Fr. Abramo Sirtoli era nato a Redona, un quartiere periferico di Bergamo, dove inizia la Val Seriana. La parrocchia dove è nato Fr. Sirtoli e dove sono nati anche P. Giuseppe Zoppetti e P. Pietro Ravasio è dedicata a San Lorenzo martire. Il reclutatore che ha “pescato” i tre è stato P. Luigi Villa che batteva la zona presentando ai giovinetti la vocazione missionaria.
Abramo Sirtoli proveniva da una famiglia di contadini e commercianti, di sicura fede e di autentica pratica della religione. La formazione cristiana e poi missionaria di Abramo, affonda le radici nella sua famiglia attraverso l’esempio e gli insegnamenti di due persone: la mamma, Maria Riva, e Don Pierino Gritti, giovane sacerdote incaricato dell’oratorio, che oggi ha 96 anni.
La mamma iniziava la sua giornata in chiesa, con la recita del rosario, prima della Messa… e il resto del suo tempo era ugualmente costellato di preghiere. Mons. Barbisotti, bergamasco anche lui, facendole visita, affidava a questa santa donna le intenzioni di preghiera per la sua diocesi di Esmeraldas, e lei diceva: “Le mie preghiere, chissà se valgono, però ce ne sono per tutti”. Molti aspetti del comportamento della mamma sono passati ad Abramo: pazienza, capacità di consolare, silenzio nella povertà, carità, sopportazione gioiosa delle sofferenze. La loro casa era molto vicina all’oratorio per cui Abramo spesso era là.
Le insegnanti di catechismo erano le Suore Sacramentine di Bergamo che, ai ragazzi, indicavano l’Eucaristia come la cosa più importante. Il punto di riferimento, però, era Don Gritti che sapeva coniugare benissimo l’allegria propria dei ragazzi con lo spirito di pietà per cui “essere buoni voleva dire essere felici”.
Abramo era l’ultimo di 12 figli. All’età di 15 anni entrò tra i Comboniani col preciso desiderio di diventare Fratello. Sappiamo che ha dovuto lottare molto in famiglia per seguire questa sua vocazione, specialmente a causa del papà che era Leone di nome e, un po’, anche di fatto. Il nostro giovane ha trascorso i primi anni a Thiene dove ha imparato il mestiere del sarto e del falegname anche se poi, nella vita, ha fatto tutt’altro.
Con tre padri maestri
Tra il 1952 e il 1953 è stato novizio a Firenze e, tra il 1953 e il 1954 a Sunningdale, in Inghilterra. Ha avuto tre padri maestri. Il primo, a Firenze, è stato P. Giovanni Audisio che ha lasciato di lui questa testimonianza: “Giovane di buone disposizioni naturali ad una vita di virtù e di obbedienza. Segue con facilità la disciplina del noviziato col desiderio di approfittarne per il suo profitto spirituale. È stato contento di essere stato scelto per il noviziato d’Inghilterra, ma non credo per spirito di avventura. Dimostra molto buon criterio. Incaricato della portineria, sa comportarsi bene con gli ospiti. Come carattere è piuttosto quieto, un po’ taciturno. Prende, però, parte volentieri alla ricreazione e condivide l’allegria degli altri con i quali sa vivere in ottima armonia. Salute ottima”.
Il secondo è stato P. Agostino Baroni, che ha dovuto interrompere il suo ufficio essendo stato eletto vescovo di Khartoum. Questi ha scritto: “Dimostra vero desiderio di fare bene ed anche si sforza di fare sempre meglio. Dimostra impegno e nello studio della lingua inglese riesce bene. È un tipo generoso, molto sensibile e attivo. Promette bene”.
Il terzo padre maestro è stato P. Guido De Negri che nelle sue note riguardo a Sirtoli ha confermato quanto avevano scritto gli altri.
Il 9 settembre del 1954 Abramo ha emesso i primi voti e si è fermato in Inghilterra per lavorare nelle opere comboniane che, in quel periodo, erano all’apice del loro sviluppo. Il lavoro specifico di Sirtoli, però, è stato quello di guardarobiere a Sunningdale e cuoco a Stillington.
