Come leggere e vivere in prospettiva cristiana quello che sta accadendo in tutto il mondo in questi giorni, circa il contagio del coronavirus? Siamo chiamati prima di tutto a sollevare lo sguardo per tornare a vedere che ci sono molti, e sono milioni, che da tanti anni vivono nel mezzo del virus della guerra, della fame e della sete, vittime di malaria e di lebbra, vittime della nostra spietata indifferenza.

La prima missionaria del vangelo
Gv 4,5-42

Dopo le prime due domeniche del nostro itinerario quaresimale, che ci hanno prospettato la vittoria sulla tentazione e la trasfigurazione della nostra vita, le prossime tre domeniche ci invitano a meditare su tre tematiche eminentemente battesimali e pasquali: l’acqua, la luce e la vita. Ci aiuterà il vangelo di Giovanni, che in questa terza domenica ci offre il lungo dialogo tra Gesù e la donna samaritana, attorno alla SETE e l’ACQUA. Si tratta di un dialogo, intrecciato di simbolismi, di allusioni bibliche, di sentimenti umani, che finalmente diventa un vero corteggiamento di Dio verso la sua sposa infedele.

L’appuntamento al pozzo

Oggi Gesù ci dà appuntamento al pozzo di Giacobbe con la donna samaritana. Il pozzo era il luogo di incontro. Come è tuttora in certe parti d’Africa. Questo pozzo era, oltretutto, “il pozzo di Giacobbe”, quindi un luogo ancestrale, carico di simbolismi e di tradizioni, il pozzo degli amori (cfr. Genesi 24 e 29). Questo pozzo esiste tuttora, tremila anni dopo, profondo 32 metri. C’è una continuità, nel tempo e nello spazio, di bisogni e di desideri e di luoghi dove l’uomo cerca di soddisfare la propria sete.

Il pozzo è una metafora della nostra vita di ricerca continua di un’acqua in grado di dissetare la sete profonda di felicità. Il dramma è credere che ogni acqua che sembra specchiare il cielo sia in grado di dissetarci, che ogni bene, ogni affetto, ogni piacere possa appagare finalmente il nostro desiderio. Ma, ahimè, tutto è ancora troppo poco, come dice il poeta Eugenio Montale:
«Sotto l’azzurro fitto
del cielo qualche uccello di mare se ne va;
né sosta mai: perché tutte le immagini portano scritto:
“più in là”»
.

E Colui che era “più in là” è venuto più in qua ad aspettarci al pozzo dei nostri desideri. L’amore precede sempre l’amato. E questa donna samaritana, simbolo dell’umanità assetata di amore, con cinque mariti alle spalle e con un sesto uomo che non era nemmeno suo, non poteva immaginare che il settimo marito, il Messia, l’aspettava al pozzo per corteggiarla con un amore che lei non conosceva e per sposarla per sempre. La sete di Dio è la sete più profonda che ci sia e solo Cristo l’ha sperimentata fino in fondo. Dio è anche lui assetato di un desiderio che lo rende mendicante: il desiderio di poter concedermi ciò che da sempre desidero, la vita.

Dagli da bere, Samaritana!

Il vangelo di Giovanni è il vangelo dei dialoghi. Gesù ama intrattenersi con la gente e dialogare con le persone. La nostra vita di fede in fondo non è altro che un ininterrotto dialogo con lui. Si tratta di un dialogo che va avanti da molti anni, approfondendo la conoscenza e l’amicizia, con momenti belli di intesa che ci riempiono di pace, ma non senza malintesi e dei periodi di smarrimento, se non di allontanamento che, purtroppo, rischia talvolta di diventare definitivo e, allora, io e lui diventiamo degli sconosciuti. La quaresima è il momento propizio per approfondire questo dialogo o per riprendere a frequentarsi, prima che questo rapporto sia irrimediabilmente stroncato.

