In Pace Christi

Sirena Virgilio Bortolo

Sirena Virgilio Bortolo
Data urodzenia : 01/11/1907
Miejsce urodzenia : San Tommaso BL/I
Śluby tymczasowe : 25/04/1926
Śluby wieczyste : 25/04/1932
Data śmierci : 03/02/1985
Miejsce śmierci : Verona/I

Fratel Sirena è un frutto della scuola apostolica di Thiene, che a quei tempi era riservata per la for­mazione dei fratelli.

Padre Francesconi, presentando l'alunno ai superiori per la sua ammissione al noviziato, scrisse: «...La sua età è di anni 16 e mezzo. Egli entrò nell'istituto il 12 marzo 1922, quindi da due anni. Fu sempre appli­cato alla falegnameria con buoni ri­sultati. La sua condotta fu sempre non soltanto irreprensibile, ma lode­volissima. Ai suoi compagni si fece modello di virtù e di osservanza delle regole e degli avvisi, così da me­ritare di essere per molto tempo loro prefettino. Dal maggio p.p. è legato con voto temporaneo di ca­stità e fu sempre fedelissimo a questa virtù. D'ingegno è più che mediocre. Umanamente parlando tutto fa sperare in lui un'ottima riuscita». La lettera è del 14 marzo 1924.

A Thiene fratel Sirena conseguì il diploma di quinta elementare.

Entrato in noviziato a Venegono, emise i primi voti il 25 aprile 1926. Qui si dedicò anche all'elettricità per la quale aveva una particolare propensione. Dopo un corso si diplo­mò diventando elettrotecnico.

Erano gli anni in cui a Venegono fervevano i lavori per trasformare il vecchio e fatiscente maniero nel bel castello che oggi tutti ammirano. Fratel Sirena fu uno della numerosa schiera di fratelli che bagnò di sudore quei cumuli di sassi e mattoni, intercalando il lavoro con preghiere e giaculatorie.

Dopo Venegono fu la volta di Roma, sempre nel lavoro di muratura, lui che era falegname ed elettricista! E se la cavò brillantemente, tanto che i superiori lo mandarono per qualche tempo a Thiene come istrut­tore dei ragazzi.

Gli anni passavano e il desiderio dell'Africa si acuiva. Finalmente nel 1931 ebbe il permesso di partire per il Sudan meridionale. Le missioni di Malakal, di Detwok e di Tonga avevano bisogno di forti braccia e di acuta intelligenza per mettere in piedi case, chiese e scuole. I superiori, riferendosi a fratel Sirena, concen­trano quel periodo con questa nota: «Gran lavoratore, religioso esem­plare».

Dopo 7 anni di intensissima atti­vità, venne in vacanza. Era il 1938.

In Etiopia

Fratel Sirena avrebbe voluto ritor­nare nella prefettura apostolica di Malakal dove aveva dato tanto di sé, ma quando i comboniani la cedet­tero ai Padri di Mill Hill il nostro fratello fu dirottato in Etiopia. Questa sarebbe diventata il suo campo di lavoro e di apostolato fino alla morte.

Lavorò per cinque anni a Gondar lasciandovi la sua impronta di fale­gname e muratore. Terminato un la­voro in un luogo, si trasferiva immediatamente in un altro senza voltarsi indietro, senza fare commenti. La disponibilità più assoluta era il suo programma. Così lo troviamo ad Azozò, a Gorgorà, a Chercher dove mise in attività una grande fornace che sfornava mattoni per le costru­zioni della zona, a Seganeiti, a Adi Ugri, ad Asmara... Suo compagno inseparabile fu per parecchio tempo fratel Ildebrando Capuzzo.

Fratel Sirena era un uomo preciso, esatto. Quello che faceva, lo voleva eseguito in maniera perfetta. Niente fretta, quindi, ma «precisio­ne, minuziosità fin quasi allo scru­polo.

«Ho conosciuto fratel Sirena all'Asmara nel 1966 – scrive padre Ga­leazzo. – Immediatamente rimasi im­pressionato dalla disponibilità e dallo spirito di servizio di questo Fra­tello. Di poche parole, ma deciso e qualche volta anche combattivo, sapeva sottomettersi al parere del su­periore e dei confratelli che in certi lavori ne sapevano meno di lui. Aveva quasi una naturale paura di di­sturbare gli altri, mentre lui era sempre pronto per qualsiasi servizio gli venisse richiesto. Durante il tempo della carestia moltiplicava le forze e si faceva in quattro per poter alle­viare il maggior numero di sofferenze.

Trascorse un periodo considerevole anche nelle missioni del Sud, che noi del Nord consideravamo le vere mis­sioni d'Etiopia. Nel Sidamo, parec­chie cappelle e scuole sono sorte dal suo lavoro infaticabile. Al richiamo dei confratelli: "Riposatevi un po', fratello!", rispondeva: "Quan­do avanzerò del tempo". Ma tempo non ne avanzava mai. Scarno e os­suto com'era, faceva temere un pros­simo collasso. Invece dimostrava una resistenza incredibile. La sua medi­cina era il cibo frugale e misurato, quasi come la gente del luogo. Fuo­ri dal tempo del lavoro, si riposava in chiesa raccolto davanti al taber­nacolo.