Con i voti il nostro giovane ha voluto assumere il nome di Daniele, nome che poi si è portato per tutta la vita. Scrive P. Ravasio: “Con Abramo diventato Daniele dai voti non mi sono praticamente mai incontrato: lui in Ecuador, io in Africa. Ricordo, però, una sua lettera che mi giunse a Roma nell’ottobre del 1973, la prima dopo tantissimi anni. Mons. Bartolucci era arrivato in Esmeraldas, io l’avevo sostituito a Roma. Fr. Abramo nella lettera mi salutava e poi diceva: ‘Certo, ti sarà dispiaciuto lasciare l’Etiopia, ma anch’io avrei desiderato l’Africa e sono qui. A Roma avrai l’occasione di incontrare tanti confratelli. Ricordati di imitare papa Giovanni. Bisogna essere buoni, comprensivi e accoglienti come è stato lui. Il resto viene da sé’. Ho sempre ricordato questo consiglio e mi sono convinto che fosse un suo programma di vita. L’essenziale per lui era ‘farsi prossimo’. Ci è riuscito in modo meraviglioso. Ora interceda per noi”.
Nel 1956 troviamo Fr. Sirtoli in Italia come addetto all’amministrazione. Nel 1957 è destinato alla Spagna, come amministratore della rivista Aguiluchos, a San Sebastian fino al 1960 e poi a Madrid, sempre come amministratore di Mundo Negro, fino al 1961.
Una lettera della mamma
In occasione dei voti perpetui di Abramo, la mamma scrisse al Superiore Generale in questi termini: “Reverendissimo Padre Generale, mi dovrà perdonare se la disturbo con questo mio scritto, ma l’amore materno me lo fa fare. Sono la mamma di Fr. Daniele Sirtoli che si trova a Madrid. Poco tempo fa mi ha scritto che, se il Signore vorrà, farà i santi voti perpetui. Vorrei chiedere a lei la carità di farglieli fare in Italia, nella Casa Madre di Verona, perché vorrei partecipare anch’io alla donazione totale di mio figlio al Signore. Le mie condizioni finanziarie e anche la mia salute non mi consentono di andare in Spagna. Questa di partecipare ai voti di mio figlio è l’unica soddisfazione che posso avere nella mia vita. Con la speranza che lei, tanto buono, mi ottenga questa grazia, le porgo doverosi ossequi. Sua serva Maria Riva in Sirtoli”.
Con una lettera molto delicata, P. Leonzio Bano aveva risposto che la professione perpetua, benché tanto importante, si fa nell’intimità e senza la partecipazione dei familiari. E aggiungeva: “Comprendo quanto lei vorrebbe essere vicina al figlio in tale circostanza, ma la fede che le ha dato la forza di donarlo al Signore le darà anche la generosità di sapere che egli rinnova per sempre la sua consacrazione lontano, ma sempre vicino al cuore della mamma e al cuore di Gesù di cui diventa figlio per sempre”.
Nelle varie domande per rinnovare i voti, Fr. Sirtoli sottolinea sempre il desiderio ardente di donarsi totalmente al Signore e all’Istituto per il bene delle anime. E poi mette tutta la sua speranza nell’aiuto di Dio, della Madonna e nell’intercessione delle preghiere degli altri.
Nel 1962 poté finalmente partire per le missioni. Sognava l’Africa, invece gli toccò l’America Latina. Partì contento lo stesso.
Una vita in Ecuador
Sua prima ed unica destinazione è stata la provincia dell’Ecuador dove ha trascorso la maggior parte della sua vita. Sirtoli è arrivato in Ecuador agli inizi della presenza comboniana, quando tutto era da cominciare. Erano tempi difficili, con pochi mezzi, e ci si doveva adattare a quello che si trovava. È difficile, oggi, descrivere la situazione di allora. In Ecuador, Fr. Sirtoli è stato anche procuratore delle Missioni, un ufficio che lo ha messo in contatto con tanta gente e tutti sono stati contenti di lui.
Il suo soggiorno in America Latina può essere diviso in tre tappe: Quito, Esmeraldas, dove è stato direttore del Centro Santa Cruz, e Bogotà, in Colombia, dove è stato formatore dei Fratelli del CIF.
Appena giunto in Ecuador nel 1961, è stato mandato a Quito come aiuto nella procura e nella parrocchia “La Inmaculada”, nel quartiere di Inaquito, affidata ai Comboniani. Era anche responsabile della scuola parrocchiale “Manuel Tobar”, per ragazzi poveri, molti dei quali provenienti da famiglie indigene. All’inizio fu dura per Fr. Sirtoli, come ben si può immaginare, ma seppe cavarsela molto bene se rimase in quell’incarico fino al 1974. Fr. Sirtoli sapeva scegliersi collaboratori capaci che gli permettevano di moltiplicare i risultati nei vari incarichi. Alcuni di loro continuano ad operare al servizio della missione come il sig. Segundo Castillo.