Gesù apre il dialogo con la samaritana rompendo regole e tabù, parlando con una donna, una straniera e di dubbia moralità. Si presenta senza finzioni, come una persona nel bisogno, stanco e mendicante: “Dammi da bere!”. Nella sua umanità, riconosce di essere nel bisogno. Ci sarà un’altra ora “circa mezzogiorno” in cui Gesù esprime questo stesso bisogno, per l’ultima volta e come ultima indigenza, sulla croce: “Ho sete” (Giovanni 19,28-30).

Non sorvoliamo troppo in fretta questa necessità fisica, la più fondamentale per la sopravvivenza umana. Siamo abituati a vedere Gesù come risposta ai nostri bisogni, senza pensare ai suoi. E questo è uno dei (sei) bisogni, che lui ha voluto ritenere suo fino alla fine dei tempi: “ho avuto sete e mi avete dato da bere” (Matteo 25). Pensiamo, amici, ai bisogni di Gesù, negli assetati che incarnano oggi la sua sete. Conoscere i bisogni di Gesù e degli altri è il modo migliore per capire i nostri propri bisogni e desideri.

Cuori, pozzi da ripulire!

Tanti cuori, trascurati, si sono inariditi o sono diventati cisterne screpolate di acqua stagnante (Geremia 2,13) perché non si attinge più alle acque profonde del cuore. Andiamo ad attingere acqua a pozzi altrui, spesso inquinati, e trascuriamo l’acqua del nostro pozzo. È l’ora di fare come Isacco: ripulire e riattivare i pozzi che i nostri “filistei” hanno otturato. (Genesi 26,15ss). Bisogna scavare nelle profondità dell’anima per liberare quella “sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna”. Forse si nasconde sotto la roccia. Il bastone di Mosè, cioè la croce di Gesù, può spaccare la roccia e fare scaturire l’acqua (Esodo 17, prima lettura).

È questa l’ora in cui, nella nostra vita, “Gesù, ritto in piedi, grida: «Se qualcuno ha sete, venga a me, e beva chi crede in me. Come dice la Scrittura: Dal suo grembo sgorgheranno fiumi di acqua viva» (Giovanni 7,37-38). La samaritana l’ascoltò e divenne la prima apostola dei suoi concittadini. Dimenticò la brocca dei suoi bisogni e corse in città ad invitare tutti quanti a venire al Pozzo dell’acqua viva! Mi stupisce come la samaritana propone la sua testimonianza, suscitando curiosità e stimolando la ricerca di tutti: «Venite a vedere… Che sia lui il Cristo?». E così la conoscenza, l’esperienza e la testimonianza si moltiplicano: «Non è più per i tuoi discorsi che noi crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo». Insomma, un’esperta missionaria!

Cos’hai visto, samaritana?

Un giorno, al Pozzo seduto l’ho trovato,
E mi ha chiesto da bere, straniero assetato.
L’acqua viva da bere egli stesso mi ha dato,
E da allora il mio cuore smarrito si è ritrovato,
Per sempre di lui perdutamente innamorato
A tutti annuncia con gioia: il Messia è arrivato!

P. Manuel João, comboniano
Castel d’Azzano (Verona), 9 marzo 2023
[comboni2000]

Il pozzo è importante,
perché siamo tutti assetati

Gv 4,5-42

Oggi riflettiamo sull’incontro al pozzo tra Gesù e una donna samaritana. È l’incontro tra un uomo e una donna, tra due culture, tra due popoli, l’incontro tra due maniere di cercare Dio e di vivere la relazione con Lui. Il simbolo del pozzo è importante, perché siamo tutti assetati, occorre che tutti ci aiutiamo ad attingere vita e senso per le nostre esistenze. Eppure questa diversità, invece di aiutarci, a volte può essere un ostacolo.