In Eritrea, dove la missione sembrava senza frutti, fratel Sirena si dedicava volentieri al buon mante­nimento della scuola, perché era convinto che il futuro dei popoli fos­se nella cultura, nella istruzione. Sentiva un po' come suoi figli spiri­tuali i seminaristi che crescevano sia a Decameré, sia al Comboni di Asma­ra. Durante l'assedio di Asmara, quando la fame era di casa, egli, non potendo usare l'auto per man­canza di benzina, prendeva due spor­te di vimini e andava in cerca di qualche cosa presso i mercatini che sorgevano qua e là dove si poteva trovare ancora del cibo. E guai se altri voleva sostituirlo in quel lavoro di quasi mendicante.

L'ultimo suo posto di lavoro fu Awasa dove prestò la sua opera di abile carpentiere per il completamento del soffitto della nuova chiesa cattedrale... Non poté essere presente alla sua inaugurazione. Il Signore aveva altri piani su di lui».

«Se è vero che fratel Sirena era uomo di poche chiacchiere quando c'era da lavorare – dice padre Riccardo Rebuccini che fu per sette anni con lui al Comboni College di Asma­ra – è altrettanto vero che durante le ricreazioni era vivace. Con lui la vita comunitaria diventava piacevole. Aveva un temperamento di fuoco. All'occorrenza sapeva arrabbiarsi, ma non piantava il muso. Passata la burrasca, era quello di prima, come se non fosse successo niente.

Un'altra cosa devo ricordare: il suo spirito di povertà. "Non basta

lo spirito di povertà — soleva dire — bisogna fare a meno di tante cose". E lui ne dava l'esempio. Per lascia-re la stanza nei suoi numerosi spo­stamenti impiegava pochi minuti. Tutte le sue cose erano contenute in una valigetta sdruscita e in un fa­gottino con quattro stracci».

Fratel Sirena aveva un dono spe­ciale per trattare con la gente. Basti pensare, insieme ai confratelli sacer­doti, riuscì a convincere le abita­trici-prostitute a lasciare la loro casa a Decameré, che poi lui avrebbe tra-sformata in scuola apostolica.

La via del Calvario

Giunto in Italia nel luglio del 1984, fratel Sirena accusava disturbi vari. In un primo tempo si attribuiva la causa ai disagi e alle privazioni della vita missionaria in Etiopia. Ben presto però i medici della cli­nica urologica di Borgo Roma confermarono la diagnosi già precedentemente tracciata: sospetto tumore alla vescica e biliarziosi vescicale». Le cure furono lunghe e dolorose. Il fratello si sottopose volentieri anche alla cobaltoterapia.

La sofferenza più grande di fratel Sirena non derivava dal male che si portava dentro, ma dalla forzata inat­tività e dal vedersi costretto a dipen­dere dagli altri.

Ad ogni confratello che entrava nella sua stanza diceva che stava meglio e che presto sarebbe partito per la missione. Il suo pensiero, infatti, era sempre laggiù.

Un po' per volta si rese conto della sua malattia. Allora la accettò dalle mani di Dio con tutte le con­seguenze che portava con sé.

Fratel Meloni assicura che chi vedeva Sirena dopo alcuni mesi di degenza, non lo avrebbe riconosciuto più. Aveva messo da parte il desi­derio della missione e non faceva che offrire la sua vita al Signore per la pace in Etiopia e per le vocazio­ni missionarie. «Quello che in lui mi ha colpito maggiormente — scri­ve Meloni — è stata la serena fidu­cia in Dio e nella Madonna, che si estrinsecava in frasi come queste: «Il pensiero della Madonna mi commuove tanto da farmi piangere... Mamma, dillo tu al tuo Gesù di aiutarmi... Gesù caro, perché guardi sempre a tua madre e non ti volgi un poco anche a me? (diceva questo volgendosi a un quadro della Madonna col Bambino)... Quando muoio vorrei che fosse la Madonna a presentarmi a Gesù... Signore, sia fatta sempre e solo la tua volon­tà...».

Ogni giorno, ai confratelli che en­travano nella sua camera chiedeva l'assoluzione. Ormai vedeva la sua vita nella luce di Dio e gli pareva di essere tanto sporco.

La sua sofferenza era grande, a detta dei medici, ma egli non si la­mentò mai. Se aveva delle preoccu­pazioni, erano per la salute dei vi­cini di camera e di tutti del secon­do piano di Casa Madre. Voleva sapere come avevano passato la notte, come stavano. Pure per noi in­fermieri si preoccupava: «Ma voi non dormite? Andate a dormire be­nedetti! Cosa fai ancora in giro?» Se alle volte si addormentava un po' durante il giorno, al risveglio si lamentava dicendo: «Cosa ho fat-to! Ho perso tempo e così non ho pregato». Questo è il fratel Sirena che ho conosciuto al Centro Malati di Verona».

Il 3 febbraio 1985 il Signore venne a prendere il suo servo fedele. Sarà venuta di sicuro anche la Madonna, come aveva tanto desiderato. Ed egli se ne è andato, lasciando in tutti un mirabile esempio di sa­crificio e di dedizione per la causa di Dio e del suo Regno.        P. Lorenzo Gaiga

Da Mccj Bulletin n. 146, luglio 1985, pp. 67-69