Poi è passato ad Esmeraldas nel Centro Santa Cruz, fondato da Mons. Angelo Barbisotti come casa di formazione per catechisti e guide di comunità. Il Centro è situato su una collina da dove si gode uno dei più bei panorami della città e del porto sull’oceano Pacifico. Fr. Sirtoli aggiunse alla costruzione iniziale il grande salone che può ospitare più di 400 persone, le casette per i gruppi di lavoro, i locali per l’accoglienza. Ha abbellito il centro con il giardino. Ha creato un ambiente amichevole non solo tra i collaboratori del Santa Cruz, i sacerdoti, religiosi e laici che partecipavano ai corsi o agli esercizi spirituali, ma anche tra le famiglie povere che a poco a poco iniziarono a formare il nuovo quartiere. Lassù è cominciato anche il Seminario diocesano chiamato poi “Nostra Signora di Guadalupe” voluto da Mons. Enrico Bartolucci. Fr. Sirtoli fu un valido aiuto per il rettore P. Vincenzo Vivero. Diede il meglio di sé ai seminaristi, aiutandoli nelle loro necessità e comportandosi con loro come un vero fratello. Il Centro Santa Cruz nell’epoca di Fr. Sirtoli ha ospitato suor Cecilia Davila e un gruppetto di ragazze da cui è nato l’istituto delle suore diocesane, approvato da Mons. Enrico Bartolucci.
Nel 1990, è stato nominato “secondo formatore nel CIF di Bogotà” con P. Ramiro Loureiro e poi con P. Jose Girau. Il Superiore Generale, P. Pierli, gli ha scritto: “La tua conoscenza dell’America Latina – sei in Ecuador da quasi 30 anni – e le tue capacità di contatto con i giovani sono state ritenute da tutti come qualità buone per un tuo servizio come formatore dei fratelli. La nostra presenza in Colombia potrà avvalersi del tuo contributo sia nella formazione che nell’animazione missionaria. Ti ringrazio della tua disponibilità e ti raccomando all’intercessione di S. Giuseppe e di Fr. Giosuè dei Cas”. Non si limitava al seminario, ma faceva apostolato anche nel quartiere.
Praticamente, in Italia è tornato solo durante i periodi di vacanze in famiglia, per questo è quasi uno sconosciuto in patria, quando invece è stato una grande personalità che ha marcato positivamente la presenza dei Fratelli in Ecuador.
Egli e Fr. Giuseppe Zordan sono stati dei riferimenti precisi per generazioni di Fratelli in Ecuador: persone identificate con la vocazione, veri missionari che in modi diversi hanno messo la loro consacrazione a servizio della gente. Nel 1999 Fr. Sirtoli è ritornato nuovamente a Quito con l’incarico di economo locale.
L’uomo dell’accoglienza
Sirtoli si è fatto stimare per il suo garbo e per i suoi modi di trattare, per la sua accoglienza verso tutti e per la sua disponibilità ad aiutare. Una cosa di cui, a volte, si lamentava, era che non aveva mai fatto la missione nella foresta, perché i superiori lo avevano sempre tenuto in città. Veramente nel 1969, dopo tante insistenze è stato destinato alla missione di Rocafuerte. È partito contento e felice di coronare il suo sogno. Ma dopo neanche un mese era già di ritorno a Quito, un po’ triste ma sereno, perché sicuro di compiere la volontà di Dio. Infatti a sua insaputa era in corso una campagna per far pressione sul Padre Provinciale e sul vescovo, perché Fr. Sirtoli era considerato indispensabile nella procura di Quito. A volte, a fare troppo bene, si paga… Ma Fr. Sirtoli non si montava la testa. Diceva spesso con umiltà e buon umore “in qualsiasi parte mi mandino so cucinare e pulire, quindi avrò sempre da fare!”.
Probabilmente i superiori avevano intuito abbastanza presto le sue capacità e così lo destinarono sempre in comunità di “transito”, dove ci vuole pazienza e disponibilità a servire i confratelli. Infatti una caratteristica di Abramo era la straordinaria capacità di accogliere le persone. Fossero poveri o ricchi, li trattava con grande rispetto e attenzione. Dove lui è passato la gente lo ricorda anche a distanza di anni.
