.2), con “una varietà di servizi” che derivano e dipendono sia dalle esigenze dell’evangelizzazione, sia dai doni personali di ciascuno (RdV 65.4). Tra questi si possono ricordare:

  • Gli incontri personali (cfr. RdV 58.1);
  • la predicazione e la catechesi in tutte le sue forme (RdV 59.2), dove la Parola di Dio assume il posto di primo piano che le compete;
  • le celebrazioni liturgiche (RdV 48.3; 59.1; 63.2), dove il mistero di salvezza di Cristo è attualizzato e operante.
  • Da sottolineare che questi due impegni richiedono una preparazione seria e accurata, contro una certa trascuratezza o improvvisazione, o passività e ripetitività meccanica.
  • Le piccole comunità cristiane, come soggetto e luogo della catechesi, dell’approfondi­mento vitale della fede e di celebrazioni, specie della Parola;
  • l’impegno per le traduzioni, la preparazione di testi (catechismi, materiale per la formazione degli agenti pastorali, ecc.);
  • l’impegno nei centri pastorali e  impegni più specializzati, come i mass-media di vario genere (RdV 59.3).

L’annuncio tende a provocare la conversione, come adesione personale a Gesù come Cristo e Signore, presente e operante nella vita della persona e nella storia del popolo e dell’umanità. L’annuncio non può dunque limitarsi a comunicazione di massa (RdV 59.5).

In questo lavoro di annuncio il missionario è impegnato con una attenzione particolare nell’iniziazione di “coloro che hanno accolto la Parola di Dio” (RdV 63), per guidarli, attraverso le tappe del catecumenato (RdV 63.1) alla maturità della fede e del servizio della carità e alla celebrazione dei sacramenti.

4. COMUNITÀ

Tra le caratteristiche principali dell’Africa c’è senz’altro lo ‘spirito comunitario’. Dice il titolo di un libro di un teologo africano: “Vivre avec pour vivre vrai”. Così è stato espresso uno dei principali aspetti anche della spiritualità africana. Questo spirito comunitario, nelle sue varie manifestazioni, vive oggi una grave crisi che lo può sia purificare e far crescere, rafforzandolo, sia distruggere. Da questa realtà, con le sue potenzialità, crisi e problematiche ai vari livelli (politico, sociale, ecclesiale) siamo oggi interpellati come missionari. La RdV, con quanto ci propone per la comunità, va incontro a questa realtà suggerendo alcune indicazioni.

a) Evangelizzare come comunità

Siamo identificati come “una comunità di fratelli chiamati a condividere le difficoltà e le gioie del servizio missionario” (RdV 23). Perciò siamo chiamati a vivere insieme “una regolare convivenza” fatta dal “ricercare insieme la volontà di Dio, nel condividere la preghiera, i beni, la pianificazione, il lavoro e i momenti di sollievo” (RdV 39). Questa convivenza “non può ridursi ad un vivere insieme puramente esterno, ma si esprime in una vera comunione di persone e in una fraternità nel Signore” (RdV 36.3). In una comunità così, vero “cenacolo di apostoli”, “il missionario testimonia la nuova comunità fraterna nello Spirito che è chiamato a proclamare e a rendere presente tra i popoli che evangelizza” (RdV 10.3; 36).

L’internazionalità, come dono e caratteristica che accogliamo dal carisma, rende ancora più chiaro questo segno, se essa è vissuta come valore.

Oltre che segno, la comunità è strumento di evangelizzazione: valorizzando i vari doni dei suoi membri (RdV 11) che ognuno riceve dallo Spiri to per il bene di tutti, come sorgente di una più grande fecondità (RdV 37); stando attenti nello stesso tempo alle tentazioni di individualismo e isolamento; sapendo ‘lavorare insieme’, con tutto ciò che questo esige come analisi della realtà fatta in comune, discernimento dei segni dei tempi; programmazione, attuazione e valutazione (RdV 36.4; 37.1).

L’urgenza del lavorare “in comunione e in dialogo con la comunità” comporta che il missionario dia “preferenza allo sviluppo di quelle doti che possono tornare a beneficio del servizio missionario” ed eserciti “le sue capacità nell’ambito dello stile di vita e delle scelte dell’Istituto” (RdV 41.1).

Per essere segno e strumento della nuova comunità fraterna nello Spirito, la comunità comboniana evangelizzatrice è aperta alla gente e solidale con la sua situazione, le sue gioie e problemi (RdV 45, 45.1, 45.2). Si può porre qui il problema di esperienze comunitarie speciali di solidarietà con la gente, di inserimento nell’ambiente, alla ricerca di nuove vie per l’evangelizzazione (cfr. A.C. ‘85, n 2 32).

b) Per la nascita della comunità

Il segno della vita che nasce nel cuore dell’uomo che crede in Cristo è la capacità di vivere con i fratelli in rapporti nuovi e duraturi, fatti di perdono, aiuto reciproco, fraternità al di là di ogni barriera di classe, lingua, tribù… (RdV 62.1). Queste comunità saranno fondate sull’ascolto della Parola di Dio, ascolto che si fa ‘obbedienza’ e diventa testimonianza e impegno per il Regno (RdV 62.2).

