Fratel Sirena è un frutto della scuola apostolica di Thiene, che a quei tempi era riservata per la formazione dei fratelli.
Padre Francesconi, presentando l'alunno ai superiori per la sua ammissione al noviziato, scrisse: «...La sua età è di anni 16 e mezzo. Egli entrò nell'istituto il 12 marzo 1922, quindi da due anni. Fu sempre applicato alla falegnameria con buoni risultati. La sua condotta fu sempre non soltanto irreprensibile, ma lodevolissima. Ai suoi compagni si fece modello di virtù e di osservanza delle regole e degli avvisi, così da meritare di essere per molto tempo loro prefettino. Dal maggio p.p. è legato con voto temporaneo di castità e fu sempre fedelissimo a questa virtù. D'ingegno è più che mediocre. Umanamente parlando tutto fa sperare in lui un'ottima riuscita». La lettera è del 14 marzo 1924.
A Thiene fratel Sirena conseguì il diploma di quinta elementare.
Entrato in noviziato a Venegono, emise i primi voti il 25 aprile 1926. Qui si dedicò anche all'elettricità per la quale aveva una particolare propensione. Dopo un corso si diplomò diventando elettrotecnico.
Erano gli anni in cui a Venegono fervevano i lavori per trasformare il vecchio e fatiscente maniero nel bel castello che oggi tutti ammirano. Fratel Sirena fu uno della numerosa schiera di fratelli che bagnò di sudore quei cumuli di sassi e mattoni, intercalando il lavoro con preghiere e giaculatorie.
Dopo Venegono fu la volta di Roma, sempre nel lavoro di muratura, lui che era falegname ed elettricista! E se la cavò brillantemente, tanto che i superiori lo mandarono per qualche tempo a Thiene come istruttore dei ragazzi.
Gli anni passavano e il desiderio dell'Africa si acuiva. Finalmente nel 1931 ebbe il permesso di partire per il Sudan meridionale. Le missioni di Malakal, di Detwok e di Tonga avevano bisogno di forti braccia e di acuta intelligenza per mettere in piedi case, chiese e scuole. I superiori, riferendosi a fratel Sirena, concentrano quel periodo con questa nota: «Gran lavoratore, religioso esemplare».
Dopo 7 anni di intensissima attività, venne in vacanza. Era il 1938.
In Etiopia
Fratel Sirena avrebbe voluto ritornare nella prefettura apostolica di Malakal dove aveva dato tanto di sé, ma quando i comboniani la cedettero ai Padri di Mill Hill il nostro fratello fu dirottato in Etiopia. Questa sarebbe diventata il suo campo di lavoro e di apostolato fino alla morte.
Lavorò per cinque anni a Gondar lasciandovi la sua impronta di falegname e muratore. Terminato un lavoro in un luogo, si trasferiva immediatamente in un altro senza voltarsi indietro, senza fare commenti. La disponibilità più assoluta era il suo programma. Così lo troviamo ad Azozò, a Gorgorà, a Chercher dove mise in attività una grande fornace che sfornava mattoni per le costruzioni della zona, a Seganeiti, a Adi Ugri, ad Asmara... Suo compagno inseparabile fu per parecchio tempo fratel Ildebrando Capuzzo.
Fratel Sirena era un uomo preciso, esatto. Quello che faceva, lo voleva eseguito in maniera perfetta. Niente fretta, quindi, ma «precisione, minuziosità fin quasi allo scrupolo.
«Ho conosciuto fratel Sirena all'Asmara nel 1966 – scrive padre Galeazzo. – Immediatamente rimasi impressionato dalla disponibilità e dallo spirito di servizio di questo Fratello. Di poche parole, ma deciso e qualche volta anche combattivo, sapeva sottomettersi al parere del superiore e dei confratelli che in certi lavori ne sapevano meno di lui. Aveva quasi una naturale paura di disturbare gli altri, mentre lui era sempre pronto per qualsiasi servizio gli venisse richiesto. Durante il tempo della carestia moltiplicava le forze e si faceva in quattro per poter alleviare il maggior numero di sofferenze.
Trascorse un periodo considerevole anche nelle missioni del Sud, che noi del Nord consideravamo le vere missioni d'Etiopia. Nel Sidamo, parecchie cappelle e scuole sono sorte dal suo lavoro infaticabile. Al richiamo dei confratelli: "Riposatevi un po', fratello!", rispondeva: "Quando avanzerò del tempo". Ma tempo non ne avanzava mai. Scarno e ossuto com'era, faceva temere un prossimo collasso. Invece dimostrava una resistenza incredibile. La sua medicina era il cibo frugale e misurato, quasi come la gente del luogo. Fuori dal tempo del lavoro, si riposava in chiesa raccolto davanti al tabernacolo.