Parlava molto bene lo spagnolo, sapeva giocare con le parole in modo da creare simpatia attorno a sé. Veramente era diventato un ecuadoriano. Per lui il tempo serviva per stare con la gente. Aveva una straordinaria pazienza e cercava di accontentare i confratelli. A volte gli rimproveravano che era troppo accondiscendente. Egli sapeva apprezzare il bene che ognuno faceva e così scusava i difetti. A volte stava ad aspettare con la cena in caldo i confratelli sacerdoti che arrivavano tardi a casa dal ministero. Voleva che, al loro ritorno, avessero la sensazione di essere stati attesi, e subito si metteva a servirli. Si può dire che qualche confratello sia rimasto Comboniano per l’aiuto ricevuto da Fr. Sirtoli.
Pur essendo “di cuore grande” era un religioso ben ancorato alle Regole dell’Istituto e capace di chiedere qualche rinuncia quando si trattava di testimoniare la povertà evangelica. In una lettera del 1972 (teniamo presenta la data) scriveva al Superiore Generale: “Una cosa che non mi sembra giusta è la facilità dei permessi per rientrare in patria prima del tempo stabilito, senza giusta causa. Sono precedenti che possono causare gravi problemi a chi dovrà governare la regione nel prossimo triennio. Le nozze d’oro dei genitori, credo non siano una causa sufficiente per tali permessi. O mi sbaglio?”.
Superiore della casa e direttore della scuola
Un confratello che è stato in missione con lui, ha scritto: “A Quito Fr. Sirtoli è stato per anni superiore della casa provincializia. Era anche responsabile di una scuola elementare privata, che funziona nella parrocchia, allora gestita dai Comboniani. È stato procuratore ed economo per un certo tempo; con il buon senso suppliva alla viscerale incompatibilità con i numeri. Poi ha lasciato a P. Luigi Marro la contabilità e lui ha continuato con il resto.
Un’abilità in cui Sirtoli eccelleva era la cucina. Sapeva cucinare molto bene. Quando lui era in cucina, le assemblee provinciali andavano meglio! Però Abramo era umile ed evitava sempre di vantarsi delle sue cose. Preferiva stare con la gente come un fratello, ascoltava volentieri, sapeva dire la sua, specialmente riusciva a comunicare la sua esperienza di fede. Si preoccupava per le necessità dei poveri.
Aveva una parola per tutti, ricordava persone e fatti alla gente che conosceva, così ogni incontro era un rinnovare l’amicizia e stare insieme senza preoccuparsi del tempo. Particolare attenzione ha dato ai parrocchiani di Inaquito e ai ragazzi della scuola e ai loro genitori. Vari sono entrati nella polizia, alcuni hanno fatto carriera. Era una festa ogni loro incontro con Fr. Sirtoli. In questo modo si sono aperte tante porte ai Comboniani. A volte era più il tempo che passava a salutare l’uno e l’altro, che ad aspettare che mettessero una firma su un documento nei ministeri di Quito. Ha lavorato molto con i giovani nelle scuole a Esmeraldas e a Quito, ma si è preoccupato soprattutto per la formazione dei seminaristi e dei nostri Fratelli.
La testimonianza di Fr. Umberto Martinuzzo
“Non l’ho mai visto arrabbiarsi – scrive Fr. Martinuzzo – anche se a volte il suo servizio gli pesava: doveva correre per ministeri e uffici governativi, accompagnare qualche confratello ammalato e c’era la comunità che reclamava la cena. Per tutto il tempo che il Vaticano l’ha permesso, è stato superiore della casa provincializia, e quando il Vaticano ritirò il permesso, continuò con il silenzio/assenso del Superiore Generale, perché di fronte alla richiesta del provinciale, P. Pierli non disse niente, ma sorrise.
Sirtoli era sempre disponibile. Non guidava la macchina quindi chiedeva ora a uno ora all’altro il servizio. Mai nessuno si è negato perché sapevamo bene che quando aveva bisogno era per una necessità seria.
La sua formazione religiosa era stata quella ricevuta in noviziato, e più ancora in famiglia e in parrocchia, ma poi nella vita si era coltivato: leggeva, si informava e pregava. L’ho visto sempre costante nel tempo dedicato al Signore. Comunicava con la vita una profonda fiducia nella misericordia di Dio.
Indubbiamente aveva un bel carattere, era per natura ottimista e così affrontava ogni situazione facile o difficile. Aveva la battuta pronta per sdrammatizzare le situazioni.