Varie possono essere le forme che queste comunità assumono. Ma quella delle Piccole Comunità Cristiane – chiamata con nomi diversi anche se esprimono realtà simili – è una scelta tipica e comune all’Africa, oltre che ad altre parti del mondo (RdV 62.3).

c) Il comboniano non evangelizza da solo

Per questo non solo compie la sua missione con la sua comunità propria, ma anche insieme con “tutte le forze che si dedicano all’evangelizzazione nello stesso luogo” (RdV 68). Non si tratta pertanto solo di avere dei collaboratori, ma di formare in senso lato con essi una ‘comunità apostolica’ (cfr. RdV 68) che abbia “incontri di riflessione e di preghiera” e viva l’impegno di evangelizzazione nella corresponsabilità che si manifesta nella comune “programmazione, esecuzione e valutazione del lavoro” e richiede anche “una certa comunione di beni, mutua fiducia…” (RdV68.1).

d) Nel suo impegno per la nascita ela crescita delle comunità cristiane, il comboniano ha per obiettivo di rendere queste comunità adulte, mature. l segni di questa maturità sono, tra gli altri, una certa autosufficienza ministeriale, la capacità di provvedere alle sue necessità e la coscienza della sua responsabilità nella diffusione del Vangelo a coloro che non lo conoscono, non solo tra chi è vicino, ma anche fino ‘ai confini della terra’ (RdV 70).

Forse è questo il caso di suscitare la problematica: vita comunitaria e impegno in situazioni speciali di frontiera. Quali tipi di vita comunitaria? Quali esigenze e criteri?

e) Tra le forme di comunità presenti in una chiesa locale, parrocchia o diocesi, ci sono anche i movimenti. La presenza e l’impegno nei vari movimenti ecclesiali possono dare un contributo alla crescita della Chiesa locale. “Il missionario è aperto ai vari movimenti che lo Spirito suscita nella Chiesa. La sua eventuale partecipazione a questi movimenti è benefica, purché non entri in conflitto con le finalità dell’Istituto e il suo impegno comunitario” (RdV 84.3).

5. MINISTERI

a) Lavorando nella comunità e per la comunità, perché essa possa crescere, “fino allo stato dell’uomo perfetto, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo” (Ef 4:13, citato da RdV 64), il missionario si impegna a scoprire e a promuovere “i doni e i ministeri, anche nuovi, suscitati dallo Spirito nelle comunità cristiane” (RdV 64).

Si sottolinea che questo compito è ‘‘di primaria importanza’’ (RdV 64) non solo per motivi di efficacia pastorale e di logica nella metodologia nella pastorale comunitaria, ma perché è una specificità del carisma comboniano, è incarnare oggi il “salvare l’Africa con l’Africa”, con cui il Comboni propose che “gli africani fossero missionari dei loro fratelli e sorelle, anticipando il tempo nel quale essi sarebbero diventati ipromotori dell’evangelizzazione di altri popoli” (RdV 7).

L’impegno per la scoperta e la promozione dei ministeri richiede degli atteggiamenti interiori di ‘‘rispetto e fiducia’’ (RdV 7.1).

b) La Rd V non mette limiti ai doni e ai ministeri da scoprire e promuovere. Sono tutti quelli che lo Spirito dona alla comunità ecclesiale, quelli di cui essa ha bisogno per la sua nascita, crescita e missione. Si fa menzione di una cura particolare per “la preparazione degli animatori di comunità e dei catechisti” (RdV 64.1). Ma si sottolinea con forza che “la promozione e la formazione del clero locale sono uno dei compiti più importanti dei missionari’’; e per questo l’Istituto si impegna con ·mezzi adeguati e personale preparato” (RdV 64).

Accanto ai vari ministeri e al clero locale, la RdV menziona anche la promozione della ‘‘vita consacrata nella sue varie forme, inclusa quella comboniana” (RdV 64.2).

In questo lavoro di promozione dei ministeri, il missionario è chiamato a svolgere il compito: in conformità alla pastorale locale ( Rd V G4.1); – “nel contesto della cultura e dei valori locali” (RdV 64.2) e secondo il carisma dell’Istituto (RdV 64.2).

c) L’impegno per la promozione e la formazione dei ministeri nella chiesa, in tutte le loro forme, non è limitato ad un periodo iniziale. Ma l’Istituto promuove e offre la sua collaborazione per iniziative di formazione permanente” anche per “gli agenti locali di pastorale” (RdV 101.2).