In Eritrea, dove la missione sembrava senza frutti, fratel Sirena si dedicava volentieri al buon mantenimento della scuola, perché era convinto che il futuro dei popoli fosse nella cultura, nella istruzione. Sentiva un po' come suoi figli spirituali i seminaristi che crescevano sia a Decameré, sia al Comboni di Asmara. Durante l'assedio di Asmara, quando la fame era di casa, egli, non potendo usare l'auto per mancanza di benzina, prendeva due sporte di vimini e andava in cerca di qualche cosa presso i mercatini che sorgevano qua e là dove si poteva trovare ancora del cibo. E guai se altri voleva sostituirlo in quel lavoro di quasi mendicante.
L'ultimo suo posto di lavoro fu Awasa dove prestò la sua opera di abile carpentiere per il completamento del soffitto della nuova chiesa cattedrale... Non poté essere presente alla sua inaugurazione. Il Signore aveva altri piani su di lui».
«Se è vero che fratel Sirena era uomo di poche chiacchiere quando c'era da lavorare – dice padre Riccardo Rebuccini che fu per sette anni con lui al Comboni College di Asmara – è altrettanto vero che durante le ricreazioni era vivace. Con lui la vita comunitaria diventava piacevole. Aveva un temperamento di fuoco. All'occorrenza sapeva arrabbiarsi, ma non piantava il muso. Passata la burrasca, era quello di prima, come se non fosse successo niente.
Un'altra cosa devo ricordare: il suo spirito di povertà. "Non basta
lo spirito di povertà — soleva dire — bisogna fare a meno di tante cose". E lui ne dava l'esempio. Per lascia-re la stanza nei suoi numerosi spostamenti impiegava pochi minuti. Tutte le sue cose erano contenute in una valigetta sdruscita e in un fagottino con quattro stracci».
Fratel Sirena aveva un dono speciale per trattare con la gente. Basti pensare, insieme ai confratelli sacerdoti, riuscì a convincere le abitatrici-prostitute a lasciare la loro casa a Decameré, che poi lui avrebbe tra-sformata in scuola apostolica.
La via del Calvario
Giunto in Italia nel luglio del 1984, fratel Sirena accusava disturbi vari. In un primo tempo si attribuiva la causa ai disagi e alle privazioni della vita missionaria in Etiopia. Ben presto però i medici della clinica urologica di Borgo Roma confermarono la diagnosi già precedentemente tracciata: sospetto tumore alla vescica e biliarziosi vescicale». Le cure furono lunghe e dolorose. Il fratello si sottopose volentieri anche alla cobaltoterapia.
La sofferenza più grande di fratel Sirena non derivava dal male che si portava dentro, ma dalla forzata inattività e dal vedersi costretto a dipendere dagli altri.
Ad ogni confratello che entrava nella sua stanza diceva che stava meglio e che presto sarebbe partito per la missione. Il suo pensiero, infatti, era sempre laggiù.
Un po' per volta si rese conto della sua malattia. Allora la accettò dalle mani di Dio con tutte le conseguenze che portava con sé.
Fratel Meloni assicura che chi vedeva Sirena dopo alcuni mesi di degenza, non lo avrebbe riconosciuto più. Aveva messo da parte il desiderio della missione e non faceva che offrire la sua vita al Signore per la pace in Etiopia e per le vocazioni missionarie. «Quello che in lui mi ha colpito maggiormente — scrive Meloni — è stata la serena fiducia in Dio e nella Madonna, che si estrinsecava in frasi come queste: «Il pensiero della Madonna mi commuove tanto da farmi piangere... Mamma, dillo tu al tuo Gesù di aiutarmi... Gesù caro, perché guardi sempre a tua madre e non ti volgi un poco anche a me? (diceva questo volgendosi a un quadro della Madonna col Bambino)... Quando muoio vorrei che fosse la Madonna a presentarmi a Gesù... Signore, sia fatta sempre e solo la tua volontà...».
Ogni giorno, ai confratelli che entravano nella sua camera chiedeva l'assoluzione. Ormai vedeva la sua vita nella luce di Dio e gli pareva di essere tanto sporco.
La sua sofferenza era grande, a detta dei medici, ma egli non si lamentò mai. Se aveva delle preoccupazioni, erano per la salute dei vicini di camera e di tutti del secondo piano di Casa Madre. Voleva sapere come avevano passato la notte, come stavano. Pure per noi infermieri si preoccupava: «Ma voi non dormite? Andate a dormire benedetti! Cosa fai ancora in giro?» Se alle volte si addormentava un po' durante il giorno, al risveglio si lamentava dicendo: «Cosa ho fat-to! Ho perso tempo e così non ho pregato». Questo è il fratel Sirena che ho conosciuto al Centro Malati di Verona».
Il 3 febbraio 1985 il Signore venne a prendere il suo servo fedele. Sarà venuta di sicuro anche la Madonna, come aveva tanto desiderato. Ed egli se ne è andato, lasciando in tutti un mirabile esempio di sacrificio e di dedizione per la causa di Dio e del suo Regno. P. Lorenzo Gaiga
Da Mccj Bulletin n. 146, luglio 1985, pp. 67-69