Io sono Padre Dario, missionario comboniano italiano che vive da circa 15 anni in Brasile. Come tutti i missionari faccio l’esperienza costante della frontiera come un pozzo, come il luogo di un incontro delle diversità. Ho partecipato – una grazia di Dio – al Sinodo dell’Amazzonia, e in questo Sinodo abbiamo celebrato e vissuto proprio la sfida della conversione culturale, dell’ascoltarsi e incarnarsi nella visione e nel modo di vivere dell’altro, questa sfida di entrare nel mondo dell’altro. Ricordo che, nello spazio celebrativo fuori dalla sala sinodale a Roma, ci sono stati molti momenti di preghiera guidati dai popoli indigeni. Come se fossero stanchi per il viaggio, affaticati, preoccupati dalle sfide che minacciano la vita dell’Amazzonia, questi popoli tutti i giorni si ritrovavano in preghiera, attorno al pozzo della Parola di Dio, della spiritualità delle diverse comunità, delle loro esperienze di vita. C’erano tanti simboli, i simboli della loro vita quotidiana, tracce del cammino umano di ricerca di Dio: acqua, frutta, reti da pesca, una canoa, i suoi remi, le immagini di martiri e di persone che hanno dato la vita in Amazzonia. Eppure, alcune persone troppo rigide e che vogliono ingabbiare Dio nei loro schemi culturali (come se Dio fosse europeo, oppure come se l’unico modo di rendergli culto fosse il rito cattolico romano) si sono inorridite, hanno gridato allo scandalo, addirittura hanno cercato di esorcizzare questi momenti di preghiera. Sarebbe come privatizzare il pozzo, costruire muri che garantiscono solo ad alcuni l’accesso all’acqua.

In Brasile abbiamo alcune malattie della fede che possono essere anche contagiose, non so se sono arrivate anche in Italia. Una è la spiritualizzazione della vita cristiana: la sfida della fede sarebbe quella di “salvare anime”, come ancora si dice, malgrado i corpi delle persone, della società e dell’intera creazione stiano soffrendo e gemendo sempre più forte. Un’altra sfida è l’irrigidimento: si cercano sicurezze, regole certe, modelli di appartenenza a cui obbedire; è come un regresso a un modello di Chiesa autoreferenziale, apologetico, una Chiesa che difende se stessa, che si considera l’unica proposta possibile per la società, tutto ciò che è diverso è come se spaventasse. Eppure, Papa Francesco nell’esortazione Querida Amazonia ci dice che identità e dialogo non sono nemici, che dobbiamo essere costruttori di ponti tra le diversità. Usa la bella immagine del sedersi alla tavola comune, che è un’immagine tanto cara a Gesù di Nazaret e tanto vicina all’immagine del pozzo della samaritana. Il Papa ci invita ad ascoltare la poesia dei popoli. Dice che in ogni cultura c’è del buono e che dobbiamo saper raccogliere questa bellezza e portarla a pienezza alla luce del Vangelo. Dice che lo Spirito Santo feconda ciascuna cultura e allo stesso tempo ogni cultura abbellisce la Chiesa quando dialoga con lei. Quindi non c’è un posto unico in cui troveremo Dio, né su questo monte né in Gerusalemme, ma in Spirito e Verità.

Siamo tutti stanchi per il viaggio della vita, molti problemi ci affliggono. In Brasile, per esempio, la vita è sempre più minacciata. Com’è importante allora sederci insieme al pozzo per ascoltare queste parole di Gesù, che ci rinfrescano, ci tolgono la sete, e possono addirittura trasformare pure noi in sorgenti di acqua viva.
Buona domenica di quaresima!
P. Dario Bossi, missionario comboniano

La solitudine che non disseta

Gv 4, 5-42

Ogni incontro racchiude un bagaglio di sentimenti, attese e scoperte. L’incontro è l’inatteso che bussa alla porta della nostra routine comoda e sicura. L’incontro è l’irruzione dell’altro nella realtà nota della nostra vita. L’incontro è il dischiudersi dell’inedito che viene inevitabilmente a voltare pagina nella storia ripiegata su sé stessa. Gesù ha vissuto il suo ministero itinerante vivendo molteplici e sorprendenti incontri: è il Dio che, sulle strade dell’umanità, va alla ricerca di volti da contemplare.