Questo permette di diversificare la nostra presenza in una chiesa locale. Per es.: non soltanto parrocchiale, ma anche centri di pastorale, centri di formazione di agenti pastorali, seminari, attività di formazione permanente per il clero locale e per i religiosi, ecc. E anche di qualificare la pastorale che può essere svolta in una parrocchia: comunità ecclesiali, giovani, ecc.

6. OBBEDIENZA ECCLESIALE

a) L’attività di evangelizzazione è una attività ecclesiale. L’istituto è suscitato nella chiesa e per la chiesa; ed è “mandato dalla chiesa” (RdV 56) per svolgere la sua missione. Mediante l’adesione e la fedeltà all’Istituto “il missionario si inserisce nell’attività evangelizzatrice della chiesa” (RdV 56.1). Per questo “il missionario, in comunione con il clero locale, obbedisce a coloro che Cristo ha posto a reggere la sua Chiesa, e in comunione con tutta la chiesa promuove l’attuazione delle direttive della Sede Apostolica per tutto ciò che concerne l’evangelizzazione” (RdV 66). Il comboniano dunque “mantiene un atteggiamento d i sincera comunione con il papa e i vescovi, come condizione di fedeltà al Vangelo’’ (RdV 9.1). L’obbedienza ecclesiale è parte integrante del suo carisma, come per Comboni, il cui “indefettibile amore e fedeltà… alla chiesa erano radicati nel suo carisma… Egli volle compiere il suo lavoro per la salvezza dell’Africa come missionario inviato dalla chiesa (RdV 9).

b) Abbiamo qui delle indicazioni di vita per degli atteggiamenti da assumere:

– Evitare l’individualismo, personale e di gruppo, inserendosi invece in una pastorale d’insieme, frutto di una ricerca comune a tutte le forze apostoliche (RdV 66.2);

– Prati care un’obbedienza attiva, fatta cioè di capacità di “escogitare e proporre… in dialogo con la competente autorità, anche nuove e coraggiose esperienze di evangelizzazione” (RdV 66.1); e di capacità di “accettazione delle direttive pastorali della chiesa locale” (RdV 66.2);

– Agire non più da protagonisti, né da semplici esecutori materiali di direttive venute dall’alto, ma come collaboratori attenti, attivi e responsabili.

c) Il superiore provinciale ha qui un ruolo da svolgere per la comunità: non solo per la vita religiosa ‘interna’, ma anche per l’azione pastorale di cui la comunità è responsabile. Non tocca a lui decidere programmi e impegni, ma sta a lui animare la comunità perché la sua programmazione sia la manifestazione del nostro carisma specifico e un vero servizio ecclesiale che si svolge all’interno e in comunione con la chiesa locale e le sue direttive. Per questo è chiamato, anche in forza del suo ufficio, ad essere segno e strumento di comunione tra i membri della comunità, e di essi e della comunità con il vescovo, vivendo lui stesso questa comunione. E questo non solo in caso di conflitto.

d) Se conflitti dovessero sorgere, non sarà la regola del più forte a dettare le scelte, o criteri di indipendenza; ma quelli della comunione e dell’obbedienza ecclesiale (RdV 9.1; 66.2).

7. LIBERAZIONE INTEGRALE

a) In Gesù Cristo il Regno di Dio è venuto tra noi, nella nostra storia e nel nostro mondo, in modo definitivo, anche se ancora in germe. La vita del Cristo ne è stata un segno; la sua morte e risurrezione sono l’evento decisivo del regno. Evangelizzare comporta anche proclamare questo Regno, con tutti i doni che in esso Cristo ci offre: dei rapporti filiali tra il Padre e gli uomini; dei rapporti fraterni tra tutti gli uomini; una vita ‘umana’ in tutte le sue dimensioni per ogni uomo. Comporta anche la denuncia di tutto ciò che si oppone al Regno e alla ‘vita nuova’ che esso ci offre e l’impegno perché i valori del Regno prevalgano su ogni altro non valore (RdV 61.1). È perciò parte integrante dell’evangelizzazione l’impegno per lo sviluppo e la liberazione dell’uomo (RdV 61).

b) Impegnandosi in questo, il comboniano vive nella fedeltà e la creatività ciò che il Comboni aveva iniziato, in particolare con la lotta contro la schiavitù e la formazione di artigiani, ecc., e che troviamo anche come una costante nella storia del nostro Istituto: scuole, promozione dell’agricoltura, formazione professionale, ecc.