Ci ha insegnato ad amare la gente, a non aver fretta, ma a stare con tutti. A volte non si potevano risolvere certi problemi con la gente, ma lui era stato lì a condividere la pena con la famiglia. Ci ha insegnato ad amare l’Istituto, ad apprezzare quello che ognuno fa e ad avere pazienza con tutti, cercando di essere sempre positivi. Ci ha insegnato ad amare Dio come Padre che ci vuole tutti fratelli senza distinzione”.
Una presenza-messaggio
È tornato in Italia nel 2000, quando l’aggravarsi del diabete lo ha costretto a lasciare la prima linea. Il male poi è diventato un tumore che tuttavia non ha mai diminuito la sua serenità e il suo ottimismo.
Nel 2001 i superiori lo hanno assegnato definitivamente alla provincia italiana. In quella circostanza il Superiore Generale gli scrisse: “Ti ringrazio per gli anni di servizio missionario che hai passato nella provincia dell’Ecuador/Colombia. E ti affido nella preghiera all’intercessione del Beato Daniele Comboni: che lui guidi i tuoi passi e ti conceda la grazia di un ‘ripartire’ nella tua vocazione missionaria con l’audacia e l’entusiasmo che furono suoi”.
Scrive P. Raffaello Savoia: “Sono stato a trovarlo alcune volte. Mi è rimasta impressa l’ultima volta quando era ancora pienamente cosciente. Già il suo amico, Dott. Leonardo, mi aveva messo al corrente del tumore che avevano trovato alla testa. Ho passato con lui tutta la mattinata nell’ospedale Niguarda, prima negli ambulatori e poi nella sua stanzetta. Abbiamo fatto una carrellata sulla storia della missione comboniana in Ecuador, abbiamo ricordato i volti degli amici. La sua insistenza è stata sui primi anni nella parrocchia di Inaquito con P. Alberto Ferri e P. Antonio Mangili, il Centro Santa Cruz, i seminaristi ora sacerdoti, i corsi per i catechisti, di molti dei quali ricordava ancora il nome, il Vescovo Angelo Barbisotti, P. Corinno Scotti, Fidei Donum di Bergamo, che egli aveva contribuito a far venire a Esmeraldas, i Fratelli Comboniani di Bogotà. Il Dott. Leonardo era stupito di come avesse ripreso a parlare e a ricordare ed era contento. Semplicemente manifestava la sua passione per la missione, come Comboni. Aggiunse: “Mia mamma mi ha insegnato ad aver fede nella bontà del Signore. La sua misericordia è grande anche per me. Sarà quello che il Signore vuole. Lo ringrazio perché abbiamo passato degli anni belli in missione”.
È deceduto nel Centro Ambrosoli di Milano il 22 settembre 2004 edificando tutti. Dopo i funerali nella chiesa della Madonna di Fatima, la salma è stata portata nel cimitero della sua parrocchia di Bergamo.
Il Superiore Generale, P. Teresino Serra, che si trovava in Polonia intento a predicare gli esercizi spirituali ai confratelli, ha scritto da Kracovia il 23 settembre 2004: “Abbiamo ricevuto la triste notizia del decesso di Fr. Sirtoli. Ci uniamo in preghiera insieme a voi, per presentare a Dio la vita di Fr. Sirtoli.
Insieme ringraziamo il Signore per la presenza di testimonianza di Fr. Sirtoli tra noi. La sua è stata una presenza-messaggio. Senza tante parole, Fr. Sirtoli ci ha parlato di bontà, umiltà, pazienza, mansuetudine, fede. Ammirevole il suo spirito di servizio e il suo esempio di pazienza nella malattia e nella sofferenza.
Essendo molto umano, ha saputo comunicare cose divine. Ne ringraziamo Dio. Fratelli come lui sono una ricchezza inestimabile per la famiglia comboniana e per la Missione. Oggi celebreremo insieme e saremo in comunione con tutti voi. Dio ci dia la grazia di imitare quelle virtù umane e spirituali che Fr. Sirtoli ha condiviso con noi”.
Siamo sicuri che dal Cielo, dove ora si trova, Fr. Sirtoli saprà intercedere per le vocazioni, in particolare dei Fratelli ai quali ha dedicato gran parte della sua vita. Egli è stato un soggetto “santo e capace” come Comboni aveva auspicato per i Fratelli che avrebbero fatto parte del suo Istituto, e oggi, con Comboni santo, condivide la gloria dei beati.
P. Lorenzo Gaiga, mccj.