L’episodio al pozzo di Giacobbe tra Gesù e la Samaritana è l’emblema di ogni incontro, che celebra l’incrocio inaspettato — non solo tra due desideri — ma tra due assetati. Infatti mentre Gesù ha sete dell’amore dell’umanità, la Samaritana ha sete dell’amore di un Padre, fedele e misericordioso. La fede in Dio diventa fonte di gioia nella misura in cui accade l’incontro: «mentre prima di essere amati “ci sentivamo di troppo”, ora sentiamo che questa esistenza è ripresa e voluta nei suoi minimi particolari da una libertà assoluta. È questa in fondo la gioia d’amore, quando esiste: sentirci giustificati d’esistere» (J. P. Sartre, L’essere e il nulla, Il Saggiatore, Milano, 1997, pag. 455).

Mentre l’incontro ci sorprende rispetto alla nostra realtà conosciuta, permette di far emergere ciò che di noi ancora non conosciamo pienamente: ci svela nella nostra identità mettendoci a contatto con la parte più vera di noi, con i nostri desideri e le nostre sofferenze. La legittimità di un desiderio che abita persino Dio diventa voce attraverso l’umanità di Gesù: «Dammi da bere!». Incontrando Cristo si diventa capaci di amare ed essere amati poiché nessuno basta a sé stesso, nessuno si disseta alla propria solitudine.

L’incontro con Cristo è allargamento del desiderio di vita e di relazione oltre i limiti delle delusioni e del tradimento. L’incontro con Cristo mette in moto quelle acque stagnanti della nostra vita in cui preferiamo rimanere a guardare, spettatori di una bellezza inaudita che ci chiede di essere diffusa. È Lui che riesce a inondare di vita la nostra storia rimettendo in movimento generosità, gratuità e onestà — proprio come un torrente in piena — in grado di aprire finestre di speranza e risurrezione in mezzo a cieli foschi. 
[Roberto Oliva - L'Osservatore Romano]

Pellegrini alla sorgente del dono

Gv 4,5-42

Si legge nel Libro dell’Esodo al capitolo 17: «Il Signore disse a Mosè: prendi in mano il bastone con cui hai percosso il Nilo, e va’! Ecco, io starò davanti a te là sulla roccia, sull’Oreb; tu batterai sulla roccia: ne uscirà acqua e il popolo berrà». La roccia fa scaturire l’acqua. Per fare questo ci vuole la fede. Occorre avere questa fede, affinché dalla dura roccia della nostra vita possa emergere l’acqua viva. Ci vuole anche la fiducia nell’uomo, che, nonostante le sue contraddizioni, le sue ferite e il suo peccato, rimane immagine e somiglianza di Dio. Sappiamo tutti che a volte la vita si presenta proprio con la sua faccia più dura, proprio come una roccia.

Come leggere e vivere in prospettiva cristiana quello che sta accadendo in tutto il mondo in questi giorni, circa il contagio del coronavirus? Allo stesso modo che insegnamenti trarre dalla fatica del viaggio, dalla sete, dal caldo, dalla solitudine del mezzogiorno sperimentati dalla donna samaritana, già reietta per essere e donna e samaritana?

Siamo chiamati prima di tutto a sollevare lo sguardo per tornare a vedere che ci sono molti, e sono milioni, che da tanti anni vivono nel mezzo del virus della guerra, della fame e della sete, vittime di malaria e di lebbra, vittime della nostra spietata indifferenza. Uniamoci a Papa Francesco che nella Esortazione Apostolica Postsinodale Querida Amazonia ci invita ad un sogno: unire cura dell’ambiente e cura delle persone in: «Una storia di dolore e di disprezzo che non si risana facilmente» (QA 16).

Questa prova del coronavirus è arrivata nel Tempo di Quaresima. Riscoprirci fragili è l’invito del Mercoledì delle Ceneri. Questo non significa cadere nello sconforto della sofferenza e della rassegnazione. Come cristiani riscoprirsi fragili significa riconoscerci figli, bisognosi dell’aiuto del Padre. Siamo fragili ma Dio non ci abbandona e noi siamo chiamati a fidarci di lui.

Gesù Cristo è la risposta alla nostra fede, alle nostre speranze, alle nostre fragilità, e dice ad ognuno di noi con le parole del vangelo: «Credimi, donna, viene l’ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre». Il cammino di Quaresima è un pellegrinaggio alle sorgenti del nostro essere più profondo, è la riscoperta della nostra coscienza illuminata dallo Spirito, come vero e unico tempio dove desiderare e adorare il Signore.

«Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: “Dammi da bere!”». Come la donna del vangelo anche noi non conosciamo fino in fondo il dono di Dio; a volte pensiamo che l’incontro con il Signore venga al termine di una enorme fatica, un guadagno da ottenere dopo aver ottenuto dei meriti. L’acqua di cui abbiamo sete, è Dio stesso che si dona prima di ogni cosa nel suo amore di Padre. Dopo sarà la nostra libertà a saperlo accogliere, ma il dono è prima di tutto. Preghiamo il Signore perché ci aiuti a mantenere sempre il desiderio, la sete di Lui che arriva addirittura ad offrire se stesso. Si accresca in tutti noi la nostalgia di nutrirci di Cristo, Pane vivo. Cresca in noi tutti il desiderio di “fare Pasqua” una volta superate le attuali difficoltà. «Perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna».
[Francesco Pesce – L’Osservatore Romano]

Sete non di acqua
ma della parola di Dio

Es 17,3-7; Salmo 94; Rm 5,1-2.5-8; Gv 4,5-42

Nella liturgia della parola di questa terza domenica di Quaresima si privilegia il simbolismo della sete e dell’acqua. Al tema della sete siamo introdotti già dalla prima lettura. Il popolo d’Israele, uscito dal l’Egitto ed in cammino nel deserto verso la montagna santa dell’alleanza, non trovava acqua. Mormorava dicendo: “Ma il Signore è in mezzo a noi, sì o no?”. E Mosè gli rispose facendo sgorgare l’acqua dalla roccia. Il tema dell’acqua appare in modo più evidente nel brano evangelico. In un meriggio assolato, presso un pozzo di Samaria, Gesù promette ad una donna il dono dell’acqua viva Mentre la prima lettura e il vangelo hanno una grande affinità tematica, il brano della lettera ai Romani nella seconda lettura sembra sviluppare un tema diverso. Al suo centro si trova l’insegnamento sulla speranza che non delude mai, perché “l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato”.

Questo dono di Dio è senza dubbio la chiave interpretativa del simbolismo biblico dell’acqua viva che diventa nei credenti zampillante per la vita eterna. La sete è anzitutto un fatto fisico, ma è anche il simbolo di tutti i desideri che attraversano il cuore di ogni uomo. E in sostanza i nostri desideri ci definiscono: siamo più o meno ciò che desideriamo. Intanto possiamo ricordare che esistono diversi tipi di sete o di desideri. All’infuori della sete fisica o del corpo, c’è quell’altro livello di sete e di desidero, da parte di gente che sta benigno ma desidera di più (cf. affermarsi, primeggiare sugli altri, abiti firmati, automobili grossi, chalet ai monti, yacht al mare, piaceri effimeri, vana gloria, ecc.); ed esiste anche un terzo livello che si può scoprire soltanto nel nostro intimo quando riflettiamo sul senso reale della vita: si scopre allora che l’oggetto vero della nostra sete e del nostro desiderio dovrebbe essere Dio.

Il nostro clima spirituale, da quel momento, dovrebbe corrispondere a quest’invocazione di sant’Agostino: “Tu ci hai fatti per te, Signore, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te”. Il nostro destino è di è di avere sempre sete. Però, non dobbiamo correre da tutte le parti per abbeverarci. Dobbiamo piuttosto distinguere tra ciò che ci fa crescere solo agli occhi degli altri (come le macchine, gli stipendi, le mode, ecc.) e ciò che ci fa crescere agli occhi di Dio (come l’amore fraterno, la condivisione, il perdono, la fede operosa, ecc.). Come diceva san Gregorio Nazianzeno ai cristiani del suo tempo: “Dio ha sete che si abbia sete di lui”. Il senso del vangelo di questa domenica è tutto in questa constatazione. Infatti, Gesù per prima esprime la sua sete. Si comporta non in sovrano ma in mendicante verso l’uomo, elemosinando un sorso d’acqua dalla samaritana.