Anche questo impegno nasce dal nostro carisma. La scelta dei “più necessitosi e derelitti” era anche per questo aspetto sociale, economico e culturale (RdV 5). E come missionari comboniani del Cuore di Gesù contempliamo nel suo Cuore trafitto “il suo coinvolgimento nel dolore e nella povertà degli uomini” (RdV 3.2) e in questo Cuore troviamo Io “stimolo all’azione missionaria per la liberazione globale dell’uomo” (RdV 3.3).

c) Il missionario vive questo impegno facendo “un’attenta analisi della situazione socio-politica del paese” (RdV 61.7), per scoprire anche quei meccanismi che generano povertà e oppressione, ciò che il Papa nell’enciclica Sollicitudo Rei Socialis chiama con un linguaggio che è nuovo e teologico “strutture di peccato”. Il missionario compie questa analisi con la comunità e con il popolo. Le scienze umane lo possono aiutare in questo.

d) Il primo impegno della comunità comboniana per la liberazione integrale è quello “di vivere il Vangelo nella povertà, evitando tutti gli atteggiamenti e le azioni che conducono all’ingiustizia” (RdV 61.2). Questo può valere, per es., nel modo di trattare coloro che dipendono dalle nostre opere, nelle strutture che costruiamo, nell’uso del denaro (per es., le ‘vie’ per il cambio della moneta…).

e) L’impegno per la liberazione esige una solidarietà profonda e fattiva “con la vita, il lavoro e il cammino del popolo, condividendone le vicende” (RdV 60). Per questo il singolo missionario e la comunità intera partecipano “alle gioie e speranze, tristezze e angosce” del popolo in cui vivono (RdV 60.1). È anche per questo che il comboniano e la comunità comboniana vivono “poveri alla sequela di Cristo”: “per essere liberi di portare il messaggio evangelico ai più poveri ed abbandonati e di vivere in solidarietà con loro” (RdV 27).

In questo spirito di povertà e di solidarietà, il comboniano “usa mezzi poveri nell’opera di evangelizzazione” (RdV 30.2). Domanda: che cosa si intende per mezzi poveri? Quali i criteri per discernere se un mezzo è povero?

f) I ‘luoghi’ in cui si deve svolgere questo impegno per la liberazione integrale sono vari. Essi sono a livello economico, sociale, culturale e spirituale (cfr. RdV 61.1). Tale impegno tende a “liberare l’uomo dalla paura, dall ‘ignoranza, dalla fame e dalle malattie” (RdV 61.3). L’impegno per il rispetto dei diritti dell’uomo ha una importanza particolare: si tratta non solo di farsi portavoce di coloro che sono oppressi (RdV 61.5) ma anche di dare loro voce “perché venga loro resa giustizia” (RdV 61.5).

g) Perché la liberazione avvenga, varie sono le azioni possibili:

  • La scuola, sia con impegni di natura pastorale che di insegnamento, a favore della gioventù che costituisce oggi in Africa la grande maggioranza della popolazione;
  • la coscientizzazione, lasciandoci prima di tutto coscientizzare, e facendo prendere coscienza a tutti della realtà e delle sue cause;
  • con azioni di accompagnamento di azioni portate avanti dal popolo stesso per il suo sviluppo. La coscientizzazione e l’accompagnamento di azioni concrete nei vari campi (salute pubblica, alfabetizzazione, promozione dell’agricoltura e dell’artigianato, ecc.) devono sostituire il parternalismo e l’assistenzialismo.

h) Per quanto riguarda scelte politiche e azioni in favore della difesa dei diritti dell’uomo e per la giustizia, come pure azioni di denuncia delle oppressioni, il missionario si rende conto che esse sono “prerogative della gente del paese e che spetta alla chiesa locale in primo luogo assumere responsabilità in questo campo” (RdV 61.6). Il lavoro del missionario è educare “la gente ad assumere le proprie responsabilità politiche e sociali” (RdV 61.2).

i) L’azione del missionario avviene in collaborazione “con le istituzioni religiose e civili che promuovono il progresso umano” (RdV 61.3). “Nelle iniziative di promozione umana” il missionario collabora “con i programmi locali, aiutando la gente ad aiutarsi” (RdV 30.1). In questo senso “il comboniano promuove anche le vocazioni di missionari laici e collabora con gli organismi esistenti per la loro preparazione e il loro invio” (RdV 77.6).

j) Proclamando il Regno di Dio, il missionario proclama con forza chi è il Signore unico di questo Regno: Gesù Cristo. Per questo è ‘critico’ di fronte alle ideologie di qualsiasi tipo, “per discernere insieme con la gente ciò che vi è di vero e di liberante, da ciò che vi è di falso e di oppressivo” (RdV 61.8).

l) Il missionario, insieme alla comunità cristiana, si fa strumento di riconciliazione e di pace “nella verità e nella giustizia”, cosa importante nella situazione attuale. Anche per questo il missionario esclude “la violenza dai progetti e dai rapporti umani” (RdV 61.9).

m) Il fratello comboniano “è chiamato a dare un contributo specifico alle attività che favoriscono lo sviluppo integrale dell’uomo” (RdV 61).