Inoltre, se il dono di Gesù è preceduto da una richiesta, è per insegnarci che quando egli vuole darci qualcosa, comincia col tendere la mano imponendoci un distacco, una privazione, un sacrificio o una rinuncia. E se noi ci mostriamo avari o esitanti, ci priviamo noi stessi dei suoi doni che sono sempre più grandi. Egli chiede alla samaritana l’acqua da bere, per farle il grande dono della fede, cioè colui che cercava da bere aveva sete della fede di questa donna che in fine dei conti rappresenta proprio la Chiesa che doveva venire dalle nazioni pagane.

La lettura del vangelo della samaritana in questa terza domenica di quaresima rientra anche nel cammino di preparazione immediata per i candidati al battesimo che veniva celebrato nella notte di Pasqua. L’espressione “Se conoscessi il dono di Dio!” rimanda allora normalmente al dono divino dello Spirito Santo mediante il battesimo. Infatti, nel battesimo noi nasciamo in Dio nell’acqua e nello Spirito Santo, oppure il battesimo ci innesta, ci incorpora a Cristo, così che ciascuno dei battezzati dovrebbe essere capace di dichiarare: “Ora non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me” (Gal 2,20).

Ne segue che, soprattutto in questo tempo quaresimale, ognuno dovrebbe mostrare di avere gli stessi sentimenti di Cristo: i suoi sentimenti di amore, di benevolenza, di misericordia, di perdono, ecc. Su queste altezze ci ha portato il battesimo, su queste altezze si deve vivere e plasmare la nostra esistenza quotidiana.
Don Joseph Ndoum

Sete d’acqua e sete di Dio: compiti per la Missione

Esodo 17,3-7; Salmo 94; Romani 5,1-2.5-8; Giovanni 4,5-42

Riflessioni
Il brano del Vangelo di oggi presenta situazioni di vita ordinaria: fa caldo, Gesù è affaticato per il viaggio, si siede, ha sete, cerca acqua, i discepoli sono andati a provvedere cibo, una donna samaritana va al pozzo come tutti i giorni; si parla di secchio, anfora, provvista di cibi… Sono le realtà concrete da cui parte la stupenda evangelizzazione di Gesù. Nel raccontare l’incontro di Gesù con una donna di Samaria, l’evangelista Giovanni intende andare ben oltre la semplice descrizione di un fatto quotidiano; egli lo arricchisce di simboli, immagini, riferimenti biblici, che veicolano un messaggio teologico: la storia d’amore di Dio fedele alla alleanza sponsale, mentre il popolo si è allontanato alla ricerca di altri dei. È sorprendente: Dio ha sete! Non è la donna samaritana ma Gesù che dice “ho sete”. È una delle parole che Gesù dirà anche sulla croce!

Gesù coinvolge e converte, successivamente, la donna, la gente della città, i discepoli. Dalla ricerca dell’acqua quotidiana Gesù li porta alla “sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna” (v. 14); dal pozzo di Giacobbe (v. 6) all’acqua del battesimo e allo Spirito Santo; dai templi sui monti ai “veri adoratori in spirito e verità” graditi al Padre (v. 23); dalla provvista di alimenti a un cibo che i discepoli non conoscono: fare la volontà del Padre (v. 31.32.34). Gradualmente Gesù trasforma quella donna, etichettata come eretica, prostituta, in una missionaria delle beatitudini; fa di quella donna mendicante di acqua una mendicante di spirito, del vero Dio. Da buon educatore, Gesù non rimprovera, non giudica, non castiga quella peccatrice, non la umilia, cerca di capire, le parla senza farla arrossire: le indica percorsi diversi. Una pagina da buon maestro; una pagina stupenda di metodologia evangelizzatrice!

Colui che chiede acqua da bere (v. 7) è Colui che poi darà sé stesso come acqua che toglie per sempre la sete della donna e della gente: il Messia “sono io, che parlo con te” (v. 26). Suprema rivelazione dell’identità di Gesù! Egli fa di quella donna ironica (v. 9), poco raccomandabile per la sua vita sentimentale, una missionaria entusiasta della bella notizia del Messia: “venite a vedere” (v. 29); e fa di molti samaritani di quella città, dei credenti, che Lo trattengono per due giorni e Lo riconoscono come il “salvatore del mondo” (v. 42). Infatti, alla fine del racconto, la donna, che ormai ha incontrato un’altra acqua, abbandona la brocca (v. 28), fino a quel momento così preziosa, e corre felice ad annunciare a tutti la sua scoperta. Ancora una volta, dall’incontro con Gesù parte la corsa per dirlo a tutti. 

I discepoli devono imparare a leggere i segni ormai maturi della crescita del Regno: “Alzate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura” (v. 35). Parole del Maestro, che rimandano alla “messe abbondante”, nella quale gli operai sono pochi; per cui occorre pregare “il padrone della messe che mandi operai nella sua messe” (Mt 9,37-38). L’operaio del Vangelo deve avere occhi e cuore per cogliere quei segni, perché lo Spirito è all’opera da tempo, come dice Paolo (II lettura): Cristo, infatti, è morto per noi e “l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo” (v. 5). Egli è presente e opera presso tutti i popoli, prima ancora che arrivino i missionari (v. 36-38); trasforma il cuore delle persone, anche delle più imprevedibili.

Gesù introduce il tema del dono della fede e dell’acqua viva, dicendo: “Se tu conoscessi il dono di Dio” (v. 10), per giungere poi alla missione, cioè alla diffusione di tale dono. Gesù stesso è il dono sommo del Padre e, come tale, si auto-propone per tutta la famiglia umana. Un dono da comprendere, accogliere, conservare, condividere con altri. Tale è la portata missionaria del dono della fede nel Signore Gesù, che è motivo di rendimento di grazie e di rinnovato impegno missionario. Infatti, la fede sprona alla missione e, a sua volta, la missione rafforza la fede.

Oggi, come in passato (I lettura), il popolo è stanco, mormora e reclama acqua. Ne ha il diritto! “Il popolo soffriva la sete per mancanza di acqua” (v. 3). Prima ancora dell’acqua della fede e dello Spirito, l’umanità è sempre più cosciente dell’importanza dell’acqua materiale (l’H2o) per la vita umana e per il pianeta. A causa degli squilibri meteorologici, con la conseguente irregolarità delle piogge, scarsità di risorse d’acqua, aumento di desertificazione, ecc., gli esperti di geopolitica prevedono che, nei prossimi decenni, il tema dell’acqua diventerà causa di sempre più gravi conflitti e guerre a livello mondiale.

La mancanza di acqua potabile colpisce soprattutto i paesi più bisognosi e provoca tragiche conseguenze per la salute e la vita. (*) Sono solo alcuni dei gravi problemi quotidiani in cui è coinvolta la vita e l’attività dei missionari in molte parti del mondo, dove la gente ha fame e sete: sete di Dio, certamente; ma anche sete di giustizia, di pane, di acqua. Pertanto, iniziative e programmi come questi: “Acqua per la Vita”, “L’Acqua un Diritto per Tutti”, “H2oro”, “Acqua Bene Comune” e altri, vanno sostenuti e promossi. In nome del Vangelo!

Parola del Papa

(*) «Ogni persona ha diritto all’accesso all’acqua potabile e sicura; è un diritto umano essenziale e una delle questioni cruciali nel mondo attuale… Il diritto all’acqua è determinante per la sopravvivenza delle persone e decide il futuro dell’umanità… Io mi domando se, in mezzo a questa “terza guerra mondiale a pezzetti” che stiamo vivendo, non stiamo andando verso la grande guerra mondiale per l’acqua. Le cifre che le Nazioni Unite rivelano sono sconvolgenti e non ci possono lasciare indifferenti: mille bambini muoiono ogni giorno a causa di malattie collegate all’acqua; milioni di persone consumano acqua inquinata. Si tratta di dati molto gravi; si deve frenare e invertire questa situazione… È urgente».
Papa Francesco
Discorso alla Pontificia Accademia delle Scienze, 24.2.2017

P. Romeo Ballan, MCCJ